Via Staffetta il manifesto della manifestazione nazionale antirazzista promossa da rom e sinti per sabato prossimo a Bologna per contrastare la violenta campagna d’odio antizigano portata avanti in Italia dalla destra leghista e neofascista. Purtroppo da mesi era stata già fissata, per la stessa data, la riunione di redazione di Zapruder (alla quale non potrò mancare) ma chiedo a quant@ leggono Marginalia di far girare il volantino della manifestazione
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mercoledì 13 maggio 2015
sabato 1 novembre 2014
Mailbombing e denunce
Mentre l’Istituto di Cultura Sinta di Mantova, Sucar Drom e l’Osservatorio contro le discriminazioni hanno presentato un esposto all'Ordine dei giornalisti (e una denuncia alla Procura di Torino) per diffamazione e istigazione all’odio etnico/razziale nei confronti del giornalista de La Stampa Massimo Gramellini che in un articolo aveva appoggiato la scelta del sindaco di Borgaro Torinese di bus separati per "rom" e "residenti", sul sito di Cronache di ordinario razzismo prosegue la campagna di mailbombing promossa dalle associazioni Lunaria e Straniamenti. Di seguito la mail che ho inviato a Claudio Gambino qualche giorno fa
Egregio Claudio Gambino, devo confessarle che quando qualche giorno fa ho letto su alcuni quotidiani della sua proposta di istituire sulla linea 69 che da Torino porta a Borgaro Torinese bus “separati” per “rom e residenti”, ho sperato si trattasse della trovata orwelliana di qualche giornalista in cerca di scoop. Dico “sperato” perché troppo grave sarebbe stato che una simile “proposta” venisse da qualcuno che, come lei, ricopre un'importante e delicata carica istituzionale e dal quale sarebbe lecito aspettarsi una maggiore consapevolezza storica e politica. Purtroppo la visione di una video-intervista rilasciata a un giornalista de Il Fatto Quotidiano il 24 ottobre 2014 in cui, contemporaneamente, lei rigetta con sdegno ogni accusa di razzismo ma ribadisce la validità (e necessità) della sua proposta, mi costringono a prendere atto che non si tratta di una boutade ma del preoccupante segnale che certe modalità di pensiero (destinate a tradursi in pratiche) rischiano di non essere più solo patrimonio del più profondo ventre razzista italiano.Non insisto nel ricordarle, come ha già fatto del resto il giornalista de Il Fatto, quanto la sua proposta rievochi vicende quali l'apartheid sudafricano (non ignora, penso, il nome di Nelson Mendela) o ancora la segregazione razziale negli Stati Uniti che proprio nella ribellione all'imposizione di posti “separati” secondo una rigida linea del colore sui mezzi di trasporto pubblici trovò, grazie a Rosa Parks ed altre militanti, uno dei momenti di lotta più significativi. Semmai, come studiosa della genealogia del razzismo italiano, mi permetta di ricordarle qui, a mò di chiusura, una pagina non certo esemplare della nostra storia patria. Mi riferisco al decreto del 19 luglio 1937, n. 41675 che, nelle allora colonie italiane in Africa, vietava tra l'altro ai “sudditi l'uso di autovetture in sevizio pubblico guidate da nazionali” (cfr. Centro Furio Jesi, La menzogna della razza, 1994, p. 293). Sperando di aver contribuito a suscitare in lei qualche costruttiva riflessione sulla dannosa e controproducente persistenza nel presente di pratiche e ideologie di un passato evidentemente non ancora troppo lontano, Cordialmente, Vincenza Perilli
sabato 25 ottobre 2014
Bus separati per "rom" e "residenti" / Una lettera di Giuseppe Faso
Bus separati per "rom" e "residenti" sulla linea n. 69, che da Torino porta nella cittadina di Borgaro: questa la proposta avanzata dal sindaco, Claudio Gambino (Pd) e da un assessore di Sel, Luigi Spinelli. La definiscono una "provocazione", forse ignari (come altri che prima di loro hanno avanzato simili proposte) del decreto del 19 luglio 1937 che all'interno della più ampia legislazione di segregazione razziale nelle colonie italiane in AOI, interdiceva "ai sudditi l'uso di autovetture in servizio pubblico guidate da nazionali" (cfr. La menzogna della razza, Grafis, 1994). Sulla vicenda pubblico una lettera che Giuseppe Faso (dell'associazione Straniamenti e autore, tra l’altro, di Lessico del razzismo democratico) ha inviato al sindaco di Borgaro Torinese. Per chi volesse imitarlo ecco la mail: sindaco@comune.borgaro-torinese.to.it .
Egregio sindaco, Le chiedo col massimo rispetto un ripensamento rispetto alla Sua idea, se riportata senza forzature dalla stampa. Si possono senza dubbio capire e rispettare le Sue preoccupazioni e il Suo senso di responsabilità nei confronti di un problema la cui gravità non posso certo giudicare io da centinaia di chilometri di distanza. La soluzione prospettata da Lei, quale appare dalla stampa, preoccupa: non è possibile immaginare di distinguere l’utenza dei bus secondo una provenienza sociale, etnica, razziale e rivendicare una distanza dal razzismo. Abbia pazienza, ma il razzismo consiste proprio nel categorizzare le persone, e attribuire loro responsabilità o quozienti di inaccettabilità, in base semplicemente a una presunta origine. Lei probabilmente è piemontese, e io sicuramente meridionale: “piemuntisi” erano per i miei bisnonni truppe di occupazioni, che sulla base di presunta pericolosità di intere popolazioni hanno compiuto crimini di massa. E persone nate e vissute da ragazzi dove io sono nato e vissuto da ragazzo in Comuni non lontani dal suo hanno operato negli ultimi decenni secondo logiche mafiose – partendo dal movimento terra e inquinando a volte municipi interi -; impediranno a Lei e a me di rispettarci come individui, e come individui responsabili del loro operato, e non della loro più o meno presunta appartenenza, giudicarci? Spero di no. Lei ha una grande responsabilità amministrativa: non si faccia ricordare come chi ha attuato quanto i Suoi colleghi leghisti hanno più volte minacciato. Non penserei che Lei è un razzista, non attribuisco a nessuno etichette totalizzanti. Ma i gesti, le decisioni, i comportamenti, quelli sì, possono essere razzisti, e non dipendono dalle Sue intenzioni, ma dalle categorizzazione che metterà o no in atto. Se Lei adopererà una categoria razzizzata, avrà deciso da solo del razzismo della Sua decisione. Certo, molti Le daranno ragione. Non mi faccia operare paralleli storici poco lusinghieri per chi a suo tempo ha dato o avuto consenso su questi temi. Cordialmente, Giuseppe Faso
(Photo credit: effetti sulla popolazione civile dei gas usati dagli italiani durante l'aggressione all'Etiopia 1936-1941, foto dal sito dell'Ecadf)
sabato 31 maggio 2014
Cultura, transcultura, razza
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martedì 7 gennaio 2014
Le logiche degli sgomberi e dell'assistenzialismo
Mentre solo qualche settimana fa si è tenuta a Bologna la ventitreesima commemorazione dell'assalto da parte della banda della Uno bianca al campo nomadi di via Gobetti in cui persero la vita Rodolfo Bellinati e Patrizia Della Santina, pubblico un articolo di Dimitris Argiropoulos, che ringrazio per la condivisione, comparso qualche giorno fa su il Manifesto, Bologna, la storia di Emmanuelle e della prima accoglienza inesistente. Un articolo che punta il dito su una realtà (e un'amministrazione) specifica, quella di Bologna che "agisce verso gli accampati migranti, profughi e rom con le logiche degli sgomberi e dell’assistenzialismo", e lo fa sviluppando una serie di riflessioni quanto mai urgenti e che hanno una portata molto più ampia dei confini bolognesi. Prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo segnalo che la foto che illustra questo post (un matrimonio di rom musulmani khorakane) è uno scatto di Mario Rebeschini e fa parte di una serie realizzata negli anni novanta nei "campi nomadi" di Bologna grazie all'incontro del fotografo gagè con l'artigiano sinti Floriano Debar. Buona lettura // Bologna, 2 gennaio 2014, Emmanuelle è morto. È morto in una cella frigorifero dismessa, dove la sua famiglia e soprattutto sua madre con lui in grembo, ha trovato riparo. 2013 anni fa, Emmanuelle a Betlemme, in direzione ostinata e contraria, ha potuto nascere. Sì, certo, in una stalla, ma è nato. Betlemme con poche risorse, con quello che si aveva, ha potuto essere un contesto ospitale e vivo. La Betlemme è diventata Bios, Vita, e ancora Biopolitica, superamento delle cristallizzazioni e dei destini immodificabili. Betlemme non ha permesso la delazione e soprattutto non ha permesso la beffa. Ha superato le difficoltà con l’indispensabile semplicità del bene. Bologna non ha una rete di strutture che risponde alle esigenze di una prima accoglienza in grado di dare risposte, umane e possibili a persone orbitano le sue periferie per emergenze e necessità e che chiedono protezione e rifugio per sopravvivere. Una città che si dichiara moderna e giusta, crocevia di strade e autostrade, che si fregia di una stazione ferroviaria di alta velocità e di un ingrandito aeroporto internazionale, che la collegano con il resto del paese e del mondo, ma che non sa protegge le donne e gli uomini che vi confluiscono, cittadini del mondo. L’attuale amministrazione non solo non ha nelle sue priorità, un obbiettivo di questa portata, ma agisce verso gli accampati migranti, profughi e rom con le logiche degli sgomberi e dell’assistenzialismo. Bologna non ha un progetto. Cerca di fare ordine incrementando il male. Gli sgomberi, violenti e repressivi, e la silente nonché intenzionale indifferenza incardinano il male, contaminando i rapporti politici e sociali, fra chi chiede e richiede rifugio e chi è in grado di rispondere. Da una parte si sforza di mostrare l’oggettiva impossibilità di intervenire e dall’altra cerca di ridurre quel poco ma possibile agire solidale, annientandolo nella beffa. L’intervento pubblico diventa così “passeggiate rom-antiche”, narcisismo etnocentrico e auto commiserazione “quanti ne dobbiamo accogliere”. Diventa assunzione di esperti strapagati per risolvere o quanto meno indirizzare la soluzione di certi problemi, a cui vengono però pagati anche i corsi di formazione per comprendere ciò che essi dovrebbero spiegare, salvo poi scoprire, che gli stessi hanno bisogno di formazione si procede pagandoli pure i costi dei master… Diventa scuola di città, dove il povero è povero per cause proprie e dove si impara a vincere per bande. Il modello di Bologna diventa – e in tutti gli effetti lo è – il modello Casal di Principe, dove vince la scaltrezza di trasformare la carità in spettacolo nascondendo abilmente le violenze agite e naturalizzate. Lo sforzo politico, di analisi e di intervento, verso la sua periferia imbaraccata non vanno oltre l’estetica perversa della pulizia etnica o
della casalinga isterica che cerca i detersivi adatti per smacchiare i panni. Le difficoltà di inserimento e di integrazione delle migrazioni e della profunganza diventano ingiurie, lontananza, retorica securitarista e incapacità di usare le mediazioni, i patti, i dialoghi.Diventano voti puliti e soprattutto diventano apprendimenti per imparare l’offesa. Bologna non ha ancora cercato di uscire da un sistema di “aree sosta” per nomadi, sistema segregativo di apartheid, che riduce in povertà economica e relazionale le famiglie dei rom-sinti che vi vivono da più di quaranta anni. Famiglie stabilizzate che “giocano il nomadismo” dei
gaggi. “Nomadi” poiché vivono nel campo “nomadi”. “Nomadi”, sfiniti, violenti, miserabili, ricoverati in strutture fatiscenti o modernamente inconsuete, deformi, banali e brutti. Dove con “coraggio” e senza vergogna l’amministrazione arriva ad attivare l’operatività sociale degli educatori (sic) per chiedere ai “nomadi” loro se vogliono essere integrati. Tutti e tre i campi “nomadi” della città stanno implodendo in una vita impossibile di sventure miseramente disumane. Risulta più
paradigmatico il campo “nomadi di via erbosa” provvisorio dall’anno 1990 istituito nel 1990 dopo gli attacchi mortali della Banda della “uno bianca”, ancora oggi provvisorio. Bologna beffa il diritto e i diritti. La Legge Regionale 47/1988 che disciplina la presenza e flussi nomadi in Emilia Romagna, non può ne spiegare ne indirizzare le amministrazioni nella gestione complessa di una presenza polimorfa come quella dei rom. Non si può far finta di continuare di usare una legge che non ha corrispondenze con la realtà. Ed è grottesco insistere a non volere verificare le conseguenze di
questa legge dopo 25 anni di “corretta applicazione”. Soprattutto diventa beffa e razzismo voler spiegare il deterioramento delle struttura dei campi con la natura selvaggia dei “nomadi” che, forse, rompono quello che gli è estraneo e che perversamente altri hanno deciso e voluto per loro. La presenza dei rom nella città non è provvisoria, cioè nomadica ma è strutturale. Costantemente dai primi anni novanta si sono stabiliti più di 6.000 mila rom provenienti dai Balcani (Yugoslavia, Romania e Bulgaria) Si trovano qui per cercare lavoro e per cercare asilo. Cercano e trovano casa, servizi, scuola e cercano di poter vivere riscattando la propria povertà. Cercano nelle
loro migrazione e/o profuganza stabilità e mobilità sociale. E ci riescono. Non sono naufraghi, hanno un progetto e riescono pure a realizzarlo. I rom non sono “nomadi” come non sono “famiglie senza fissa dimora” come non sono “famiglie senza territorio”. Continuare a esibirsi inventando termini politicamente (s) corretti fa parte della beffa che insiste nella noia, nella pesante noia dei presunti intellettuali affaticati a
nascondere i razzismi delle “avanguardie” e la violenza dell’esclusione in quella loro corsa a fotografarsi e a sperare qualsiasi cosa per rimanere nella storia. Paradossalmente incontrano il consenso di quelli che cercano di andare in paradiso e le loro amicizie, fantasmagoriche, vorrebbero diventare La Corte di Bologna. La presenza rom a Bologna come in Europa non è necessariamente subordinata ai servizi sociali o ai nazionalismi: nel contesto locale e internazionale, essa è una presenza generatrice di inter e transculturalità, di interessanti e singolari forme sociali e politiche di convivenza. Sarebbe utile tornare a conversare sui e nei campi “nomadi”, sui percorsi di emergenza, di integrazione e di azione pubblica, istituzionale e sociale. Sarebbe sensato ritornare a conversare con i rom per mettere insieme sguardi ed espressività, influenzati da modi e mondi diversi. Ritornare a conversare è dare senso ai silenzi. Conversare è intrecciare umanità, è intesa. Conversare rende la solitudine più passionale e le restituisce unicità in quella moltitudine che resiste all’omologazione e che desidera essere letta, accolta. Conversare è fare comunità. Bologna negli anni, come ora, ha distrutto tutte le sue strutture di prima accoglienza. Ha messo appunto un sistema di sgomberi che non ha funzionato, ha solidificato un sistema di apartheid per “nomadi” rivolto ai rom sinti e non riesce a spiegare e a spiegarsi. Questo è il vero e proprio male: Bologna ha perso la parola, balbetta e si rifugia nel suo narcisismo, nelle sue beffe, pensa all' assoluzione piuttosto che alle responsabilità. Bologna ha perso la sua dignità (Dimitris Argiropoulos, il Manifesto, 4 gennaio 2014)
mercoledì 30 ottobre 2013
La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza
In un post dal titolo La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza, Sonia Sabelli stabilisce utilissime connessioni storiche, teoriche e politiche (rinviando anche a testi utili quali il volume di Sabrina Tosi Cambini La zingara rapitrice e l'articolo di Gaia Giuliani Maria-piena-di-grazia-e-bianchezza) per continuare la riflessione (ri)avviata dalla vicenda di Maria, la bambina rom "bianca, bionda e con gli occhi azzurri" e quindi necessariamente "rapita" di cui avevo scritto qualche giorno fa riprendendo il documento dell' Osservatorio antidiscriminazioni. Una riflessione quanto mai urgente, visto anche il caso recentissimo che ha coinvolto un'altra bambina rom in Irlanda, anche lei troppo bianca e bionda per essere "figlia di rom". Prelevata con la forza dalla polizia dal campo in cui viveva alla periferia di Dublino, la bambina è stata "restituita" ai sui genitori solo dopo alcuni giorni, quando la prova del Dna ha dimostrato che era figlia "legittima e biologica" della coppia alla quale era stata sottratta. Il ministro della Giustizia irlandese ha ovviamente difeso l'operato della polizia e dei servizi sociali perché "sono situazioni molto difficili e si devono prendere decisioni altrettanto difficili quando si tratta di questioni di protezione di minori". Ma non è chiaro, parafrasando Beatriz Preciado, chi "protegge" le bambine (e i bambini) rom. Approfitto di questo breve aggiornamento per ringraziare Il paese delle donne, Cronache di ordinario razzismo e La libera università delle donne per la ripresa di La bambina bionda e i rom e la Fondazione Romanì Italia per avermi segnalato il testo di Nazzareno Guarnieri, Rom, biondo, di carnagione chiara
venerdì 25 ottobre 2013
La bambina bionda e i rom
Ricevo dall'Osservatorio antidiscriminazioni una riflessione, dal titolo "Giù le mani da Maria!" sulla campagna mediatica e sulla psicosi anti-rom "rapitori di bambini" che si è scatenata (non solo in Italia) a partire dal caso della bambina (insistentemente definita dai media "bionda con gli occhi azzurri", "bianca", "dai tratti nordici") trovata in un campo rom in Grecia in compagnia di un uomo e di una donna poi risultati, tramite prova del dna, non suoi genitori "biologici". Nonostante le spiegazioni della coppia (la bambina era stata loro affidata piccolissima dalla "vera" madre che non poteva mantenerla e loro l'avevano cresciuta come "una figlia"), spiegazioni confermate sin dal primo momento da altri/e abitanti del campo (e nelle ultime ore dal ritrovamento della madre "biologica"), l'episodio ha riportato a galla, in tutta la sua virulenza, il razzismo verso quell'"altro da noi" di cui abbiamo parlato tante volte (vedi ad esempio qui, qui, qui e qui). Mi auguro che il testo dell'Osservatorio antidiscriminazioni (e la sua pubblicazione in Marginalia e altrove) possa contribuire ad innescare un effetto moltiplicatore dell'attenzione e della vigilanza necessaria su questa e altre vicende // "Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tanto meno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunché di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo.
Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom (Osservatorio antidiscriminazioni, Giù le mani da Maria!, ottobre 2013).
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domenica 9 giugno 2013
Black Panthers ad Atene
Come già è accaduto in Ungheria con la resistenza dei Rom contro le milizie fasciste di Jobbik, ora anche in Grecia un gruppo di africani residenti ad Atene si organizza per rispondere alle ronde xenofobe dei neonazisti di Alba dorata. È un movimento di autodifesa che prende lo stesso nome adottato dal movimento afro-americano negli Stati Uniti d’America negli anni ’60 e ’70: «Black Panthers». Un po’ dappertutto non si vuole più subire senza dir nulla le continue istigazioni all’odio razzista della destra xenofoba. Fosse anche un partito in via d’estinzione come la Lega Nord che ogni sabato mattina fa il suo banchetto in via Orefici contro l’«invasione straniera» e raccoglie ogni volta lo sdegno dei passanti (da Staffetta)
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martedì 23 ottobre 2012
La "questione rom" oggi in Europa / La "question rom" en Europe aujourd'hui
L'ultimo numero della rivista Etudes Tsiganes
lunedì 17 settembre 2012
Roms : la commune humanité bafouée
Penso che le petizioni - in quanto ad efficacia - lasciano, spesso, il tempo che trovano. Nonostante ho firmato Roms: la commune humanité bafouée (Roms: la comune umanità schernita), condividendo Jean-Loup Amselle, Etienne Balibar, Anne Emmanuelle Berger ...)con promotori e promotrici (tra i/le primi/e firmatari/e , la preoccupazione e l' indignazione verso la politica di espulsione dei "Roms étrangers" in Francia, politica che il nuovo governo di sinistra sta portando avanti spesso con le stesse parole, immagini, presupposti e soprattutto conseguenze, dei suoi predecessori. Per leggere il testo completo, la lista dei firmatari e firmare la petizione:Roms : La commune humanité bafouée
domenica 9 settembre 2012
Essere rom in Italia e in Europa
Ricevo da Dimitris Argipoulos - che ringrazio - l'ultimo numero della rivista Educazione democratica, uscito in giugno. Con Essere rom in Italia e in Europa, la rivista continua il suo viaggio "nelle periferie della nostra democrazia", - inaugurato con un numero dedicato al carcere -, proponendo ora una sorta di dossier sulla situazione dei rom, gli esclusi per antonomasia: il rom è infatti, come si legge nell'introduzione al numero, "colui che la società, che si dice democratica, aperta, tollerante, non riesce da accettare". Potete leggere (e scaricare) Essere rom in Italia e in Europa - così come gli altri numeri -, direttamente dal sito della rivista. Buona lettura.
(Alcuni articoli correlati in Marginalia: Antiziganismo in Europa. Una barbarie che avanza, Stranieri ovunque , "Zingari", "nomadi", un malinteso europeo, Zingari d'Italia, L'estraneo tra noi)
(Alcuni articoli correlati in Marginalia: Antiziganismo in Europa. Una barbarie che avanza, Stranieri ovunque , "Zingari", "nomadi", un malinteso europeo, Zingari d'Italia, L'estraneo tra noi)
lunedì 27 febbraio 2012
Dopo i / le rom gli / le homeless : una nuova condanna dell'Italia da parte del Consiglio d'Europa
Riceviamo da Dimitris Argiropoulos, che ringraziamo, notizia dell'ultima condanna dell'Italia da parte del Consiglio d'Europa, notizia snobbata dalla maggioranza degli organi di informazione embedded / mainstream. La condanna arriva, attraverso il rapporto 2011 redatto dallo European Committee of Social Rights, per aver violato l’articolo 31 comma 2 della Carta sociale europea (che recita: "Per garantire l’effettivo esercizio del diritto all’abitazione, le Parti s’impegnano a prendere misure destinate a prevenire e ridurre lo status di 'senza tetto' in vista di eliminarlo gradualmente"). Il diritto alla casa, il diritto a vivere in un luogo dignitoso, che risponda ai requisiti di sicurezza, igiene, salubrità e che sia in tutto per tutto rispondente agli standard di accessibilità, equivale, secondo il Consiglio d'Europa, al diritto alla vita. Il nostro Paese – si ricorda in una nota della Fio.Psd - arranca sul terreno delle politiche abitative e sulle iniziative tese ad arginare e prevenire le situazioni di disagio, emarginazione sociale e homelessness. La Federazione sostiene da tempo la necessità di riportare nell'agenda politica delle Istituzioni, a tutti i livelli, le politiche per la casa; ora una condanna internazionale importante e grave arriva a ricordare, molto più autorevolmente, la medesima necessità. Oltre a ripetere le condanne all'Italia sul tema del trattamento dei Rom e della loro esclusione sociale, già avvenute nel recente passato, il rapporto 2011 sottolinea il tema della prevenzione della homelessness attraverso politiche di housing efficaci, che nel nostro Paese risultano completamente assenti. Il rapporto ricorda che il diritto ad una casa adeguata deve essere garantito a tutti e che rifugi e dormitori dovrebbero essere dei luoghi di stanziamento temporaneo, che devono corrispondere agli standard di sicurezza e igiene ed essere provvisti di tutti i beni di prima necessità; inoltre non deve essere richiesta la residenza per poter usufruire dei rifugi di emergenza, come invece spesso è accaduto in varie città italiane negli ultimi anni. E infine, dunque, arrivano le condanne. L'Italia è accusata di aver violato l'articolo 31 comma 2 sia "passivamente", per non aver predisposto servizi adeguati per gli homeless, giudicando il comitato insufficienti quelli esistenti, sia "attivamente", per aver condotto senza programmazione e con violenza lesiva della dignità umana le azioni di sgombero dei Rom verificatesi negli anni scorsi in virtù del famigerato "patto per la sicurezza".
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domenica 27 novembre 2011
Memorie zingare, l'altro genocidio / Memoires tsiganes, l'autre genocide
Memoires tsiganes, l'autre genocide, un film documentario di Henriette Asséo, Idit Bloch e Juliette Jourdan.
venerdì 25 novembre 2011
Violenza sulle donne / Appello per Adama: una storia, molte violenze
In occasione del 25 novembre le iniziative di denuncia delle violenze contro le donne si moltiplicano, ottenendo un'effimera - quanto inutile - visibilità anche su quei mezzi di informazione ordinariamente silenziosi su queste questioni (tranne, beninteso, quando la "notizia" può essere proficuamente strumentalizzata e messa al servizio di politiche razziste e sessiste, sicuritarie e di controllo). Per questo, forse, avremmo evitato in questa giornata di scriverne se non ci fosse giunto da Paola Rudan - che ringraziamo - l'invito a far circolare l'appello di Migranda / Trama di Terre per Adama, donna migrante rinchiusa da fine agosto nel CIE di Bologna: aveva chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. L’unica risposta che Adama ha ricevuto è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. E la storia di Adama non è una storia isolata: il 13 dicembre, a Bruxelles, si svolgerà un convegno internazionale del Picum - un organismo che si occupa di migranti "senza documenti"* - sulla situazione difficilissima vissuta dalle donne migranti considerate "clandestine" in Europa. Chi mi ha inoltrato l'appello per Adama scrive qualcosa che condivido pienamente: "Non vogliamo essere le rappresentanti o le tutrici di una vittima, ma l'amplificatore di una donna che sta lottando e che non ha altro modo di far sentire la sua voce". Vi invitiamo dunque a firmare e far circolare l'appello che trovate nel sito di Migranda, affinché Adama possa "riprendere in mano la propria vita" e noi tutte la nostra.
* Che significa: senza documenti giudicati validi nella Fortezza Europa.
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martedì 13 settembre 2011
"Zingari", "nomadi": un malinteso europeo / "Tsiganes", "nomades", un malentendu européen
"Al di là della politica di smantellamento dei 'campi' e dell'espulsione dei 'rom' lanciata dalla Francia nel luglio 2010, le misure di segregazione contro gli 'zingari' si moltiplicano in tutta Europa, in maniera diversa ma ovunque tese ad espellere un corpo 'estraneo'. Esiste oggi su scala europea una 'questione Rom' che le rivendicazioni identitarie transnazionali, portatrici d'equivoci, rendono forse più temibile ancora. Questa produzione politica di indesiderabili nel seno degli Stati-nazione non è un'eccezione. Ma essa si nutre qui della costruzione di un'alterità specifica, un misto di disprezzo culturale, di paura sociale e di odio razziale che rinvia all'immagine che l'Europa ha di se stessa, della sua storia, della sua vocazione e del suo destino. Cosa significa questa ossessione verso un supposto popolo nomade, i cui membri divengono altrettanti 'stranieri interni' tra le nazioni che dovrebbero assimilarli o eliminarli? Come si è costruita e continua a costruirsi, talora di maniera interattiva, questa rappresentazione dell'Altro europeo? Qual'è la funzione di questa costruzione nel contesto dell'Unione europea e della mondializzazione? Cosa ci dice del collettivo che continua a produrre e riciclare questa immagine e le categorie o miti che gli sono associati (razza, tribù, popolo, nazione, minoranze)?": questa la breve presentazione (che traduciamo velocemente per i non-francofoni) del convegno internazionale "« Tsiganes », « nomades » : un malentendu européen", organizzato da Catherine Coquio, Jean-Luc Poueyto e Leonardo Piasere e che si terrà a Parigi dal 6 al 9 ottobre in vari luoghi della città (Mémorial de la Shoah, Université Paris 8 Vincennes - Saint-Denis, Institut Hongrois, Petit Palais), affiancato da un cineforum al cinema Trois Luxembourg . Per la presentazione dettagliata, il programma completo e gli abstract degli interventi rinviamo al sito del convegno.
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mercoledì 25 maggio 2011
Le forme del dominio
Le forme del dominio. Razzismo e sessismo tra passato e presente, è il titolo della discussione che si terrà dopodomani (27 maggio 2011 - ore 18), presso la Libreria delle Moline (via delle Moline 3/a - Bologna) a partire dal volume di Alberto Burgio Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in Europa (DeriveApprodi, 2010). Interventi di Vincenza Perilli (Razzismo e sessismo) e Mauro Raspanti (Razza, razzismo e neorazzismo). Seguirà dibattito con l'autore.
martedì 15 marzo 2011
Il colore delle donne meridionali e l'unità d'Italia
Oltre all' allergia alle mimose rivendichiamo, come noto, anche quella a "Dio, patria e famiglia". E questa primavera - dopo il presagio dell'otto marzo delle donne italiane tutto fiocchi rosa e uteri per la patria - si delinea, per noi, sempre più spiacevole e desolante grazie all'ondata inarrestabile delle celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia. Dopo le mimose ora è tutto un fiorire di discorsi sulla nazione e l'italianità, tutto uno sventolare di bandiere tricolori, di vetrine colme di "edizioni speciali anniversario", faccette di garibaldi-l'eroe-dei-due-mondi e Cavour (Camillo Benso, bien sûr) che ci osservano un po' accigliati da scatolette di mentine e biscotti, bottiglie di vino, calzini e mutande. A dimostrazione che nulla (gesto, parola, cosa ...) è "casuale" nell'odierna società dello spettacolo, nella paccottiglia del business celebrativo c'è anche la carrozzina-bandiera (verde, bianca e rossa - ovvio) per portare a spasso, immaginiamo, gli attesi frutti degli uteri per la patria, i piccole/i italiane/i doc (degli altri ... chissenefrega). Una cacofonia insopportabile, al ritmo dell'inno di Mameli. Per consolarci (e sentirci meno sole) a sera rileggiamo, prima di addormentarci, Alberto Maria Banti che distrugge l'osannato discorso del neo-nazionalista Benigni a Sanremo, andiamo a lavorare all'alba canticchiando la versione in rosa dell'inno e sputiamo anche noi (correndo il rischio della semplificazione) "su Hegel, su Garibaldi, sull’unità d’Italia" insieme a chi, di questa benedetta unità, sottolinea anche gli aspetti meno "gloriosi", lo sfruttamento e i massacri di una vera e propria "impresa coloniale" del "nord" contro il "sud" (lo ricordavamo anche in Miti e smemoratezze del passato coloniale italiano). Di questo passato restano ancor oggi delle scorie, anche tra "donne" (le "donne italiane" del famoso appello per il 13 febbraio). Un frammento curioso che vi lasciamo senza commenti, è una lettera (firmata) di una "donna di Napoli" residente da più di dieci anni in una città del centro nord "dove sono nati e cresciuti i miei quattro figli". La lettera, che vi trascriviamo, è stata pubblicata dal quotidiano La Repubblica proprio l'8 marzo di quest'anno: "Ero in un negozio e mentre misuravo un capo, una madre consigliava alla figlia quale vestito scegliere: 'questo ti sta bene', 'questo no', 'questo è fine' e infine 'questo è bello, ma ha un colore da meridionale. Mi sono affacciata per guardare la 'signora' ma ero cosi indignata da non riuscire a pronunciare una parola. Dopo qualche minuto mi sono avvicinata con un sorriso e, precisandole di essere napoletana, le ho chiesto di indicarmi qual era il vestito con i colori da meridionale. Lei, con lo stesso sorriso nel dirmi che non era una affermazione offensiva perché aveva origini calabresi, mi accompagnava allo stand e, nel non trovarlo, commentava che era talmente bello che l'aveva già preso qualcun altro. Certo, ho detto, bello ma col colore da meridionale".
domenica 19 settembre 2010
Khorakhané
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Khorakhané. A forza di essere vento di Fabrizio De André (via Gennaro Carotenuto).Una sorta di colonna sonora per il post che segue sulla recrudescenza dell' antiziganismo in Europa.
Antiziganismo in Europa: una barbarie che avanza
Sulla "questione Rom" segnalo alcuni interventi, pubblicati su il manifesto rispettivamente ieri e oggi. Il primo, Rom, una questione comune, è la rielaborazione dell'introduzione di Etienne Balibar al volume Romani Politics in Contemporary Europe, una raccolta di saggi sulla questione dei rom e l'Europa a cura di Nando Sigona e Nidhi Trehan pubblicata nel 2009. L'altro è un articolo di Annamaria Rivera, Una barbarie che parla alla sinistra, articolo che, a partire dalle "scorrerie razziste" del presidente francese Sarkozy e dell'immobilismo complice di una buona parte della sinistra europea, individua come "condizione primaria per qualsiasi progetto di ricomposizione della sinistra, o solo di alleanza in difesa della democrazia ... l'impegno antirazzista e la difesa incondizionata dei diritti dei rom, dei migranti, dei profughi".
(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Stranieri ovunque
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La Banda della Uno bianca e l'assalto al campo nomadi
Economia politica dello stupro
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domenica 5 settembre 2010
Cartoline antirazziste
Riteniamo da tempo che l'antirazzismo (come l'antisessismo) si manifesta (o dovrebbe manifestarsi ) anche con "piccole" azioni quotidiane (collettive e/o individuali) di contrasto e denuncia. Seppure di impatto e risonanza minore rispetto a manifestazioni, cortei e presidi (e senza speranza alcuna di ricevere qualsivoglia eco nei media), atti come scrivere una lettera a un quotidiano per criticarne l'impianto sessista e razzista, affiggere un volantino sul luogo di lavoro o raccogliere firme da inviare alle ambasciate contro il cosiddetto rimpatrio forzato di donne e uomini migranti detenuti/e nei Cie, hanno - crediamo - non solo un senso, ma anche un peso e un effetto (anche se non sempre quantificabili), soprattutto se si moltiplicano e si propagano. Rilanciamo dunque l'iniziativa (segnalata da Enrica che ringraziamo) di alcune/i antirazziste/i che in seguito all'aggressione subita da un ragazzino italo-cubano da parte di un gruppo di coetanei al grido di "sporco negro" e liquidata dal sindaco come una "ragazzata", hanno deciso di inviare cartoline postali, fax e/o email al comune di Zelo Surrigone. Giusto per ribadire che sappiamo bene cosa significano (e a cosa portano) queste "ragazzate" in un paese dove a un feroce razzismo istituzionale si sommano (e si moltiplicano) pesanti episodi di razzismo diffuso (in Osservatorio sul razzismo in Italia una nutrita, e continuamente aggiornata, rassegna stampa). Questi gli indirizzi:
Comune di Zelo Surrigone
Piazza Roma, 1
20080 Zelo Surrigone (MI)
Tel. 02/9440324; Fax 02/9440329
email: http://www.comune.zelosurrigone.mi.it/index.php?option=com_contact&task=view&contact_id=1&Itemid=69
Comune di Zelo Surrigone
Piazza Roma, 1
20080 Zelo Surrigone (MI)
Tel. 02/9440324; Fax 02/9440329
email: http://www.comune.zelosurrigone.mi.it/index.php?option=com_contact&task=view&contact_id=1&Itemid=69
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