mercoledì 7 maggio 2014
Noi che amiamo bell hooks
lunedì 20 maggio 2013
La marcia per la vita e le madri snaturate
domenica 17 luglio 2011
Lo stupro Strauss-Kahn ? Solo "un troussage de domestique"

giovedì 5 maggio 2011
Christine Delphy: un'intervista sul numero 7 di xxd
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domenica 27 febbraio 2011
Primo marzo 2011: donne native e migranti contro il razzismo e il patriarcato
Questa situazione, determinata da un sistema patriarcale (che non ha né cultura né nazione, né religione, ma che è universale) passa attraverso l’attacco quotidiano alle operaie della casa, alle mogli, alle lavoratrici isolate, esi articola in svariate maniere. In Italia, la legge Bossi-Fini è lo strumento utilizzato per riaffermare, in forme sempre nuove e violente, il linguaggio del patriarcato. Una legge che colpisce due volte le donne migranti tramite il contratto di soggiorno per lavoro che le rende lavoratrici ricattabili (sia nelle fabbriche sia nelle case), sempre a rischio di diventare “clandestine”, di essere rinchiuse nei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) ed espulse. E ancora: la legge Bossi Fini rafforza il patriarcato che è nelle case perché le donne migranti che sono in Italia per ricongiungimento famigliare dipendono dal permesso di soggiorno del marito e per loro è difficile o impossibile – anche in assenza di supporti concreti – liberarsi dalla subordinazione o dalla violenza domestica che, come capita anche a moltissime donne italiane, spesso esercitano i mariti. Inoltre la legge Bossi-Fini riproduce su scala transnazionale la divisione sessuale del lavoro riproduttivo. Il lavoro domestico e di cura è sempre destinato alle donne, migranti o italiane che siano, anche se una parte delle donne è riuscita a liberarsi almeno parzialmente da questo «destino domestico» pagando un’altra donna. Finché le donne migranti saranno riconosciute solo come «ruoli» (mogli, prostitute che possono riscattarsi solo come vittime, badanti e colf sulle quali si amministra il nuovo welfare privato, pagato dalle donne) la libertà di tutte le donne è sotto attacco. Per questo è necessario oggi conquistare la parola e la visibilità politica delle donne, soprattutto di quelle migranti. Perché le migrazioni delle donne mettono in discussione le strutture sociali e patriarcali sia nei paesi di partenza sia in quelli di arrivo. Da questa potenza, oltre le reali difficoltà, dobbiamo muovere insieme il passo verso una presenza politica. Una presenza che ci faccia prendere e riprendere la parola! A Bologna è stato chiaro che noi donne, migranti e italiane, non siamo più disposte ad accettare che il nostro sfruttamento e la nostra subordinazione siano giustificati da stati, culture, tradizioni o religioni. Non siamo più disposte ad accettare un antirazzismo neutro o il linguaggio politicamente corretto di un multiculturalismo che giustifica le aggressioni contro le donne che accadono all’interno delle comunità e delle famiglie. Criticare questa realtà non vuol dire fare una crociata razzista colpendo indiscriminatamente tutta le comunità migranti ma vuol dire criticare le pratiche patriarcali esercitate da uomini sia immigrati sia italiani. Vuol dire riaffermare una battaglia per la libertà delle donne, migranti e italiane. Per questo chiamiamo il nostro sfruttamento e la nostra subordinazione (quelli imposti dalla legge Bossi-Fini e quelli raccontati come “tradizione”) con il loro vero nome: patriarcato. Proponiamo alle donne, dentro e fuori il movimento dei migranti e antirazzista, a tutte coloro che stanno scendendo nelle piazze per affermare la propria libertà di donne contro un potere che si esercita prima di tutto sui loro corpi, di costruire una propria visibilità accanto alle donne migranti, prima di tutto nelle piazze del primo marzo. Ma proponiamo di avviare un percorso di assemblee, a livello locale e nazionale, per far valere anche oltre il primo marzo la voce e la presenza delle donne, con le donne migranti. Perché la loro assenza dalle piazze è un silenzio assordante. Perché la visibilità che le donne si riprendono sarà accecante".
Le Donne del Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
Associazione Todo Cambia, Milano
Associazione Trama di Terre, Imola
Rete Intrecci: Associazione Donne in Cammino per la Famiglia, Forlì-Cesena; Associazione Il Ventaglio, Bologna; Associazione ANNASSIM, Bologna; Associazione Che la Festa continui, Casalecchio (Bo); Associazione Donne del Mondo, Forlì-Cesena; Associazione UDI, Modena; Ass. Differenza Maternità, Modena, Ass. Donne in nero; Ass Vagabonde, Parma.
Per adesioni/contatti: migranda2011@gmail.com
sabato 5 febbraio 2011
Senza stupore: eccezione e norma ai tempi di Arcore
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giovedì 7 ottobre 2010
Mutilazioni genitali e cinture di castità
mercoledì 21 ottobre 2009
Avvistato burqa, Ufo postcoloniale?
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sabato 20 giugno 2009
Dopo le ma(donne) anche una Miss Tendopoli per l'Abruzzo. Ma questa volta senza viaggio premio a Villa Certosa
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venerdì 9 novembre 2007
Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère ...

Premessa
Il 12 febbraio 1974 René Allio annota in uno dei suoi quaderni: " E' di una storia di questo tipo, con questo tipo di violenza, che rinvia a quel che rinvia, che bisognerebbe parlare" [1]. La "storia" è quella pazientemente ricostruita durante un seminario sui rapporti tra psichiatria e giustizia penale al Collège de France, da poco pubblicata da Gallimard con il titolo di Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère... [2].
Occorreranno più di due anni, in gran parte spesi nella difficile ricerca di qualcuno disposto a finanziare l'impresa, perché il film sia finito. Nel novembre '76 viene proiettato a Caen e, la sera successiva, a Flers: "la sala è affollata di un pubblico che non si vede mai al cinema. La gente della campagna. Uomini, donne sulla cinquantina, pieno di giovani, il miglior pubblico possibile per questo film. Il loro piacere grave di riconoscere qualche cosa di loro nel film fatto con loro e che viene da loro"[4]. Sono i luoghi dove il film è stato girato e dove, più di centotrenta anni prima, un povero contadino di ventun'anni aveva provato sulla propria pelle che "per prendere la parola e perché la si ascolti, l'indigeno deve cominciare ad uccidere, e morire"[5].
Uccidere/scrivere: il crimine, la Memoria.
Il 3 giugno 1835, in un villaggio della campagna normanna, Pierre Rivière uccide a colpi di roncola la madre, la sorella e il fratello. Subito dopo si dà alla fuga vagando per i boschi e le cittadine del circondario fino ai primi di luglio, quando viene riconosciuto e arrestato. Processato, condannato a morte, in seguito graziato da Luigi Filippo, viene rinchiuso, per scontarvi l'ergastolo, nel carcere di Beaulieu. Lì, il 20 ottobre 1840, si toglie la vita, impiccandosi.
Non è la violenza, spesso tragicamente rivolta contro altri dominati o contro sé stessi, a costituire la singolarità di questo "caso". Un fatto crudele ma, all'epoca, non eccezionale: altri Rivière, oscuri personaggi senza nome né storia, abitano le cronache del tempo, come se "il linguaggio spaventoso del crimine"[6] costituisse la sola, estrema possibilità di sollevarsi, almeno per un istante, dalla - e contro la - propria condizione:
L'eco delle battaglie risponde dal lato opposto della legge alla fama vergognosa degli assassini ... dopo tutto le battaglie imprimono il marchio della storia su massacri senza nome; mentre il racconto crea frammenti di storia a partire da semplici scontri di strada. Dagli uni agli altri, il limite è oltrepassato senza posa ... per un avvenimento privilegiato: l'omicidio[7].
Decimati dalle malattie e dalla fame, ridotti a bestie, mandati a morire in guerre di cui spesso non capivano le ragioni e di cui non erano mai gli eroi, i ceti popolari delle campagne si avvedono ben presto che l'avvento della Rivoluzione non ha segnato per loro un radicale cambiamento. L'uguaglianza giuridica, il nuovo statuto di cittadini, la forma del contratto, sono un nuovo e più raffinato metodo per il loro assoggettamento: "L'ordine della nuova società liberale ha disposto le sue istanze di controllo proprio nel contratto, nel gusto della proprietà e nella spinta al lavoro che ne consegue, per tenervi in mano e perpetuarvi gerarchie e disuguaglianze"[8].
Ed è allora che "la campagna, universo silenzioso dell'infelicità, cessa di subire soltanto il suo stato, l'esteriorizza, e produce al di fuori, come altrettanti sintomi significanti, dei crimini spaventosi"[9]. Questi "atti sono discorsi", ma nessuno ha voglia di intenderli, anzi un complesso di poteri e saperi si mette subito in moto per ridurli. L'eccezionalità del caso Rivière risiede nel fatto che egli riesce a sottrarsi a questa riduzione. Al punto che, paradossalmente, è la stessa macchina che voleva "contenerlo" a rendere possibile, dopo più di un secolo, il suo (ri)emergere: il crimine di Rivière era stato assunto come posta in gioco nel conflitto tra il potere giudiziario e quello, nascente, della psichiatria, uno scontro che proprio in quegli anni conosceva il suo culmine. È proprio seguendo il solco di questo conflitto che il seminario di Foucault ha incontrato "l'omicida dagli occhi rossi"[10], attraverso il dossier pubblicato nel 1836 nelle "Annales d'hygiène publique et de médecine légale", da Esquirol e altri psichiatri parigini intervenuti, dopo la condanna a morte, a favore della domanda di grazia.
Le ricerche condotte dal seminario "riaprono" questo dossier, estendendo la massa dei documenti, riproponendoli nel libro in base alla cronologia dei fatti: processo verbale dei medici che constatano i decessi, mandato di cattura, verbali degli interrogatori dell'omicida e dei testimoni, consultazioni medico-legali, sentenza di condanna, grazia, scheda di immatricolazione e di "uscita" del carcere, resoconti della stampa e, infine, un "foglio volante".
L'insieme di questi documenti disegna "una lotta singolare, uno scontro, un rapporto di potere, una battaglia di discorsi e attraverso dei discorsi"[11], al cui centro si trova "quel documento straordinario: la memoria"[12], quaranta pagine di straordinaria bellezza [13], scritte in carcere nell'arco di undici giorni dallo stesso Rivière, "molto grossolanamente, poiché non so che leggere e scrivere; ma purché si intenda quel che voglio dire, è questo che chiedo". Questa Memoria si articola in due parti: un "Riassunto delle pene e delle afflizioni che mio padre ha sofferte da parte di mia madre dal 1813 fino al 1835" e un "compendio della mia vita personale e dei pensieri che mi hanno occupato sino ad oggi". Qui l'omicida offre "la spiegazione in dettaglio" del suo crimine e i motivi che ve lo hanno condotto, per esercitare la giustizia di Dio e sfidare le leggi umane "ignobili e mostruose"[14]:
Mi sembrò che sarebbe per me una gloria, che mi sarei immortalato morendo per mio padre, mi raffiguravo i guerrieri che morivano per la loro patria e per il loro re ... dicevo tra me: quelli là morivano per sostenere il partito di un uomo che non conoscevano e che neppure li conosceva, che non aveva mai pensato a loro; ed io morirò per liberare un uomo che mi ama e mi predilige ... Presi dunque questa orrenda risoluzione, mi determinai ad ucciderli tutti e tre; le prime due perché si accordavano tra loro per far soffrire mio padre, quanto al piccolo avevo due ragioni, l'una perché amava mia madre e mia sorella e l'altra perché ... mio padre ... amava questo bambino che aveva dell'intelligenza, pensai tra me: avrà un tale orrore di me che si rallegrerà della mia morte [15].
Questa Memoria che, perfino nella versione amputata della prima parte pubblicata dalle "Annales", sembra suscitare (o tradire) un sintomatico imbarazzo, mobiliterà un varietà di tattiche tese a ridurla, circoscrivendola in esami che ne faranno per alcuni il lucido progetto di un criminale, per altri il delirio di un pazzo. Il libro curato da Foucault tendeva proprio a "far emergere in qualche modo il piano di queste lotte diverse, restituire questi scontri e queste battaglie, ritrovare il gioco di questi discorsi, come armi, come strumenti di attacco e di difesa in rapporti di potere e di sapere"[16].
E qui si inseriva la più importante posta in gioco: rovesciare la gerarchia dei discorsi. Mettere lo scritto di Rivière al centro, non solo nella successione dei testi, ma nell'ordine del discorso: evitare di interpretarlo, di "riprenderlo in uno di quei discorsi (medici, giuridici, psicologici, criminologici) di cui volevamo parlare a partire da esso"[17].
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* Colette Guillaumin, nel suo "Follie et norme sociale. A propos de l'attentat du 6 décembre 1989" (in Sexe, race et pratique du pouvoir. L'idée de nature), scrive: "Un jeune paysan normand, Pierre Rivière, qui a fait rêver, de façon étrangement aveugle - et peut être complaisante -, bien des anthropologues et cinéastes, tuait, en 1835, sa mère, sa sœur de dix huit ans et un enfant de sept ans, son petit frère, dans une explosion de haine qui ne retient l'explication des analystes que par la "haine de la mère", laissant dans l'inconnu ou le non-dit la haine des femmes.
NOTE:
[1] René Allio, Carnets, a cura di Arlette Farge, Paris, Lieu Commun, 1991, p. 39.
[2] Michel Foucault (a cura di), Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello...., Torino, Einaudi, 1976 (ed. or. 1973). Per osservazioni critiche relative alla recente riedizione Einaudi, introdotta dallo psichiatra Paolo Crepet, si vedano gli articoli pubblicati in «Alias»,, n. 24, 17 giugno 2000, pp. 22-23.
[3] R. Allio, Carnets, cit., p. 42.
[4] Ivi, cit., p. 63. In Italia il film di Allio, che non raggiungerà mai la grande distribuzione, è presentato alla Decima Settimana Cinematografica Internazionale di Verona (16-22 giugno 1978): Momenti del cinema francese contemporaneo (1976-1978). Due anni prima, alla Biennale di Venezia, era stato presentato un altro film sul tema: Je suis Pierre Rivière, opera d'esordio della regista Christine Lipinska.
[5] Jean-Pierre Peter e Jeanne Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", in Io, Pierre Rivière..., cit., pp. 199-221, p. 206.
[6] Ivi.
[7] M. Foucault, “I delitti che si raccontano”, in Io, Pierre Rivière ..., cit., pp. 228-229.
[8] J.-P. Peter e J. Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", cit., p. 204.
[9] Ivi, p. 205.
[10] Così nella scheda di immatricolazione del carcere di Beaulieu. Cfr. Io, Pierre Rivière..., cit., p. 181.
[11] M. Foucault, "Presentazione", in Io, Pierre Rivière..., cit., pp. X.
[12] Guy Gauthier (a cura di), "Il ritorno di Pierre Rivière. Conversazione con René Allio", in Gianfranco Gori (a cura di), Passato ridotto. Gli anni del dibattito su cinema e storia, Firenze, La casa Usher, 1982, pp. 77-84, p. 79.
[13] Circa sessanta pagine nella versione Einaudi, quaranta nel manoscritto originale. Cfr. M. Foucault, "I delitti che si raccontano" , cit.
[14] P. Rivière, "La Memoria", in Io, Pierre Rivière ... , cit., pp. 53-114, p. 99.
[15] Ivi., pp. 99-100.
[16] M. Foucault, "Presentazione", op. cit., p. XI.
[17] Ivi, p. XII.
[continua qui]
mercoledì 10 ottobre 2007
Sessismo e razzismo. Un convegno
L'imbrication du sexisme e du racisme en France et aux Usa aujourd'hui
9.30 L'imbrication du sexisme et du racisme dans l'histoire de la revue Nouvelles Questions féministes par Christine Delphy et Patricia Roux.
10.00 Danielle Haase-Dubosc. Féminismes, postcolonialisme et transnationalismes.
10.30 Patricia Roux. L'instrumentalisation du genre: une nouvelle forme de sexisme et de racisme.
11.00 Christelle Hamel. La sexualité entre racisme et sexisme.
12.45 Déjeuner
14.15 Leti Volpp. Quand on rend la culture responsable de la mauvaise conduite.
15.15 Houria Bouteldja et Saida Rahal Sidhoum. Qu'est-ce qu'un féminisme « indigène » aujourd'h ui en France?
15.45 Christine Delphy . Peut-on lutter efficacement contre le patriarcat sans prendre en compte l e racisme?
16.30 Discussion
Entrée libre dans la limite des places disponibles.
Infine: un po' perché mi facilitate le cose un po' perché se ho aperto un blog è per "socializzare" pratiche e saperi, piuttosto che una mail inviate un commento :-)
mercoledì 19 settembre 2007
"Lo stupratore non è un malato. E' il figlio sano del patriarcato"
Bologna, 18 settembre 2007
Presidio davanti alla Procura per l'udienza preliminare di un processo per stupro indetto da Quelle che non ci stanno
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Per interessanti commenti e documenti sulla vicenda si veda Femminismo a Sud
mercoledì 8 novembre 2006
Il "qui ed ora" del patriarcato. Hina Saleem e le altre
(Il post è stato pubblicato anche qui)