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lunedì 11 novembre 2013

Berlusconi e le famiglie ebree

Da Incidenze l'ultimo capitolo della campagna revisionista di Silvio Berlusconi: «I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler . Abbiamo davvero tutti addosso»

mercoledì 29 maggio 2013

La bellezza di Franca Rame e gli omissis del Tg2

Leggo in Globalist.it che in occasione della morte di Franca Rame, avvenuta oggi a Milano, un servizio della giornalista Carola Carulli mandato in onda nel Tg2 delle 13, la ricorda così: "Una donna bellissima Franca, amata e odiata. Chi la definiva un'attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante, chi invece la vedeva coma la pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione". In questa rievocazione lo stupro sembra quasi una conseguenza della sua bellezza - per di più "ostentata" e "utilizzata" - e si omette di dire che i mandanti del  sequestro e dello stupro furono alcuni ufficiali dei carabinieri della Divisione Pastrengo di Milano e che a compierlo furono cinque esponenti di estrema destra. Franca Rame andava punita per la sua attività politica nelle carceri con Soccorso Rosso, per essere la compagna di Dario Fo, ma soprattutto per essersi esposta pubblicamente sull'omicidio di Giuseppe Pinelli prima recitando in Morte accidentale di un anarchico e poi firmando insieme ad altri/e, nel 1971, la lettera aperta pubblicata sul settimanale L'Espresso in cui si chiedeva la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell'accertamento delle responsabilità circa la morte di Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di Piazza Fontana.

martedì 19 febbraio 2013

Rachele Mussolini: "grandissima figura di donna italiana"

Michele Laganà, consigliere Pdl del quartiere Santo Stefano a Bologna, ha proposto di intitolare a Rachele Mussolini "grandissima figura di donna italiana" la sala del Consiglio. L'ordine del giorno sarà discusso il 27 febbraio. L'episodio mi sembra non vada sottovalutato o derubricato a insignificante nota di colore "locale". Grazie a Incidenze e alla mailing list dell'(ex) Assemblea Antifascista Permanente per la segnalazione

domenica 10 febbraio 2013

Le foibe e il giorno della mistificazione storica

In occasione del cosiddetto Giorno del ricordo - ricorrenza istituita con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 su iniziativa di Roberto Menia, la cui carriera politica si snoda dalle organizzazioni giovanili del Movimento sociale italiano all'elezione nelle file di Alleanza Nazionale nel 1994-,   rinviamo ad un articolo di Claudia Cernigoi, Giorno della mistificazione storica, scritto lo scorso anno per denunciare, ancora una volta, l'utilizzo mistificatorio e revisionista delle "foibe". Nella fotografia (risalente al 1945) la famigerata Banda Collotti responsabile - oltre a rastrellamenti, efferate violenze e torture ai danni anche di civili, ebrei e partigiani - dell'infoibamento di diversi antifascisti. Oltre al sito La Nuova Alabarda, dove sulla questione è possibile reperire materiali e bibliografie, segnaliamo il numero monografico della rivista Zapruder Confini senza fine, a cura di Gino Candreva e Lidia Martin con articoli, tra gli/le altri/e, di Sandi Volk, Claudia Cernigoi e Boris Gombac. Vedi anche Incidenze

mercoledì 5 dicembre 2012

La pace dell'Unione Europea non è la nostra / سلام الاتحاد الأوروبي ليس السلام الذي نؤمن به / The European Union Peace Is Not Ours

Il 10 dicembre alcuni rappresentati dell’Unione Europea saranno ad Oslo per ritirare il Nobel per la pace che, come si legge nel testo delle motivazioni, si è deciso quest'anno di assegnarle per la sua “vittoriosa lotta per la pace e la riconciliazione, per la democrazia e i diritti umani”. Una decisione assolutamente inaccettabile. Tra le tante voci che si sono alzate per rifiutare questa strana (e cieca) idea di pace rinviamo a La pace dell' Unione Europea non è la nostra, delle Venticinqueundici che con le madri dei dispersi continuano la campagna Da una sponda all'altra: vite che contano

mercoledì 17 ottobre 2012

Guerra d'Algeria e crimini di Stato

In un articolo pubblicato qualche giorno fa su Mediapart, Guerre d’Algérie et crimes d’Etat: le temps du reniement?, in occasione del cinquantunesimo anniversario dei massacri del 17 e 18 ottobre 1961, viene delineato il desolante quadro di una Francia che, anche nell'"era Hollande" continua sulla strada della riabilitazione del passato coloniale. Traduciamo alcuni passaggi dell'articolo, rinviando al sito di Madiapart per la lettura integrale del testo: "L'anno scorso, in occasione del cinquantesimo anniversario dei massacri del 17 e 18 ottobre 1961, durante i quali dozzine di Algerini furono assassinati a Parigi e in periferia dalle forze dell'ordine dirette da Maurice Papon, allora prefetto di polizia, il candidato alle elezioni presidenziali, François Hollande, partecipava, a Clichy, a una cerimonia in memoria delle vittime. Per quelle e quelli che da tempo esigevano dalle più altre cariche della Repubblica il riconoscimento di questo crimine di Stato, questa presenza fu interpretata come un segnale incoraggiante. Dopo anni di riabilitazione del passato coloniale, durante i quali Nicolas Sarkozy, il suo governo e la maggioranza, hanno elogiato in termini menzogneri 'l'opera compiuta' dalla Francia in Algeria e in altri territori dell'impero, questo gesto sembrava annunciare lo sperato cambiamento [...]. Ma così non è stato, quando, divenuto presidente della Repubblica, François Hollande avrebbe potuto scegliere diverse date ed avvenimenti per impegnarsi su questa strada, rompendo in questo modo con la notevole vigliaccheria dei suoi predecessori di sinistra [...]. Peggio ancora, si scopre ora, sul sito ufficiale del ministero della Difesa, che il tanto socialista Jean-Yves Le Drian, inaugurerà a Fréjus, il 20 novembre prossimo, la stele destinata ad accogliere le ceneri del generale Bigerard. Il tutto è accompagnato da un ritratto apologetico di questo militare, che fu, leggiamo 'più che un capo, un condottiero d'uomini, colui verso il quale si volgono gli sguardi nei momenti difficili' [...]. Viene dimenticato che il generale fu, dapprima in Indocina poi in Algeria, uno dei maggiori responsabili della guerra contro-rivoluzionaria, condotta, tra l'altro, ricorrendo alla tortura, alle esecuzioni sommarie e alle sparizioni forzate ...' (Da: Olivier Le Cour Grandmaison, Guerre d’Algérie et crimes d’Etat: le temps du reniement?). Alcuni articoli correlati in Marginalia e altrove: Noi non vogliamo un femminismo dell'oblio e delle parentesi // Nous ne voulons pas d'un féminisme de l'oubli et des parenthèses // Soldati senza causa. Memorie della guerra d'Algeria // Una manifestazione a Parigi // Ici on noié les algeriens //

mercoledì 20 luglio 2011

Leonardo Tomasetta. Ad memoriam

Solo stanotte abbiamo appresso, da un mail, della morte - avvenuta il 21 giugno scorso -, di Leonardo Tomasetta. I ricordi si accavallano confusi e nitidi, ma non sono cose da blog. Restano suoni, libri e un frammento di scrittura comune.

martedì 10 maggio 2011

Razzismo & Modernità

Il Centro di Documentazione di Pistoia ha da poco messo a punto un nuovo sito, all'interno del quale trovate anche gli indici della rivista Razzismo&Modernità, , di cui vi avevamo in passato già segnalato alcuni nostri contributi, come la recensione a La pelle giusta di Paola Tabet e il dossier su Sexe et Race. Nel sito tutte le indicazioni per acquistare i numeri arretrati, buona lettura.

venerdì 25 marzo 2011

Almirante, l'altra faccia di un grande italiano

Dopo i tentativi di dedicargli nuove vie e di additarlo ad "esempio da seguire", la prossima settimana si terrà a Trieste, con il patrocinio del comune di quella città, un convegno sulla figura di Giorgio Almirante, dal titolo Almirante, un grande italiano. Riceviamo (e pubblichiamo) il testo con cui le/gli antifasciste/i triestine/i indicono una conferenza stampa per domani, sabato 26 marzo, alle ore 11, presso il Knulp (via Madonna del mare 7/a - Trieste). Ecco il testo : "Con il patrocinio del Comune di Trieste, si terrà lunedì un convegno sulla figura di Giorgio Almirante. Memori dell’opera di Almirante come redattore de “La Difesa della Razza”, del suo ruolo istituzionale nella RSI che lo portò a firmare un bando per la fucilazione di altri Italiani, del suo operato nel corso degli anni della strategia della tensione in Italia, tra cui il finanziamento al terrorista Cicuttini per un’operazione alle corde vocali che rendesse impossibile la perizia fonica dato che lui era stato il telefonista che aveva attirato i carabinieri nella trappola della strage di Peteano (3 morti), noi antifascisti terremo una conferenza stampa con distribuzione di un dossier esplicativo".

martedì 23 novembre 2010

"Spettri dell'altro" di Riccardo Bonavita

A cinque anni dalla morte, è stato pubblicato - come vi avevamo segnalato -, il volume Spettri dell'altro. Letteratura e razzismo nell'Italia contemporanea, che raccoglie alcuni saggi di Riccardo Bonavita. Mercoledì, 24 novembre, Spettri dell'altro sarà presentato a Bologna (da Bartleby alle ore 19.30), da Giuliana Benvenuti (che ha curato il volume insieme a Michele Nani), Giorgio Forni e Rudy M. Leonelli. Da una recensione pubblicata qualche mese fa su Umanità Nova (e che potete continuare a leggere qui), riprendiamo le prime righe: "Studente della 'Pantera', intellettuale comunista, partecipe delle mobilitazioni antirazziste prima e dopo Genova, Riccardo Bonavita (1968-2005) è stato anzitutto uno studioso di letteratura italiana, ma ha inteso coniugare la sua formazione con un’indagine acuta e originale della storia del razzismo politico italiano, partendo dalla tesi che la cultura razzista in Italia non sia una breve parentesi circoscritta alle leggi razziali fasciste del 1938, ma un accumulo di lunga durata che si struttura già nel primo Ottocento controrivoluzionario proprio attraverso la letteratura e la manipolazione dell’immaginario collettivo".Qui invece, un frammento tratto da uno dei primi saggi di Riccardo Bonavita, Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica, pubblicato nel catalogo della mostra La menzogna della razza (a cura del Centro Furio Jesi), momento fondamentale dello studio sul razzismo italiano.

lunedì 20 settembre 2010

Esercizi di revisionismo

In occasione dell'anniversario della cosiddetta Breccia di Porta Pia (in breve: il 20 settembre 1870, una breccia fu finalmente aperta dall'artiglieria dell'esercito italiano nelle mura di Roma, breccia che consentì di occupare la città, annetterla al Regno d'Italia e decretare la fine dello Stato Pontificio e del potere temporale dei Papi) e dei tentativi di Alemanno di giungere ad una commemorazione "condivisa" con la cosiddetta Santa Sede, rinvio al documento di Facciamo Breccia, Anniversario della Breccia di Porta Pia: esercizi di revisionismo

mercoledì 1 aprile 2009

Cacchine neofasciste

Talvolta capita che alcune notiziole, che pure avrebbero meritato un po' di spazio qui, vadano perse . Solo oggi, ad esempio, leggo dell'accoglienza riservata alla convention elettorale di CasaPound a Bologna a base di cacche varie. Ahimè, mi son detta, speriamo che nessun* sospetti che l'immagine qui di fianco, usata in Marginalia qualche tempo fa per illustrare un articoletto su CasaPound, fosse un'oscura allusione atta ad istigare il passaggio ai fatti. Qualcun* (forse) penserà che sono un tantino paranoica, invece vi assicuro che (purtroppo) non sono preoccupazioni peregrine. In un'epoca in cui la libertà d'espressione è invocata a gran voce per giustificare le peggiori nefandezze (dalle camere a gas "dettaglio della storia" alla riabilitazione della Repubblica di Salò), può capitare, ad esempio, solo per aver tirato fuori qualche scheletro dall'armadio de Il Resto del Carlino, di subire pesanti forme di mobbing inventivo ... Vista l'aria che tira e il poco tempo che (ancora forse) resta prima che ci mettano il bavaglio a tutt*, passo velocemente (di cacca in cacca) al convegno promosso da Forza Nuova a Milano per il prossimo 5 aprile. Dovrebbero colà intervenire tra i maggiori rappresentanti dei partiti neofascisti europei aderenti al progetto Fronte Nazionale europeo, da Bruno Gollnisch del Front National a Simon Darby del British National Party per arrivare a Stratos Karanikolau del greco-cipriota Proti Grammi (Linea di Fronte). Senza dimenticare Roberto Fiore, ovviamente.
In un articolo di Bruna Jacopino, vengono tratteggiati i ritratti di alcuni di questi personaggi, come il segretario generale dell’Npd tedesco, Ugo Voight sotto processo in questi giorni in Germania, insieme ad altri due suoi camerati, per “incitamento all’odio razziale” . O ancora Bruno Gollnisch del Front National, eurodeputato ed ex professore di diritto all’università di Lione, condannato, lo scorso anno, a cinque mesi di reclusione con la sospensione della pena e ad una multa di 5.000 euro per aver contestato nel 2004 l’esistenza delle camere a gas. Del resto Ugo Voight sogna di rifondare «una Grande Germania su principi nazionalisti e gerarchici» e recentemente ha stretto un’alleanza con i naziskin delle Skinheads Sachsiche Schweiz, che non sono precisamente delle mammolette. Di Gollnisch invece, ricorderei anche l'impegno con i fondamentalisti pro-life: lo scorso 20 gennaio era, ad esempio, in prima fila alla "marcia per la vita" che aveva radunato a Parigi circa quindicimila anti-abortisti provenienti da mezza Europa. E che dire del British National Party? Uno dei suoi "giovani" aderenti ha definito gli/le omosessuali "AIDS Monkeys", "bum bandits" e "faggots" ... (non credo ci sia bisogno di traduzione). E per chi non ha la memoria corta sono note le aggressioni razziste e sessiste di camerati di Forza Nuova a diversi soggetti "indesiderati", come le loro campagne islamofobe, anti-migranti/rom e contro l'autodeterminazione delle donne (quest'ultima presa di posizione è ben riassunta da "Aborto=omicidio", titolo di un documento del gruppo femminile di Forza Nuova Verona, Donne in azione, da non confondere con Donne e Azione di CasaPound ...)
Insomma, la crème de la crème della destra xenofoba, omolesbotransfobica, pro-life, fondamentalista, negazionista, suprematista e razzista, si riverserà a Milano il 5 aprile. Anch'io non credo che saranno tantissimi (qualche centinaio, forse?), ma non mi sembra comunque un segnale da sottovalutare. Non si tratta (solo) di nazistelli nostalgici con teste rasate e tatuaggi tipo Heil Hitler, ma di gente che ha rappresentanti nel Parlamento Europeo (come il Front National di Jean-Marie Le Pen) o nel Parlamento del proprio paese (come il British National Party) e che può impunemente presentare (come Forza Nuova) liste elettorali con personaggi del calibro di Don Giulio Tam, che si autodefinisce "crociato in lotta contro la decadenza, l'invasione islamica e le trame dei perfidi giudei" ... E non è neanche da trascurare che di fronte alle (legittime) proteste e alle (altrettanto legittime) richieste di impedire questa iniziativa (dall'Anpi a diverse realtà antifasciste), il sindaco Letizia Moratti abbia invocato la "libertà d'espressione". Ben conosciamo l'articolo 21 della Costituzione italiana, (quello che sancisce per l'appunto il diritto di tutt* di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione), ma invocarlo in difesa di chi viola i principi e le norme (anch'esse costituzionali) di libertà, democrazia e diritti umani per tutti e tutte, mi sembra (molto) pericoloso.
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giovedì 19 marzo 2009

Onorate famiglie a destra

Vabbé, scrivere che un legame quantomeno "ideale" tra certa destra e gli ambienti delle cosiddette "onorate famiglie" (come ho fatto girando per una Napoli tappezzata di manifesti di CasaPound pensando al boss Giuseppe Misso, noto per essere da sempre vicino ai Nar, tra gli indagati per le stragi dell’Italicus e della stazione di Bologna, appassionato di Julius Evola ed Ezra Pound) poteva sembrare poco più che una boutade. E in un certo senso lo era, anche se sembra che legami tra neofascisti e mafiosi (legami più concreti che ideali) ci siano eccome ... In realtà sospettavamo da tempo non confessati rapporti tra onorate famiglie e politici di palazzo (Andreotti e Berlusconi docet), ora sembra che anche le cosidette "teste rasate" non siano da meno.
Se, identificando erroneamento in Ciccio Crisafulli (erede del boss mafioso Biagio "Dentino" Crisafulli, in carcere per traffico internazionale di droga) la persona ritratta in una foto in compagnia di Ignazio La Russa, il giornalista Paolo Berizzi, autore del libro Bande Nere, ha preso un granchio, resta il fatto che ha pescato una quantità di cose indubbiamente interessanti, come la frequentazione del rampollo Crisafulli, camerata dichiarato, del circolo nazifascista Cuore nero (ricordate il brindisi all'Olocausto?). Tra i fondatori di Cuore Nero, gemellato con CasaPound, spicca Roberto Jonghi Lavarini che presiede il comitato Destra per Milano (confluito nel Partito della libertà). Se Jonghi Lavarini, è un sostenitore delle “destre germaniche” (il partito boero sudafricano pro-apartheid) e rivendica con orgoglio l’appartenenza alla fondazione Augusto Pinochet, non è da meno il sindaco leghista di Verona, Flavio Tosi, i cui rapporti con l’ultra-destra violenta e xenofoba del Veneto Fronte Skinhead, sono noti da tempo. Un po' meno i ruoli istituzionali, gli incarichi e le poltrone distribuiti ai leader delle teste rasate venete, già arrestati per aggressioni e istigazione all’odio razziale. Vedi per esempio Andrea Miglioranzi, della giunta Tosi ed ex appartenente dei Gesta Bellica (ricordate i testi contro ebrei, immigrati, "negri" e compagni "rossi"?) ...

Finisco quando ho tempo, ho da fare on the road ...

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Articoli correlati in Marginalia e in siti/blog limitrofi (oltre quelli citati nel post). Cliccate e diffondete:

Taxi rosa neofascisti? No, grazie! Noi staffette postmoderne giriamo in Vulva Taxi ...
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sabato 7 febbraio 2009

Contro il tentativo di infoibare la verità. Presentazione di Fobie. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica

La storia - si legge nella quarta di copertina di Fobie. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica -, "viene usata per l'oggi, per le esigenze politiche attuali. Si tratta di una campagna di intossicazione delle coscienze con riscritture, reinterpretazioni e falsità belle e buone, funzionali, da una parte, alla mobilitazione nazionalista, alla diffusione di stereotipi sciovinisti e razzisti, assunti ormai anche da buona parte del ceto politico di sinistra; dall'altra, alla criminalizzazione di chi oggi non si piega alle compatibilità del sistema capitalista. Tale campagna si concretizza anche nella legittimazione dei fascisti odierni, che diventano portatori di una ideologia come altre. Una ideologia dell'ordine, della sicurezza, autoritaria, fatta propria da buona parte del ceto politico autodefinitosi democratico. In questi anni molti si sono resi conto del significato della Giornata del Ricordo e molte sono state le iniziative per combattere questa campagna di intossicazione. E’, però, necessario combattere con maggiore efficacia, unendo le forze e le conoscenze. Questo convegno vuole essere un contributo in tal senso, non solo per rintuzzare e sbugiardare le menzogne che vengono propagandate, ma anche per fare un passo avanti per riappropriarci, nella sua interezza, della nostra storia".
Ma la battaglia per contrastare questa "campagna di intossicazione" è violentemente osteggiata. In un articolo pubblicato lo scorso anno nel numero di Zapruder Confini senza fine, Claudia Cernigoi, testimoniava di questa difficoltà: "si è giunti al grottesco nell'individuare come 'negazionisti' (parificati a coloro che negano l'esistenza della shoah e dei crimini nazisti) gli studiosi (fra questi la sottoscritta) che hanno scoperchiato la scatola delle falsità finora dette, e, solo perchè le loro conclusioni (suffragate da documentazione accessibile a tutti, va precisato) contrastano con quella che potremmo definire la "mitologia delle foibe" finora divulgata, vengono attaccati pesantemente e condannati all'ostracismo, al punto che si sono attivate petizioni e campagne stampa per impedire loro di parlare in convegni pubblici".
Lo stesso destino non ha risparmiato il volume Fobie. Revisionismo di stato e amnesie della Repubblica (che raccoglie gli atti del convegno Foibe: la verità. Contro il revisionismo storico al quale hanno partecipato alcun* tra i/le maggiori studios* del tema, e tra quest* la stessa Cernigoi): recentemente, ad esempio, l’Assessore alla Cultura del Comune di Pisa, a nome dell’Amministrazione comunale, ha negato l’uso di una sala per la presentazione del libro.
A questo tentativo di infoibare la verità si oppone la presentazione degli atti del convegno proposta dall'Assemblea Antifascista Permanente per il 10 febbraio (sala del Barraccano, v. S. Stefano 119 - Bologna, h. 20.30). Intervengono Rudy Leonelli (Università di Bologna), Giorgio Riboldi (Comitato promotore del convegno), Sandi Volk (Università di Trieste) e Mauro Raspanti (Centro Furio Jesi).
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martedì 27 gennaio 2009

Una biblioteca della memoria

Questo blog è nato il 27 gennaio di tre anni fa, e non a caso. In quell'occasione avevo pubblicato un articolo scritto qualche anno prima con Toshi Kayano sulla vicenda delle donne coreane costrette alla prostituzione dall'esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale. Lo scorso anno invece sono stata coinvolta, insieme ad altr* blogger in una sorta di "catena per (o della ) memoria". Si trattava di scrivere un post, nel quale indicare un testo sulla Shoah (motivando ovviamente la scelta) e di rilanciare contemporaneamente la domanda ad altr* blogger. Stravolgendo un po' quanto mi si chiedeva, di libri ne avevo infine proposti diversi, insieme ad un film (perché oltre ai libri "parlano" anche le immagini, in movimento o no), ma senza rilanciare direttamente l'iniziativa ad altri (per i miei tempi lenti, mancanza di tempo eccetera) .
Rilancio quindi l'idea quest'anno a Urgence, Angelo del fango, Liberamente, Paolo Borrello, No(b)logo, Il Russo, Luki Massa e Ideadestroyingmuros, chiedendo di rilanciare la proposta ad altr* e tenendo come sfondo (in un confronto che può essere, ovviamente, anche critico) tre articoli: Riprendiamoci la giornata della memoria in Senza Soste, Gaza. Dei vivi che passano, pubblicato qui in Marginalia e l'intervista a David Bidussa pubblicata oggi da Il Manifesto, dove viene sottolineato come la Giornata (a nove anni dalla sua istituzione) sia in crisi, crisi dovuta al fatto che intorno a questa data (come anche ad altre) non sia cresciuta una vera coscienza pubblica (ma l'intervento di Bidussa andrebbe letto tutto).
Prendetevi tutto il tempo che vi serve, intanto vi lascio alle tante iniziative previste per oggi. Tra queste ne segnalo alcune: l'incontro organizzato da Fuoricampo Lesbian Group R/esistenze: figure di lesbice scomode durane il nazifascismo, quello organizzato in solidarietà all'Ambulatorio medico popolare di Milano Ma che razza di idee! Politiche razziali di ieri e di oggi e l'iniziativa prevista stasera al Tpo Chiudere CasaPound, perchè se posti come Conchetta vengono sgombrati mentre i cosiddetti "centri sociali" di destra si moltiplicano come funghi, quale memoria possiamo aspettarci?
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mercoledì 17 dicembre 2008

Per Gabriella degli Esposti, partigiana

Sul greto del Panaro, in località Ca’nova di San Cesario, in provincia di Modena, c'è un monumento. Qui, il 17 dicembre del 1944, furono ritrovati i corpi di nove uomini e una donna. Quest'ultima era Gabriella degli Esposti, partigiana combattente, attiva nei primi Gruppi di difesa della donna, tra le organizzatrici delle manifestazioni di luglio che avevano visto a Castelfranco Emilia scendere in piazza centinaia di donne contro la guerra, madre di due bambine piccole, Savina e Liduina, e incinta di una terza.
Quando la ritrovarono, il suo corpo era orrendamente mutilato. Prima di fucilarla, era stata bestialmente torturata, le avevano cavato gli occhi, tagliato i seni, squarciato il ventre. La sua morte accellera il passaggio di molte donne della zona alla Resistenza. In suo nome si costituirà la formazione partigiana Gabriella degli Esposti, la prima (e credo unica) formazione partigiana costituita da sole donne.
La ricordo oggi, nell'anniversario della morte, insieme a tutte le altre partigiane uccise dai nazifascisti. Scavo nella memoria e nella storia, questa memoria e questa storia che continuamente si tenta di ricacciare nell'oblio, di mistificare, stravolgere, cancellare ... Non a caso ci penso oggi, mentre, tra le cosiddette "notizie del giorno" c'è Gianfranco Fini, osannato (anche da certa sinistra) dopo il suo discorso inaugurale al convegno “Settant’anni dalle leggi antiebraiche e razziste, per non dimenticare”, nella sala della Regina a Montecitorio. Addirittura c'è chi ha visto nel suo discorso una radicale messa in discussione del mito degli italiani brava gente ... ma l'operazione di Fini è un'altra, proprio un'altra. Peccato che la maggiornaza degli/delle italian* non se ne accorgerà ... A meno che, continuando così, non siano costrett* ad accorgersene. Ma forse troppo tardi (e sulla pelle di tutt*).
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venerdì 10 ottobre 2008

Ehi Mambro, mambo italiano, ehi Mambro, mambo italiano ...



Stridente associazione di idee : Mambo italiano cantata da Miranda Martino (o se preferite la versione inglese di Rosemary Clooney), l'omonima commedia del canadese Emile Goudreault sul coming out di un giovane gay di origini italiane (in very real&genuine&veracious famiglia italo-americana spaghetti-mamma-pummarò-pizza-San Gennaro ...) e le ultime esternazioni di Imma Battaglia, presidente di Di'Gay Project Onlus, che ha espresso solidarietà a Francesca Mambro, terrorista dei Nar, condannata per la strage della stazione di Bologna, ma che in questi giorni ha ottenuto la libertà condizionale ( e nel 2013 sarà libera ) *:

"Contrariamente alle polemiche innescate da Mario Adinolfi penso che da parte della Mambro e di Fioravanti ci sia stata una evoluzione positiva della loro esperienza. Mi piace ricordare che in occasione del Wolrd Pride del 2000 Mambro e Fioravanti hanno saputo dialogare con le posizioni più estremiste contrarie alla manifestazione gay, mostrando non solo coraggio, ma l’intelligenza di essere al corteo dell’orgoglio gay e di sapere parlare a tanti giovani di estrema destra o di destra, ma anche a tanti giovani di sinistra. Quindi rispetto alle polemiche di queste ore trovo giusto esprimere la mia solidarietà alla Mambro" (I. Battaglia, Solidarietà alla Mambro)".

Stridente associazione di idee offerta in meditazione a coloro che un mesetto fa, su un mensile molto gay-fashion (mi dicono), hanno definito "militonti sedicenti antagonisti" incapaci di "saper leggere i più elementari codici della comunicazione satirica" quant* avevano criticato la campagna pubblicitaria del Pride 2008 e in specie Italo.
E che ora si dicono "sdegnati" delle dichiarazioni di Battaglia.

A quale codice comunicativo risponde lo sdegno tardivo?
Elementare ...

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* Provvedimento che Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione familiari delle vittime della strage di Bologna, ha definito "l'ennesimo premio all'omertà di stato".
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giovedì 3 aprile 2008

I Misteri della Rete. Un feuilleton dei nostri tempi [prima puntata]


In un articolo scritto a più mani quasi dieci anni fa, Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione, l'analisi di un episodio specifico (ovvero l'immissione in rete di messaggi negazionisti – in particolare Paul Rassinier, Robert Faurisson e Vieille Taupe di Pierre Guillaume – ad opera del collettivo “di sinistra” Transmaniacon), diveniva il pretesto per riflettere su un fenomeno che era all'epoca, almeno in Italia, abbastanza nuovo, ed anche sulle possibilità inedite offerte dal web ad operazioni di questo tipo.

In Negazionismo virtuale smontavamo la “favola” dell'uso del materiale negazionista “ai fini di uno smantellamento – da un punto di vista “rivoluzionario e di classe” – dell'antifascismo” da parte di questa ben poco rivoluzionaria combriccola, in quanto ci era chiaro che la critica dell'antifascismo consensuale e celebrativo sviluppata dai movimenti di estrema sinistra nel dopoguerra subisce una torsione verso un anti-antifascismo che ne altera violentemente la valenza e la cui pretesa efficacia 'sovversiva' diviene sempre più inverosimile, a fronte delle trasformazioni postfasciste in atto nella cultura e nella costtituzione italiana”.

Svelavamo altresì come l'uso di soprannomi, acronimi e vari pseudonimi (seppure espediente storicamente già sperimentato con successo in ambito revisionista/negazionista), trovava nel contesto telematico nuove e inedite sperimentazioni grazie a discorsi quali no name e dissoluzione del soggetto [1].

Constatavamo, infine, come “l'operazione revisionismo in rete ha svolto di fatto un ruolo “sperimentale”, diverso da quello intenzionale o dichiarato: ha funzionato come una prova in vitro, un test del grado di tollerabilità dell'intollerabile raggiunto negli ambiti alternativi, o antagonisti, trovando, oltre ad alcune puntuali risposte, significative e preoccupanti sacche di giustificazione o indifferenza. Anche su questa nuova zona grigia, preventivamente esplorata nel cyberspazio, si fonderanno in parte le precarie fortune dell'editoria negazionista italiana[2].

E' un testo sicuramente “datato” a rileggerlo ora dopo tanto tempo, eppure è stato importante, almeno per me. Negazionismo virtuale – e l'episodio che ne è all'origine – ha segnato da una parte il mio rapporto con una certa doxa del movimento (che all'epoca ha avvallato, giustificato o comunque non ritenuto importante criticare questa deriva negazionista) e dall'altra il mio rapporto con la rete, che ho guardato a lungo con una certa diffidenza. Utile strumento per comunicazioni veloci e scambio materiali tramite mail, il web è stato per me per molto tempo (spiace un po' dirlo) quello dei “siti della vergogna” [3], il luogo dove puoi acquistare l'uniforme – completa di berretto e stivali – di Hitler o Mussolini o il pugnale delle SS con la scritta “Sangue e onore”, il luogo che pullula di siti inneggianti all'antisemitismo e al razzismo, all'odio verso migranti, rom, gay e lesbiche (come, ad esempio i vari siti di Forza Nuova) e della diffusione di tesi revisioniste e negazioniste.

Col tempo ho scoperto che il web offre anche molto altro, anche se devo confessare che una buona dose di diffidenza mi è restata. Fare, ad esempio, una ricerca basandomi esclusivamente su fonti reperite in rete resta per me ancora impensabile e la casa piena di libri e le biblioteche più o meno polverose sono ancora per me luoghi belli e indispensabili .

Del come e dei perché che mi hanno portata poco più di un anno fa a Marginalia, ho già detto in uno dei primi post che ho pubblicato. Ed è stata un'esperienza interessante. Ho appreso (e continuo ad apprendere) molte cose, molte delle quali non potevo che imparare qui. E questo nonostante abbia dedicato a Marginalia veramente poco del mio (già poco) tempo [4]. Ciò nonostante ho tentato di far girare o rilanciare notizie che ritenevo importanti, dato spazio a cose ed esperienze poco visibili o marginali, appoggiato iniziative e sostenuto appelli [5]. E poi , ovviamente, grazie a Marginalia, ho fatto anche degli “incontri”.

Sarà a causa del poco tempo sarà per pigrizia ma ho “vagato” poco per il web e dunque la maggioranza di questi incontri non li ho “cercati”, ma sono “capitati”, quasi sempre tramite la citazione o la pubblicazione di un post di Marginalia in altri blog o siti. Sistematicamente – quando ne ho avuto notizia – ho segnalato questi “incontri” nella rubrica Feedback, ritenendo facessero parte – in ogni caso – della “storia” di Marginalia e di questa storia dovesse rimanere traccia. Alcuni di questi siti/blog mi sono piaciuti, altri meno o per niente. Con certi si è creato un qualche rapporto (commenti reciproci, segnalazioni, collaborazioni ...) e man mano dai Feedback sono finiti nelle varie rubriche che avevo creato (da Eppur si muove a Segnaletica). Altri non trovavano collocazione in nessuno degli spazi già esistenti in Marginalia e infine ho creato una rubrica apposita, Diversamente pensanti. Dal socialista che rivela posizioni pro-life alla sostenitrice di Israele, dallo studioso islamista alle italiane convertite all'Islam, per finire con un blog veramente “notevole”: mi riferisco a Kelebek.

Dovrei adesso tornare indietro di qualche mese e raccontare dell'incontro di Marginalia con quest'ultimo blog, per giungere alla vicenda della libreria Comunardi di Torino.

Forse sarebbe stato più “economico” togliere Kelebek dai miei link senza questo lungo post, ma non è il mio “stile”. Ed inoltre penso sia più “utile” così.

Ma stasera è tardi. Dunque, per intanto, aggiungo un “maneggiare con cura” ai Diversamente pensanti e rinvio alla prossima puntata.



NOTE:

[1] Su queste derive (e tanto altro) rinvio a Nuovo? No, lavato con Perlana.

[2] Nel cartaceo le citazioni sono a pp. 178, 177 e 179.

[3] Siti della vergogna è il titolo di un dossier – a cura di Saverio Ferrari e Riccardo Rudelli – presentato nel 2003 all'Istituto Ferruccio Parri di Bologna.

[4] 39 post in un anno sono proprio una miseria (mi dicono), soprattutto quando, spesso, si tratta di articoli già pubblicati altrove. Ma tant'è.

[5] E dalla critica dei "siti della vergogna" sono finita, sempre grazie a Marginalia, in liste quali Le firme della vergogna, per aver firmato un appello contro una conferenza di Faurisson, progettata da Claudio Moffa all'Università di Teramo. Interessante la discussione seguita alla pubblicazione dell'appello in Indymedia CH.

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Tanto per restare "sulla notizia" e in argomento: segnalo il presidio indetto dall'Assemblea Antifascista Permanente contro La Destra - Fiamma Tricolore, previsto per domani pomeriggio a Bologna .

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martedì 11 settembre 2007

Nuovo? No, lavato con Perlana ...

Rudy M. Leonelli e Vincenza Perilli, Nuovo? No, lavato con Perlana. Delle procedure di riciclaggio nel paese del trasversalismo reale, in Invarianti, n. 35, 2001


La contestazione della globalizzazione economica, una volta svincolata dall’ideologismo, è l’occasione per un rompete le righe tra destra e sinistra. In apparenza, è il contrario: e la sinistra più conservatrice può compiacersi di trovarvi un cambio d’abito, in extremis. Ma le schermaglie più immediate non contano molto. La destra non ammette la Tobin Tax, la sinistra ne fa la propria bandiera. Del resto, non è facile immaginare come il governo di centrosinistra, se fosse durato, avrebbe affrontato la gestione del G8: meno o più dialogo, meno o più polizia? La destra politica non è meno prigioniera della sinistra, oltre che di interessi materiali costituiti, di pregiudizi ideologici e riflessi condizionati. Il “trasversalismo” che l’annuncio ecologista si era ripromesso, e non ha saputo mantenere, è oggi alla portata di una politica fattiva, tanto più quanto meno in soggezione a pensieri e abitudini ereditate.


Adriano Sofri, “Se la povertà fa scandalo”, La Repubblica, 17 luglio 2001.


e mite un sentimento…[1]


Nel dicembre 2000, a pochi giorni dall’esplosione di un ordigno tra le mani del terrorista neofascista Andrea Insabato davanti alla redazione romana de il manifesto, usciva sulle pagine di questo quotidiano un toccante articolo in forma di lettera aperta allo stragista mancato, dal titolo “Caro Andrea, pensaci…”:


Ma c’è una cosa che mi ha fatto scattare un meccanismo di vicinanza, che mi ha preoccupato e intrigato insieme: il discorso delle varie etnie sfigurate che vediamo vivere male nelle metropoli e campagne occidentali. Gli schiavi che seguono il trionfo di Cesare sono oggi extracomunitari, ma anche le varie etnie sfigurate delle nostre regioni. Odio la globalizzazione anche per questo […] Anch’io amo la purezza, ma non quella delle razze umane. Mi sono sentito una pena dentro quando ho visto la tua faccia sui giornali. Un isolato, un cane sciolto di destra. Una pena scandalosa. Molti isolati e cani sciolti di sinistra come te, quando a Nizza combattono la globalizzazione, muovono da sentimenti, bada solo sentimenti molto simili ai tuoi. Su quei sentimenti ha lavorato la cultura, una cultura diversa dalla tua, che è legata all’istinto ed è imbevuta di idealismo. Hai creduto che il manifesto sia un simbolo di tutto quello che non ti piace che esista. E ti sei sbagliato di grosso. L’attenzione da sempre alla multietnicità di quel giornale non va nella direzione dell’impuro[2].


Che il cosiddetto movimento antiglobalizzazione fosse una grande occasione per il superamento della dicotomia destra /sinistra è, come si vede, idea che precede i “fatti di Genova”, al punto che già la ricerca di un trait d’union tra l’autore e il bersaglio di un attentato trovava proprio nel “no global” lo spazio di un incontro possibile sulla base di un comune sentire.

Il sermone indirizzato al presunto cane sciolto Insabato[3], piuttosto che nel clima natalizio ‑ che, come si impara da bambini, rende tutti più buoni ‑ si inscrive in un paradigma di pacificazione che ha per assiomi l’etica dell’intenzione e l’imperativo di comunicazione. Il celebre discorso di Luciano Violante sulle motivazioni ideali dei “ragazzi di Salò”[4] non è che la punta di un iceberg la cui massa, al di sotto della schiuma delle dichiarazioni di circostanza, disegna un corpo frastagliato ma omogeneo. La “trasversalità” è, per nascita e vocazione, senza confini: passa dentro e fuori le istituzioni, nel “politico” e nel “sociale”, nell’amministrativo e nel “creativo”.

A tratti, il flusso trasversale sembra subire una brusca interruzione e l’archiviata opposizione destra/sinistra, fascismo/antifascismo, è improvvisamente ripescata. Così nel ’94, prima vittoria elettorale della destra, così nel finale della campagna elettorale 2001 e di nuovo, con toni più accesi, dopo Genova, quando D’Alema parla di “clima cileno” e, di seguito, l’uomo immagine delle Tute bianche di “nazistelli in divisa[5]. Di regola questi ritorni “storici” si caratterizzano per l’elusione dello spessore della storia: metafore inarticolate il cui orizzonte non oltrepassa l’effetto del momento. Aperture di dialogo e risvegli intermittenti scandiscono il moto oscillatorio della lingua costitutivamente biforcuta delle sinistre “post”.

Quando eventi di particolare gravità impongono riflessioni sottratte all’orizzonte ridotto della cronaca, vengono prodotte “analisi” che, come i duplicati di armi descritti da Debord, mancano sempre del percussore[6].

Un'intervista al capogruppo dei senatori Ds – rilasciata a il manifesto all'indomani dell'attentato al quotidiano – può illustrare questa tipologia. La domanda di rito: “I fatti di questi giorni ci obbligano a ritornare sull’analisi della destra italiana. Non c’è stato troppo ottimismo, nel centrosinistra, sulla sua costituzionalizzazione e troppa facilità nella sua legittimazione?” riceve la risposta appropriata: “Autocriticamente ritengo di sì. Tutti, la sinistra e l’insieme delle forze democratiche, abbiamo sottovalutato quel che negli ultimi mesi è avvenuto nella destra italiana”. Le “sottovalutazioni” in questione concernono quattro punti: il separatismo della Lega, il peso dell’alleanza elettorale del centrodestra col Msi-Fiamma tricolore di Pino Rauti, la politica del Vaticano (dalla lettera pastorale di Biffi alla visita di Haider) e, infine:


Quarto ma non ultimo: abbiamo sottovalutato la campagna sul revisionismo storico. Che ha tenacemente e meditatamente messo in discussione tre momenti cruciali della costruzione dello Stato nazionale e della Repubblica: l’unità d’Italia, col processo al Risorgimento allestito in agosto al meeting di Rimini; la Resistenza, col rovesciamento del valore fondativo dell’antifascismo nel “dovere morale” dell’anticomunismo; la Costituzione, con la volontà della destra non di riformarla ma di stracciarla, a partire dalla sua concezione del federalismo[7].


“Un’analisi tutta da rifare”, commenta l’intervistatrice. Ma è una conclusione esorbitante in rapporto alla pochezza della diagnosi che, riducendo il problema a una sorta di svista, per di più limitata a pochi mesi, opera una duplice minimizzazione: della portata del pericolo di destra, in particolare dell’offensiva revisionista, e delle responsabilità delle sinistre che, da ormai più di un decennio, non si sono limitate a “sottovalutare”, ma si sono adoprate a rivalutare e valorizzare.

È il progetto di costituzione di un paese normale, elaborato alle origini della Nuova Destra tedesca, che sintetizza la strategia adottata dalla sinistra di governo italiana nel corso degli anni Novanta. Condizione essenziale di questo progetto è l’opera di revisione della storia efficacemente criticata da Klinkhammer:


in Italia negli ultimi anni è stata fortemente auspicata una “conciliazione nazionale”, considerata un elemento fondamentale per una società “postfascista”. Il “superamento” del passato fascista da parte di una presunta società postfascista presuppone però l’offuscamento dei lati negativi di questo passato[8].


Il processo di pacificazione, abbellimento e “armonizzazione” della storia si è necessariamente articolato nel Grande Dialogo[9] tra destra e sinistra, promosso da quest’ultima come elemento innovatore al di là della “residua” pregiudiziale antifascista, nella ripresa più o meno consapevole della strategia da tempo messa a punto dalla Nuova Destra.

Di qui il vizio congenito delle “mobilitazioni” periodiche e dei relativi rituali autocritici, che devono correggere i singoli “guasti” prodotti da questa strategia senza mai metterne in discussione i presupposti. La figura dell’impostore inverosimile[10], capace di svolgere, alternativamente o simultaneamente, i ruoli di agitatore e imbonitore, è un ingranaggio indispensabile di questo marchingegno e riceve immancabilmente la meritata promozione mediatica. In contropartita ogni critica radicale di questo impianto incontra una censura non dichiarata e tanto più efficace.

Ritornando al fatidico 1994, e più precisamente al periodo successivo alla vittoria elettorale di Fini-Berlusconi-Bossi, si può ricordare una lettera aperta al quotidiano il manifesto, all’epoca impegnato nella promozione della manifestazione nazionale del 25 aprile a Milano. La lettera, non pubblicata dal quotidiano, sollevava la stridente contraddizione tra la volontà di riattivazione di una scadenza antifascista e la presenza, nel novero dei collaboratori de il manifesto ‑ e del suo supplemento Suq – di figure che si erano distinte nella collaborazione a iniziative e pubblicazioni della destra nuova ed estrema:


Crediamo che un giornale che ha tra i suoi redattori Rossana Rossanda, la quale ha lanciato, insieme con diversi intellettuali europei, un appello contro le collaborazioni con la nuova destra[11], dovrebbe scegliere con maggiore attenzione i propri collaboratori e interlocutori, soprattutto nel momento in cui si fa promotore di una manifestazione antifascista importante come quella del prossimo 25 aprile.

Vi invitiamo a non compensare la solerzia con cui avete denunciato le collusioni tra sinistra francese e estrema destra, con l’inerzia per quanto concerne il caso italiano: qui la situazione è ancor più grave, dato il clima di generale omertà che, salvo rare eccezioni, attanaglia la sinistra istituzionale e non[12].


Il fatto che, nel variopinto coro di comunicati, prese di posizione e lettere che il quotidiano ha diffusamente pubblicato per giorni e giorni, su pagine e pagine, in preparazione del 25 aprile, un testo di questo tipo non abbia trovato spazio, manifesta bene la presenza di un confine invalicabile alle cicliche (ri)animazioni del conflitto.

Al di qua di questo confine, la distribuzione dei ruoli prevede, ad ogni avanzata del dialogo, il contrappunto di quello che si potrebbe chiamare l’intransigente improbabile, il cui dissenso testimoniale completa il quadro, piuttosto che scardinarlo.


Marco Tarchi, politologo ex missino, va al Festival dell’Unità e pubblica un saggio su una rivista del Pds. Dice: “Vorrei far parte di un’area che non ha etichette”. Sul suo periodico lancia un appello al Manifesto. Ma il quotidiano replica: “noi coi fascisti non parliamo”[13]


Ciò che non impedirà a Le Monde Diplomatique – il manifesto di pubblicare, senza un minimo cenno di critica, l’appello del comitato “Per non dimenticare Sabra e Chatila” che comprende, tra le adesioni internazionali, la firma del maître à penser della Nouvelle Droite Alain de Benoist[14].


Lather Blister” e altri spot


Ma sarebbe illusorio contrapporre un universo della sinistra “ufficiale” ormai avviata sulla strada del revisionismo e uno spazio “altro” che si porrebbe, nel suo insieme, in controtendenza. Nell’ambito dell’ex-estrema sinistra, almeno dalla prima metà degli anni Novanta, gli operatori impegnati alla distruzione delle “vecchie identità” hanno varato da più parti un insieme di grandi manovre comprendenti, tra i propri bersagli principali, “l’antifascismo residuale”. Sono così spuntati un insieme di “esperimenti” tesi a provocare, “stanare”, cortocircuitare e neutralizzare i focolai di resistenza al nuovo corso revisionistico patrocinato, con sfumature e motivazioni diverse, tanto dalle destre riemergenti quanto dalla sinistra di governo.

Tra questi, la “provocazione revisionista” imbastita dal collettivo Transmaniacon di Bologna è stata certamente una delle più apprezzate dall’estrema destra e delle più insabbiate dalla sinistra istituzionale e non[15].

È questo collettivo che, nel novembre 1992, immette nella rete telematica Ecn il file “La provocazione revisionista”[16]. Il testo è la trascrizione di un intervento transmaniaco trasmesso dall’allora neonata Radio K Centrale, una delle emittenti che, durante le giornate anti-G8 di Genova, ha animato Radio Gap (The Global Audio Project), un nome che – riferisce uno degli immancabili instant book – “comunque giocava provocatoriamente col nome di uno dei gruppi che hanno (sic) sono stati parte attiva nel processo di liberazione dall’occupazione nazifascista durante la guerra”[17].

Nel file, il primo di una lunga serie, spicca la lapidaria frase di Faurisson:


Le pretese camere a gas hitleriane e il preteso genocidio degli ebrei formano una sola e medesima menzogna storica, che ha aperto la via ad una gigantesca truffa politico-finanziaria, i cui principali beneficiari sono lo stato d’Israele e il sionismo internazionale, e le cui principali vittime sono il popolo tedesco, ma non i suoi dirigenti, il popolo palestinese tutto intero e, infine, le giovani generazioni ebraiche che la religione dell’Olocausto chiude sempre di più in un ghetto psicologico e morale.


Non limitandosi alla dimensione delle “idee” (spericolate arditezze teoriche che spaziavano tra “l’uso anticapitalistico di Faurisson” e un untuoso “garantismo” verso i carnefici nazisti) questa operazione rivelava connessioni meno eteree, che hanno permesso ai transmaniaci di preannunciare trionfalmente in Ecn iniziative più tardi realizzate dall’editrice negazionista Graphos[18].

Consumata la “provocazione revisionista”, il collettivo Transmaniacon troverà nella clonazione del Luther Blissett nostrano ‑ con cui condivide diversi nomi e qualche pseudonimo -‑ un’opportuna occasione di riciclaggio in un anonimato posticcio che, tanto per gli avversari quanto per i nuovi e vecchi compari, è stato fin dall’inizio un segreto di Pulcinella.

Leonardo Lippolis, nello scorso numero di Invarianti, ha mostrato come una lettura interna delle tracce vere e/o false che i Luther Blissett hanno copiosamente distribuito nella produzione del proprio mito commerciale e mediatico, permetta uno smontaggio del dispositivo mitopoietico stesso, e ha ricostruito gli intrecci che precedono il “lancio” della tardiva copia italiana di Luther Blissett:


Nel maggio 1993, mentre Stewart Home fonda la Neoist Alliance, Healy ha la folgorazione, il nuovo nome multiplo: Luther Blissett. Dall’accordo tra Coleman Healy, Kipper/Cooper e Stewart Home nasce adesso, nel maggio 1993, il Luther Blissett Project. Nel luglio successivo Healy, tornato negli Stati Uniti, sottopone l’idea al vecchio Ray Johnson […] il quale l’accoglie con entusiasmo e scrive per l’occasione il primo Luther Blissett Manifesto, inviandone uno, tra gli altri, anche a Vittore Baroni […]. La svolta avviene durante l’estate quando Kipper/Blissett/Cooper compie un viaggio-vacanza in bicicletta in Italia e si mette in contatto con Baroni e Ciani; il suo soggiorno trova il clou a Bologna, dove la gioventù alternativa, sempre assetata di novità “controculturali” (a Bologna ci sono centri sociali “all’avanguardia” come il Link e il Livello 57) accoglie con entusiasmo il suo progetto[19].


La considerazione della “provocazione revisionista” ‑ che, come altre “provocazioni”[20], non viene ovviamente mai ricordata in modo esplicito nelle variegate ricostruzioni blissettiane del proprio mitico passato ‑ come antecedente forte della duplicazione italiota della “creatura una e multipla”, può a nostro avviso contribuire alla proposta di aiutare i Luther Blissett “a recuperare la memoria delle proprie origini[21]. L’aggiunta di questo tassello mancante al mosaico presenta il vantaggio di restituire al termine “revisionismo” ‑ impiegato da Lippolis in relazione alla riscrittura blissettiana dei percorsi dell’Internazionale Situazionista ‑ il significato specifico che esso assume in relazione alla negazione dello sterminio nazionalsocialista. La peculiarità dell’innesto italiano può essere meglio focalizzata, in quanto alcune direttrici delle posteriori metamorfosi sono chiaramente intravedibili nel funzionamento del ripescaggio transmaniaco del negazionismo sinistrorso:


La cifra ideologica dell’intera operazione è l’uso del materiale negazionista ai fini di uno smantellamento – da un punto di vista “rivoluzionario e di classe” – dell’antifascismo. Ma la critica dell’antifascismo consensuale e celebrativo sviluppata dai movimenti di estrema sinistra nel dopoguerra subisce una torsione verso un anti-antifascismo che ne altera violentemente la valenza e la cui pretesa efficacia “sovversiva” diviene sempre più inverosimile, a fronte delle trasformazioni postfasciste in atto nella cultura e nella costituzione italiana.

Questo carattere improbabile è accentuato dal fatto che la sequenza dei messaggi disegna un’oscillazione tra il richiamo a matrici di ultrasinistra e una cultura del disincanto (“fine della Storia” e delle “ideologie”, estraneità alla dicotomia destra/sinistra, etc.). Si potrebbe parlare, da questo punto di vista, di un revisionismo commutatore, o “di cerniera”, che riversa relitti di ideologie rivoluzionarie e scampoli di fraseologia marxista sulle spiagge piatte del “dopo-storia”[22].


Dopo l’impiego all’introduzione del “nuovo”, il vecchio arnese negazionista si dissolverà, almeno apparentemente, nella creazione di “una mitologia dell’improbabile e dell’ubiquo” e di “situazioni al cui interno non esista responsabilità individuale”[23] e, archiviato come “provocazione”, riaffiorerà tra le notti e nebbie del no name attraverso variegate forme di implicitazione (ripresa di pseudonimi, sigle e altri orpelli impiegati nell’operazione).

Del resto, persino Q, polpettone blissettiano lanciato nel 1999 come best seller dalla berlusconiana Einaudi che dichiara copiose ristampe (ma non quantifica il numero di copie-omaggio di quest’ennesimo miracolo italiano inviate a destra e a manca), non fa che riprendere il titolo della traduzione italiana di Ich will spaβ, terza fatica letteraria – si stenta a crederlo – di Falko Blask, collaboratore di Play Boy nonché della rivista tedesca di destra Focus.

Q come caos annuncia l’emergere di un’ennesima “nuova tendenza giovanile”. L’evento epocale consisterebbe nel fatto che, a detta del prolifico autore, “i giovani”, nella “solita crisi di senso di fine secolo”, abbandonate “le tradizionali reazioni: protesta caparbia o incondizionato adeguamento”,


cavalcano il fattore Q. Q, il semidio che vive nel Continuum, l’universo parallelo di Star Trek, fa da padrino a questo nuovo principio di piacere: un buffone cosmico, fantasioso ed egocentrico, che rappresenta l’incarnazione ideale del mascalzone privo di principi, ma equanime, al di là del bene e del male.

Negli anni Novanta non usa più tirare bilanci morali, ci si dedica piuttosto a perfezionare il piacere egocentrico dell’avventura[24].


L’elenco degli “indizi del fattore Q nella società del caos” (dal fenomeno dei serial killer alle fantasie di onnipotenza individuale e al culto dell’Io) comprende le “teorie del complotto”, accomunate dall’idea “che tutto è assolutamente diverso da come sembra”. Tra questi modi di “creare per se stessi un mondo più drammatico, che va oltre la banalità dell’universo quotidiano”[25], l’autore annovera “il revisionismo storico sulla Shoah[26].


Chi si attiene a una concezione diversa da come viene intesa la realtà non è soltanto, come spesso si asserisce, un visionario pericoloso, ma anche una persona che adotta una tecnica creativa per sfuggire alla deprimente insensatezza e causalità dell’esistenza. Si tratta del tentativo di rafforzare ciò che potrebbe essere a discapito di ciò che effettivamente è. Le teorie del complotto, pertanto, non sono un tormento o un peso per i loro fautori. Rendono la vita più eccitante, se si è in grado di coltivarle con un minimo di senso dell’umorismo e autoironia[27].


Un inesorabile scetticismo verso i goffi tentativi di restaurazione dei bei tempi andati in cui l’Autore impartiva ai lettori lezioni sul “significato politico-ideologico” della propria opera, conduce a cercare fuori dalle autointerpretazioni smerciate a seguito del “romanzo storico-attuale” Q qualche chiave di lettura. Forse, piuttosto che ad inverosimili Nemici dello Stato[28], occorre riandare ai “sociopatici” eroi incensati da Ich will spaβ con un’euforia che ricorda, certo involontariamente, la festante allegrezza dei passeggeri del Titanic:


Nella società postideologica non dovrebbe più esistere alcun tabù che non si possa trascinare nel fango del divertimento. In definitiva, abbiamo appena superato la fase dell’orgia dei grandi ideali e dei valori fededegni […] I sociopatici edonisti fomentano la confusione proprio là dove si impongono le verità assolute; vivono secondo il principio situazionista di fare con ogni mezzo di ogni circostanza una realtà assurda che valga la pena essere vissuta”[29]


Il resto è cronaca recente. Ribattezzatosi Wu-Ming, l’“individuo multiplo” si adopra a confondere le proprie sorti con quelle dei “nuovi movimenti”: Tute bianche, “no global” e – perché no? – un poco del deprecato antifascismo debitamente rivisitato… Quale che sia la corrente, la funzione della schiuma è restare a galla.


Dall’ammorbidente postideologico alle ricette non violente della nonna


Una radiografia delle attuali strategie delle destre permette di cogliere nella lotta alla globalizzazione e all’“omologazione” condotta in nome della difesa delle identità locali, il principale operatore delle sinergie tra destre di governo (in particolare An e Lega), Nuova Destra e neofascisti “militanti” (Fiamma Tricolore, Forza Nuova e diversi gruppi naziskin)[30]. Questa intelligente rottura delle classificazioni correnti basate sulla giustapposizione di destre “rinnovate” ed “ultra” rischia però di suggerire, come per contraccolpo, l’esistenza di un sicuro discrimine tra destre e sinistre, come se la rivendicazione delle identità locali contro l’“omologazione” fosse esclusivo retaggio delle prime, mentre troppi elementi mostrano che in realtà le cose non sono così semplici.

Sulla copertina del numero di settembre 2001 di Diorama letterario, periodico della Nuova Destra diretto da Marco Tarchi, campeggia una fotografia. Sullo sfondo persone in tunica e kefiah, in primo piano un manifestante dal volto coperto, una mano levata in segno di vittoria e l’altra che regge un cartello: “Resist Corporate Tyranny. Wto- Just say no! The people have spoken”. L’uomo indossa una sorta di mantella bianca con cappuccio, che – a prima vista – è facile confondere con le Tute bianche che hanno popolato i media soprattutto negli ultimi mesi. Un effetto ambivalente, tra mistificazione e ammiccamento. Sotto la foto, il titolo del fascicolo: “Globalismo e dovere di resistenza”.

Il pezzo di apertura si accolla la difesa delle ragioni del “movimento no global” dalle infondate imputazioni giornalistiche di “marxismo”:


che nel pulviscolo di organizzazioni che hanno fatto del no global la loro bandiera ve ne siano un buon numero – a partire dalla costellazione dei “centri sociali” – in cui allignano, sia pure a livello più simbolico che dottrinario, reminescenze di marxismo, classismo, operaismo e altri detriti delle effervescenze politico-sociali degli scorsi tre decenni, è senz’altro vero. Ma lo è altrettanto che né questi materiali si sono condensati in una piattaforma ideologica monolitica, né essi sono le uniche fonti di ispirazione di un movimento che, come spesso succede nei fenomeni di protesta, convoglia forme di antagonismo molto eterogenee e caratterizzate assai più in negativo, per i bersagli polemici che si scelgono, che in positivo, per una proposta organica di soluzione dei problemi che indicano[31].


Celebrando i progressi del “superamento” dell’opposizione destra/sinistra, che ha aperto nuove possibilità a temi un tempo squalificati come “la difesa delle identità territoriali e delle ‘piccole patrie’” e a “istanze potenzialmente trasversali” come il pacifismo, il localismo e il comunitarismo, il testo riserva un apprezzamento degno di attenzione alla “crisi della sinistra già comunista” che ha “confuso le carte in tavola”:


Quelle componenti che non si sono riciclate in appendice progressista del fronte liberale solo in parte si sono accontentate di tener duro attorno a posizioni ortodosse. Molti di coloro che si sentivano di sinistra per un generico desiderio di equità o per disgusto dell’ordine sociale e culturale esistente hanno aperto le proprie inquietudini ad altre influenze, fra le quali il rifiuto dell’omologazione all’american way of life e dell’occidentalizzazione planetaria ha assunto, pur tra molte contraddizioni, un ruolo rilevante[32].


Per chi voglia mantenere una distanza critica dalla doxa autocelebrativa che ha caratterizzato il “dopo Genova”, non è difficile reperire nella formazione della versione italiana del “popolo di Seattle”, pesanti tracce delle altre influenze guardate con tanto comprensibile interesse dalla Nuova Destra. Scegliamo, a titolo di semplice campione tra i molti possibili una tappa rilevante di questa formazione: le giornate del vertice Ocse del giugno 2000 a Bologna e le relative contestazioni.

Rinnovando i fasti della mediazione riedificata sulle ceneri del ’77, questa scadenza si era conclusa nella soddisfazione generale: “tutti hanno dichiarato di aver vinto come fosse stata un’elezione politica”[33], dal leader delle Tute bianche: “Bologna è stata come Seattle, in piccolo”, al questore: “Bologna non è stata Seattle”[34]. Soddisfazione “bipartisan” (in anticipo sulla diffusione massiccia del termine): dal sindaco della nuova maggioranza di centrodestra che, nel suo saluto al vertice, “ha sottolineato come Bologna difenda le radici, ma guardi al nuovo”[35], al premier di centrosinistra Amato, che blandiva i dimostranti dichiarando: “Le loro preoccupazioni sono le nostre”[36].

Queste valutazioni ‑ certo sfasate rispetto ai segmenti critici della protesta (che, come ogni realtà refrattaria al cretinismo creativo, sono autoritariamente identificati con le “ideologie residuali” e/o la “violenza”) ‑ rapportate alla gestione e alla regia dell’immagine del “movimento” mostrano una certa pertinenza. La bolognesissima coniugazione della tradizione e del “nuovo” esaltata dal sindaco Guazzaloca, la valorizzazione della piccola e media impresa in agenda del vertice Ocse, risultavano in effetti largamente componibili con la grottesca sagra paesana spacciata per contestazione, entusiasticamente ritratta nelle cronache locali di Repubblica:


Il tortellino No Ocse diventa il piatto forte della contestazione. La tradizione fresca di giornata contro l’hamburger fritto del gigante multinazionale. Il cibo bolognese doc contro la blanquette di coniglio proposta ai ministri nella cena di gala esterofila di stasera. Se protesta dev’essere, a Bologna, allora lo sia fino in fondo. A tavola. L’anima contestatrice, quella dei centri sociali cittadini, usa la fantasia come più volte promesso. E le ricette non violente della nonna. Livello 57, Teatro polivalente occupato e Atlantide, alla globalizzazione da BigMac rispondono con un’arma neanche tanto segreta: il little tortellino. Le Tute bianche della rete No Ocse, in versione ‘chef&camerieri’ […] hanno fatto un blitz a Mc Donald’s di via Rizzoli. Una manifestazione in nome e per conto del più tipico dei prodotti nostrani, acquistato per l’occasione nel tempio gastronomico di Tamburini, ormai emblema della resistenza anti transgenica in un Quadrilatero blindato da polizia e carabinieri. Lì, tra i tavolini del fast food, i centri sociali hanno distribuito a passanti e clienti spaghetti al sugo e vini ‘genuini’ (oltre ai simbolici tortellini made in Bologna) [37].


La critica delle connotazioni etniciste e campanilistiche della politica del sindacato, del Pci e delle amministrazioni locali “rosse” ‑ che nel ’77 si era tradotta in slogan provocatòri come “La rivolta nel paradiso della mortadella” – si è così platealmente rovesciata, per opera dei perenni “rappresentanti”, dal rilancio del tortellino doc al recupero del dialetto bolognese come linguaggio “di lotta”[38]. Un penoso riciclaggio in chiave alternativa (?) dello storico impiego della lingua nella produzione di etnicità fittizia[39]. Ma nel tempo in cui il leader della Lega nord, incoronato ministro, si presenta in televisione per recitare poesie in napoletano[40], le potenzialità “sovversive” dei dialetti, l’apologia delle “comunità” e delle “culture” locali, dovrebbero ormai destare qualche pur tardivo sospetto anche tra i più sprovveduti “contestatori”.

La contestazione dei Mc Donald’s, ormai divenuta per metonimia un cliché della lotta al nemico “globale”, ha subito una gamma di declinazioni fin troppo ampia, in cui il confine tra “popolarità” e populismo si è pericolosamente stemperato. Al di là della cronaca, il duello tortellino-hamburger può assumere una paradossale valenza simbolica, sintetizzando il disastroso smottamento dalla lotta al capitale multinazionale allo scontro tra “culture”. Del resto, solo una smisurata fantasia creativa può pretendere di opporsi a Mc Donald’s in nome di una regionalizzazione alimentare ormai già operativa nelle più avanzate strategie di rinnovamento del colosso della ristorazione rapida[41].


Un altro mondo è possibile?


Curiosamente, il “nuovo movimento” non sfugge alla rituale inibizione della critica, che correda “spontaneamente” l’acuirsi del pericolo. Come per incanto, le più squalificate formule di contabilità velleitaria presiedono ai “bilanci”: la repressione come “prova” della radicalità del “movimento”, lo “smascheramento” della repressione come vittoria e, dulcis in fundo, l’unanimismo di fronte all’emergenza.

Così, la violenta (ri)scoperta del nocciolo duro degli apparati di Stato e il complementare trionfalismo per l’“esserci in tanti, e diversi” sono per ora riusciti a esorcizzare una seria disamina del funzionamento delle macchine organizzative e pubblicitarie deputate alla produzione di “eventi”.

Ma l’arcano della contraddizione tra il preteso carattere di assoluta novità del “movimento” e la riproduzione di vecchi vizi che presentano tutta l’inerzia delle storie di lunga durata potrebbe rivelarsi come la semplice differenza strutturale tra le due facce di una stessa medaglia. Si pensi alla ricorrente denegazione del rapporto con gli anni Settanta che, come un vero e proprio lapsus, tradisce, in forma negativa, una relazione costitutiva con i nodi non sciolti – cioè illusoriamente recisi – di una storia.

Il mito di una generazione “giovane”, finalmente liberata dagli opprimenti fardelli del passato e il culto dell’innocenza sono d’altra parte gli immancabili ingredienti di ogni revisionismo: dalla matrice negazionista alle più diverse forme di relativizzazione e pacificazione della storia. Si spiega forse anche così la sorprendente tolleranza che discorsi quali la “provocazione revisionista” hanno, a loro tempo, incontrato proprio nei settori più protesi al “nuovo” e al “rinnovamento”.

Un soggetto assolutamente nuovo è aprioristicamente garantito dell’alterità di ciascuno dei propri atti, essendo dotato del potere taumaturgico di trasmettere la propria novità a tutto ciò che tocca: una volta, può trasformare il vecchio armamentario negazionista in un’interessante provocazione, un’altra, può scodellare le “ricette della nonna” come l’ultima e più aggiornata trovata, e così via. La possibilità stessa della critica è preclusa: come si potrebbe scandagliare uno spessore dove non c’è che pura superficie? E quale parametro potrebbe far fronte a cotanta novità senza risultare, per ciò stesso, “vecchio” e “superato”?

In questo quadro, elementi di invenzione delle tradizioni comunitarie ‑ dal conio degli “autonomi padani” (in nome di un “federalismo dal basso” quale improbabile alternativa strategica alla Lega) che, nel nordest, precede le Tute bianche, alla kermesse anti-Ocse – sono stati impiantati senza traumi significativi nel campo delle “nuove forme di opposizione”.

Alla foce di un processo ormai più che decennale di “sperimentazioni” disperse, riscontriamo oggi le prime avvisaglie del formarsi di una neolingua, attraverso la circolazione in ambito alternativo di neologismi come glocalizzaione (o il condensato anglicizzante glocal) che, contemporaneamente, figurano nel lessico delle destre più aggiornate. Il programma declamato da un dirigente “postfascista” in occasione di una manifestazione della destra antiglobal a Roma nel luglio 2001, può sintomaticamente evidenziare lo stadio di avanzata con-fusione dei gerghi nei “nuovi movimenti”:


Il nostro nemico è l’omologazione. Accettiamo la sfida della globalizzazione economica ma vogliamo che le identità dei popoli vengano salvaguardate, che il mercato rispetti tradizioni e culture. Con il neologismo “glocalizzazione” intendiamo rappresentare una vera e propria apologia della differenza rispetto all’annullamento delle culture nazionali. È una posizione che viene da lontano, lungamente elaborata negli anni ’80 all’interno del Fronte della Gioventù e che ha come riferimenti culturali Alain de Benoist e gli esponenti del differenzialismo francese[42].


Da tempo la più attenta riflessione sulle trasformazioni del discorso razzista (dalla biologia alla “cultura”, dall’affermazione della gerarchia tra le razze all’elogio della differenza etnica e culturale) ha richiamato l’attenzione sulle preoccupanti omologie tra le varie forme di elogio della differenza diffuse nella sinistra e il differenzialismo elaborato dalla Nuova destra[43]. Ma la potente sollecitazione critica impressa dalla messa a fuoco dell’inquietante emergenza di un neorazzismo dedito alla ritorsione di concetti e parole d’ordine in un investimento politico di segno inverso centrato sulla difesa delle “identità”, richiederà nuovi spostamenti a fronte di un’ulteriore rotazione della scena in cui i contendenti intraprendono, su bordi opposti, il collaudo di una lingua comune.

Al di là delle marce, resta molta strada da fare per dare un senso desiderabile all’affermazione che “un altro mondo è possibile”.



[1] Giosue Carducci, Il bove (1872), in Rime nuove, 1877.

[2] Renzo Paris, “Caro Andrea, pensaci…”, il manifesto, 27 dicembre 2000.

[3] Relativamente ai rapporti tra Insabato e i neofascisti di Forza nuova, e tra questi ultimi e la destra di governo, rinviamo a Anubi D’Avossa Lussurgiu, “Insabato e i suoi amici”, Liberazione, 30 dicembre 2000 e Guido Caldiron, “Un’area inquietante. Tutti i ‘link’ tra il presidente della regione Lazio e gli eredi del neofascismo estremo”, il manifesto, 28 dicembre 2000. Le interpretazioni psicologizzanti o psichiatrizzanti del gesto di Insabato da più parti suggerite sembrano confermare le osservazioni di Debord sulla distanza che separa il nostro tempo da quello dell’attentato a Jaurès. Vedi Guy Debord, Commentaires sur la Société du spectacle, Éditions Gérard Lebovici, Paris 1988, § XXV.

[4] Per una lucida contestualizzazione critica del discorso di Violante alla Camera del 10 maggio 1996 (e di analoghe dichiarazioni del presidente Scalfaro) rinviamo a Cesare Bermani, Il nemico interno. Guerra civile e lotta di classe in Italia (1943-1976), Odradek, Roma, 1997, in particolare pp. 74-80. L’esigenza di una rinnovata unità nazionale, nel quadro dell’adesione alla guerra all’Afghanistan, è stata recentemente rilanciata, nel solco aperto da Violante, dal presidente della repubblica “bipartisan”, con un discorso sui “ragazzi di Salò” variamente riportato e commentato dai principali quotidiani italiani del 15 ottobre 2001 e dei giorni seguenti.

[5] Per queste dichiarazioni di Massimo D’Alema e Luca Casarini rinviamo ai maggiori quotidiani italiani del periodo.

[6] Guy Debord, Commentaires sur la Société du spectacle, cit., § XXVIII.

[7] Ida Dominijanni, “Quella destra rimossa”, intervista a Gavino Angius, il manifesto, 28 dicembre 2001.

[8] Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-44), Donzelli, Roma 1997, p. VIII. Sul transito da destra a sinistra del concetto di “paese normale” rinviamo a Rudy M. Leonelli, “Un revisionismo normale”, Arcipelago, n. 4, 1999.

[9] Rudy M. Leonelli, “Il Grande Dialogo”, Atti del convegno Anni ’70-Anni ’90, Bologna 1994, in Vis-a-vis, n. 3, 1995, poi ripubblicato in formato “millelire” da FreePress, Bologna 1995.

[10] Jorge Luis Borges, “Tom Castro, l’impostore inverosimile”, in Storia universale dell’infamia (1935).

[11] Riferimento all’appello contro la legittimazione dell’estrema e nuova destra pubblicato da Le Monde, 13 luglio 1993, e ripreso, lo stesso giorno, da L’Unità, il manifesto e altri quotidiani italiani.

[12] Lettera aperta a il manifesto promossa da un’assemblea all’aula magna di Lettere e filosofia dell’università di Bologna. Mai pubblicata dal quotidiano, la lettera può essere richiesta alla redazione di Invarianti.

[13] Francesco Erbani, “La Nuova Destra? A sinistra”, La Repubblica, 2 settembre 1994.

[14] “Per non dimenticare Sabra e Chatila”, Le Monde Diplomatique - il manifesto, settembre 2000, p. 13.

[15] Financo l’ideologo del “revisionismo olocaustico”, Carlo Mattogno, cita come positiva testimonianza del successo del negazionismo a sinistra, la “provocazione revisionista” di Transmaniacon in una lettera di precisazioni a Marxismo oggi, n. 3, 1996.

[16] Per una ricostruzione critica di queste vicende rinviamo a Rudy M. Leonelli, Luca Muscatello, Vincenza Perilli, Leonardo Tomasetta, “Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione”, Altreragioni, n. 7, 1998; Guido Caldiron, “Liaisons romaines”, in A. Bihr et al., Négationnistes: les chiffonniers de l’histoire, Golias- Syllepse, Villeurbanne-Paris, 1997; Centro di comunicazione autonomo di Bologna, “Contro il revisionismo storico di ‘sinistra’”, La Comune-Progetto Memoria, n. 15, 1994.

[17] Angelo Quattrocchi, La battaglia di Genova, Malatempora, Roma, 2001, p. 103. Sarebbe troppo chiedere a quest’opuscolo, capace di concludere che la “tre giorni” di Genova è stata “una battaglia psichica, una battaglia metaforica” (p. 104), un minimo di informazione storica sull’esistenza di una certa Radio Gap che, nella primavera 1970, realizzò proprio a Genova le sue prime interferenze sui Tg-Rai. Il libello mostra del resto fin troppo bene come lo svuotamento della storia effettiva per mezzo dell’inflazionata “provocazione” parodistica possa estendersi alla “teoria” generando un pastiche in cui Raul Vanheigem e Hakim Bay (sic) figurano come “i Marx ed Engels contemporanei” (p. 90). Nessun chiarimento è invece fornito da Quattrocchi sulla voce (forse una leggenda metropolitana?) che, probabilmente sulla base del gran parlare di felpe e cappucci nel dopo Genova, riconduce l’attuale uso della sigla “Gap”, a una sponsorizzazione ufficiosa dell’omonimo marchio di abbigliamento giovanile.

[18] Segnatamente la nuova traduzione italiana de Le mensonge d’Ulysse di Paul Rassinier, sfornata dall’editrice genovese nel 1996, a trent’anni da quella realizzata dalla neonazista Le Rune, dedicata “a Giovanni Preziosi eroe e martire della verità”. La produzione editoriale di Graphos, che mixa una copiosa produzione negazionista ad opere della sinistra rivoluzionaria, ha trovato – difficile dire se per ignoranza, indifferenza o connivenza – una certa diffusione in alcuni ambiti di estrema sinistra.

[19] Leonardo Lippolis, “‘Togliti i baffi, ti abbiamo riconosciuto’. La vera storia di un bluff (il Luther Blissett Project e i suoi padrini) e della sua cattiva coscienza (l’Internazionale Situazionista)”, Invarianti, n. 34, 2000, pp. 20-21.

[20] Per una ricostruzione delle “provocazioni” transmaniache nel contesto alternativo bolognese, riproduciamo ampi stralci dal volantone Diamoci un taglio, diffuso a Bologna nel marzo 1997 da un ironico “Centro studi femministi Lorena Bobbit”, un testo che ricompone diversi frammenti critici circolati in numerosi scritti e volantini negli anni precedenti:

[…] Nel '92 i Lion Horse Posse (LHP) - un gruppo rap italiano già attaccato da femministe a Roma e Milano per i testi sessisti - vengono pesantemente contestati da alcune compagne a Bologna durante un concerto sulla questione del carcerario per la liberazione dei detenuti politici comunisti. Durante lo scontro (verbale e non) che ne segue, le compagne femministe vengono accusate di avere un atteggiamento “non politico”, di porre questioni “moralistiche” su problemi in quel contesto meno importanti e, naturalmente, di essere portatrici di un atteggiamento “censorio” […]

In seguito alla contestazione bolognese degli LHP, alcune compagne tedesche, informate dell'accaduto, bloccano una serie di concerti del gruppo in Germania. Dall'ambiente rap bolognese, dominato da uno spirito di solidarietà di corpo e di corporazione con i compari LHP, nel febbraio ‘93 parte una provocazione contro alcune compagne femministe e lesbiche (coll. Artemide e le Furie) che si riunivano in una sede “separata” nelle case occupate di via del Pratello. Un componente dell'Isola Gay Posse (IGP), attraverso una finestra, scatta fotografie durante una riunione delle compagne che reagiscono inseguendolo e pretendendo la restituzione del rullino. Lo scontro, provocato ad arte, e la legittima autodifesa delle compagne, che non avrebbe scandalizzato nessuno in qualsiasi altro ambito politico, fa da pretesto per scatenare una vera e propria “caccia alle streghe” contro femministe e lesbiche “intolleranti e settarie”.

L'attacco alle compagne raggiunge l’apice in una trasmissione di Radio Kappa Centrale, condotta dal collettivo Transmaniacon e con “ospiti in studio”, Isola gay posse, ex Isola nel Kantiere (una parte di questi ultimi si é di lì a poco riciclata nel neonato progetto Link) e alcuni personaggi dell'ambiente “alternativo” bolognese quali Hélena Velena e Pina D’Aria. Da questa trasmissione partono minacce contro le compagne e vengono date informazioni false e faziose sui fatti. Gli IGP & CO, indicono una “festa” all'interno del cortile di via del Pratello, festa che viene annunciata con i toni di un vero e proprio "regolamento di conti". I compagni interni al progetto radio non prendono una decisa posizione contro il collettivo dei transmaniaci, nascondendosi dietro la foglia di fico della “libertà d'opinione” e del rifiuto di atteggiamenti censori. Le trasmissioni del collettivo Trasmaniacon continuano infatti come se niente fosse.

Pochi giorni dopo, il 17 febbraio '93, le compagne lesbiche e femministe - coll. Artemide e le Furie e coll. Siam Tornate (eravamo a far la spesa) - occupano RKC nelle ore destinate alla trasmissione Trasmaniacon.[…] Nei giorni seguenti il transmaniaco R. B. (che di lì a poco indosserà la nuova non-identità di Luther Blissett) preleva i nastri registrati della trasmissione “incriminata” e li ripulisce opportunamente regalandone copie a destra e manca. In questo modo si prepara a passare da aggressore a calunniato. Contemporaneamente diffonde un comunicato dove attribuisce alle compagne rivendicazioni di tipo identitario e differenzialista, come dire: neorazzista.

Ai primi di Marzo dello stesso anno, immediatamente dopo una festa femminista e lesbica organizzata dal coll. Siam Tornate al Circolo Berneri (Cassero di Porta S. Stefano), la banda di RKC e i loro collaboratori della libreria di "movimento" Grafton 9 (che ancora non avevano “occupato” il Livello 113), lanciano l'ennesima provocazione chiedendo i locali del Berneri per una propria festa. Le compagne del collettivo – che da circa un anno utilizzavano, nel pieno rispetto della propria autonomia, quegli spazi per i loro incontri –, chiedono agli anarchici di assumere una precisa posizione rispetto ai fatti, ma tra questi prevale “un atteggiamento più liberale che libertario” e i transmaniaci & Co ottengono i locali. Le compagne femministe, giudicando oramai inaccettabile la condivisione di quello spazio, abbandonano il Cassero. Per non ridurre il fatto ad un caso isolato, basti ricordare che gli anarchici di Porta S. Stefano qualche mese fa hanno messo a disposizione i locali del Berneri per una tre giorni organizzata da tal Caffè Acratico: tra gli eventi un incontro con Hélena Velena, già “ospite” di Trasmaniacon, già organizzatore/trice di varie edizioni della manifestazione “Erotica” e già autore/autrice di Dal cybersex al transgender. Tecnologie, identità e politiche di liberazione, dove, dopo aver ringraziato l’amico Luther Blissett, l’avvelenata Velena per spiegare come “liberarsi” tramite il sesso mediatico (dove sì “le donne la fanno vedere” ma “mica gliela danno”), a p. 36 sentenzia: “le vetero femministe continueranno a parlare di sfruttamento del corpo femminile... autoproducendo la propria condizione di subalternità e schiavitù” (detto altrimenti: la colpa è nostra!).

Il testo di Hélena Velena è stato pubblicato nel '95 da Castelvecchi, casa editrice già tristemente nota per pubblicazioni che celebrano le delizie della “contaminazione” con la Nuova Destra, tra cui Come si cura il nazi di monsieur Bifo […]

Da questa prima panoramica, oltretutto lacunosa, emergono alcuni fili e snodi di una fitta rete di scambi e relazioni. È proprio questa struttura reticolare ad essere significativa […] Al di là dei meri “dati” (che comunque servono e auspicheremmo un lavoro di mappatura di eventi e situazioni più articolato) su un piano più “teorico” assistiamo […] all’emergere di una cultura fortemente reazionaria dietro la maschera movimentista. Soprattutto vorremmo attirare l’attenzione da una parte sulle “accuse” che nella maggioranza dei casi vengono mosse alle compagne – settarie, censorie, presunte portatrici di discorsi identitari e differenzialisti –, dall'altra su discorsi quali il meticciato, la contaminazione e l'anti-identitarismo, ormai moneta corrente in ambito “alternativo”. Questi discorsi, nella loro “banalizzazionemovimentista sono molto più vicini ai discorsi del femminismo differenzialista […] e ai discorsi della Nuova Destra di quanto, apparentemente, non possa sembrare o vogliano far credere. Qui si aprono nuovi problemi. Non basta, anche se è indispensabile, denunciare singoli episodi, e neppure - come abbiamo cercato di fare qui - vedere i legami, le sequenze, le reti che li collegano, ma occorre cercare di capire come si stia formando (o si sia già formata) una nuova cultura. E' una cultura nemica della nostra autonomia che è fatta di comportamenti, piccoli enunciati di ogni giorno, ma anche di vere e proprie “linee” e indirizzi teorici che collegano in diagonale la cultura “alta” e le sottoculture (dalla musica alle radio, dalle fanzine alle scritte sui muri, anche quelle sulle pareti dei cessi del 36, ecc.) […].

[21] L. Lippolis, “‘Togliti i baffi, ti abbiamo riconosciuto’, cit., p. 31.

[22] R. M. Leonelli, L. Muscatello, V. Perilli, L. Tomasetta, “Negazionismo virtuale: prove tecniche di trasmissione”, cit., p. 178.

[23] Gilberto Centi, Luther Blissett. L’impossibilità di possedere la creatura una e multipla, Synergon, Bologna 1995, p. 61.

[24] Falko Blask, Q come caos. Un’etica dell’incoscienza per le giovani generazioni, Marco Tropea Editore, Milano 1997, pp. 9-10.

[25] Ibid., p. 27.

[26] Ibid, p. 29.

[27] Ibid., p. 31.

[28] Sul supplemento politico al romanzo blissettiano rinviamo al citato saggio di L. Lippolis (pp. 30-31).

[29] F. Blask, Q come caos, cit., p. 159.

[30] Guido Caldiron, “Antiglobalismo razzista”, Liberazione, 21 luglio 2001.

[31] Marco Tarchi, “La cultura dell’intimidazione e il dovere di resistenza”, Diorama Letterario, n. 247, settembre 2001, p. 3.

[32] Ibid., p. 4.

[33] Luigi Spezia, “Dopo le botte i sorrisi, l’Ocse fa tutti contenti”, La Repubblica – Bologna, 16 giugno 2000.

[34] Si vedano i trafiletti dedicati a “I contestatori” e “Il questore”, che corredano l’articolo sopraccitato. Il bilancio del questore è del resto in perfetto accordo coi guru della contestazione virtuale: “Bologna non è stata Seattle. Forse lo è stata nella dimensione virtuale, attraverso Internet. Ma, tutto sommato, c’è stata una manifestazione composta”.

[35] Valerio Varesi, “Guazza: disagi limitati. Soddisfatto date le attese della vigilia”, La Repubblica – Bologna, 15 giugno 2000.

[36] “L’impresa emiliana”, il manifesto, 15 giugno 2000.

[37] Andrea Chiarini, “La protesta nuda con i tortellini. Bifo & company si spogliano in piazza”, La Repubblica – Bologna, 14 giugno 2000.

[38] Il cronista può così incontrare, “in una improvvisata conferenza stampa, Valerio Monteventi […], che gira con una originale scritta sulla maglietta, “C’at vegna un Ocse” (che ti venga un Ocse, come fosse una malattia incurabile)”; Luigi Spezia, “No-Ocse blocca il centro per bersi il contro-aperitivo”, La Repubblica ‑ Bologna, 13 giugno 2000.

La proverbiale giovialità petroniana si prestava, del resto, straordinariamente bene a classificare ogni tensione divergente come “violenza”(?) estranea all’anima profonda – si direbbe quasi alle “viscere” – della città conviviale per eccellenza. Una volta (re)introdotto, il discorso potrà essere ripreso altrove, in circostanze più drammatiche – pensiamo a Genova – dove si cercherà di addebitare, come alle origini dell’“emergenza”, ogni insubordinazione alla violenza di Stato ai “violenti”: estranei, meglio ancora “stranieri”, “venuti da fuori”. Ben prima delle uscite di Agnoletto, rilanciate da giornalisti e politici della sinistra, a proposito degli insufficienti controlli della polizia alle frontiere che non avrebbero impedito l’entrata in Italia dei violenti , Paola Ferraris ha sottolineato gli analoghi distinguo messi i campo in occasione del World Economic Found di Melbourne: “Ma il movimento, salvo marginali ‘disgraziati’ violenti e perciò ‘non australiani’ per il paterno primo ministro, resta saldo nella resistenza pacifica e così ottiene perfino la solidarietà dei delegati del Forum […]”; P. Ferraris, “’Movimento di libertà’? Fra Seattle e Praga, la rappresentazione unificata di eventi imprevisti e di incidenti preparati”, Invarianti, n. 34, 2000, p. 64.

[39] Sulla produzione di etnicità fittizia rinviamo ai saggi di Étienne Balibar, in É. Balibar – I. Wallerstein, Razza nazione classe. Le identità ambigue, Edizioni Associate, Roma, 1990.

[40] Leandro Palestini, “Bossi, una voce per Eduardo. In tv da Ranieri, il leader della lega recita in napoletano”, La Repubblica, 3 ottobre 2001. L’articolo riferisce con sorpresa approvazione le dichiarazioni di Bossi, del resto perfettamente conformi alle dottrine etnopluraliste della Nuova Destra: “La canzone napoletana emerge da un dialetto popolare, io preferisco un potere che viene dal basso e un federalismo culturale. Non credo che il mondo vada regolato dall’alto, dai banchieri […] È sbagliato dire d’essere superiori […] io penso che nessuna civiltà sia veramente superiore a un’altra. Sarei cauto. Diciamo che siamo diversi rispetto all’Islam e dovremmo accettare la diversità”.

[41] Come spiega una responsabile di MacDonald’s France in un’intervista a un settimanale a massiccia diffusione gratuita nella metropolitana parigina, la multinazionale si è lanciata da tempo nella “battaglia del gusto” con una serie di campagne improntate alla logica della “prossimità culturale”, culminate quest’estate nell’operazione “Une touche de région” (“MacDo se met au goût du jour”, A nous Paris!, n. 113, 13-18 novembre 2001).

[42] Basilio Catanoso, responsabile nazionale di Azione Giovani e deputato di An, intervistato da G. Caldiron, “Antiglobalismo razzista”, cit.

[43] Su questi temi, un testo di referenza, sebbene di impianto teorico criticabile (cfr. Rudy M. Leonelli, “Le sventure della virtù. Per la critica del post-antirazzismo”, Altreragioni, n. 4, 1995) è Pierre-André Taguieff, La force du préjugé, La Découverte, Paris 1987, tr. it. La forza del pregiudizio, Il Mulino, Bologna 1994. Riteniamo altresì fondamentale, oltre al già ricordato libro di É. Balibar e I. Wallerstein, il lavoro di Colette Guillaumin e in particolare i saggi raccolti in Sexe, race et pratique du pouvoir. L'idée de nature, Côté-Femmes Editions, Paris 1992. Per una problematizzazione degli inquietanti esiti dell’applicazione del paradigma differenzialista (nella sua versione femminista) alla storiografia del nazionalsocialismo rimandiamo a Liliane Kandel, (a cura di) Féminismes et nazisme, en hommage à Rita Thalmann, Publications de l'Université Paris 7-Denis Diderot, Paris 1997 (cfr. Vincenza Perilli, “L’innocenza di Eva”, Altreragioni, n. 8, 1999).