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lunedì 17 giugno 2013

Silvia Federici e il punto zero della rivoluzione

Hobo. Laboratorio dei saperi comuni invita alla presentazione del volume di Silvia Federici Revolution at Point Zero. Housework, Reproduction, and Feminist Struggle (PM Press, 2012). Si discuterà di lavoro di riproduzione , valorizzazione capitalistica e spazi delle lotte nella crisi con l'autrice e il Laboratorio Sguardi sui Generis, mercoledì 19 giugno alle ore 19 a Bologna, presso l'anfiteatro dei Giardini di Filippo Re

giovedì 9 maggio 2013

L'integrazione è un campo di battaglia

Ancora a proposito della nomina di Cécile Kyenge, riprendiamo da Connessioni Precarie un articolo che ci sembra non solo approfondire ed esplicitare alcune delle questioni dibattute in Chi ha paura della donna nera? ma anche proporre alcuni spunti per una lettura critica del concetto di integrazione, tema che riteniamo cruciale fin dai tempi de La straniera, con il saggio di Sara Farris  La retorica dell'integrazione (e rinviamo anche a  Integrazione. Passione, tecnica, dovere la "voce" curata da da Silvia Cristofori in Femministe a parole . Buona lettura e riflessioni // La nomina della ministra Cécile Kyenge ha suscitato alcune reazioni prevedibili, altre meno. Alla volgarità leghista siamo ormai abituati, così come agli insulti razzisti che hanno come bersaglio non solo i migranti tutti, ma direttamente e indubbiamente i «negri». Usiamo questa parola fuori da ogni politically correct che ha coperto d’ipocrisia l’istituzionalizzazione di un razzismo di lungo corso che attraversa l’Italia e fa parte della sua gloriosa storia. L’Italia unita ha avuto le sue colonie e la sua teoria della razza, fatta propria dal regime fascista e mai veramente discussa e cancellata. «Non ci sono italiani negri», è stato detto dopo il primo gol di Balotelli, oggi chiamato in causa come testimonial. Ma mentre un gol fa godere tutti, lo stesso non si può dire quando arriva una ministra «negra». Tolto il dispregiativo, è stata lei stessa a togliere di mezzo anche le formule vaghe definendosi «nera» e non «di colore». Oltre al nero c’è però di più: c’è il fatto che Cécile Kyenge, con la sua stessa presenza, spezza il velo del silenzio calato sulla condizione di ormai oltre cinque milioni di persone che vivono e lavorano in Italia, delle centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi delle nuove generazioni in movimento, di bambini e bambine marchiati a fuoco dallo stigma dell’alterità e per i quali già si pensano esami di una presunta italianità. Sarebbe perciò sbagliato e ingenuo pensare che solo di integrazione e convivenza si debba parlare. Lo ripetiamo oggi a Cécile Kyenge, mentre le esprimiamo solidarietà e appoggio. Lo diciamo sicuri di interpretare anche il sentimento di tanti e tante migranti con cui ha saputo lottare negli anni scorsi, anche uscendo dagli angusti spazi della retorica del suo stesso partito. Un partito che mentre parla a mezza voce di una società meticcia, proprio dove lei vive, ha costruito e mantenuto due dei tredici centri di reclusione per i migranti. I famigerati Centri di identificazione ed espulsione, un tempo Centri di permanenza temporanea, sono stati infatti istituiti dal suo partito, oggi PD, con una legge che porta il nome di una persona che ha speso la vita per l’integrazione, Livia Turco, e dell’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Siamo sicuri che, nella disattenzione generale, tra le cose di cui il suo nome è garanzia in Europa vi sia anche il mantenimento di quell’apartheid democratico che vede nei CIE delle strutture simbolicamente necessarie. La «scimmia congolese», come è stata amabilmente etichettata la ministra, dovrebbe secondo alcuni andare a «lavare i cessi» in quanto «negra». Seppur ancora troppo timide, le reazioni di condanna non mancano, compresa quella della presidente della Camera Boldrini, prima che altre urgenze prendessero il sopravvento. Quelli che si scandalizzano, però, sanno che per una donna nera qualsiasi «lavare i cessi» è una possibilità molto più concreta di quanto questi insulti possano far pensare? Siamo sicuri che il ministro Giovannini, che conosce le statistiche del mercato del lavoro italiano, potrà confermare che in questi anni l’integrazione ha voluto proprio questo: riservare ai migranti e alle migranti i lavori peggiori, peggio pagati, più pesanti, secondo una rigida divisione del colore. In questa rigida divisione, le donne nere devono soprattutto lavare i cessi, magari degli ospedali, oppure prostituirsi mettendo d’accordo i maschi neri e quelli bianchi, il cui piacere continua a nutrirsi degli stereotipi coloniali alimentati dal mito della patria. Il lavoro domestico e di cura è invece sempre più riservato, in condizioni non sempre migliori, ad asiatiche o migranti dalla pelle bianca che provengono dall’Est Europa se si tratta di badare gli anziani. L’integrazione, ben oltre le feste in costume, la ‘cultura’ che tanto interessa certi giornalisti embedded di sinistra e le vuote parole sulle pari opportunità, è l’integrazione nella precarietà e nello sfruttamento garantiti dall’apartheid democratico e dall’arroganza della discrezionalità amministrativa. Ci sono poi altri silenzi e altri commenti che lasciano esterrefatti. Lo abbiamo già detto segnalando la novità di questo ministra, ma con il passare delle ore sono sempre più chiari la miopia e l’infantilismo politico di chi, dopo magari averne fatto per anni una bandiera, oggi banalizza questo attraversamento della linea del colore. Non stiamo celebrando una vittoria e neppure un’acritica apertura di credito a una neominstra, e questo tocca pure dirlo per non essere volutamente fraintesi dai più duri e puri. Mentre segnaliamo la novità, ci colpisce invece la non novità di certi commenti imbarazzati, infastiditi, quasi irritati. Ci ricordano gli stessi toni di chi nel 2010 ha storto il naso di fronte allo sciopero del lavoro migrante contro la Bossi-Fini. Nel 2010 lo sciopero è stato fatto lottando duramente contro chi non lo voleva: i grandi e piccoli sindacati e molti gruppi di movimento impauriti di perdere la centralità delle forme di militanza più rassicuranti. Una lotta che è stata più difficile con loro che con lei, che come noto era presente. I commenti imbarazzati di questi giorni ricordano anche chi il 23 marzo scorso si è ben guardato dal sostenere pubblicamente la manifestazione di Bologna, nella quale oltre tremila migranti chiedevano a ogni futuro governo di cancellare la legge Bossi-Fini e denunciavano il razzismo, la segregazione lavorativa, lo sfruttamento cui sono sottoposti. Se ne sono accorti migranti di mezza Italia, non altri. Il fatto che la neoministra fosse presente in queste occasioni non significa certo che sono assicurati risultati eclatanti, ma non è del tutto indifferente per spiegare le reazioni scomposte che si stanno sentendo. Il contenuto politico che apre questa nomina pare sia ben chiaro soprattutto ai gruppi più razzisti di questo paese. Basta leggere i commenti per accorgersi che dietro al «ministro bonga bonga» c’è infatti la difesa strenua di quel razzismo istituzionale che si fonda sulle leggi tanto italiane quanto dell’Unione Europea, non su qualche gruppo nazistoide. Si tratta di un razzismo istituzionale ormai da tempo uscito dalle priorità del cosiddetto movimento, vale la pena ripeterlo in questa occasione. Capiamo perciò che dia molto fastidio essere superati da sinistra, anche solo sul piano dell’involontaria segnalazione del problema, dal governo che si è appena formato. Difficilmente Cécile Kyenge potrà cambiare qualcosa da un ministero che non ha competenze in materia e senza portafoglio. Non sappiamo nemmeno se vorrà davvero farlo. Eppure non ci sembra questo il punto di fronte alla novità che rappresenta. Guardiamo piuttosto dentro le case dei milioni di migranti che vivono, lavorano e crescono in questo paese, ai loro sorrisi nel vedere una ‘come loro’ giurare in un governo. Loro sanno che questo non vorrà dire la fine delle sofferenze e dello sfruttamento, l’uguaglianza di opportunità, la cancellazione del razzismo istituzionalizzato. Loro sanno che questo andrà conquistato con il tempo e con la lotta. Sanno però con certezza che è una lotta da fare. Sarebbe il caso che anziché ignorare questa lotta quotidiana riducendola alle sterili tattiche di movimento, lo capissero anche tutti quelli che si professano antirazzisti e antirazziste. Sarebbe bene anche che le tante persone di buona volontà che credono che la parola integrazione sia il bene, capissero che l’integrazione è un campo di battaglia che, mentre ricopre di belle parole, miete ogni giorno le sue vittime imponendo un prezzo da pagare. Le prime reazioni alla proposta di una modifica della legge sulla cittadinanza nella direzione dello ius soli parlano da sole. Le esternazioni del presidente del Senato ed ex-magistrato Pietro Grasso, che già paventa, in perfetta linea con leghisti e fascisti, l’invasione di donne migranti pronte a scaricare il loro imbarazzante fardello in suolo italico, sono emblematiche e significative. Il concetto di «ius soli temperato dallo ius culturae», formulazione ripresa dall’ex ministro per la cooperazione e per l’integrazione Riccardi, la dice lunga sul grado di violenza di questa battaglia, e ribadisce che l’unica integrazione ammessa senza condizioni è quella nello sfruttamento. Di fronte al silenzio quasi tombale che aleggia su queste questioni decisive del nostro tempo, intervallato dalla sterile esaltazione della diversità, da piccoli momenti d’irritazione e dalle offese razziste, la nomina di Cécile Kyenge segnala anche ai distratti che qualcosa nel mondo e in Italia è cambiato. E, probabilmente inseguendo lo scopo contrario, ricorda una dura lotta da fare

mercoledì 1 maggio 2013

Bastard and Poor's

Come nostro contributo a questo Primo Maggio segnaliamo il sito Bastard and Poor's, la prima agenzia di rating per lavoratori e lavoratrici che fa il suo ingresso nel web proprio oggi: non perderti un rating, connettiti con Bastard and Poor's ...

venerdì 1 marzo 2013

Un affare di donne: crisi e divisione sessuale del lavoro

Di/da Migranda un contributo su crisi e divisione sessuale del lavoro che vi invitiamo a leggere, commentare e far girare anche in vista della manifestazione delle/dei migranti del 23 marzo. Noi ci saremo. Buona lettura! // Secondo recenti studi statistici, dopo una relativa tenuta dei livelli occupazionali rispetto ad altri settori, a partire dal 2009 anche quello del lavoro domestico – almeno se si guarda al lavoro regolare – ha conosciuto un calo significativo, che tuttavia non corrisponde a una riduzione della domanda di assistenza familiare. Si tratta di un cambiamento che si compie all’interno del quadro sostanzialmente immutato della divisione sessuale del lavoro: le cosiddette «badanti» continuano a essere donne. Queste costituiscono l’80% dei migranti che svolgono lavori domestici e di cura, ma la percentuale è probabilmente maggiore se si considera che molto uomini hanno potuto regolarizzare la propria posizione solo attraverso le «sanatorie» e i flussi destinati a «colf e badanti». Non è un caso che, se si prendono in considerazione anche i migranti comunitari, che in quanto tali non sono stati coinvolti nelle recenti «sanatorie», la quota delle donne impiegate nel lavoro domestico arriva al 96%. I numeri cambiano poco se si guarda alle italiane, che costituiscono il 94,1% dell’insieme di coloro che svolgono lavori domestici e di cura. Le cifre parlano delle trasformazioni innescate dalla crisi economica, il cui portato non è possibile valutare con chiarezza. Si può considerare la riduzione complessiva dell’occupazione regolare nell’ambito del lavoro di cura in relazione ai più recenti movimenti dei migranti finora residenti in Italia: nel 2011 ci sono state 32.000 cancellazioni dall’anagrafe, il 15,9% rispetto al 2010, e molte meno iscrizioni. Le lavoratrici domestiche migranti sono diminuite del 5,2% nel 2011. Non sembra possibile, però, interpretare le statistiche nel senso di un «ritorno di massa» delle donne migranti nei paesi di provenienza: da considerare è innanzitutto l’incidenza del lavoro nero in questo specifico settore. La rilevanza del lavoro nero emerge se si considera che la rilevazione Istat registra, per quanto riguarda la provincia di Bologna, un incremento delle lavoratrici domestiche simile al decremento evidenziato dalla banca-dati Inps, indicando così un divario tra quanto si dichiara e mondo reale, cioè appunto un aumento del lavoro nero. Per quanto riguarda le migranti, ciò non dipende solo dalla mancanza di documenti ma anche dal fatto che spesso scelgono di ricevere il salario per intero, senza versare contributi che non rivedranno mai, o perché i padroni quei contributi non intendono versarli. Se si considerano poi le migranti comunitarie, come le donne rumene, il gruppo più cospicuo sia di badanti sia di donne che stanno abbandonando il Paese anche perché sono più libere di spostarsi all’interno dell’Europa, il fatto che non siano sottoposte al ricatto quotidiano del permesso di soggiorno rende più facile rinunciare a un contratto di lavoro in regola per un salario globale complessivamente più alto, cosa che vale ovviamente anche per le donne italiane. Questo insieme di trasformazioni deve essere considerato in relazione all’aumento della domanda di prestazioni di cura nel quadro dello smantellamento dei servizi sociali. Da un lato, il welfare pubblico non è più in grado di fornire risposte efficaci al bisogno di assistenza che riguarda sempre più famiglie, anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione, delle trasformazioni degli assetti familiari e del rifiuto da parte delle donne del loro «destino domestico». Dall’altro, quel bisogno trova una sua risposta «privata», monetizzata. Le donne sono chiamate in causa non solo all’interno dei propri nuclei familiari, ma ancora sono costrette a pagare un’altra donna per gestire la propria famiglia e mantenere il proprio lavoro, generando l’ormai nota «catena salariale della cura». Il rapporto tra l’aumento della domanda e la diminuzione delle lavoratrici domestiche migranti è spiegabile considerando un’altra trasformazione, cioè l’aumento della presenza di lavoratrici italiane in questo settore, testimoniato anche dalla loro crescente partecipazione ai corsi di formazione organizzati da Acli Colf o da Federcasalinghe. Per dare ancora un po’ di numeri, a Torino le badanti italiane assunte attraverso l’agenzia Obiettivo Lavoro sono passate dalle 948 del 2008 alle 1757 del 2010, con un incremento dell’85%. Se il lavoro salariato domestico per le donne italiane è stato a lungo una scelta residuale rispetto ad altre possibilità di impiego, la crisi sembra destinata a cambiare la situazione in modo durevole, trasformando il lavoro salariato domestico in una scelta obbligata – e dettata da una sempre chiara e definita divisione sessuale del lavoro – per coloro che, non più giovani, si sono trovate al di fuori del mercato del lavoro. È infatti significativo che i dati relativi all’aumento dell’occupazione femminile (+1,2% nel 2011, +1,3% nel 2012) riguardino prevalentemente donne single e giovani, mentre per quelle che vivono una relazione di coppia e hanno figli il tasso di occupazione precipita notevolmente (e in modo proporzionale al numero dei figli). Sembra cioè che abbia avuto luogo un processo di «sostituzione» tra le donne migranti e quelle italiane nell’ambito del lavoro salariato domestico dove infatti, al contrario degli altri settori, l’età delle lavoratrici impiegate è andata costantemente aumentando negli ultimi dieci anni. In questo contesto, le donne migranti hanno un salario inferiore, in particolare se si considera il numero di ore lavorate: il fatto di vivere spesso sul luogo di lavoro comporta una disponibilità pressoché totale. Nello stesso tempo, se alla maggiore disoccupazione delle madri e delle donne ‘accoppiate’ si aggiunge una riduzione complessiva delle spese familiari – il che significa anche riduzione delle ore di lavoro pagate per «colf e badanti» – il quadro è quello di un probabile «ritorno a casa», come «casalinghe», di quelle donne che hanno perso il lavoro per la crisi e che non riescono a trovarne un altro per ragioni di età e per la scarsa flessibilità che possono offrire in quanto madri. Almeno in Italia, la crisi sta ridefinendo l’organizzazione e la gerarchia sociale del lavoro riproduttivo, e sembra invertire in parte quel processo globale di «sostituzione» che, in maniera massiccia e con il sostegno della legge Bossi-Fini, aveva visto le lavoratrici migranti svolgere, in cambio di un salario, una parte del lavoro riproduttivo delle donne «native». Mentre la salarizzazione del lavoro riproduttivo e di cura sembra non essere più solo un «affare delle migranti», la divisione sessuale del lavoro – che qualcuna aveva persino data per morta e la cui rilevanza politica scompare di fronte all’invocazione di una generica uguaglianza nello sfruttamento – rischia di ripresentarsi in forme «tradizionali», e continua a essere un «affare di donne»

sabato 23 febbraio 2013

Elezioni, donne, bambole e sante

Una noiosa influenza mi costringe in casa, il mal di testa mi impedisce di dedicarmi a letture più impegnative, quindi mi ritrovo a fare zapping davanti alla tv e al pc, aggiornandomi - in extremis - sul tema per me poco entusiasmate delle elezioni "al femminile". Passo in un crescendo di sgomento dalla lettura del manifesto Sono una donna non sono una bambola pubblicato a pagamento sul Corriere della Sera da un lungo elenco di "donne comuni" (parrucchiere e avvocate, pensionate e casalinghe, giovani e meno giovani ) che annunciano la loro volontà di votare Berlusconi "per la loro libertà" perché "le donne sono uguali e ciascuna è diversa ... ci rispettiamo e vogliamo rispetto", alla campagna sociale - che ha ottenuto il patrocinio di Pubblicità Progresso - Se crescono le donne, cresce il Paese di Snoq, affiancata dalla campagna di mobilitazione video Un paese per donne: le parole per dirlo, "una rappresentazione corale delle condizioni, delle idee e dei desideri delle donne, dal Sud al Nord". Anche qui infine le donne sono tutte diverse e tutte uguali: come sottolinea Simona De Simoni "C’è la studentessa, la professionista rientrata dall’estero, la vittima di tratta, la casalinga, la manager, l’operaia, la madre, la single", ma "tutte chiedono più lavoro, più riconoscimento, più merito (manco a dirlo), più conciliabilità con gli impegni famigliari. Tutte sognano la stessa vita e lo stesso tipo di realizzazione personale: dividersi equamente e serenamente tra il lavoro e il privato (generalmente nella forma della famiglia)". Sullo sfondo in entrambe le prese di posizione emerge la richiesta del riconoscimento di una "specificità femminile", che per le une "è di genere (le donne partoriscono, gli uomini fecondano) non sociale o culturale o politica" per le altre si materializza nei "temi delle donne" da inserire nell'agenda politica: "a cominciare dalla conciliazione dei tempi casa-lavoro, ai servizi, a una riforma del welfare che non faccia pagare solo alle donne il peso della crisi". Una lettura annichilente (Giorgia Meloni che condanna l'ultima trovata omofoba dei sui "fratelli" di partito meriterebbe discorso a parte, ma rinviamo a un post di qualche anno fa, ancora attuale), che ci da la misura del baratro in cui è sprofondato questo paese, ma anche di quanto sia importante continuare a lavorare, a valorizzare e dare visibilità a punti di vista femministi critici, che fortunatamente non mancano // Il video è la registrazione dell'esibizione di Rosanna Fratello a Canzonissima nel 1971, lo stesso anno della pubblicazione di La donna clitoridea e la donna vaginale nei Libretti Verdi di Carla Lonzi / Rivolta Femminile

venerdì 15 febbraio 2013

Assemblea generale delle migranti e dei migranti

Oggi ancora, anche se nessuno lo dice, la legge Bossi-Fini lega la nostra permanenza regolare al permesso di soggiorno, al contratto di lavoro e al reddito. Da ormai dieci anni questa legge ci ha costretto ad accettare qualsiasi tipo di salario e mansione pur di mantenere i documenti in regola. Il legame tra soggiorno e lavoro, con la richiesta di un livello minimo di reddito per rinnovare il permesso, ha di fatto espulso dal mercato del lavoro e trasformato in irregolari migliaia di migranti: alcuni hanno lasciato il paese perdendo gli anni di contributi versati regolarmente, altri hanno deciso di rimanere pur dovendosi separare dalle loro famiglie che sono tornate nei luoghi di provenienza. Molti lavorano per salari ancora più bassi. Anche se paghiamo le stesse imposte dei lavoratori italiani, sono state messe nuove tasse e richiesti versamenti alle poste per rinnovare un permesso che spesso scade dopo solo pochi mesi. Quello che noi migranti viviamo dentro e fuori i luoghi di lavoro non nasce dal niente. Noi migranti non siamo più disposti ad accettare questa situazione: abbiamo lottato e continuiamo a lottare! Abbiamo manifestato davanti alle Prefetture e Questure per la nostra libertà e i nostri diritti. Abbiamo organizzato lo sciopero del lavoro migrante del primo marzo 2010 e 2011, insieme a tanti lavoratori italiani, precari e operai. Oggi, in tutta l’Emilia-Romagna, con gli scioperi e i blocchi nella logistica e nella distribuzione, stiamo lottando per migliorare le condizioni salariali e di lavoro, per tutti. In un settore dove prima sembrava impossibile alzare la voce, abbiamo detto basta al sistema al ribasso delle cooperative e alla precarietà. Con queste lotte abbiamo accumulato forza e ora vogliamo conquistare la libertà dal quotidiano razzismo istituzionale. Questo è il momento: nessun nuovo governo risolverà i nostri problemi, soltanto con la nostra forza potremo liberarci dal ricatto imposto dalla legge Bossi-Fini e dal permesso di soggiorno! Conosciamo la nostra forza, dobbiamo organizzarci! Dopo incontri e discussioni con migranti e associazioni non solo del bolognese, vogliamo costruire insieme una mobilitazione regionale e invitiamo tutti a partecipare all'assemblea generale dei migranti domenica 17 febbraio alle 0re 15 (XM24 - via Fioravanti, 24 - Bologna). Per info, contatti e per scaricare i volantini in arabo, inglese, italiano e urdu Coordinamento migranti Bologna e Provincia

venerdì 7 dicembre 2012

Le domeniche di Migranda

Dopo la festa/assemblea del maggio scorso, Migranda ritorna con un nuovo appuntamento: una domenica al mese per continuare a discutere, a partire dalle nostre esperienze, in un momento in cui la crisi economica e la legge Bossi-Fini hanno effetti profondi anche su noi donne, migranti e non. Molte, soprattutto coloro che non lavorano, sono “rimandate” nei paesi di provenienza, spesso coi propri figli nati o cresciuti qui, per risparmiare sui costi della riproduzione. Altre si ritrovano a portare a casa l’unico salario, perché – da sempre più ricattabili alla luce del doppio carico di lavoro – le donne offrono una forza lavoro più “utile” in tempi di crisi, in quanto più disponibile. E intanto sempre più, proprio a causa della crisi economica, il lavoro domestico a pagamento sembra essere l’unica via d’uscita dalla disoccupazione anche per le donne italiane che, proprio “grazie” alle migranti, sembravano essersene liberate. Con Migranda vogliamo stabilire le condizioni per una comunicazione continua, per una presa di parola delle donne che rompa l’isolamento vissuto da molte, affinché l’esperienza di ognuna diventi un’esperienza condivisa. Per questo, a partire dal 9 dicembre, ci incontreremo una domenica al mese, alle ore 15, presso il Centro Sociale Montanari (via Saliceto, 3 - Bologna). Prossimi appuntamenti: 27 gennaio, 24 febbraio e 24 marzo 2013. Vi aspettiamo!

lunedì 29 ottobre 2012

Per un femminismo di movimento e di lotta

Dai Quaderni Viola, un appello a partecipare all'incontro "Le donne di fronte alla crisi, al debito e alle politiche di austerità: pratiche di resistenza e alternative femministe", che si terrà il 9 novembre a Firenze: "Riteniamo indispensabile e irrimandabile prendere posizione di fronte alla crisi economica e alla sua drammatizzazione in Europa. La disperazione del popolo greco non solo ci sdegna per ragioni di solidarietà politica ed umana empatia, ma anche ci inquieta perché l'Italia potrebbe essere la Grecia di domani. L'équipe di persone di fiducia delle banche che da qualche tempo ci governa, ci sta sottoponendo infatti alla stessa terapia a cui è stato sottoposto quel disgraziato paese. Dappertutto comunque la crisi viene utilizzata per concentrare ricchezza e potere nelle mani di pochi, intensificando lo sfruttamento della forza lavoro, colonizzando i corpi e le menti di donne e di uomini, chiudendo spazi democratici e reprimendo lotte e movimenti..." (continua a leggere sul blog dei Quaderni Viola)

lunedì 15 ottobre 2012

Il femminismo sul crinale della crisi

Indubbiamente il post-Paestum è alquanto vivace, perlomeno a vedere il gran numero di interventi, testimonianze, interviste pubblicate in riviste, quotidiani e  diversi siti femminili/femministi. Nonostante la mia proverbiale curiosità, confesso che purtroppo di tutto questo sono riuscita a leggere pochissimo (ho sempre meno tempo), nonostante l'invio, da parte di qualche insostituibile amica, di "brani scelti" e link. E di quel che ho letto devo dire che moltissimo non mi è piaciuto affatto - in primis certi toni che mi son parsi tristemente trionfalistici - e di questa tre giorni, (non essendoci stata, tra l'altro), non sono ancora riuscita a farmi un'idea, seppur vaga. Tra il grande spazio dato alla questione della rappresentanza, un gruppo di discussione sul lavoro con Luisa Muraro (?) e slogan tipo "siamo tutte femministe storiche", mi perdo. Comunque di quel che ho letto ho trovato piuttosto sensato l'articolo di Lidia Cirillo pubblicato su ZeroViolenzaDonne, Il femminismo sul crinale della crisi. Mi sembra che problematizzi questioni cruciali che sono, invece, un po' assenti nel dibattito, quindi ve lo segnalo (ps: l'articolo di Dominijanni citato da Cirillo è questo, La politica è qui)

domenica 23 settembre 2012

Genere & Classe : l'insurrezione che distruggerà uomini e donne

Un grazie a Cirano che in un commento a L'etnicizzazione del sociale, ci segnala l'uscita ad ottobre di Genres & Classe: l’insurrection généralisée qui détruira les hommes et les femmes, (Genere & Classe: l'insurrezione generalizzata che distruggerà uomini e donne), nuovo numero hors série di Incendo. Il tema è indubbiamente di quelli belli "tosti" ed è affrontato da una prospettiva che mi sembra un po' lontana dalla mia (che si muove in una dimensione un più "intersezionale"), ma questi elementi contribuiscono a far scattare la mia proverbiale curiosità,  così come la copertina e la riproposizione nell'indice di slogan femministi (francesi) degli anni 70 che personalmente continuo a trovare strepitosi (Prolétaires de tous les pays, qui lave vos chaussettes?). Insomma, il faut, assolutamente, farsene inviare copia. Nell'attesa condividiamo indice e contatti., magari interessa anche qualcun altra/o e poi dopo la lettura se ne può  ri-parlare.

giovedì 13 settembre 2012

On the way to Paestum

Ricevo e pubblico l'invito di Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale, a gruppi e singole a partecipare ad una serie di incontri preparatori a Roma in vista dell'incontro nazionale femminista che si terrà a Paestum il 5, 6 e 7 ottobre, Primum vivere anche nella crisi: "Un grande meeting femminista è alle porte, con donne che da ogni parte d’Italia si ritroveranno a Paestum, come fu l’ultima volta nel 1976, per parlare di corpi, lavoro, cura, politica al tempo della crisi. In vista di questo appuntamento nazionale Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale insegue la sua vocazione di luogo a metà fra l’arena e il salotto, per lo scambio e la discussione, e invita tutti i gruppi e le singole di Roma a 2 mini-assemblee cittadine su Lavoro (19 settembre) e Corpo (26 settembre) presso il Caffè letterario / Casa internazionale delle donne di Roma, ore 18. Oltre a noi di kespazio! e alle organizzatrici di Paestum2012, saranno presenti alle assemblee i gruppi e singole in corso di adesione sulla pagina FB dell'evento ".

domenica 27 maggio 2012

Donne, debito e capitalsimo globale / Un incontro con Silvia Federici

Silvia Federici – docente presso la Hofstra University, New York – è una delle maggiori intellettuali e militanti femministe e marxiste. Ha vissuto tra Italia, Stati Uniti e Nigeria prendendo parte attiva in numerose battaglie politiche: dalle mobilitazioni studentesche alle lotte femministe europee e africane, dall'attivismo contro la pena di morte alla militanza nei movimenti contro la globalizazzione e la mercificazione dei sistemi scolastici. Nel confronto perenne con altre attiviste e teoriche femministe, Federici ha apportato un contributo fondamentale all’analisi e allo sviluppo del concetto di “riproduzione”, ampliandone il valore semantico e politico attraverso l'inclusione di una molteplicità di attività umane: la riproduzione dei corpi grazie al soddisfacimento dei bisogni elementari, la cura nei confronti di altri individui, la riproduzione delle culture e delle ideologie, la costruzione di comunità, la riproduzione delle lotte oltre che – nel contesto del capitalismo – la riproduzione della forza-lavoro, vero e proprio processo di produzione di valore non corrisposto in termini salariali e tradizionalmente svolto dalle donne. Nel lavoro di Federici, la riproduzione diventa una categoria indispensabile alla comprensione dello sviluppo capitalistico su scala locale e globale. Martedì 29 maggio sarà a Torino, nel seminario Donne, debito e capitalismo globale organizzato dal Laboratorio Sguardi sui Generis, al cui sito rinviamo per ulteriori info sull'incontro.

venerdì 25 maggio 2012

Il genere al lavoro / Audio del workshop di Sguardi sui Generis

Dal sito del Laboratorio Sguardi sui Generis, l'audio del workshop Il genere al lavoro, tenutosi a Torino qualche settimana fa. Dagli interventi della prima giornata - Processi di razzializzazione e gendering del lavoro (Introduzione, Anna Curcio, Vincenza Perilli), a quelli della seconda - la riforma Monti-Fornero e analisi del lavoro in prospettiva di genere - (Introduzione, Raffaele Sciortino, Lidia Cirillo. Buon ascolto!

lunedì 21 maggio 2012

Migranda : una festa / assemblea per tutte le donne, con le donne migranti

Migranda invita tutte le donne che vogliono essere protagoniste della lotta contro la legge Bossi-Fini e il razzismo istituzionale, che vogliono discutere del contratto di integrazione ma anche dell’importanza della lingua italiana, della cittadinanza per le figlie e i figli dei migranti e della precarietà nel lavoro, della costruzione di percorsi collettivi con le donne migranti e per tutte le donne, a una festa / assemblea domenica 27 maggio dalle ore 12 presso XM24 (via Fioravanti, 24 - Bologna). Pranzeremo insieme e discuteremo di come continuare insieme il nostro percorso.Partecipate numerose! 
Scarica il nuovo numero del Giornale di Migranda

venerdì 11 maggio 2012

Il genere al lavoro / Workshop del laboratorio Sguardi sui Generis

Il genere al lavoro è il nuovo workshop a cura del Laboratorio Sguardi sui Generis che si terrà a Torino all'inizio della prossima settimana e che "si propone di indagare la natura biopolitica del lavoro e degli odierni processi di produzione, cioè il modo in cui, dentro il capitalismo globale, l’inclusione di donne, migranti e categorie sociali tradizionalmente escluse produce gerarchizzazione della forza-lavoro e nuovi sfruttamenti.Leggere le trasformazioni in atto (la riforma del mercato del lavoro, le politiche di austerity) a partire da questa chiave, significa mettere in luce la ristrutturazione delle relazioni sociali e produttive che le politiche del debito producono, attraverso i dispositivi del reddito, del welfare, della cittadinanza. Il terreno del genere, in particolare, si rivela particolarmente strategico dentro questi processi nella misura in cui alla sua messa al lavoro dentro contesti produttivi sempre più precari si affianca l’estrazione di un valore invisibile ma non per questo meno rilevante: quel lavoro riproduttivo e domestico che, sostituendosi ad un welfare in estinzione, è chiamato a nutrire la nuova fase di accumulo di risorse e forza-lavoro. Le domande con cui confrontarci dunque nascono dall’esigenza di ripensare la crisi a partire dai soggetti che la abitano: quali sono i termini di inclusione della differenza dentro gli attuali assetti economici? In che direzione è possibile superare l’intreccio di emancipazione/sfruttamento che li caratterizza?". Il programma dettagliato e altre info sul sito delle Sguardi sui Generis

giovedì 3 maggio 2012

Donne sull'orlo di una crisi / Presentazione dell'ultimo numero dei Quaderni Viola

A cura del collettivo La mela di Eva , domani - venerdì 4 maggio - , presso la Biblioteca Comunale del Pigneto a Roma, presentazione dell'ultimo numero dei Quaderni Viola, Sebben che siamo donne. Femminismo e lotta sindacale nella crisi (cliccare qui per l'indice completo). A seguire aperitivo contro la crisi... vi aspettiamo ;-)

mercoledì 29 febbraio 2012

L'arte del lavoro: donne e lavoro in video

Tra le iniziative in programma per l'imminente nuova edizione di Approdi, le donne di ArteDonne/Villa5 lanciano il concorso, women only, L'arte del lavoro. Per partecipare basta scaricare il bando e il modulo di iscrizione dal sito e ovviamente girare il video, magari lasciandosi guidare da quanto scrivono le promotrici: "Quando non ci sono strade segnate, sentieri certi, piazze illuminate e cartelli indicanti le direzioni ci viene in soccorso l'arte. L'arte come lente di ingrandimento di piccoli processi nascosti, come capacità di scoprire nuove rotte e disegnare mappe altre per non perdersi nel mondo del lavoro che non c'è, del lavoro non pagato, di quello inventato da sé, di quello incluso nel ruolo solo per essere donne..."

giovedì 19 gennaio 2012

Marginalia non Omsa


Con questa immagine tratta dal film Ieri, oggi e domani di Vittorio De Sica - un fotogramma dell'ironico e tenero striptease di Sofia Loren - Marginalia solidarizza con le operaie Omsa licenziate e aderisce alla campagna di boicottaggio del gruppo Golden Lady Company (che detiene i marchi Omsa, Golden Lady, Sisi', Philippe Matignon, Serenella, Hue, Filodoro e Saltallegro). Del resto Omsa meritava un boicottaggio già dai tempi del famoso Carosello con Don Lurio sbavante dietro le gambe delle gemelle Kessler.