Sabato 13 febbraio a Livorno parteciperò al seminario Comunicare le differenze. Riflessioni e strategie di azione per un'informazione non discriminatoria, promosso dal Centro Mondialità e Sviluppo Reciproco in collaborazione con Cesvot e altre realtà associative. Programma completo e ulteriori info qui
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giovedì 11 febbraio 2016
domenica 21 settembre 2014
InteRGRace / Seminario: Estetizzazione della ‘razza’, razzializzazione della bellezza
Mercoledì 24 settembre 2014, ore 14.30‐ 17.30 (AULA 1 ‐ Via Cesarotti, 12 - Padova), seminario con il prof. Livio SansoneCentro de Estudos Afro‐Orientais Universidade Federal da Bahia. Introduce: Enzo Pace (Università di Padova). Discussants: Maria Teresa Milicia (Università di Padova) e Valeria Ribeiro Corossacz (Università di Modena e Reggio Emilia). Interventi di InteRGRace: Gabriele Proglio: "Il corpo della nazione: 'razza' e bellezza tra madrepatria e oltremare (1931‐1941)" // Tatiana Petrovich Njegosh: "Miss Italia, 1939‐2014: razza, genere e classe della bellezza nazionale" // Vincenza Perilli: "I corpi delle altre. Bellezza e "razza" nelle pagine di Noi donne (1950‐1970)" // Gaia Giuliani: "Bella e abbronzata. Genere, razza e bellezza nella televisione pubblica e privata italiana (1975‐): Drive In (1983‐1989) vs. Quelli della notte (1985) e Indietro tutta (1987‐1988)" // Annalisa Frisina: "Modelli di bellezza postcoloniale tra le figlie delle migrazioniin Italia" // InteRGRace
domenica 10 agosto 2014
Estetizzazione della ‘razza’, razzializzazione della bellezza / Aesthetics of Race, Racialisation of Beauty
Prossimo appuntamento con InteRGRace: seminario con il prof. Livio Sansone (Centro de Estudos Afro‐Orientais Universidade Federal da Bahia), mercoledì 24 settembre 2014
(ore 14.30‐ 17.30, Università di Padova - AULA 1 ‐ Via Cesarotti, 12),Estetizzazione della 'razza’, razzializzazione della bellezza / Aesthetics of Race, Racialisation of Beauty. Locandina e programma dettagliato sul sito di InteRGRace // Discussants: Maria Teresa Milicia (Università di Padova) e Valeria Ribeiro Corossacz (Università di Modena e Reggio Emilia). Interventi di InteRGRace:
Gabriele Proglio: "Il corpo della nazione: 'razza' e bellezza tra madrepatria e
oltremare (1931‐1941)"; Tatiana Petrovich Njegosh: "Miss Italia, 1939‐2014: razza, genere e classe della bellezza nazionale"; Vincenza Perilli: "I corpi delle altre. Bellezza e "razza" nelle pagine di Noi donne (1950‐1970)"; Gaia Giuliani: "Bella e abbronzata. Genere, razza e bellezza nella televisione pubblica e privata italiana (1975‐): Drive In (1983‐1989) vs. Quelli della notte (1985) e Indietro tutta (1987‐1988)";
Annalisa Frisina: "Modelli di bellezza postcoloniale tra le figlie delle migrazioni in Italia"
domenica 27 aprile 2014
Fisppa / Modelli mediatici di femminilità e mascolinità in discussione
Martedì 29 aprile 2014, alle ore 13.30 (aula A, via Bassi, 2 - Padova), presentazione dei risultati della ricerca condotta dagli studenti del Corso di Metodologie e tecniche della ricerca sociale IIdella Professoressa Annalisa Frisina , organizzata dal FISPPA (Dipartimento di Filosofia,Sociologia, Pedagogia e Psicologia applicata dell'Università di Padova) in collaborazione con il Liceo delle Scienze Sociali Marchesi Fusinato. Intervengono Claudia Padovani, Vincenza Perilli e Lorenza Perini
mercoledì 27 novembre 2013
Violenza sessista: né rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità
Un articolo di Annamaria Rivera appena pubblicato sul sito di MicroMega, Violenza sessista: né rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità. Buona lettura e riflessioni // Ora che il femicidio e il femminicidio hanno guadagnato l’attenzione dei mediae delle istituzioni, il rischio è che, costituendo un tema in voga, la violenza di genere sia usata per vendere, fare notizia, sollecitare il voyeurismo del pubblico maschile. Un secondo rischio, già ben visibile, è che la denuncia e l’analisi siano assorbite, quindi depotenziate e banalizzate, da un discorso pubblico – mediatico, istituzionale, ma anche ad opera di “esperti/e” –, costellato di cliché, stereotipi, luoghi comuni, più o meno grossolani. Proviamo a smontarne alcuni, adesso che, spentisi i riflettori sulla Giornata internazionale contro la violenza di genere, anche la logorrea si è un po’ smorzata. Anzitutto: la violenza di genere non è un rigurgito dell’arcaico o un’anomalia della modernità. Sebbene erediti credenze, pregiudizi, strutture, mitologie proprie di sistemi patriarcali, è un fenomeno intrinseco al nostro tempo e al nostro ordine sociale ed economico. E comunque è del tutto trasversale, presente com’è in paesi detti avanzati e in altri detti arretrati, fra classi sociali le più disparate, in ambienti colti e incolti. Del tutto infondato è il dogma secondo il quale la modernità occidentale sarebbe caratterizzata da un progresso assoluto e indiscutibile nelle relazioni tra i generi, mentre a essere immersi/e nelle tenebre del patriarcato sarebbero gli altri/le altre. Per riferire dati ben noti, nell’ultimo rapporto (2013) sul Gender Gap del World Economic Forum, su 136 paesi di tutti i continenti, le Filippine figurano al 5° posto su scala mondiale per parità tra i generi (dopo Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia), mentre l’Italia è solo al 71°, dopo la Cina e la Romania e in controtendenza rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Eppure non sempre c’è un rapporto inversamente proporzionale tra la conquista della parità di genere e la violenza sessista. Esemplare è il caso della Svezia (ma anche, in diversa misura, della Danimarca, Finlandia, Norvegia). Questo paese, da sempre in prima linea nel garantire la parità fra i generi, tanto da occupare, come si è detto, il 4° posto su 136 paesi, registra un numero crescente di stupri: negli ultimi vent’anni si sono quadruplicati, al punto da interessare una donna svedese su quattro. Ciò dipende non solo dal fatto che il numero di denunce sia aumentato rapidamente quale effetto di una crescente consapevolezza femminile, ma anche da un reale incremento dei casi. Ancora a proposito dell’Europa e volendo fare un riferimento ormai storico, si può ricordare che un paese come la Jugoslavia, il quale all’epoca si distingueva per un livello alto di emancipazione femminile, di sicuro più elevato che nell’Italia di allora, ha conosciuto nel corso della guerra civile l’orrore degli stupri etnici. Il pene usato come arma per colpire i nemici attraverso i corpi femminili mostra, fra l’altro, la continuità tra l’odio e la violenza “etnici” e la violazione delle donne, finalizzata al loro annientamento: lo stupro nasconde sempre un desiderio o una volontà di colpire l’identità e l’integrità della persona-donna. Ci sono ragioni varie e complesse che possono spiegare come mai in società “avanzate”, avanzi pure il numero di stupri e femicidi. Per citarne una: non tutti gli uomini sono in grado o disposti ad accettare i cambiamenti che investono i ruoli e la condizione femminile, che anzi spesso sono vissuti come minaccia alla propria virilità o al proprio “diritto” al possesso se non al dominio. La narrazione della virilità è divenuta oggi meno credibile che in passato. E molti uomini appaiono spaventati dalle rappresentazioni e dalle immagini dell’intraprendenza, anche sessuale, delle donne (più che dalla realtà di una loro autonomia effettiva, almeno in Italia, dove è alquanto debole). Questa inadeguatezza della società (maschile) si riflette anche nelle prassi delle istituzioni rispetto alla violenza di genere, spesso tardive e/o inadeguate. Per esempio, in molti casi che hanno come esito il femicidio, le vittime avevano denunciato più volte i loro persecutori. Tutto questo per dire che il sadismo, la volontà di reificare e/o annientare le donne e gli altri sono all’opera dentro le nostre stesse società, in forme più o meno latenti, finché certe condizioni non ne rendono possibili le manifestazioni palesi. Il sistema di dominazione e appropriazione delle donne (per usare il concetto-chiave della sociologa femminista Colette Guillaumin) tende a colpire – con lo stupro o il femicidio – non solo le estranee o quelle che, come in Jugoslavia, sono state alterizzate e nemicizzate, ma anche le donne con le quali s’intrattengono relazioni d’intimità o prossimità. Basta dire che, su scala globale, il 40% delle donne uccise lo sono state da un uomo a loro vicino. E, per riferirci ancora all’Europa, secondo le Nazioni Unite la metà delle donne assassinate tra il 2008 e il 2010 lo sono state da persone cui erano legate da qualche relazione stretta (per gli uomini lo stesso dato scende al 15%). Per tutto ciò che abbiamo detto finora, conviene diffidare degli schemi evoluzionisti e dei facili ottimismi progressisti: il pregiudizio, la dominazione e/o la discriminazione in base al genere – come quelli in base alla “razza”, alla classe, all’orientamento sessuale – non sono necessariamente residuo arcaico del passato, segno di arretratezza o di modernità incompiuta, destinato a dissolversi presto. Sono piuttosto tratti che appartengono intrinsecamente e strutturalmente anche alla tarda modernità; o forse dovremmo precisare alla modernità decadente. Per dirla nei termini delle curatrici de “Il lato oscuro degli uomini”, un libro prezioso, appena pubblicato nella collana “sessismoerazzismo” dell’Ediesse, la violenza maschile contro le donne è sia “prodotto dell’ordine patriarcale”, sia “frutto delle moderne trasformazioni delle relazioni fra donne e uomini” (p. 33). Secondo un altro luogo comune corrente, per contrastare e superare la violenza di genere sarebbe sufficiente un cambiamento culturale, tale da archiviare finalmente i residui della cultura patriarcale e di tradizioni retrive. Una pia illusione: la Svezia può dirsi forse un paese dominato da cultura patriarcale? Insomma, se è vero che la violenza di genere è un fenomeno strutturale, come si ammette, essa è incardinata in dimensioni molteplici. Per dirla in modo succinto, il dominio maschile ha una matrice culturale e simbolica, certamente, ma anche assai materiale. Se ci limitiamo al caso italiano, il neoliberismo, la crisi del Welfare State, l’esaltazione del modello del libero mercato, le privatizzazioni, poi la crisi economica e le politiche di austerità hanno significato per le donne arretramento in molti campi. E arretramento significa perdita di autonomia, dunque incertezza di sé, maggiore subalternità e vulnerabilità. Certo, in Italia, un contributo rilevante alla reificazione-mercificazione dei corpi femminili lo ha dato la televisione, in particolare quella berlusconiana. Per lo più volgare, sessista, razzista, è stata ed è elemento cruciale dell’offensiva contro le donne e le loro pretese di uguaglianza, autonomia, liberazione. Essa ha finito per condizionare non solo il linguaggio dei politici, sempre più apertamente sessista, ma la stessa struttura del potere politico e delle istituzioni. Per non dire dell’uso dei corpi femminili come tangenti: merci di scambio di un sistema di corruzione ampio e profondo a tal punto da essere divenuto sistema di governo. Ed è innegabile che oggi in Italia vi sia una notevole complicità della società, delle istituzioni, dell’opinione pubblica, perfino di una parte della popolazione femminile rispetto a un tale immaginario e a un simile utilizzo dei corpi femminili. E allora non c’è niente da fare? Tutt’altro. Ma la questione va declinata anzitutto in termini politici. A salvarci non sarà il recente provvedimento – tipica misura da larghe intese – che affronta il tema della violenza maschile in termini tutti emergenziali (e accanto a misure repressive contro il “terrorismo” dei NoTav, i furti di rame e cose simili). E neppure possiamo illuderci che l’attenzione riservata a questo tema dalle istituzioni e dai media mainstream rappresenti un avanzamento certo e irreversibile. Né compete principalmente alle donne la cura (ancora una volta!) del “lato oscuro degli uomini”. A noi tutte spetta, invece, contribuire a ricostruire una soggettività collettiva libera, combattiva, consapevole della propria autonomia e determinazione. E tale da sabotare l’esercizio del dominio maschile, su qualunque scala e in qualunque ambito si manifesti
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venerdì 25 ottobre 2013
La bambina bionda e i rom
Ricevo dall'Osservatorio antidiscriminazioni una riflessione, dal titolo "Giù le mani da Maria!" sulla campagna mediatica e sulla psicosi anti-rom "rapitori di bambini" che si è scatenata (non solo in Italia) a partire dal caso della bambina (insistentemente definita dai media "bionda con gli occhi azzurri", "bianca", "dai tratti nordici") trovata in un campo rom in Grecia in compagnia di un uomo e di una donna poi risultati, tramite prova del dna, non suoi genitori "biologici". Nonostante le spiegazioni della coppia (la bambina era stata loro affidata piccolissima dalla "vera" madre che non poteva mantenerla e loro l'avevano cresciuta come "una figlia"), spiegazioni confermate sin dal primo momento da altri/e abitanti del campo (e nelle ultime ore dal ritrovamento della madre "biologica"), l'episodio ha riportato a galla, in tutta la sua virulenza, il razzismo verso quell'"altro da noi" di cui abbiamo parlato tante volte (vedi ad esempio qui, qui, qui e qui). Mi auguro che il testo dell'Osservatorio antidiscriminazioni (e la sua pubblicazione in Marginalia e altrove) possa contribuire ad innescare un effetto moltiplicatore dell'attenzione e della vigilanza necessaria su questa e altre vicende // "Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tanto meno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunché di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo.
Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom (Osservatorio antidiscriminazioni, Giù le mani da Maria!, ottobre 2013).
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lunedì 23 settembre 2013
Talebani del politicamente corretto
Una notiziola per la quale vale la pena sfidare la tenosinovite: "Talebani del politicamente corretto", così il Secolo d'Italia definisce le/i firmatarie/i della lettera scritta da un gruppo di studiose/i per denunciare "il lessico impreciso e i contenuti stigmatizzanti" di alcune delle voci (transgender, omosessualità, lesbismo, intersessualità, gender) presenti nell’Enciclopedia Treccani. Maggiori dettagli sulla vicenda e aggiornamenti sul sito di Intersexioni.
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domenica 21 luglio 2013
Cécile Kyenge e il peso delle parole
Leggo su Animabella, il blog di Cinzia Sciuto, un articolo (L'orango di Calderoli e lo spazio della politica) che a partire dalle frasi razziste/sessiste contro Cécile Kyenge di leghisti come Calderoli e Valandro, contesta in maniera efficace chi vorrebbe derubricare simili episodi "a battute da Bar Sport", insistendo sul fatto che anche "le parole contano, e non solo perché ledono l'immagine della ministra o istigano addirittura a commettere un reato. Ma perché [...] plasmano (letteralmente) lo spazio della politica [...]. La lotta politica è anche lotta per mettere al bando certe parole e per dare piena cittadinanza ad altre. Perché le parole si portano appresso significati, storie, valori, ideali e, infine, diritti. Chi insiste, per esempio, perché non si usi la parola 'clandestino' lo fa perché sa che eliminare quella parola dalla scena significherebbe avere di fronte un uomo (o una donna) alla ricerca di una vita migliore, e chiudere un uomo (o una donna) innocente dentro una vera e propria prigione, come i Centri di identificazione ed espulsione, sarebbe molto più difficile che chiuderci un 'clandestino'. E non per niente “clandestino” è una parola molto amata invece da chi vorrebbe 'filtrare' le masse umane che premono ai nostri confini. E così di questo passo, tutte le grandi battaglie per l'ampliamento dei diritti, sono anche (e forse prima di tutto) battaglie per dare legittimità ad alcune parole e rendere tabù altre". Condivido l'importanza di riflettere sul linguaggio, ribadita anche nell'introduzione al volume Femministe a parole: "il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione che le parole a loro volta, possono contribuire a riprodurre e consolidare. Proprio perché le parole sono imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, i 'soggetti assoggettati' hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio, rimuovendo alcune parole e inventandone di nuove" (S. Marchetti, Jamila M.H. Mascat, V. Perilli, Ediesse, 2012). Peccato allora che proprio in questo articolo Sciuto finisca poi per definire Giovanni Sartori - che per le sue posizioni in materia di immigrazione ha trovato consensi anche in siti neonazisti come quello di Storm Front -, "illustre politologo" (le virgolette sono mie) ... Anche perché, come un nostro lettore in un commento a Le lacrime della leghista, anch'io giudico le esternazioni di Sartori - che ha anche invitato a regalare un dizionario a Cécile Kyenge - molto più insidiose del rozzo razzismo/sessismo di un Calderoli o una Valandro. Molto più insidiose proprio perché "il prof. Sartori", come scrive Riccardo nel suo commento, è considerato anche da certa sinistra "democratico e progressista" ...
mercoledì 17 luglio 2013
Le lacrime della leghista
Qualche settimana fa la consigliera leghista Dolores Valandro aveva scritto sulla sua bacheca Facebook, riferendosi alla ministra dell'integrazione Cécile Kyenge,"ma mai nessuno che se la stupri". Espulsa dalla Lega e denunciata per "istigazione ad atti sessuali compiuti per motivi razziali", Valandro è stata oggi condannata per direttissima a 13 mesi, all'obbligo di risarcimento per 13mila euro e all'interdizione dai pubblici uffici per tre anni. Su Globalist.it leggo che "è apparsa in lacrime e pentita davanti al giudice" e che avrebbe affermato:«Non era mia intenzione come madre e come donna insultare un'altra donna, mi è però passato davanti agli occhi un episodio capitato a mia figlia - ha detto -. È stato un attimo di impulsività perché non ho mai visto atti così violenti nei confronti delle donne perpetrati dagli italiani». Lacrime e retorica maternalista a parte, sappiamo che questa condanna - così come a suo tempo l'espulsione di Valandro dal suo partito - non servirà a cancellare quella cultura sessista e razzista che la Lega ha contribuito in questi anni a produrre/riprodurre e non sarà neanche sufficiente ad interrompere la spirale di odio potenzialmente innescata da frasi come la sua o del Calderoli di turno
giovedì 11 luglio 2013
A scuola di razzismo
Purtroppo la scuola è spesso veicolo di razzismo e episodi come questo, a volte relegati nelle "brevi" dei quotidiani locali, non sono casi isolati: è sufficiente dare un'occhiata al database del sito Cronache di ordinario razzismo o a vecchi articoli pubblicati anche qui in Marginalia, come Piccoli razzisti crescono. Senza commento
mercoledì 3 luglio 2013
Razzismo nei media
Dal sito Il razzismo è una brutta storia apprendo della pubblicazione di un volume che - anche se non ho avuto ancora occasione di leggerlo -, mi sembra particolarmente interessante perché si occupa di un tema importante (media e razzismo) così come è percepito e analizzato da un gruppo di giovanissimi ragazzi/e di diverse origini culturali e geografiche. Nella mia tendopoli nessuno è straniero - questo il titolo - è infatti stato scritto da ragazze e ragazzi della redazione di Occhio ai media monitorando gli articoli pubblicati sulla stampa in occasione del terremoto avvenuto in Emilia un anno fa.
venerdì 7 giugno 2013
Italiani brava gente / Adrian Cosmin
Chi si ricorda ancora di Adrian Cosmin, migrante rumeno, che il 7 giugno di qualche anno fa i suoi datori di lavoro (una coppia di "italiani brava gente") narcotizzarono, cosparsero di benzina e poi lasciarono morire carbonizzato, per incassarne la polizza sulla vita?
mercoledì 29 maggio 2013
La bellezza di Franca Rame e gli omissis del Tg2
Leggo in Globalist.it che in occasione della morte di Franca Rame, avvenuta oggi a Milano, un servizio della giornalista Carola Carulli mandato in onda nel Tg2 delle 13, la ricorda così: "Una donna bellissima Franca, amata e odiata. Chi la definiva un'attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante, chi invece la vedeva coma la pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione". In questa rievocazione lo stupro sembra quasi una conseguenza della sua bellezza - per di più "ostentata" e "utilizzata" - e si omette di dire che i mandanti del sequestro e dello stupro furono alcuni ufficiali dei carabinieri della Divisione Pastrengo di Milano e che a compierlo furono cinque esponenti di estrema destra. Franca Rame andava punita per la sua attività politica nelle carceri con Soccorso Rosso, per essere la compagna di Dario Fo, ma soprattutto per essersi esposta pubblicamente sull'omicidio di Giuseppe Pinelli prima recitando in Morte accidentale di un anarchico e poi firmando insieme ad altri/e, nel 1971, la lettera aperta pubblicata sul settimanale L'Espresso in cui si chiedeva la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell'accertamento delle responsabilità circa la morte di Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di Piazza Fontana.
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Assassino è chi uccide. Ovunque
Ricevo dal Centro di Women’s Studies Milly Villa dell'Università della Calabria - e condivido - una riflessione sulla costruzione e (ri)produzione di un certo tipo di discorso pubblico sull'omicidio, avvenuto qualche giorno fa in provincia di Cosenza, di una ragazzina di quindici anni. Ecco il testo: "L’omicidio di Fabiana Luzzi ci interroga e ci fa riflettere. Crediamo che in questi casi sia necessario rispettare il dolore di una famiglia e di una comunità. Come Centro di Women’s Studies Milly Villa non possiamo tuttavia tacere rispetto alla costruzione e alla (ri) produzione del discorso pubblico a cui stiamo assistendo in queste ore. Non possiamo dare spazio alla costruzione del discorso mediatico che possa anche solo minimamente legittimare una posizione o rafforzare stereotipi e pregiudizi. C’è sempre un pericolo nascosto quando si esprime un giudizio o un’opinione che diventa pubblica: il pericolo del non approfondimento, della rinuncia a conoscere. Il pericolo è quello dell’inerzia o della frettolosità che fa irrigidire la definizione della realtà, investita emozionalmente da chi la esprime, in puro pregiudizio. L’omicidio di una donna è tale ovunque accada: non è il luogo a stabilire naturali predisposizioni. Non è biologia, né cultura naturalizzata. E’ violenza, e la violenza non conosce appartenenze territoriali o regionali. Assassini lo si diventa quando si uccide.E’ per questo che come Centro sottolineiamo il pericolo nascosto all’interno di ogni stereotipo che diventa pregiudizio: il pericolo di un razzismo che nasconde la realtà e che non permette di leggerla nelle sue tante dimensioni. Riteniamo indispensabile ripensare alle categorie attraverso le quali leggiamo la violenza di genere, attraverso cui proviamo a comprendere i cambiamenti nelle relazioni, nelle dinamiche di potere, di riconoscimento, di costruzione di una idea di relazione affettiva come possesso e dominio. Essere situate in una terra come la Calabria significa anche decostruire un immaginario legato alle donne del sud, agli uomini del sud, alle dinamiche tra i generi. A Sud, ma non solo. Significa decostruire concetti come quelli di emancipazione, per approfondire le diverse forse di dominio da cui liberarsi, ed uscire dalla logica che ci rende libere o oppresse nelle rispettive scelte di partire o restare. Significa decostruire quella visione ricorrente (a cui sembra che due ‘importanti’ giornali nazionali siano ormai affezionati) che tende a svalutare e razzizzare i sud - e la Calabria in particolare - confinandoli in una costruzione discorsiva che li vuole immobili, depauperati, senza storia, stretti dalla morsa del patriarcato. Significa, per lo stesso motivo, anche sfuggire ai discorsi che si arroccano intorno a una ‘presunta’ identità ferita, a una ‘calabresità’ offesa e da difendere: anche in questo caso il
rischio è quello di ‘naturalizzare’ la Calabria,annullare le criticità, i chiaroscuri, la forza di un paradigma eterosessista declinato al maschile. Come Centro di Women’s Studies dell’Università della Calabria speriamo che da questa orrenda vicenda si possa avviare una riflessione seria a partire dal linguaggio utilizzato dai media: parlare non di amore, di gelosia, di passione, ma di violenza, rabbia, calcolo e orrore. Speriamo che da qui si possa rimettere al centro la vita delle donne, la dignità delle persone, a partire dall’individuazione di nuove prospettive di analisi, dalla proposta di percorsi formativi ed educativi, dal sostegno ai centri antiviolenza, rafforzando ciò che esiste e resiste, spesso a fatica. Rinnoviamo la nostra vicinanza alla famiglia di Fabiana, e a tutte le vittime di femminicidio"
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lunedì 27 maggio 2013
Cesare Lombroso e la specificità calabrese
Una ragazzina di quindici anni, Fabiana Luzzi, viene uccisa in maniera atroce dal suo "fidanzato", poco più grande di lei, in un paesino in provincia di Cosenza. La lettera di una "trentenne calabra, direttore delle relazioni esterne di una multinazionale" inviata e poi pubblicata da Il Corriere della Sera con il titolo Sono nata nella terra dove è stata uccisa Fabiana, io sono fuggita lei non c'è riuscita, ha scatenato una serie di reazioni tra chi, come si legge su Scirocco News, non riesce a scorgere l'attinenza tra l'omicidio di una ragazzina e il fatto che fosse nata in una certe regione e si oppone all'immagine di una Calabria terra barbara e retrograda, dove gli uomini sono tutti dei padre padrone con la clava e le donne tutte vittime e sottomesse. Un omicidio riconducibile insomma ad una sorta di "specificità calabrese", così come per l'omicidio di Sarah Scazzi si era parlato di cultura meridionale. Doriana Righini nel suo La rivincita di Lombroso, scrive che, come affermava Rosa Luxemburg, il primo gesto rivoluzionario è chiamare le cose con il loro vero nome e che quindi, riprendendo le parole di Renate Siebert, non si può che definire razzista quanto espresso nella lettera pubblicata dal Corriere della Sera, poiché " una storia come questa potrebbe essere accaduta in qualsiasi altro posto d’Italia. Trovo assolutamente razzista e aberrante che si possa parlare, in questa vicenda, di specificità calabrese [...] Per come conosco la Calabria devo dedurre che chi sostiene queste tesi è sostanzialmente razzista ”. // Alcuni articoli correlati in Marginalia: Il ritorno del meridionale mafioso e omertoso, Il colore delle donne meridionali, I meridionali sono meno intelligenti. E le meridionali ancora meno
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sabato 11 maggio 2013
Igiaba Scego e le domande imbarazzanti
Le "domande imbarazzanti" sono quelle rivolte dalla giornalista Lucia Annunziata alla ministra Cécile Kyenge durante il Tg3 di domenica scorsa che, non guardando la tivù, non avevo visto. Ringrazio quindi Igiaba Scego per avermi segnalato l'articolo scritto su questa vicenda e pubblicato su Corriere Immigrazione con appunto il titolo di Domande imbarazzanti. Ma nel mio archivio l'ho catalogato sotto il titolo di Domande razziste ...
venerdì 3 maggio 2013
Lo spazio Schengen e Aminata Traoré / Un'intervista
Qualche giorno fa vi avevamo segnalato come all'attivista e femminista maliana Aminata Traoré fosse stato negato, per intervento diretto della Francia, il visto per tutti i paesi Schengen. Su Il Paese delle donne potete ora leggere la traduzione dell'intervista rilasciata qualche giorno dalla stessa Traoré alla redazione di Cameroonvoice, una decisa condanna del sistema economico mondiale che ha posto cinicamente da tempo al centro della propria agenda politica la guerra e la militarizzazione per il controllo delle risorse dell'Africa // Articoli correlati pubblicati recentemente in Marginalia: Mali: non alle strumentalizzazione della violenza contro le donne, Donne del Mali: diciamo no alla guerra per procura!, Guerra in Mali / Un'intervista ad Angelo Del Boca
venerdì 19 aprile 2013
Soggetti e oggetti dell'utopia
Soggetti e oggetti dell'utopia: archivi dei sentimenti e culture pubbliche è la scuola estiva che raccoglie la tradizione interculturale del Laboratorio Raccontar/si dove per anni il genere è stato articolato con le altre categorie, quali classe, 'razza', sessualità, disabilità, religione, nazione, ideologia. Organizzata dalla Rete toscana della Società Italiana delle Letterate, il Giardino dei Ciliegi in intesa con l'Università di Firenze, l'Associazione Centro Donna Evelina De Magistris di Livorno, l'Associazione Casa della donna di Pisa, l'Associazione Open di Carrara e con il patrocinio dell'Università di Sassari, quest'anno la scuola - che si terrà a Villa Alma Pace, Antignano, Livorno dal 22 al 28 giugno 2013 - si apre a un nuovo progetto che continua a interrogare la memoria e l’iscrizione del sentire attraverso oggetti tangibili e di conoscenza nel quotidiano, nella politica, nella letteratura, nell’arte (Taro, Modotti, Niki de Saint Phalle) e nelle culture pubbliche. La crisi del punto di vista, tipica dell’intercultura di genere intesa come molteplicità di approcci e visioni di resistenza, permette di ri-significare l’incontro con l’alterità. Attraverso testi di prosa, di poesia, immagini artistiche e rappresentazioni mediatiche emergeranno oggetti e soggetti legati all’utopia: utopie dei femminismi tra resistenza e visionarietà; utopia del potere e potere dell’utopia. Con, tra le altre Rachele Borghi, Alessia Acquistapace, Gabriella Kuruvilla e Liana Borghi. Per iscrizioni, richieste di borse di studio e programma dettagliato rinviamo al sito della scuola
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mercoledì 17 aprile 2013
Studi di genere / Ancora su visibilità-invisibilità
Mentre la soppressione del corso di Studi di genere tenuto da Laura Corradi all'Università della Calabria porta ad una interrogazione parlamentare (di cui leggo in un articolo della giornalista Giovanna Pezzuoli pubblicato nel blog del Corriere della Sera che, sia detto en passant, cita anche un ampio stralcio del commento di Paola Di Cori sulla visibilità-invisibilità degli studi di genere in Italia, ma senza citare la fonte, ovvero questo blog, cosa che visto l'argomento dell'articolo fa riflettere), con tante in questi giorni ci stiamo chiedendo come costruire (a partire da questo episodio sintomatico sul quale auspichiamo si faccia chiarezza) un progetto politico collettivo e condiviso, che contribuisca non solo a rafforzare gli studi di genere in Italia e chi ci lavora ma anche a salvaguardarne la necessaria radicalità - che non possiamo mai dare per scontata neanche in questo campo -, contro processi di addomesticamento e neutralizzazione rafforzati da logiche baronali, riduzionismi burocratici e strumentalizzazioni politiche. Questione complessa e difficile che sarà possibile dipanare solo grazie alle riflessioni di tutte/i coloro che si occupano di studi di genere, dentro e fuori l'università, anche a partire da posizionamenti e percorsi diversi. Trovo preziosi in questo senso alcuni contributi che toccano aspetti cruciali, come il commento di Sara Garbagnoli al già citato intervento di Paola Di Cori e il testo del Centro di Women’s Studies dell'Università della Calabria “Milly Villa” pubblicato su Sud-DeGenere, il blog di Doriana Righini
lunedì 15 aprile 2013
Nuovi femminismi al Piano Terra
Nuovi femminismi è il titolo della serata che si terrà al Piano Terra di Milano venerdì 19 aprile, una serata per discutere - come scrivono le organizzatrici - a partire "da due testi che ci hanno appassionato, ci hanno fatto pensare e ci hanno fornito termini nuovi e tracce da seguire non scontate: Femministe a parole (Ediesse) e Lo schermo del potere (ombre corte). Senza dimenticare alcunché delle genealogie femministe ma tenendo in conto il desiderio e il piacere di avventurarsi lungo strade originali, entrambi i testi rispondono alla necessità urgente di affrontare problematiche inedite, fornendo interpretazioni e indicazioni per il pensiero e l’agire della politica delle donne nella contemporaneità". Vi aspettiamo! numerose/i ;-)
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