Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa, è l'ultimo libro di Annamaria Rivera che analizza il fenomeno delle auto-immolazioni pubbliche e di protesta, riconducendolo nell’ambito del conflitto sociale,senza fare "un elogio del suicidio tra le fiamme”, ma bensì augurandosi che questo serva infine a “rendere esplicito il conflitto” e “organizzarlo in forme tali che esso possa fare a meno di corpi che ardono nelle piazze” (pag. 180). Su questo auspicio si chiude anche la recensione del volume di Gianluca Paciucci alla quale rinviamo per una puntuale lettura del testo
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mercoledì 21 novembre 2012
domenica 5 agosto 2012
mercoledì 7 marzo 2012
Femminismi nel Mediterraneo / Genesis Call for Paper
Genesis, la rivista della Società Italiana delle Storiche, come sviluppo del seminario tenutosi a Bologna il 14 dicembre 2011, Femminismi nel Mediterraneo, invita a presentare contributi per un numero monografico su questo tema. Specificamente, ci si propone di riflettere su approcci storiografici, categorie, teorie, strategie politiche con riferimento alle diverse realtà culturali dei paesi rivieraschi dell’Europa, dell’Africa del Nord, dei Balcani e del Medio Oriente, in epoca moderna e contemporanea.Il Mediterraneo, nel continuo peregrinare da una riva all’altra si rivela come crocevia di esperienze culturali, sociali e religiose, in conversazioni con ambiti culturali di matrice diversa, permettendo non solo l’assimilazione ma anche la rielaborazione di concetti che mostrano una realtà in fermento e in continua evoluzione. Ed è proprio nel laboratorio vivente del Mediterraneo che rintracciamo una ri-definizione plurale del femminismo. Gli studi, tra gli altri, di Margot Badran sull’Egitto (1995), di Mounira Charrad (2001) e Zakia Daoud (1994) sui paesi del Maghreb, di Julie Peteet sulla Palestina (1991) hanno contribuito alla decostruzione dell’idea di una presunta omogeneità all’interno del mondo “arabo-islamico”, dimostrando che le vicende politiche dei singoli paesi hanno influito profondamente sulle relazioni di genere, producendo esiti diversi. La necessità di trascendere i confini nazionali e ri-scrivere la storia dei movimenti femministi è parte integrante della riflessione storiografica contemporanea, come si evince dai lavori di Leila Rupp (1997), Edith Saurer, Margareth Lanzinger, Elysabeth Frysak (2006), Bonnie Smith (2000, 2005 e 2008), anche se il mondo francofono rispetto all’adozione di una prospettiva mediterranea per la storia del femminismo si rivela più ricettivo, come si evince dagli studi di Séverine Rey, Hélène Martin, Elisabeth Bäschlin, Ghaïss Jasser (2008) e Belkacem Benzenine (2011). Partendo da una storiografia consolidata, ci si chiede: quali sono le modalità con cui i movimenti femministi si sono rivelati nell’incontro con le altre componenti, comprese quelle femminili, delle società in questione? Dopo una lunga stagione in cui il femminismo si è definito prevalentemente dentro cornici ideologiche secolari, da cosa scaturisce e che esiti produce la riappropriazione del tema religioso? Come i femminismi del Mediterraneo, con le loro specificità culturali, interrogano il “femminismo taglia unica” o “féminisme pret à porter” (Fawzia Zouari, 2001) e i postulati del mondo occidentale su modernità, progresso, democrazia e uguaglianza? Esistono esperienze storiche che denotino lo spazio Mediterraneo, costruitosi nell’alternanza tra identità e differenze, continuità e fratture, quale luogo in cui i temi universali del femminismo sono stati declinati in conformità con le specificità culturali? Se studiata attraverso una prospettiva di genere quali rapporti di potere, sistemi di rappresentazione, meccanismi di esclusione si rivelano nella storia del Mediterraneo? Infine, quale visione di "spazio Mediterraneo" emerge dalle storiografie e dai movimenti femministi? Per maggiori info e le modalità/tempi di invio degli abstract rinviamo al sito della Sis.
mercoledì 25 gennaio 2012
Dalla rivoluzione tunisina alla Fortezza Europa: storie di migranti e di gendarmi
Domani a Milano, in Cox18, proiezione del film documentario di Matteo Calore e Stefano Collizzolli – Zalab, in cui alcuni migranti tunisini, giunti in Italia dopo la rivoluzione e la fine del regime di Ben Alì, raccontano in prima persona la loro storia, I nostri anni migliori. Durante la serata - alla quale parteciperanno Matteo Calore, Fethi Oueslati, Federica Sossi, Oujedane Mejri e Omeyya Seddik -, verrà anche (ri)presentato l’appello per i migranti tunisini dispersi ((نداء من أجل التونسيين المهاجرين المفقودين/Appel pour les migrants tunisiens disparus/Petition for missing Tunisian migrants),promosso da Storie Migranti e sostenuto attivamente in questi mesi dal collettivo Venticinqueundici e dall'associazione Pontes con la campagna Da una sponda all'altra: vite che contano. Sulle ragioni dell'appello - che anche Marginalia ha sottoscritto e pubblicato lo scorso novembre -, rinviamo alla recente trasmissione di approfondimento del Mfla e all'articolo di Annamaria Rivera pubblicato qualche giorno fa su Il Manifesto, I migranti scomparsi e il silenzio delle istituzioni.
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sabato 7 gennaio 2012
Da una sponda all'altra : vite che contano
Dalle Venticinqueundici segnalazione di un'iniziativa che prosegue la campagna /appello che vi avevamo segnalato mesi fa per i migranti tunisini dispersi (نداء من أجل التونسيين المهاجرين المفقودين/Appel pour les migrants tunisiens disparus/Petition for missing Tunisian migrants), Da una sponda all'altra: vite che contano.
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domenica 1 gennaio 2012
Donne e genere nel contesto coloniale / Femmes et genre en contexte colonial / Women and gender in a colonial context
Il convegno internazionale Femmes et genre en contexte colonial che si svolgerà a Parigi dal 19 al 21 gennaio (per il programma dettagliato rinviamo al sito del Centre d’histoire de Sciences Po), presenterà le relazioni di circa settanta ricercatrici/ricercatori provenienti da 17 differenti paesi che cercheranno di restituire la ricchezza delle interazioni tra storia delle donne, genere e colonialismo, per far emergere tratti comuni e specificità delle vicende coloniali europee, così come le ambivalenze, le contraddizioni, le tensioni, le fratture inerenti questo processo.
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martedì 13 dicembre 2011
Femminismi nel mediterraneo
All'interno del seminario permanente sui femminismi globali - che intende "mettere al centro della riflessione i sistemi di pensiero, le pratiche e le reti di relazione dei femminismi nelle loro varie declinazioni storiche e geografiche" -, la Società Italiana delle Storiche in collaborazione con la Società Italiana per lo Studio della Storia Contemporanea e l'Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, organizza la giornata seminariale Femminismi nel mediterraneo, con interventi - tra le altre - di Raffaella Baritono, Renata Pepicelli, Leila El-Houssi e Anna Vanzan. Per maggiori info rinviamo al programma dettagliato nel sito della Sis.
sabato 19 marzo 2011
Annassîm nel paese delle donne
Con un po' di ritardo (ma non potete immaginare quante cose da pubblicare abbiamo ancora nella nostra "lista d'attesa" ...) vi segnaliamo, sul sito de Il Paese delle donne, il report della giornata No hagra! No tirannia! organizzata da Annassîm. Donne native e migranti delle due sponde del mediterraneo, lo scorso otto marzo. L'urgenza di continuare a riflettere su quanto sta succedendo nei paesi a sud del mediterraneo, sul ruolo delle donne nelle rivolte in corso, così come sugli interessi e responsabilità che ha anche il nostro paese sulla situazione in Medio Oriente e Nord Africa, si fa sempre più urgente. Soprattutto allarmante è il quadro che si sta delineando in Libia, con un intervento militare che sembra imminente (rinviamo ad alcuni dei materiali/iniziative che ci sono state segnalate nelle ultime ore, dall'appello di Angelo del Boca e altri, al comunicato Nessuna complicità con l'intervento militare, alle cronache dalla Libia di Fortress Europe).
(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Dal Medio Oriente al Nord Africa fino all'Italia
Voci di donne dalle rivolte, uteri per la patria e guerre umanitarie
E' l'Italia mercenaria che spara sulla folla in Libia
Muammar Gheddafi, Silvio berlusconi e l'Italietta postcoloniale
"Clandestini": licenza d'uccidere
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domenica 13 marzo 2011
No all'islamofobia in nome del femminismo / Islamophobie au nom du féminisme : non !
Marine Le Pen - alla quale lo scorso gennaio suo padre, Jean-Marie Le Pen, ha lasciato la presidenza del Front National, il partito di estrema destra francese -, sembra confermare in maniera sinistra il proverbio "buon sangue non mente" ed insieme la capacità della destra di modificarsi per meglio adattarsi ai tempi. La frase con la quale Marine Le Pen paragonava, in un discorso tenuto a Lyon il 10 dicembre 2010, la presenza di musulmani raccolti in preghiera sulle vie pubbliche in Francia all'occupazione nazista durante la II guerra mondiale, segnava una mutazione rispetto all'affermazione paterna di qualche anno prima in cui si giudicava l'occupazione nazista "pas si inhumaine que cela". La destra lepeniana sembra abbandonare l'eredità del collaborazionismo: il riferimento all'"occupazione" cambia di segno, se non per condannare l'occupazione nazista sicuramente per meglio stigmatizzare l'Islam. Rivelatrice un'altra frase pronunciata da Le Pen figlia nello stesso discorso: "Dans certains quartiers, il ne fait pas bon être femme, ni homosexuel, ni juif, ni même français ou blanc" ("In certi quartieri, non è bene essere donna, nè omosessuale, nè ebreo, come anche francese o bianco", dove per "certi quartieri" si intendono le banlieues, abitate per la maggior parte da una popolazione proletaria "non bianca"). In un articolo su Libération dal titolo Pourquoi Marine Le Pen défend les femmes, les gays, les juifs…, Eric Fassin inseriva la frase di Marine Le Pen in quella "nuova virtù democratica dei populisti di destra e d'estrema destra" che si scoprono femministi, filosemiti e gay-friendly per poter tracciare una frontiera razzializzata all'inerno della nazione tra "noi" e "loro" in nome dell'uguaglianza e della libertà dei sessi, dando un tocco di modernità alle retoriche tradizionali dei partiti di destra/estrema destra. Un tema questo, che abbiamo più volte dibattuto e che riteniamo cruciale. Per chi è attualmente parigina/a ed è interessata/o al tema segnaliamo che domenica prossima, 20 marzo, a Parigi (dalle 15 e 30 alla Maison des Associations du Xème, 206 quai de Valmy, métro Jaurès) Les Indivisibles, Les Mots Sont Importants, Les Panthères roses e Les TumulTueuses organizzano un dibattito dal titolo "Islamophobie au nom du féminisme : NON !", con la partecipazione, tra le/glia altre/i, di Jessica Dorrance dell’associazione LesMigraS di Berlino. Per chi non può essere a Parigi (e non è neanche francofona/o) traduciamo al volo il documento di indizione della giornata: "Noi, femministe, denunciamo l'utilizzazione delle lotte femministe e lgbt a fini razzisti e precisamente islamofobi. Marine Le Pen ha recentemente utilizzato la difesa degli omosessuali per meglio propagare il razzismo. E' ugualmente in nome delle donne che i nostri dirigenti e media mainstream hanno fino alla fine sostenuto un tiranno come Ben Ali, presentato come il protettore dei/delle tunisini/e contro un patriarcato necessariamente islamista. Infine l'indegno dibattito sul niqab, in occasione del quale dei parlamentari uomini, fino a quel momento completamente indifferenti alla causa femminista, si sono improvvisamente eretti in difensori dell'uguaglianza uomini/donne. Adesso basta! Condanniamo il razzismo e rifiutiamo che colpisca in nostro nome! Costruiamo degli strumenti, delle risposte femministe per disinnescare queste "evidenze" insopportabili - musulmano=islamista=estremista=minaccia per le donne e le minoranze sessuali - che già si annunciano come le vedette dei prossimi scambi elettorali. E' più che mai necessario ricordare che numerosiedonne straniere o francesi vivono il razzismo, il sessismo e un sessismo razzista. Decolonizziamo le lotte femministe e lgbt! Non lasciamo le femministe bianche dare lezioni alle altre! Fermiamo quelle e quelli che si alleano a delle iniziative politiche e dei discorsi razzisti, compresi quelli portati avanti sotto delle bandiere (pseudo)femministe e 'gay-friendly'!" (traduzione di Vincenza Perilli per Marginalia)
Per il testo in francese cliccare qui ;-)
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sabato 5 marzo 2011
Dal Medio Oriente al Nordafrica fino all'Italia: un otto marzo di lotta e rivolta senza fiocchi rosa!
Chi segue da un po' Marginalia sa bene dell'allergia alle mimose che alberga in questo blog, della poca passione per la "festa" e i "miti" dell'otto marzo. Se poi, come sembra stia succedendo quest'anno, c'è chi pensa di addobbare questa ricorrenza con fiocchi rosa e appelli alle donne italiane, la nostra allergia rischia di trasformarsi in vero e proprio shock anafilattico. Ma l'adrenalina salva-vita viene dai segnali di lotta e rivolta che giungono dai paesi a sud del Mediterraneo, dall'appello che vi avevamo segnalato delle donne di Nasawiya per una International Women's Day in Lebanon, all'alleanza femminista Women United for Future of the Middle East (Donne unite per il futuro del Medio Oriente) messa in piedi dalle donne di Sawt al Niswa, che chiedono a tutte le singole e realtà femministe del Medio Oriente e del Nord Africa di fare fronte comune e alle donne di ogni parte del mondo di sostenerle. Ma tante (fortunatamente) sono anche le iniziative di lotta e rivolta senza fiocchi rosa che si stanno programmando per l'otto marzo qui in Italia (vorremmo potervi promettere presto un altro post che le segnalasse tutte, ma sapendo già che non ne avremo sicuramente il tempo, vi invitiamo a visitare i tanti siti femministi che abbiamo inserito nelle nostre sitografie da Femminismi a Razzismo_Genere_Classe passando per Movimenti lgbtq*). Ve ne segnaliamo solo una, un'iniziativa che riteniamo preziosa e nella quale siamo state felici di essere state coinvolte: No hagra! No tirannia!, un'intera giornata di solidarietà e di approfondimento riflessione sul ruolo delle donne nelle rivolte nei paesi a sud del mediterraneo che si svolgerà al Centro Zonarelli (via Sacco, 4 - Bologna) per l'appunto l'otto marzo. In programma, a partire dalle 11 del mattino: filmati da Egitto, Algeria, Tunisia, Palestina, Iran, Libia, esposizione di foto, documenti, disegni, oggetti, libri e bibliografia al femminile sul momdo arabo curata dal Centro Amilcar Cabral, Casa di Khaoula e altre boblioteche del quartiere, un angolo per la cura e la bellezza del corpo coordinato da Hend Hamed, frammenti di letteratura araba contemporanea letti da Fouzia, Mariem, Nada, Fatima, Asmaa, Samira, Agjba, Olfa, Soumya. E poi ancora collegamenti con Al Jazeera, presentazioni di libri sul femminismo islamico, dibattiti, interventi e per finire (ma abbiamo sicuramente dimenticato qualcosa) cena con the alla menta e al cardamomo e cous cous tunisino super-piccante ...
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giovedì 3 marzo 2011
Voci di donne dalle rivolte, uteri per la patria e guerre umanitarie
Seppure gli esiti delle rivoluzioni ancora in atto nei paesi a sud del mediterraneo siano incerti e in alcuni casi preoccupanti vista la volontà "occidentale" di metterci sopra le mani (come in Libia, dove già Usa-Europa-Nato ventilano un'operazione militare sotto la solita copertura della guerra umanitaria), resta una realtà incontestabile: queste rivolte hanno incrinato in maniera irrimediabile gli equilibri postcoloniali e messo in crisi (si spera definitivamente) certe percezioni e immagini "dell'altro/a". Abbiamo appena letto il manifesto di indizione dell'otto marzo delle organizzatrici della manifestazione nazionale del 13 marzo e ne siamo orripilate già dallo slogan: Rimettiamo al mondo l'Italia. Dopo l'appello alle "donne italiane" in nome di nazione, famiglia e religione, ecco l'appello agli uteri per la patria. Forse ci ritorneremo su, ma per intanto non abbiamo voglia né di commentare, né di perdere tempo a cercare il link del sito Se non ora quando (ci sembra abbiano già fin troppa copertura mediatica). Piuttosto vi lasciamo una piccola rassegna, tratta da diversi blog femministi, di voci di donne dalle rivolte nei paesi a sud del mediterraneo. Sono loro, come le donne migranti che incontriamo qui nella fortezza-europa, che ci trasmettono un po' di quell'entusiasmo e quella combattività di cui abbiamo bisogno per andare avanti. Nonostante.
Marginalia, Femministe e rivolte (in piazza Tahrir)
I consigli della zia Jo, Dalla Tunisia
Femminismo a Sud, Women of the Revolution in Egitto!
Lady Losca, Dall'Egitto e dalla Tunisia
Nasawiya, International Women's in Lebanon
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domenica 20 febbraio 2011
Muammar Gheddafi, Silvio Berlusconi e l'italietta postcoloniale
Dall'Algeria alla Tunisia, dall'Egitto allo Yemen le rivolte sull'altra sponda del mediterraneo (scusateci la definizione a questo punto forse impropria), sembrano inarrestabili. Ma la repressione è feroce. In Libia Muammar Gheddafi ha ordinato di sparare sulla folla dei manifestanti e nonostante le notizie incerte e le difficoltà di collegamento (banditi i/le giornalisti/e, problemi con linee telefoniche e internet), sembra che oramai i morti siano oltre un centinaio. Berlusconi ha dichiarato di non aver ancora telefonato a Gheddafi perché "la situazione è in evoluzione" e non vuole "disturbarlo". Per il resto ancora nessuna dichiarazione e presa di distanza ufficiale da questa carneficina da parte del nostro governo. E come potrebbe essere altrimenti? Gli interessi in ballo sono enormi, chiari a chi ha seguito la vicenda del cosiddetto "trattato di amicizia" Italia/Libia (firmato nell'agosto del 2008 da Berlusconi e Gheddafi e ratificato un anno fa) e il consolidarsi dei rapporti e investimenti economici reciproci tra i due paesi. Solo recentemente (mentre sulla stampa imperversava il "caso Ruby") Gheddafi ha acquistato tra le altre cose il 2,01% di Finmeccanica, una quota dell'Eni, altre della Unicredit (diventandone con il 7% il primo azionista) e varie compartecipazioni (Lia, Ansaldo Sts, Agusta Westland, Banca di Roma e Juventus.) D'altro canto Berlusconi (e altre grosse aziende italiane) sono in trattativa per investimenti nei settori delle telecomunicazioni, del gas e del petrolio. Ma oltre il business c'è anche altro: dietro il "trattato d'amicizia", le scuse e il risarcimento per l'occupazione coloniale italiana della Libia c'è, come sappiamo, il patto sciagurato per il "contenimento dell'immigrazione clandestina" verso le nostre coste. Tra respingimenti, torture e stupri nelle carceri libiche non sappiamo quantificare quanto è costata a donne e uomini migranti l'amicizia tra i due leader, amicizia che la stampa mainstream ha sempre tentato di ridurre agli aspetti meramente "folkloristici" (cammelli, tende, donne e bunga-bunga). Difficilmente l'Italia rinuncerà all'"aiuto" del Colonnello (che, crediamo anche per questo, reggerà), aiuto necessario per "controllare" le frontiere esterne (per quelle interne basta il "pacchetto sicurezza" e i Centri di identificazione ed espulsione). Quindi non ci aspettiamo di certo un risolutivo intervento diplomatico del nostro governo (se non qualche frase di circostanza) a condanna dei morti disseminati per le strade di Bengasi, Derna e Shahat (un tempo Cirene), nomi che - per chi non ignora le tragiche vicende del colonialismo italiano in Libia - evocano altre morti, altre stragi. Anche per questo sarebbe auspicabile che al silenzio interessato del governo si contrapponesse qualche forma di sostegno forte e solidarietà concreta da parte delle piazze italiane alla rivolta, pur anomala, in Libia. Ma anche su questo versante ci sembra che a quest'Italia - capace di mobilitazioni oceaniche in nome della dignità offesa , della patria e della famiglia -, poco importi delle sorti di uomini e donne massacrate/i per le strade della Cirenaica. Del resto non ci si indigna neanche per cose che accadono molto più vicino (si dice: "in casa nostra"), come un uomo che si da fuoco per protesta o una donna che subisce un tentativo di stupro in un Cie. Soprattutto se lui si chiama Noureddine Adnane e lei è nigeriana.
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domenica 13 febbraio 2011
Femministe e rivolte in piazza (Tahrir)
Un mese fa, dopo giorni (e notti) di rivolta in tutto il Maghreb, il dittatore tunisino Ben Ali (che - ricordiamolo - aveva conquistato il potere con un golpe 23 anni fa grazie anche al sostegno decisivo del governo italiano) fuggiva da Tunisi. E stanotte, in Egitto, donne, uomini e bambini/e hanno continuato a ballare nella capitale, in piazza Tahrir, sotto i fuochi di artificio, per festeggiare l'abbandono del potere (dopo quasi trent'anni) di un altro dittatore, Hosni Mubarak, il "moderno faraone" con il trono "appiccicoso del sangue del popolo" come scrive Nawal El Saadawi, femminista egiziana, in una sua cronaca dal cuore della rivolta. Ed è questa cronaca che vi invitiamo a leggere (per intanto nella traduzione in inglese di Robin Morgan per il Women's Media Center, nei prossimi giorni speriamo anche nella nostra traduzione in italiano), una cronaca scritta una domenica dei primi di febbraio dalla quasi ottantenne Nawal El Saadawi ( di cui forse alcune/i di voi hanno letto Woman and Islam), che da piazza Tahrir (che in arabo significa liberazione), testimonia e partecipa della/alla rivoluzione egiziana, una rivoluzione che divampa "per le strade di tutte le province, di tutti i villaggi e di tutte le città, da Assuan ad Alessandria, da Suez a Port Said". Descrive donne, uomini, bambini/e, cristiani copti e mulsumani che resistono insieme alla barbarie, ai militari, ai cavalli, ai cammelli, alle molotov, al fuoco e alla morte. Descrive i canti ("molti guidati da donne, con gli uomini che seguono") che rivendicano "libertà, dignità, giustizia" e la fine della tirannide. E noi? Quando saremo capaci di prendere tra le mani la nostra rabbia e cacciare i nostri tiranni? Oggi siamo restate qui a leggere, scrivere, tradurre, con il cuore a piazza Tahrir e lontano dalle piazze italiane: non abbiamo potuto aderire né partecipare - seppur con contenuti "critici" - ad una manifestazione nata da un appello alle "donne italiane", in nome della loro "dignità", della "decenza", della "religione" e della "nazione". Nawal El Saadawi termina la sua cronaca scrivendo: "questo è come un sogno". Qual è il nostro?
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Senza stupore: eccezione e norma ai tempi di Arcore
Non è una questione di donne
Le contraddizioni e il no alla crociata
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