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lunedì 5 dicembre 2016

La pelle giusta vent'anni dopo ...

Nel corso di Sociologia della grande Annalisa Frisina, mercoledì 14 dicembre 2016, ore 12.30 all'Università di Padova (Aula P2, Via Paolotti 2/A), incontro con Paola Tabet in occasione dell'imminente uscita della nuova edizione in e-book de La pelle giusta. Partecipa anche la sottoscritta

domenica 17 gennaio 2016

Une question d'ethnologie / Paola Tabet

Grazie alla segnalazione di Fabiana (e via la trasmissione del Mfla di Radio Ondarossa) rinvio a uno degli episodi della serie Grand et petite con frammenti di una bella intervista a Paola Tabet. Buona visione e ascolto

mercoledì 25 novembre 2015

Le dita tagliate / Un incontro con Paola Tabet

Per chi è a Bologna giovedì 3 dicembre: presentazione del volume di Paola Tabet Le dita tagliate (Ediesse, collana sessismo&razzismo, 2014) presso il Centro di documentazione donne (via del Piombo, 5) a partire dalle 18. Sarà presente l'autrice

mercoledì 20 maggio 2015

giovedì 9 ottobre 2014

Le dita tagliate / Una recensione di Alessandra Pigliaru

Di seguito la recensione di Alessandra Pigliaru al recente volume di Paola Tabet, Le dita tagliate (Ediesse, collana sessismoErazzismo, 2014), pubblicata qualche giorno fa da Il Manifesto con il titolo La beffa del dono patriarcale. Con un grazie all'autrice e a Il Manifesto, buona lettura // Si intitola Le dita tagliate (pp. 323, € 15) ed è il nuovo generoso libro di Paola Tabet pubblicato per Ediesse nella collana sessismoerazzismo, diretta da Lea Melandri, Isabella Peretti, Ambra Pirri e Stefania Vulterini. Etnologa, antropologa e femminista, Tabet riprende i temi di ricerca che la caratterizzano dagli anni ‘70 a oggi. Il titolo del volume attiene a una pratica presso i Dugum Dani, in Nuova Guinea, secondo cui alle bambine vengono amputate alcune dita delle mani in segno di offerta durante le cerimonie funebri. Questa mutilazione diventa per Tabet motivo di riflessione più ampia intorno alle forme coercitive che fondano le società patriarcali, da quelle più semplici di caccia e raccolta a quelle capitalistiche. Centrale nella sua ricerca è da sempre l’analisi del rapporto sociale tra i sessi («un rapporto di classe»), le condizioni della dominazione maschile e dei mezzi con cui tale dominio si edifica e conserva. Tutto ciò la colloca accanto al gruppo femminista materialista nato intorno alla rivista Questions Féministes (in particolare Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Colette Guillaumin e Monique Wittig) con cui entra in contatto a Parigi nel 1978. Negli stessi anni comincia a occuparsi della divisione sessuale del lavoro e dell’utilizzo dei vari strumenti, rivolgendosi in particolare alle società di caccia e raccolta e indagando la gestione o meno dei mezzi di produzione. Il fuoco del primo capitolo è sullo scambio sessuo-economico inteso come gestione sociale della sessualità. Confortata da una solida documentazione etno-antropologica e dalle numerose interviste sul campo (importanti sono state quelle effettuate in Africa, in particolare in Niger), Tabet arriva a segnalare «la grande beffa» (titolo di un suo volume del 2004) insita nello scambio sessuo-economico non prima di averne definito il segno: anzitutto l’idea dello scambio investe la prostituzione così come il matrimonio e i cosiddetti rapporti amorosi, cioè «l’insieme delle relazioni tra uomini e donne che implicano una transazione economica». Transazione quest’ultima che prevede la fornitura di servizi (variamente dal sessuale al domestico) da parte delle donne, e un compenso (che sia o meno quantificabile in denaro, status sociale, prestigio e regali) offerto dagli uomini. Il punto fondamentale su cui si è basato il dominio degli uomini sulle donne è infatti secondo la studiosa la preclusione e il mancato accesso di alcune risorse. Chiamando in causa Malinowski, Mauss e Levi-Strauss, gli esempi riportati si riferiscono alle popolazioni del Mali, della Nuova Guinea, delle isole Trobriand e di molte altre parti del mondo visitato. Il fatto che Tabet si riferisca a paesi non occidentali non significa che il fenomeno sessuo-economico sia assente dalle attuali e più note società capitalistiche. Il problema sono proprio le relazioni tra uomini e donne, e affermando ciò esclude consapevolmente una serie non trascurabile di cose. L’oggetto di riflessione è infatti la gestione sociale dello scambio e non la sessualità in sé, per esempio, il desiderio, le pratiche di conflitto o la relazione tra donne e quella tra uomini. Dal Ghana all’Etiopia, dall’Uganda al Kenya, le indagini sul campo rafforzano invece il suo osservatorio secondo cui molte sono state le occorrenze in cui si è verificato il passaggio dal dono alla tariffa. Pagine interessanti sono dedicate al tema controverso del continuum perimetrato appunto da prostituzione e matrimonio nello scambio sessuo-economico. Difficile dare un significato universale di prostituzione, ne andrebbero contestualizzati i dati secondo le diverse strutture sociali e le risorse materiali. Per questa ragione, quando Tabet parla di prostituzione si riferisce in generale a definizioni politiche relative a un’area di rapporti tra i sessi. È pur vero che in questi anni molte sono state per Tabet le occasioni di confronto con numerose esperienze di donne, comprese – per quanto riguarda l’Italia – quelle di Carla Corso e Pia Covre e il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute. Il continuum degli scambi prevede certo variazioni e diversità eppure, nota Tabet, vi sono ancora delle riluttanze – soprattutto nelle società occidentali – a soffermarsi sullo «scambio» nelle relazioni «legittime». In uno scenario simile sono da tenere presenti le forme violente alle quali sono state sottoposte le donne, non solo in Africa ma – per esempio - in tutti i luoghi di guerra. Dallo stupro all’infibulazione, queste forme rappresentano un altro tassello della dominazione maschile sulle donne. In tale direzione vanno intese le migrazioni di donne che dai villaggi si dirigono alle città; una forza intesa come ricerca di autonomia che consente loro di smarcarsi dall’appropriazione privata del proprio corpo e della propria sessualità. Storicamente la modalità repressiva per normare la trasgressione delle donne «fuorilegge» non si è fatta attendere; dai reclutamenti delle prostitute ai riformatori per la «riabilitazione» forzata delle disobbedienti. Nonostante ciò, la storia delle femmes libres e delle free women, delle prostitute d’Africa con le quali Tabet ha intrattenuto numerose conversazioni, è pur sempre «la storia, difficile e complessa, di una resistenza». «Scrivi presto, lavora, prima che anche a te taglino le dita». È quel che Valeria Bertolucci Pizzorusso raccomanda all’amica Paola Tabet nel 1980. L’invito si è trasformato in una promessa mantenuta con coraggio e gratitudine, per raccontare l’orizzonte difficile e crudele ancora presente in alcuni luoghi del mondo. E per dire che le dita tagliate appartengono al distinguo doveroso secondo lo spettro materiale - e aggiungerei simbolico - singolare e collettivo delle vite di ciascuna. Una questione che si intreccia altrettanto saldamente alla libertà, quando la si può scegliere, agire e desiderare fortemente come ha fatto Paola Tabet nel corso della sua vita, personale e politica.

lunedì 29 settembre 2014

Le dita tagliate / Una recensione di Valeria Ribeiro Corossacz

A proposito del recente volume di Paola Tabet, Le dita tagliate (Ediesse, collana sessismo&razzismo, 2014) - sul quale rinviamo alla bella intervista all'autrice -, segnalo l'uscita sull'ultimo numero di Micromega, della recensione di Valeria Ribeiro Corossacz, Sessualità e organizzazione sociale.  Il femminismo materialista di Paola Tabet. Buona lettura e riflessioni

lunedì 15 settembre 2014

Le dita tagliate / Un'intervista a Paola Tabet

Sul sito di Radio Radicale una bella intervista a Paola Tabet a proposito del suo ultimo volume, Le dita tagliate (Ediesse, collana sessismoerazzismo, 2014), libro di cui abbiamo parlato, in attesa di una vera e propria presentazione, nel corso dell'incontroorganizzato lo scorso venerdì da Orlando/Mujeres Libres intorno all'ultimo Quaderno Viola dedicato al femminismo materialista in Francia (sul sito del Server Donne la diretta streaming). Buon ascolto

lunedì 30 giugno 2014

Paola Tabet / Le dita tagliate

Sarà in libreria il 9 luglio, nella collana sessismoerazzismo di Ediesse il nuovo libro di Paola Tabet, Le dita tagliate. Dalla scheda dell'editore: "Perché Le dita tagliate? Il titolo si riferisce a un dato: se le dita delle bambine dei Dugum Dani della Nuova Guinea si possono tagliare come donazione nelle cerimonie funebri – tranne il pollice e uno o due dita che basteranno loro per svolgere i lavori destinati alle donne – possiamo metaforicamente dire che tutte le donne hanno le dita tagliate? Sì, perché esiste ancora e largamente un gap tecnologico tra uomini e donne, un gap che appare chiaramente fin dalle società di caccia e raccolta, e che con l’evoluzione tecnica si è allargato a forbice e continua in varie forme nelle società industrializzate. Bisogna allora ricercare i fattori oggettivi, le costanti della divisione sessuale del lavoro e del rapporto di classe tra donne e uomini. Un rapporto di classe costitutivo nel cui ambito si pone lo scambio sessuo-economico che caratterizza l’insieme delle relazio ni sessuali tra uomini e donne. La transazione economica infatti non riguarda la sola prostituzione: la prostituzione non è un fenomeno separato, ma vi è un continuum di scambio sessuo-economico che va dai rapporti matrimoniali fino alle forme più comuni di prostituzione. E questo non solo nelle società africane o extraeuropee, ma anche in Europa e Nord America. Le attuali trasformazioni sociali nel rapporto tra i sessi rimettono in causa la dominazione maschile o piuttosto si tratta di una nuova configurazione di questa dominazione? Chi porta il peso di questa trasformazione e chi ne trae profitto? Paola Tabet ne discute nell’intervista (fattale da Mathieu Trachman) che conclude il libro: quale sarà la possibilità di una sessualità egualitaria, fuori cioè da ogni condizione di oppressione, senza costrizioni, una sessualità libera di esprimersi, di sperimentare, non legata alla divisione tra i sessi e alle relazioni di potere? Una possibilità difficile e complessa finché permane in qualche modo un dominio maschile"

sabato 3 maggio 2014

Vita materiale e parole che ti uccidono

Sull'ultimo numero di Letterate Magazine, la rivista online della Società Italiana delle Letterate, (n. 94, 2014) una recensione di Clotilde Barbarulli (che ringraziamo) a Non si nasce donna. Percorsi testi e contesti del femminismo materialista in Francia (a cura di Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli, Alegre / Quaderni Viola, 2013). Prima di lasciarvi alla lettura vi ri-segnaliamo i link delle altre recensioni a Non si nasce pubblicate finora (rispettivamente di Silvia Nugara per Iaph Italia, di Alessandra Pigliaru per Il Manifesto e di Paola Guazzo per il Guazzington Post) che non sono poche  per un volume che non è per tutti i palati (anche femministi) ... Buona lettura! //Ai primi di marzo è morta Nicole-Claude Mathieu, femminista lesbica materialista che ha condotto fin dagli anni Settanta un’analisi radicale antinaturalista dell’eterosessualità intesa come regime politico fondato sulla gerarchia tra i sessi, tra le autrici raccolte nel volume Non si nasce donna.Il lavoro suo, come quello del gruppo, in Italia è poco conosciuto, soprattutto per la prevalenza del paradigma della differenza sessuale, perciò questa ricerca su teoriche che hanno segnato profondamente il femminismo francese e possono suscitare molti interrogativi, è importante. Il riferimento di partenza è la celebre frase di Simone de Beauvoir volta ad indicare che “la donnità è segnata da un ruolo a lungo subalterno e dal monopolio maschile della tradizione simbolica”. Le femministe del gruppo, impegnate in un radicale antiessenzialismo, si sono raccolte nel 1977 intorno alla rivista Questions Féministes che – contaminata da varie influenze, fra cui il  marxismo, la psicanalisi, le teorie anticoloniali e il movimento afroamericano – intende mantenere un forte legame fra teoria e “femminismo-movimento”, tra ”rivoluzione della conoscenza” ; “rivoluzione della realtà sociale” (Perilli). Colette  Guillaumin definisce le analisi delle pensatrici del gruppo (Christine Delphy, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig ) come una “rimessa in questione delle ‘evidenze’, forma sacralizzata dell’ideologia” con riferimento al sesso e alla razza che dicotomizzano lo spazio sociale. Rivisitando il pensiero marxista, analizzano l’intreccio tra rapporti materiali e di senso nelle relazioni di dominio da cui nasce la naturalizzazione che s’iscrive efficacemente nei corpi, nel linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali. In realtà   il sesso e la razza non emergono come un dato, un’essenza, ma come un marchio (l’equivalente del feticcio marxiano) che nasconde e cristallizza i presistenti rapporti di dominio e sfruttamento. Le curatrici intendono con questo libro colmare il vuoto esistente in Italia su tali autrici,come evidenzia la bibliografia allegata,  e dar conto di un paradigma che da dieci anni dialoga con una nuova generazione di femministe, nell’intreccio con il Black Feminism, gli studi gay e lesbici, l’approccio queer e gli studi postcoloniali. Allo scopo offrono articoli inediti in italiano con brevi introduzioni: dal saggio di Di Cori sull’invenzione statunitense del French Feminism alla riflessione sul genere di Delphy, dall’antropologia materialista di Mathieu alla costruzione sociale della disuguaglianza tra i sessi di Tabet; fino al linguaggio fatto di “parole che ti uccidono”  in quanto veicola l’ordine straight (intreccio delle nozioni di normalità, rettitudine, ordine e eterosessualità) del pensiero per Wittig. Interessante in particolare appare Guillaumin per la sua critica al  concetto di differenza perché nasconde l’ideale secondo cui “tutti appartengono allo stesso universo, ma in termini di differenti forme dell’essere, per sempre fissate”, perciò mette in guardia di fronte alla sostanziale ambiguità del “diritto alla differenza culturale” (1980). Già nel 1972, come sottolinea Siebert,  anticipa sia alcune impostazioni postcoloniali considerando l’ideologia razzista “una organizzazione percettiva della individuazione del simile e del differente”, lo “stato cristallizzato di un immaginario”, sia altre tematiche cruciali, quali  i dibattiti tra posizioni femministe bianche/occidentali e posizioni postcoloniali, tra femminismo del privilegio e femminismo della “classe delle donne”: negli odierni processi le conquiste dell’emancipazioni femminile nei paesi ricchi sono state pagate con lo sfruttamento delle immigrate e Guillaumin può aiutare; a riflettere ulteriormente sull’uso politico del concetto di differenza nei movimenti delle donne, nella tensione fra liberazione individuale e liberazione collettiva per focalizzare la coscienza di classe. Mathieu, evidenzia Ribeiro Corossacz,; ha studiato le donne come una comunità di oppressione attraversata da altre forme di gerarchizzazione (la classe, l’etnia, la sessualità…) e socialmente percepita come “un gruppo naturale specifico”. Sottolinea, come Tabet, la vocazione comparativa dell’antropologa per allargare il senso delle possibilità umane illustrando modi diversi “per ciò che riguarda la categoria sociologica di sesso e i rapporti tra i sessi”. Fin dai primi anni Novanta ha criticato però le correnti queer del femminismo, in particolare Butler, per il rischio che nascondino le condizioni materiali oggettive dei rapporti di oppressione delle donne e  non  indaghino le possibilità di agire dei soggetti sessualmente minoritari. Verrebbe cioè lasciata in secondo piano l’organizzazione del sesso sociale che continua a poggiare sull’oppressione, privilegiando gli aspetti simbolici, discorsivi e periodici del genere a scapito della realtà materiale e storica. Se ogni rottura epistemologica richiede un vocabolario nuovo ,e, come invita Wittig, occorre passare al vaglio ciascuna parola, “scuotere il linguaggio nel caleidoscopio del mondo, e, nella misura in cui lo si scuote, operare rivoluzioni nella coscienza” (1992), questo libro stimola a riflettere anche oggi su teoria, parole, esperienze, contribuendo a creare “i germi” di una “rivoluzione cognitiva, ovvero politica”, per non dimenticare mai i rapporti materiali che sottendono qualsiasi problematica (Clotilde Barbarulli, LetterateMagazine, n. 94, 2014).

lunedì 13 gennaio 2014

Non si nasce donna al Maurice

Segnaliamo con gioia che l'ultimo Quaderno Viola, Non si nasce donna. Percorsi, testi e contesti del femminismo materialista in Francia, sarà prossimamente presentato al Circolo Maurice glbtq di Torino con Cristian Lo Iacono, Liliana Ellena, Sara Garbagnoli e Silvia Nugara. Per maggiori info sull'incontro rinvio al sito del Maurice, mentre per riflessioni sul volume alle recensioni di Alessandra Pigliaru, Silvia Nugara e Paola Guazzo. Segnalo infine che sulla rivista online InGenere potete leggere un estratto della lezione inaugurale di Joan W. Scott al VI congresso della Società Italiana delle Storiche , pubblicata in Non si nasce donna nella traduzione di Sara Farris (il testo completo è ora incluso nella raccolta di scritti di e su Joan W. Scott, Genere, politica, storia, pubblicata lo scorso anno da Viella a cura di Paola Di Cori)

domenica 5 gennaio 2014

Mfla / Un regalo per il nuovo anno

L'ultimo post di Marginalia del 2013 è stato un invito a regalare un abbonamento a Zapruder a Natale (e grazie infinite a quante/i lo hanno fatto, contribuendo in questa maniera a portare avanti un progetto interamente autofinanziato dal quale coloro che ci lavorano non traggono alcun profitto se non uno spazio di espressione autonoma), quindi mi sembra carino cominciare il nuovo anno segnalando la pagina "materiali" del Mfla, un "regalo" graditissimo che mi/ci permette di inaugurare il 2014 all'insegna della condivisione. Molto spesso quanto facciamo/scriviamo/produciamo non ha la visibilità, circolazione e/o facilità di reperimento che meriterebbe, con il risultato paradossale che a volte anche "tra noi" non sappiamo dell'esistenza di molti di questi materiali. Personalmente, ad esempio, ignoravo la traduzione del 2003 (a cura di Daria) di Non si nasce donna di Monique Wittig e che per questo motivo non risulta nella bibliografia dell'ultimo dei Quaderni Viola dedicato al femminismo materialista francese (Delphy, Guillaumin, Mathieu, Wittig, Tabet) che ho recentemente co-curato con Sara Garbagnoli. Quindi grazie ancora alle infaticabili redattrici del Mfla e buon inizio anno a tuttE

lunedì 11 novembre 2013

Non si nasce donna al Mfla

Nello spazio approfondimenti della trasmissione radiofonica del martedì di Mfla, presentazione dell'ultimo dei Quaderni Viola, Non si nasce donna. Percorsi, testi e contesti del femminismo materialista in Francia(Alegre, 2013), al quale il Mfla aveva già dedicato uno spazio a maggio nella rubrica Fatti e misfatti. Palinsesto dettagliato di questa nuova puntata qui. Buon ascolto a tutte/i! // (Alcuni) articoli correlati in Marginalia: Audre Lorde e Adrienne Rich su Mfla, Non si nasce donna / Una recensione di Paola Guazzo, Le potenzialità e l'abuso di un passepartout nato per scardinare le discipline del sapere, Non si nasce donna / Una recensione su Iaph Italia, Femministe di tutto il mondo unitevi (ai microfoni del Mfla).

venerdì 25 ottobre 2013

Non si nasce donna / Una recensione di Paola Guazzo

Dopo le recensioni a Non si nasce donna (Alegre, 2013) di Silvia Nugara per Iaph Italia e Alessandra Pigliaru per Il Manifesto, ripubblichiamo ora la recensione  di Paola Guazzo (che ringraziamo infinitamente) comparsa qualche giorno fa sul suo Guazzington Post. Buona lettura! // Finalmente esce un libro di sintesi su un fenomeno consistente e relativamente poco conosciuto in Italia: il femminismo materialista francese, che va alle radici del celebre assunto di De Beauvoir ( “non si nasce donna”) per dirci che “la donnità è una costruzione storica e sociale” (p.6), mettendo in questione “le evidenze, questa forma sacralizzata dell'ideologia” (p.8). Elaboratosi a partire dalla creazione della rivista “Qf” (“Questions Féministes”) nel 1977, il femminismo materialista francese è innanzitutto un potente strumento di indagine e messa in questione di un ordine sociale che “naturalizza” le proprie gerarchie di potere; sesso, razza e sessualità vengono considerate fatti naturali, non fatti sociali, e pertanto fissate in “evidenze” immutabili. Per contro: “Lo studiare i modi con cui i rapporti sociali diventano talmente solidi da sembrare naturali permette di iscriverli nella storia, aprendo, in tal modo, uno spazio di possibilità perché le cose possano essere altrimenti” (p.9). Il femminismo materialista francese è stato poco seguito, o comunque sottovalutato nella sua portata euristica, in Italia. Sono pochi i testi tradotti e conosciuti nel nostro paese, dove si è passate direttamente da un femminismo della “differenza”, ispirato da Luce Irigaray – ed anche, in una prima fase, da assidui scambi con il gruppo francese di “Psyc et Po”, con il quale le femministe di Qf furono in polemica implicita ed esplicita - ad una queer theory incarnata dal costruzionismo (lacaniano) di Judith Butler e dal costruzionismo (freudiano) di Teresa de Lauretis. Un trionfo psicoanalitico, sia nella versione essenzialista che in quella costruzionista. Gli scritti delle teoriche francesi presentate dal libro di Garbagnoli e Perilli, per contro, sono quasi tutti svolti nell'ambito di ricerche antropologiche, accademiche e non (penso all'eccezione-Wittig, che è scrittrice, lavora sul linguaggio, è una sorta di “battitrice libera”, come sarà poi Michèle Causse; due lesbiche dichiarate, sia detto non en passant). Un'analisi comparata dei concetti antropologici e psicoanalitici di “cultura” utilizzati nei feminist studies di varie tendenze sarebbe utile? Lascio la questione aperta. Non si nasce donna presenta in apertura il denso saggio di Paola Di Cori, French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak, Appunti, che chiarisce fra l'altro alcuni aspetti della diffusione del pensiero della Holy Trinity (Irigaray, Cixous, Kristeva) negli Stati Uniti fra anni 70 e 80, demistificandone la portata alternativa e anche femminista. Vengono poi presentate opere e teoria del femminismo materialista francese, seguendone le incarnazioni soggettive e presentando per ognuna un significativo essay. Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig sono sapientemente introdotte, da studiose-militanti ad esse vicine, nella loro portata epistemologica ed anche “umana” ( e qui il termine universalistico-maschile andrebbe ovviamente sostituito, in un linguaggio che non c'è ancora e che Wittig ha cercato di inventare). Non è stato insignificante, per me, questo stile di Non si nasce donna, che dice (anche) dell'ironia di Nicole-Claude Mathieu e del post-sessantotto, fra viaggi e tentativo di vita in una comune, di Paola Tabet, per citare solo le prime due tranches de vie che mi vengono in mente. Non si nasce donna è un'esperienza forte e liberatoria, come può esserlo solo l'analisi materialistica di un'oppressione che giace, profondamente radicata e difficile da estirpare, nella stessa definizione di “donna”, nonché in linguaggi, forme di vita, poteri e strutture economiche ad essa connessi. Mi ricollego, infine, alle parole delle curatrici: “ Il volume aspira ad essere uno strumento di introduzione ad un approccio che, iscrivendo nell'immanenza della politica ciò che l'ordine sociale produce come “natura”, ha contribuito a creare i germi di una vera e propria rivoluzione cognitiva, ovvero politica” (p.11)

lunedì 21 ottobre 2013

Seminario di ricerca etno-antropologica / Paola Tabet

Domani pomeriggio, all'interno del seminario di ricerca etno-antropologica dell'Università di Modena e Reggio Emilia (qui il programma completo), Valeria Ribeiro Corossacz terrà una lezione su Paola Tabet. Già docente di antropologia all'Università di Siena e all’Università della Calabria, Tabet si è occupata di tradizioni popolari – C'era una volta (1978) – e di razzismo – La pelle giusta (1997), ma tema centrale della sua ricerca è, dal 1975, la costruzione sociale dei rapporti tra i sessi. Tra i suoi volumi ricordiamo La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps (1998) e La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico (2004). Recentemente uno dei saggi contenuti in La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps è stato tradotto in Non si nasce donna, con un'introduzione di Gabriella Da Re. Una sua raccolta di saggi è in via di pubblicazione

sabato 19 ottobre 2013

Introduzione agli studi di genere e queer

Scrivere e continuare a fare ricerca precariamente e ai margini (o al di fuori) dei circuiti (accademici e non) di produzione dei saperi non è facile, come ben sappiamo in molte/i. Parimenti quello che, con molta fatica, riusciamo a produrre resta spesso poco visibile, fuori dai grandi circuiti della distribuzione e quindi letto e discusso da poche/i. Anche per questo ci ha fatto un piacere enorme trovare, insieme ad altri volumi, il "nostro" Non si nasce donna (Alegre, 2013) nella bibliografia del Laboratorio di introduzione agli studi di genere e queer di Marco Pustianaz al Dipartimento di Studi Umanistici di Vercelli (qui il programma). Approfittiamo di questo post per segnalare a quante/i hanno difficoltà a reperire il libro che questo può essere acquistato direttamente dall'editore, presso il quale tra l'altro in questi giorni, e fino al 27 ottobre, è possibile usufruire dello sconto del 40%. Per info cliccare qui.

domenica 1 settembre 2013

Non si nasce donna / Una recensione su Iaph Italia

Di seguito la recensione all'ultimo volume dei Quaderni Viola sul femminismo materialista francese, Non si nasce donna, scritta da Silvia Nugara, che ringraziamo, per Iaph Italia. Buona lettura! // La nuova serie della collana Quaderni Viola edita da Alegre si propone di mettere a disposizione “delle donne che desiderano fare politica per le donne” - così in quarta - materiali per conoscere la storia e l’attualità delle riflessioni femministe attraverso dossier monotematici. Dopo aver riflettuto su lavoro (Lavorare stanca, 2008), razzismo e sessismo (La Straniera, 2009), lesbismo (Orgoglio e pregiudizio, 2010) e lotta sindacale nella crisi (Sebben che siamo donne, 2011), questo quinto volume è dedicato non a un tema ma a un filone di pensiero: il femminismo materialista francese. Con questa denominazione si fa riferimento a un gruppo di teoriche il cui lavoro, al di là dei diversi problemi esplorati e degli apparati concettuali elaborati da ciascuna, si è impegnato a restituire la dimensione culturale, storica e ideologica delle divisioni dicotomiche e gerarchiche attraverso cui sono organizzati sesso (uomo/donna), sessualità (etero/omo) e razza (bianchi/neri; noi/loro). Come testimonia il titolo del libro, tale impresa anti-essenzialista si staglia sullo sfondo dell’“affermazione più sovversiva e liberatoria dei discorsi femministi” (Introduzione, p. 6) enunciata da Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso: “non si nasce donna”. Dopo un’articolata ma sintetica sezione introduttiva, il volume è strutturato in cinque parti, ognuna dedicata a una figura di rilievo del gruppo raccoltosi attorno alla rivista Questions féministes a partire dal 1977: Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig. Le curatrici hanno scelto di dare voce alle stesse autrici pubblicando di ognuna un articolo rappresentativo (inedito in italiano) preceduto da un saggio di inquadramento teorico (di Perilli su Delphy; di Renate Siebert su Guillaumin; di Valeria Ribero Corossacz su Mathieu; di Gabriella Da Re su Tabet e di Garbagnoli su Wittig) e seguito da una breve scheda bio-bibliografica. Come spiegano Garbagnoli e Perilli nell’apertura intitolata Non si nasce (donna). La denaturalizzazione come “questione femminista (pp. 8-11), il materialismo di queste pensatrici va ben oltre l’accezione marxiana e prende a oggetto dell’analisi la compenetrazione tra rapporti materiali e di senso nelle relazioni di dominio che fa sì che la loro naturalizzazione, operante attraverso l’iscrizione nei corpi, nel linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali delle gerarchie sociali, sia tanto efficace. Il materialismo di queste femministe produce, in tal modo, la comprensione del rovesciamento da causa a effetto attraverso cui operano le diverse forme di oppressione. Ciò che è socialmente appreso come origine dell’oppressione (la forma di un sesso, il colore della pelle, e così via) ne è, in realtà, l’effetto: il “sesso” (la “razza”) non è un dato, un’essenza, una proprietà inerente ai soggetti che ne esprimerebbe la natura, ma un marchio – feticcio marxiano – socialmente pertinente ed efficace perché cristallizza, nascondendoli, presistenti [sic] rapporti di dominazione e sfruttamento (p. 9). Questo libro costituisce quindi un importante invito alla lettura di pensatrici francesi da noi ancora poco tradotte e studiate (per esempio, tra tutte solo Monique Wittig figura nell’antologia Le filosofie femministe di Cavarero e Restaino). In Italia, infatti, il ruolo di maggior rilievo è stato giocato dal femminismo della differenza e, per quanto riguarda il pensiero transalpino, tanto da Psychanalyse et Politique con cui le materialiste erano in polemica, quanto dalla triade Kristeva-Irigaray-Cixous tramite una triangolazione con gli Stati Uniti e quel French Feminism di cui Paola Di Cori ricostruisce in modo avvincente la parabola intellettuale nel saggio French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak. Appunti (pp. 13-20). La riflessione materialista si articola in modo dinamico ed evolutivo lungo tutti gli assi portanti del femminismo dagli anni Settanta a oggi: il rapporto tra lotta di classe e lotta contro il patriarcato (si pensi alle analisi di Christine Delphy ne L’ennemi principal); le relazioni tra biologia, cultura e soggettività e quindi la diade sesso-genere; le relazioni razzismo-sessismo-classismo prima che emergesse il concetto di “intersezionalità” (si vedano in particolare i lavori di Colette Guillaumin a partire da L’Idéologie raciste del 1972 e di Paola Tabet); la violenza contro le donne (Delphy e Nicole-Claude Mathieu); il lesbismo (particolarmente creativi e pugnaci sono gli scritti letterari e teorici di Monique Wittig) e l’analisi politica dell’eterosessualità (su cui la redazione di QF si divise dando luogo nel 1981 a Nouvelles Questions Féministes); la riproduzione come lavoro nell’economia capitalista globale (l’antropologia di Paola Tabet); gli aspetti problematici delle pratiche politiche identitarie e della nozione di differenza ma anche di approcci post-identitari come il queer (Nicole-Claude Mathieu). L’impresa denaturalizzatrice di queste teoriche costituisce una rottura epistemologica che ha richiesto l’elaborazione di nuove griglie concettuali attraverso cui leggere – ma soprattutto immaginare (“spensare” dice Guillaumin) – la realtà perché, come spiega Delphy nel suo saggio del 2001, qui riproposto, Pensare il genere: problemi e resistenze: per conoscere la realtà, e dunque per eventualmente cambiarla, bisogna abbandonare le proprie certezze e accettare l’angoscia, temporanea, di una accresciuta incertezza sul mondo; […] il coraggio d’affrontare l’ignoto è la condizione dell’immaginazione e la capacità di immaginare un mondo altro è un elemento essenziale dell’approccio scientifico: essa è indispensabile all’analisi del presente (p. 29). Da ciò deriva l’elaborazione di ottiche d’analisi nuove. Per esempio, Maria Gabriella Da Re ricostruisce come Paola Tabet in Les mains, les outils, les armes, del 1979, analizzi la divisione sessuale del lavoro non domandandosi “chi fa che cosa” ma “chi fa con che cosa” mettendo perciò in luce non tanto le classiche “limitazioni naturali delle donne” quanto piuttosto il loro “sottoequipaggiamento”. Le rotture epistemologiche richiedono anche un vocabolario nuovo, ragione per cui il materialismo francese è anche una fucina di innovazioni terminologiche mai accessorie: Christine Delphy abbandona il concetto statico ed essenzialista di “condizione della donna” in favore della più esplicita nozione di “oppressione”; Colette Guillaumin elabora la distinzione tra ”razzismo autoreferenziale” e “razzismo eteroreferenziale”; Nicole-Claude Mathieu parla di “sesso sociale” e Guillaumin di “sexage”; Paola Tabet concepisce l’idea di “scambio sessuo-economico” e Monique Wittig fa del linguaggio un terreno di elezione per immaginare e costruire quell’utopia androgina per cui lavorò tutta la vita. Se la riflessione su natura e cultura, su sesso e genere, su genere e non genere attraversa tutti i testi qui raccolti, particolarmente interessante risulta la scelta delle curatrici di proporre in appendice il saggio della storica francesista americana Joan Scott intitolato Genere: usi e abusi (pp. 159-166) che insiste sulla dimensione evolutiva della nozione di genere e riprende in gran parte la lectio tenuta a Padova nel febbraio 2013 al VI congresso della Società Italiana delle Storiche. Per concludere, di questo Quaderno Viola non inganni l’agile formato: si tratta di un volume denso e ricchissimo, un compendio di cui si sentiva la necessità e forse per questo è stato tradotto un po’ troppo di corsa, corredato da una bibliografia indispensabile per l’approfondimento. I saggi introduttivi e gli articoli antologizzati lasciano infatti a chi legge la voglia di consultare analisi di più ampio respiro in cui trovi spazio non solo il pensiero ma anche l’esperienza, dimensione fondamentale proprio di quel Secondo Sesso sotto il cui segno questo lavoro si iscrive //

sabato 17 agosto 2013

Le potenzialità e l'abuso di un passepartout nato per scardinare le discipline del sapere

Nell'edizione de Il Manifesto del 14 agosto Alessandra Pigliaru, che ringraziamo ancora, ha dedicato una puntuale recensione a due saggi "sull'uso e la critica del concetto di genere". Si tratta della raccolta di scritti di Joan W. Scott recentemente pubblicata da Viella - di cui avevamo ri-parlato solo qualche giorno fa - e del nuovo Quaderno Viola curato da Sara Garbagnoli e dalla sottoscritta sul femminismo materialista francese, Non si nasce donna. Di seguto la recensione, buona lettura // «Coloro che si propongono di codificare i significati delle parole combattono una battaglia perduta, poiché le parole, così come le idee e le cose che sono chiamate a esprimere, hanno una storia». Così Joan W. Scott, nel 1985 a New York, apriva il suo intervento al convegno dell'American Historical Association. La parola a cui si riferisce viene svelata dal titolo della comunicazione: Il «genere»: un'utile categoria di analisi storica. Docente a Princeton e impegnata in prima linea nel rinnovamento delle discipline storiche e degli studi delle donne, Scott è stata poco tradotta in Italia seppure la sua ricezione sia stata fondamentale per gli studi di genere. Dobbiamo ringraziare Ida Fazio che ne ricostruisce gli interventi sul tema per comporre un volume importante e rigoroso. Si intitola Genere, politica, storia (Viella, pp. 320, euro 28) e oltre i quattro importanti scritti di Joan W. Scott - discussi e redatti dal 1985 al 2013 - raccoglie i saggi di Maria Bucur, Dyan Elliott, Gail Hershatter, Joanne Meyerowitz, Heidi Tinsman e Wang Zheng, storiche di diverse aree geografiche, intervenute nel 2008 al Forum dell'«American Historical Review». Il volume, con una generosa postfazione di Paola Di Cori, è uno strumento prezioso per avere un'idea chiara di quanto il percorso di Joan Scott sia stato rilevante e quale sia il punto nell'assimilazione del genere in capo agli studi storici. Il genere, costruzione sociale che offre interessanti possibilità analitiche ed epistemologiche, ha avuto infatti un destino e una diffusione importanti proprio grazie alle riflessioni di Scott e di altre studiose, in prevalenza storiche, che dalla metà degli anni Ottanta in poi hanno contribuito sensibilmente alla ricerca dentro e fuori l'Accademia. Le diffidenze iniziali a considerare il genere come un'efficace categoria storica e politica - in quel pericolo ravvisato dalla confusione e dal depotenziamento della storia delle donne mutata in storia di genere - è stata l'occasione di mettere a tema numerose questioni, insieme alla interlocuzione potente delle posizioni Lgbqt e della critica queer. Il punto di vista generazionale e la possibilità di dialogo con i diversi approcci, sono gli elementi che hanno portato in Italia più di una riflessione dialogante sul genere. In questo scenario, il lavoro della Società Italiana delle Storiche ha molto influito sullo stato del dibattito. Certo che le analisi risentono del contesto socio-culturale in cui attecchiscono; così negli Stati Uniti si è radicalizzata la difficoltà tra storia delle donne e storia di genere, mentre in Europa la relazione tra i due orientamenti tende ad essere meno marcata. Ciò che Scott mostra riguardo l'utilità del genere come categoria storica è la consapevolezza della sua valenza critica, ma non è tutto. Mostra infatti magistralmente la genesi del concetto e tutte le relative declinazioni; riconosce inoltre la pericolosità del suo abuso. L'attenzione al lavoro sul genere, come costruzione storico-sociale che dunque non può essere né naturalizzata né ricacciata in un antagonismo acritico e dicotomico tra donne e uomini, proviene anche dal recente volume curato da Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli dal titolo eloquente Non si nasce donna (Edizioni Alegre, pp. 187, euro 5). Il solco scandagliato non è quello di matrice statunitense bensì, come recita il sottotitolo, attiene ai percorsi, testi e contesti del femminismo materialista in Francia. Eppure non a caso, in questo intenso progetto editoriale, uno dei saggi tradotti è proprio il più recente di Scott relativo all'uso e all'abuso della categoria di genere. Inserirne la riflessione accanto a quelle di femministe materialiste quali Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig, ha una sua ragionevolezza politica. Le prime quattro, ancora viventi, sono entrate in relazione con Garbagnoli e Perilli acconsentendo non solo alla pubblicazione di alcuni loro saggi all'interno del volume ma sostenendole - seppure in lontananza - nell'intero progetto.Si parte dai punti di comunanza riguardo ai concetti di denaturalizzazione e storicizzazione: nonostante le evidenti influenze marxiste (di cui si avverte la consonanza linguistica per esempio nel concetto di classe), psicoanalitiche e quelle relative alle teorie delle rivolte anticoloniali, il materialismo che riecheggia in questo tipo di femminismo prevede un netto allontanamento dal determinismo biologico e dalla trappola della scissione tra attivismo e teoria. Così dalla fine degli anni Settanta in Francia, la riflessione femminista si intreccia con la desacralizzazione delle apparenti evidenze di genere, sesso e razza. Fino a quel momento pensate «come fossero invarianti sociali, dati di natura», vengono ripensate e ridiscusse nel contesto socio-politico della radicalità femminista francese. La fucina delle idee prende avvio nell'alveo di due riviste, prima Questions Féministes (diretta da Simone de Beauvoir) e dopo qualche anno Nouvelle Questions Féministes che radunarono attorno alle rispettive redazioni alcune tra le personalità di spicco dell'attivismo politico e teorico del femminismo materialista. I testi presenti nel volume, quasi tutti inediti in Italia e introdotti finemente dalle stesse curatrici e da Renate Siebert, Valeria Ribeiro Corossacz, Maria Gabriella Da Re e Sara R. Farris, ci consegnano le principali questioni dibattute sul contrasto circa le varie forme di oppressione e dominazione insieme allo statuto delle soggettività minoritarie e allo studio dei processi di alterizzazione. In questo senso, si introducono numerosi elementi di novità del dibattito femminista per andare a comporre la plurale cartografia in divenire degli approcci antinaturalisti - seppure con alcuni distinguo per esempio rispetto a Butler. Dare voce ad altre esperienze di lotta e teoria politica diventa così una possibilità importante di conoscenza e apertura nel presente.

venerdì 5 luglio 2013

Donne di tutti i gusti, anche di colore

Ispirata da un altro blog tempo fa avevo pubblicato Marginalia e le sue tag, ovvero un elenco di quelle parole o frasi che digitate nei motori di ricerca  conducono perfetti/e sconosciuti/e in un determinato sito/blog, nel caso specifico in Marginalia. Il risultato mi era sembrato allora "decisamente straniante e un po' inquietante". A più di un anno di distanza il monitoraggio delle tag, a partire dalla frase che da il titolo a questo post, non si discosta molto da quel primo risultato. Giudicate voi (anche stavolta lista ricopiata con errori inclusi): Sophia Loren stripping, tecniche bondage, Mona Hatoum, "différentialisme", femministe di parola, Magritte il barbaro, Angela Davis, razzismo antimeridionale, la Venchi fa schiavismo?, donne assassine erotiche, Vincenza Perilli curriculum, cartoline razziste Italia, Combahee essenzialismo, Duchamp in italiano, La pelle giusta riassunto, che genere di concorso?, cinque anarchici del Sud, Teresa De Lauretis, Vincenza Perilli Elsa Dorlen, donne islamiche, prostitute lager nazisti, il corpo della donna durante colonizzazione, colonialismo italiano, sex french soeur et frere, intersezionalità, musulmane rivelate commenti, Achille Mbenbe su Fanon, kill Barbie, anniversario 17 febbraio, il clitoride in castità, trama la pelle giusta Paola Tabet, donne meridionali unità d'Italia, intersezionalità riassunto, Vincenza Perilli analogia sessismo razzismo, il frutto proibito di Magritte, barbie pazze, trans nere, donne fighe, la grande migrazione, Luisa ermafrodita, globalizzazione e poligamia, colonialismo italiano riassunto, Barbie caffè, la difesa della razza, giochi sessisti per bambine, Black Piet cosa significa?, Femminsite a parole, Santanché razzista, Barbie nera, separatismo femminista, Duchamp rrose selavy, closed, Angela Davis gambe, corpi senza frontiere, Tripoli bel suol d'amore, femminismo italiano riassunto, Sofia Loren si toglie la calza, il sesso come problema politico, donne di tutti i gusti anche di colore, partigiani sempre, stranieri ovunque ...