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mercoledì 7 maggio 2014

Noi che amiamo bell hooks

Via Sud De-genere, la traduzione di un'interessante intervista di Stephanie Troutman a bell hooks, pubblicata originariamente in thefeministwire il 14 marzo scorso. Buona lettura // Articoli correlati in Marginalia QUI

lunedì 20 maggio 2013

La marcia per la vita e le madri snaturate

Anche se con un certo lag (l'articolo è stato pubblicato la scorsa settimana sul blog della 27esima ora), segnaliamo questo intervento di Lea Melandri che ci sembra offra spunti interessanti di riflessione sul legame tra la violenza subita quotidianamente dalle donne in Italia (nella stragrande maggioranza da parte - diversamente da come certa retorica razzista/sessista vorrebbe farci credere - di padri, mariti, compagni, amanti ...) e quella che l'autrice definisce " la grande ossessione della cultura maschile più conservatrice" che trova nelle "marce per la vita" uno dei suoi momenti più significativi

domenica 17 luglio 2011

Lo stupro Strauss-Kahn ? Solo "un troussage de domestique"

Mentre, sostenuti da stampa ed élites politiche, gli avvocati della difesa dello stupratore di classe Dominique Strauss Kahn, tentano di distruggere la credibilità della vittima, è di imminente uscita (settembre), un libro dal titolo Un troussage de domestique. Pubblicato dalle Editions Syllepse e curato da Christine Delphy ((che ringraziamo per l'anticipazione), il volume raccoglie alcuni dei saggi scritti da femministe in Francia nelle settimane immediatamente seguenti l'annuncio dello stupro commesso da Strauss-Kahn in un albergo di New York. Il titolo, Un troussage de domestique, riprende l'espressione usata in una trasmissione radio da Jean-François Kahn, ex direttore del settimanale Marianne . Intervistato da France Culture il giorno seguente l'arresto di Strauss-Kahn negli Stati Uniti, aveva infatti affermato che non si poteva parlare di stupro ma semmai "di una piccola imprudenza", di "un troussage de domestique". L'uso di questa espressione racchiude tutta la violenza sessista, razzista e di classe espressa dalla vicenda Strauss-Kahn. Troussage de domestique fa riferimento infatti ad una pratica in uso, perlomeno fino al secolo scorso, tra le classi cosiddette "agiate": era considerato "normale" e lecito che il "padrone" abusasse sessualmente della "servitù", anche perché le "cameriere" erano considerate in quanto plebaglia donne dai cosiddetti facili costumi. Usando questa espressione come titolo, Christine Delphy, sintetizza efficacemente quello che è lo scopo del volume: non un libro sulla vicenda giudiziaria di Strauss-Khan, sulla sua innocenza o colpevolezza, ma una spietata critica dei propositi profondamente sessisti e dell'arroganza di classe di un mondo che, ergendosi a difesa dell'ex direttore del Fondo monetario internazionale, difende con denti e unghie anche i propri "privilegi".

giovedì 5 maggio 2011

Christine Delphy: un'intervista sul numero 7 di xxd

E' online il numero 7 di xxd - Rivista di varia donnità. Come al solito potete scaricare, stampare e leggere comodamente dove volete il numero. Basta cliccare sul link che trovate in questa pagina insieme all'indice. Tra le altre cose vi segnaliamo la pubblicazione di alcuni stralci di una nostra lunga intervista (ancora in corso) a Christine Delphy, intervista che speriamo di poter presto pubblicare integralmente in un piccolo volume, sempre che l'affannosa ricerca di un editore disponibile vada in porto. Anzi: se qualcuna/o ha delle idee (concrete) batta un colpo. Scopriremo allora che forse continuare a sostenere la fatica aggiuntiva di questo blog serve effettivamente a qualcosa ...

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Christine Delphy: Un universalisme si particulier
Christine Delphy in rete
Classer, dominer. Qui sont les "autres"?
Christine Delphy: Race, caste et genre
Sessismo e razzismo. Un convegno di NQF
Christine Delphy: una scheda bio-bibliografica

domenica 27 febbraio 2011

Primo marzo 2011: donne native e migranti contro il razzismo e il patriarcato

Come già lo scorso anno, anche questo primo marzo native/i e migranti saranno in piazza, in moltissime città italiane (nel sito Primo Marzo una rassegna in continuo aggiornamento dei diversi appuntamenti), per il Primo marzo 2011: Sciopero degli "stranieri", per dire no al razzismo, no alla legge Bossi-Fini, no ai Cie, no al pacchetto-sicurezza. Per chi ancora non lo avesse letto rinviamo all'appello nazionale per la giornata Insieme contro il razzismo, contro i ricatti, per i diritti di tutte e tutte, mentre qui di seguito vi proponiamo la lettura del documento Per l'accecante visibilità delle donne, con le donne migranti, frutto dell'incontro che si è tenuto il 20 febbraio scorso a Bologna. In quell'occasione diverse donne migranti e italiane si sono incontrate per ragionare insieme sul come conquistare una visibilità verso lo sciopero e le manifestazioni del prossimo primo marzo, ma non solo. Vi chiediamo di dare la dare la massima visibilità e diffusione a questo documento. Buona lettura! "Il 20 febbraio diverse donne migranti e italiane si sono incontrate a Bologna per ragionare insieme sul conquistare una visibilità verso lo sciopero e le manifestazioni del prossimo primo marzo, ma non solo.Già l’anno scorso molte donne hanno scioperato e sono scese in piazza, accettando la sfida di mostrare che cosa succede se i migranti e le migranti che vivono in Italia decidono di incrociare le braccia per un giorno, e con loro tutti gli italiani e le italiane stanchi di vedere attaccati il loro lavoro e i loro diritti, stanchi del razzismo istituzionale. Già l’anno scorso c’erano molte donne ma non quante avrebbero potuto, e soprattutto non quante avrebbero voluto esserci. Perché scioperare, determinare la propria presenza, far sentire la propria voce è per le donne, migranti e italiane, una doppia sfida. L’assenza delle donne è determinata dal doppio incarico al quale sono costrette: il lavoro di cura e domestico (pagato o non pagato) e lo sfruttamento nei posti di lavoro che colpisce soprattutto le donne migranti.
Questa situazione, determinata da un sistema patriarcale (che non ha né cultura né nazione, né religione, ma che è universale) passa attraverso l’attacco quotidiano alle operaie della casa, alle mogli, alle lavoratrici isolate, esi articola in svariate maniere. In Italia, la legge Bossi-Fini è lo strumento utilizzato per riaffermare, in forme sempre nuove e violente, il linguaggio del patriarcato. Una legge che colpisce due volte le donne migranti tramite il contratto di soggiorno per lavoro che le rende lavoratrici ricattabili (sia nelle fabbriche sia nelle case), sempre a rischio di diventare “clandestine”, di essere rinchiuse nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) ed espulse. E ancora: la legge Bossi Fini rafforza il patriarcato che è nelle case perché le donne migranti che sono in Italia per ricongiungimento famigliare dipendono dal permesso di soggiorno del marito e per loro è difficile o impossibile – anche in assenza di supporti concreti – liberarsi dalla subordinazione o dalla violenza domestica che, come capita anche a moltissime donne italiane, spesso esercitano i mariti. Inoltre la legge Bossi-Fini riproduce su scala transnazionale la divisione sessuale del lavoro riproduttivo. Il lavoro domestico e di cura è sempre destinato alle donne, migranti o italiane che siano, anche se una parte delle donne è riuscita a liberarsi almeno parzialmente da questo «destino domestico» pagando un’altra donna. Finché le donne migranti saranno riconosciute solo come «ruoli» (mogli, prostitute che possono riscattarsi solo come vittime, badanti e colf sulle quali si amministra il nuovo welfare privato, pagato dalle donne) la libertà di tutte le donne è sotto attacco. Per questo è necessario oggi conquistare la parola e la visibilità politica delle donne, soprattutto di quelle migranti. Perché le migrazioni delle donne mettono in discussione le strutture sociali e patriarcali sia nei paesi di partenza sia in quelli di arrivo. Da questa potenza, oltre le reali difficoltà, dobbiamo muovere insieme il passo verso una presenza politica. Una presenza che ci faccia prendere e riprendere la parola! A Bologna è stato chiaro che noi donne, migranti e italiane, non siamo più disposte ad accettare che il nostro sfruttamento e la nostra subordinazione siano giustificati da stati, culture, tradizioni o religioni. Non siamo più disposte ad accettare un antirazzismo neutro o il linguaggio politicamente corretto di un multiculturalismo che giustifica le aggressioni contro le donne che accadono all’interno delle comunità e delle famiglie. Criticare questa realtà non vuol dire fare una crociata razzista colpendo indiscriminatamente tutta le comunità migranti ma vuol dire criticare le pratiche patriarcali esercitate da uomini sia immigrati sia italiani. Vuol dire riaffermare una battaglia per la libertà delle donne, migranti e italiane. Per questo chiamiamo il nostro sfruttamento e la nostra subordinazione (quelli imposti dalla legge Bossi-Fini e quelli raccontati come “tradizione”) con il loro vero nome: patriarcato. Proponiamo alle donne, dentro e fuori il movimento dei migranti e antirazzista, a tutte coloro che stanno scendendo nelle piazze per affermare la propria libertà di donne contro un potere che si esercita prima di tutto sui loro corpi, di costruire una propria visibilità accanto alle donne migranti, prima di tutto nelle piazze del primo marzo. Ma proponiamo di avviare un percorso di assemblee, a livello locale e nazionale, per far valere anche oltre il primo marzo la voce e la presenza delle donne, con le donne migranti. Perché la loro assenza dalle piazze è un silenzio assordante. Perché la visibilità che le donne si riprendono sarà accecante".

Le Donne del Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
Associazione Todo Cambia, Milano
Associazione Trama di Terre, Imola
Rete Intrecci: Associazione Donne in Cammino per la Famiglia, Forlì-Cesena; Associazione Il Ventaglio, Bologna; Associazione ANNASSIM, Bologna; Associazione Che la Festa continui, Casalecchio (Bo); Associazione Donne del Mondo, Forlì-Cesena; Associazione UDI, Modena; Ass. Differenza Maternità, Modena, Ass. Donne in nero; Ass Vagabonde, Parma.

Per adesioni/contatti: migranda2011@gmail.com

sabato 5 febbraio 2011

Senza stupore: eccezione e norma ai tempi di Arcore

Invece dal Laboratorio Sguardi Sui Generis riceviamo una riflessione ricca di spunti interessanti sul cosiddetto sexygate berlusconiano, che porta in esergo una frase di Walter Benjamin: "Lo stupore perché le cose che noi viviamo sono 'ancora' possibili nel ventesimo secolo non è filosofico. Non sta all'inizio di alcuna conoscenza, se non di questa: che l'idea di storia da cui deriva non è sostenibile". Rinviamo al sito del Laboratorio per la lettura del testo Senza stupore: eccezione e norma ai tempi di Arcore.


(Alcuni) articoli correlati in Marginalia e altrove:

Prostitute, amanti, protette
Considerazioni sul Rubygate
Barbie e libertà
Comunicato stampa del Comitato per i diritti civili delle prostitute
Bunga bunga, gru, arresti ed espulsioni

giovedì 7 ottobre 2010

Mutilazioni genitali e cinture di castità

"La manipolazione del corpo e in particolare degli organi genitali, femminili e maschili, si è diffusa in tutte le civiltà e le culture, e non soltanto nelle loro forme 'primitive'. Gli uomini e le donne hanno sempre 'ritualizzato' il loro corpo, gli hanno inflitto sofferenze e impresso marchi e sigilli culturali, incidendolo quasi in tutte le sue parti. Oggi queste pratiche sono tutt'altro che estinte, come prova l'enorme diffusione in Occidente del tatuaggio, del piercing e di varie forme di modellazione chimica e chirurgica del corpo. Il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili, in particolare, è stato presente non soltanto in Africa e non soltanto nei paesi islamici. Anche in Occidente la prassi si è largamente diffusa. E' certo che nella civilissima Grecia e a Roma si praticavano le mutilazioni genitali sia agli schiavi che alle schiave. Lo stesso trattamento era riservato agli atleti e ai gladiatori. A partire dal XII secolo, in parallelo con le crociate, si è diffusa nell'Europa cristiana l'applicazione alle giovani spose della cintura di castità, con effetti analoghi alla infibulazione. Nel corso dell'Ottocento, sia in Europa che negli Stati Uniti, l'ablazione del clitoride e la circoncisione maschile sono state usate come rimedio alla masturbazione. La clitoridectomia è stata usata anche come cura dei disturbi psichici, come l'isteria, l'epilessia e la ninfomania. Nell'Inghilterra vittoriana l'asportazione del clitoride è stata adottata da una parte della medicina ufficiale ed è stata praticata negli ospedali psichiatrici sino ai primi decenni del secolo scorso. Anche per Sigmund Freud, è noto, l'eliminazione della sessualità clitoridea era un requisito indispensabile per lo sviluppo di una femminilità matura". (da: Danilo Zolo, Infibulazione e circoncisione, in Jura Gentium. Rivista di filosofia del diritto internazionale e della politica globale, via Laura Corradi, Salute e ambiente. Diversità e diseguaglianze sociali, Carrocci, 2008).

mercoledì 21 ottobre 2009

Avvistato burqa, Ufo postcoloniale?

Non seguo molto la questione ma sembra che gli avvistamenti di U.F.O (la sigla sta per Unidentified Flying Object, in italiano Oggetto volante non identificato) siano frequentissimi nel mondo, l'ultimo segnalato in Italia è avvenuto questa estate sulla spiaggia di Riccione (per le/gli appassionate/i c'è anche il video). Più rari sembrano invece gli avvistamenti di burqa made in Italy, nonostante gli allarmismi lanciati da Gelmini, Santanchè &Co per distogliere l'attenzione da questioni decisamente più preoccupanti (ma questa resta una nostra modestissima opinione). L'ultimo avvistamento di burqa c'è stato ieri a Pieve di Soligo, dove era già stato avvistato circa un mese fa. Niente video dell'inquietante apparizione, ma una foto (e articolo). In realtà non è un burqa ma un niqab, tipico velo della tradizione islamica più ortodossa, ma ovviamente parlare di niqab non avrebbe la stessa "potenza comunicativa" (e colonizzatrice): in fondo Bush andò a bombardare l'Afghanistan per liberare "le donne" dal burqa, no?

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Il burqa nel cervello ...
Il fondamentalismo del pelo superfluo
Burqa laptop
L'Islam fa male alle donne?
In memoria di Marwa al Sherbini, una donna che indossava la hijab
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sabato 20 giugno 2009

Dopo le ma(donne) anche una Miss Tendopoli per l'Abruzzo. Ma questa volta senza viaggio premio a Villa Certosa

Quando, qualche giorno fa, avevo letto nella lista di discussione del Tavolo 4, che domani, domenica 21 giugno, si sarebbe svolto in Abruzzo il concorso Miss Tendopoli, ho creduto si trattasse di un'amara boutade. Invece è tutto vero, come racconta Doriana Goracci in Miss in Abruzzo. Sembra invece falsa la notizia di un viaggio (magari con volo di Stato) in una delle ville in Sardegna di Berlusconi come premio per la vincitrice. Probabilmente i recenti problemi del Presidente del Consiglio italiano (con la fuga di notizie e foto, nonostante il tentativo di censura, su feste a Villa Certosa e Palazzo Grazioli con ragazzine anche minorenni) invitano alla prudenza. Intanto nasce un comitato per dare il premio Nobel per la pace a Silvio Berlusconi. Suvvia, i tempi per il Nobel sono lunghi, facciamolo santo subito e non ne parliamo più. San Patriarca-premier-papi ... Sono nauseata. Sempre che si possa ancora dire ...

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Articoli correlati in Marginalia:

Cercasi altra Ma(donna) partigiana per l'Abruzzo
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Abruzzo resistente
Santa Madre Chiesa e le sue Ma(donne)
La Madonna del manganello
Madonna prosciolta
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venerdì 9 novembre 2007

Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère ...

Vincenza Perilli, "Dopo Foucault, con altri mezzi. Moi, Pierre Rivière...: un film di René Allio", in Katia Bernuzzi ( a cura di), I linguaggi della follia, Collana Arcipelago, Fara Editore, Rimini 2001, pp. 81-87*.

Premessa

Il 12 febbraio 1974 René Allio annota in uno dei suoi quaderni: " E' di una storia di questo tipo, con questo tipo di violenza, che rinvia a quel che rinvia, che bisognerebbe parlare" [1]. La "storia" è quella pazientemente ricostruita durante un seminario sui rapporti tra psichiatria e giustizia penale al Collège de France, da poco pubblicata da Gallimard con il titolo di Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère... [2].
A pochi mesi dalla prima annotazione, l'ipotesi ha preso la forma di un imperativo: "bisogna che Pierre Rivière divenga il film-manifesto di un cinema che sceglie di parlare del popolo nella sua vera storia" [3].
Occorreranno più di due anni, in gran parte spesi nella difficile ricerca di qualcuno disposto a finanziare l'impresa, perché il film sia finito. Nel novembre '76 viene proiettato a Caen e, la sera successiva, a Flers: "la sala è affollata di un pubblico che non si vede mai al cinema. La gente della campagna. Uomini, donne sulla cinquantina, pieno di giovani, il miglior pubblico possibile per questo film. Il loro piacere grave di riconoscere qualche cosa di loro nel film fatto con loro e che viene da loro"[4]
. Sono i luoghi dove il film è stato girato e dove, più di centotrenta anni prima, un povero contadino di ventun'anni aveva provato sulla propria pelle che "per prendere la parola e perché la si ascolti, l'indigeno deve cominciare ad uccidere, e morire"[5].

Uccidere/scrivere: il crimine, la Memoria.


Il 3 giugno 1835, in un villaggio della campagna normanna, Pierre Rivière uccide a colpi di roncola la madre, la sorella e il fratello. Subito dopo si dà alla fuga vagando per i boschi e le cittadine del circondario fino ai primi di luglio, quando viene riconosciuto e arrestato. Processato, condannato a morte, in seguito graziato da Luigi Filippo, viene rinchiuso, per scontarvi l'ergastolo, nel carcere di Beaulieu. Lì, il 20 ottobre 1840, si toglie la vita, impiccandosi.

Non è la violenza, spesso tragicamente rivolta contro altri dominati o contro sé stessi, a costituire la singolarità di questo "caso". Un fatto crudele ma, all'epoca, non eccezionale: altri Rivière, oscuri personaggi senza nome né storia, abitano le cronache del tempo, come se "il linguaggio spaventoso del crimine"[6] costituisse la sola, estrema possibilità di sollevarsi, almeno per un istante, dalla - e contro la - propria condizione:

L'eco delle battaglie risponde dal lato opposto della legge alla fama vergognosa degli assassini ... dopo tutto le battaglie imprimono il marchio della storia su massacri senza nome; mentre il racconto crea frammenti di storia a partire da semplici scontri di strada. Dagli uni agli altri, il limite è oltrepassato senza posa ... per un avvenimento privilegiato: l'omicidio[7].

Decimati dalle malattie e dalla fame, ridotti a bestie, mandati a morire in guerre di cui spesso non capivano le ragioni e di cui non erano mai gli eroi, i ceti popolari delle campagne si avvedono ben presto che l'avvento della Rivoluzione non ha segnato per loro un radicale cambiamento. L'uguaglianza giuridica, il nuovo statuto di cittadini, la forma del contratto, sono un nuovo e più raffinato metodo per il loro assoggettamento: "L'ordine della nuova società liberale ha disposto le sue istanze di controllo proprio nel contratto, nel gusto della proprietà e nella spinta al lavoro che ne consegue, per tenervi in mano e perpetuarvi gerarchie e disuguaglianze"[8].

Ed è allora che "la campagna, universo silenzioso dell'infelicità, cessa di subire soltanto il suo stato, l'esteriorizza, e produce al di fuori, come altrettanti sintomi significanti, dei crimini spaventosi"[9]. Questi "atti sono discorsi", ma nessuno ha voglia di intenderli, anzi un complesso di poteri e saperi si mette subito in moto per ridurli. L'eccezionalità del caso Rivière risiede nel fatto che egli riesce a sottrarsi a questa riduzione. Al punto che, paradossalmente, è la stessa macchina che voleva "contenerlo" a rendere possibile, dopo più di un secolo, il suo (ri)emergere: il crimine di Rivière era stato assunto come posta in gioco nel conflitto tra il potere giudiziario e quello, nascente, della psichiatria, uno scontro che proprio in quegli anni conosceva il suo culmine. È proprio seguendo il solco di questo conflitto che il seminario di Foucault ha incontrato "l'omicida dagli occhi rossi"[10], attraverso il dossier pubblicato nel 1836 nelle "Annales d'hygiène publique et de médecine légale", da Esquirol e altri psichiatri parigini intervenuti, dopo la condanna a morte, a favore della domanda di grazia.

Le ricerche condotte dal seminario "riaprono" questo dossier, estendendo la massa dei documenti, riproponendoli nel libro in base alla cronologia dei fatti: processo verbale dei medici che constatano i decessi, mandato di cattura, verbali degli interrogatori dell'omicida e dei testimoni, consultazioni medico-legali, sentenza di condanna, grazia, scheda di immatricolazione e di "uscita" del carcere, resoconti della stampa e, infine, un "foglio volante".

L'insieme di questi documenti disegna "una lotta singolare, uno scontro, un rapporto di potere, una battaglia di discorsi e attraverso dei discorsi"[11], al cui centro si trova "quel documento straordinario: la memoria"[12], quaranta pagine di straordinaria bellezza [13], scritte in carcere nell'arco di undici giorni dallo stesso Rivière, "molto grossolanamente, poiché non so che leggere e scrivere; ma purché si intenda quel che voglio dire, è questo che chiedo". Questa Memoria si articola in due parti: un "Riassunto delle pene e delle afflizioni che mio padre ha sofferte da parte di mia madre dal 1813 fino al 1835" e un "compendio della mia vita personale e dei pensieri che mi hanno occupato sino ad oggi". Qui l'omicida offre "la spiegazione in dettaglio" del suo crimine e i motivi che ve lo hanno condotto, per esercitare la giustizia di Dio e sfidare le leggi umane "ignobili e mostruose"[14]:

Mi sembrò che sarebbe per me una gloria, che mi sarei immortalato morendo per mio padre, mi raffiguravo i guerrieri che morivano per la loro patria e per il loro re ... dicevo tra me: quelli là morivano per sostenere il partito di un uomo che non conoscevano e che neppure li conosceva, che non aveva mai pensato a loro; ed io morirò per liberare un uomo che mi ama e mi predilige ... Presi dunque questa orrenda risoluzione, mi determinai ad ucciderli tutti e tre; le prime due perché si accordavano tra loro per far soffrire mio padre, quanto al piccolo avevo due ragioni, l'una perché amava mia madre e mia sorella e l'altra perché ... mio padre ... amava questo bambino che aveva dell'intelligenza, pensai tra me: avrà un tale orrore di me che si rallegrerà della mia morte [15].

Questa Memoria che, perfino nella versione amputata della prima parte pubblicata dalle "Annales", sembra suscitare (o tradire) un sintomatico imbarazzo, mobiliterà un varietà di tattiche tese a ridurla, circoscrivendola in esami che ne faranno per alcuni il lucido progetto di un criminale, per altri il delirio di un pazzo. Il libro curato da Foucault tendeva proprio a "far emergere in qualche modo il piano di queste lotte diverse, restituire questi scontri e queste battaglie, ritrovare il gioco di questi discorsi, come armi, come strumenti di attacco e di difesa in rapporti di potere e di sapere"[16].

E qui si inseriva la più importante posta in gioco: rovesciare la gerarchia dei discorsi. Mettere lo scritto di Rivière al centro, non solo nella successione dei testi, ma nell'ordine del discorso: evitare di interpretarlo, di "riprenderlo in uno di quei discorsi (medici, giuridici, psicologici, criminologici) di cui volevamo parlare a partire da esso"[17].

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* Colette Guillaumin, nel suo "Follie et norme sociale. A propos de l'attentat du 6 décembre 1989" (in Sexe, race et pratique du pouvoir. L'idée de nature), scrive: "Un jeune paysan normand, Pierre Rivière, qui a fait rêver, de façon étrangement aveugle - et peut être complaisante -, bien des anthropologues et cinéastes, tuait, en 1835, sa mère, sa sœur de dix huit ans et un enfant de sept ans, son petit frère, dans une explosion de haine qui ne retient l'explication des analystes que par la "haine de la mère", laissant dans l'inconnu ou le non-dit la haine des femmes.


NOTE:


[1] René Allio, Carnets, a cura di Arlette Farge, Paris, Lieu Commun, 1991, p. 39.
[2]
Michel Foucault (a cura di),
Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello...., Torino, Einaudi, 1976 (ed. or. 1973). Per osservazioni critiche relative alla recente riedizione Einaudi, introdotta dallo psichiatra Paolo Crepet, si vedano gli articoli pubblicati in «Alias»,, n. 24, 17 giugno 2000, pp. 22-23.
[3] R. Allio,
Carnets, cit., p. 42.
[4] Ivi, cit., p. 63. In Italia il film di Allio, che non raggiungerà mai la grande distribuzione, è presentato alla Decima Settimana Cinematografica Internazionale di Verona (16-22 giugno 1978):
Momenti del cinema francese contemporaneo (1976-1978). Due anni prima, alla Biennale di Venezia, era stato presentato un altro film sul tema: Je suis Pierre Rivière, opera d'esordio della regista Christine Lipinska.
[5] Jean-Pierre Peter e Jeanne Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", in
Io, Pierre Rivière..., cit., pp. 199-221, p. 206.
[6] Ivi.
[7] M. Foucault, “I delitti che si raccontano”, in
Io, Pierre Rivière ..., cit., pp. 228-229.
[8] J.-P. Peter e J. Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", cit., p. 204.
[9] Ivi, p. 205.
[10] Così nella scheda di immatricolazione del carcere di Beaulieu. Cfr.
Io, Pierre Rivière..., cit., p. 181.
[11] M. Foucault, "Presentazione", in
Io, Pierre Rivière..., cit., pp. X.
[12] Guy Gauthier (a cura di), "Il ritorno di Pierre Rivière. Conversazione con René Allio", in Gianfranco Gori (a cura di),
Passato ridotto. Gli anni del dibattito su cinema e storia, Firenze, La casa Usher, 1982, pp. 77-84, p. 79.
[13] Circa sessanta pagine nella versione Einaudi, quaranta nel manoscritto originale. Cfr. M. Foucault, "I delitti che si raccontano"
, cit.
[14] P. Rivière, "La Memoria", in
Io, Pierre Rivière ... , cit., pp. 53-114, p. 99.
[15]
Ivi., pp. 99-100.
[16] M. Foucault, "Presentazione", op. cit., p. XI.
[17] Ivi, p. XII.

[continua qui]

mercoledì 10 ottobre 2007

Sessismo e razzismo. Un convegno

Programma del convegno organizzato da Nouvelles Questions féministes e dall'Università di Columbia a Parigi (10 novembre 2007, Reid Hall, 4 rue de Chevreuse, 75006 Paris)

L'imbrication du sexisme e du racisme en France et aux Usa aujourd'hui
9.15 Ouverture par Danielle Haase-Dubosc. Nouvelles Questions féministes et Reid Hall, une longue histoire qui ne nous rajeunit pas.
9.30 L'imbrication du sexisme et du racisme dans l'histoire de la revue Nouvelles Questions féministes par Christine Delphy et Patricia Roux.
10.00 Danielle Haase-Dubosc. Féminismes, postcolonialisme et transnationalismes.
10.30 Patricia Roux. L'instrumentalisation du genre: une nouvelle forme de sexisme et de racisme.
11.00 Christelle Hamel. La sexualité entre racisme et sexisme.
11.30 Pause café
11.45 Discussion
12.45 Déjeuner

14.00 Café à Reid Hall
14.15 Leti Volpp. Quand on rend la culture responsable de la mauvaise conduite.
15.15 Houria Bouteldja et Saida Rahal Sidhoum. Qu'est-ce qu'un féminisme « indigène » aujourd'h ui en France?
15.45 Christine Delphy . Peut-on lutter efficacement contre le patriarcat sans prendre en compte l e racisme?
16.15 Pause café
16.30 Discussion
17.30 Clôture.

Entrée libre dans la limite des places disponibles.
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* Una piccola precisazione per quanti/e negli ultimi mesi mi hanno inviato delle mail per "sgridarmi" (ma non solo! grazie e scusate se rispondo "collettivamente") : i post di questo blog non sono frequenti, è vero (ma non è per pigrizia, piuttosto per estrema precarietà e assoluto nomadismo). Nonostante tutto cerco di aggiornare quasi quotidianamente le rubriche nella colonna di destra. Quindi se non trovate un nuovo post, date un'occhiata nella Bacheca per appuntamenti da non mancare (avevo già indicato giorni or sono questo convegno, ieri l'appello per la prossima manifestazione per la libertà e i diritti dei/delle migranti ..., oggi la presentazione di Mamadou va a morire), o in Urgenze per appelli, campagne e iniziative da sostenere. Anche le altre rubriche meritano una visita dalle Letture di Marginalia a Eppur si muove (l'ultima new entry è il sito di maistat@zitt@, attualmente sottosopra ma tornano presto...), dalla Segnaletica a Bambine&Bambini ...
Infine: un po' perché mi facilitate le cose un po' perché se ho aperto un blog è per "socializzare" pratiche e saperi, piuttosto che una mail inviate un commento :-)

mercoledì 19 settembre 2007

"Lo stupratore non è un malato. E' il figlio sano del patriarcato"


Bologna, 18 settembre 2007
Presidio davanti alla Procura per l'udienza preliminare di un processo per stupro indetto da Quelle che non ci stanno

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Per interessanti commenti e documenti sulla vicenda si veda Femminismo a Sud
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mercoledì 8 novembre 2006

Il "qui ed ora" del patriarcato. Hina Saleem e le altre

Conosciamo il ruolo giocato dai mass media nella riproduzione dell’ordine sociale, politico ed economico esistente. L’amplificazione mediatica di fatti di cronaca nei quali, a titolo diverso, sono implicati dei/delle migranti ha anche lo scopo di consolidare un clima collettivo di paura e odio verso lo “straniero” funzionale all’ordine di cui sopra. Quest’estate abbiamo avuto più di un esempio di questa collaudata strategia, penso a come sono stati trattati fatti di cronaca quali l’omicidio di Hina Saleem, la giovane pakistana uccisa dal padre con il concorso di altri uomini della famiglia. Di lei hanno scritto, tra l’altro, che è stata seppellita nell’orto di casa con la testa rivolta verso la Mecca, come vuole la tradizione musulmana. Chissà in che direzione era rivolta la testa di quella giovane italiana, incinta di nove mesi, seppellita viva, qualche mese fa, dal suo amante, autoctono pure lui. Di lei non ricordo il nome, non ha avuto l’assordante omaggio mediatico che ha seppellito per la seconda volta Hina. Ma – ci dicono – Hina è morta perché voleva diventare “italiana” (addirittura “bresciana” dice il suo fidanzato italo-bresciano), quindi merita questo largo spazio sui giornali, anzi è stata avanzata addirittura la proposta di solenni funerali di stato. Magari una medaglia. Una medaglia che ci ricordi nei secoli futuri che siamo (“noi”, noi italiani) dalla parte del “bene”: vedete, c’è addirittura chi muore per fare parte di “noi”, della nostra “civiltà”, “cultura”, “umanità”.Il resto è barbarie. Ieri a Rimini un giovane autoctono, guardia giurata in un istituto di vigilanza, armato di pistola, martello e coltello, ha ucciso un muratore siciliano di ventisei anni e ferito quasi mortalmente un giovane albanese che era con lui, vera vittima designata dell’agguato. Sembra che quest’ultimo “insidiasse” con telefonate e simili la sua “fidanzata”. Dopo l’arresto ha dichiarato : “ho fatto il mio dovere. Se non ci fosse gente come me, questi chissà cosa continuerebbero a fare”. Razzismo, rambismo e una buona dose di sessismo, gli ingredienti di questa storia. La ricetta in fondo“funziona”, perché cambiarla? Ho trovato stupefacente che anche Dacia Maraini, in un articolo per il Corriere della Sera del 21 agosto (dove pure punta il dito contro il patriarcato e denuncia l’uso proprio di ogni fondamentalismo – sia esso musulmano o cattolico – di usare la religione come una clava contro la lotta per la libertà delle donne) chieda che lo “Stato Italiano” si faccia carico di questa morte con un funerale ufficiale “che dia dignità e onore alla ragazza uccisa” per “incoraggiare chi si integra, chi cerca di diventare italiano, punire chi pretende, venendo da noi, di continuare ad applicare leggi arcaiche e disumane”. Ho trovato invece bello e anche coraggioso l’articolo di Maria Grazia Rossilli “Il mostro è il patriarcato, nelle sue varianti cattoliche e musulmane. Piccola storia romana tanto simile a quella di Hina”, che potete leggere sul Paese delle donne on-line. Certo, bisognerà poi trovare il modo di fare dei “distinguo” (che non sono solo quelli di Giuliano Ferrara) per non rischiare di trasformare il concetto di patriarcato in qualcosa di a-storico, di immutabile o astratto, anziché qualcosa di radicato, sempre, in un “qui ed ora”. Solo la messa a fuoco e l’analisi di questo “qui ed ora” potrà aiutarci a trovare degli utili ed efficaci mezzi per combatterlo. Certo, la migrazione di molte donne è dovuta anche alla volontà di sottrarsi a forme brutali di oppressione e inferiorizzazione, ma il fatto che nessuno abbia mai proposto i funerali di stato per una delle tante donne uccise dal marito, dal fidanzato, dall’amante o dal padre italiani ( anche del "nord", non solo del barbaro "sud") dovrebbe farci riflettere.

(Il post è stato pubblicato anche qui)