Con molta gioia annuncio l'uscita del 33esimo numero di Zapruder, a cura di Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, Movimenti nel Mediterraneo. Relazioni, scambi, conflitti. Di seguito trovate indice , mentre sul sito di Sim tutte le info per sostenere questo progetto che,val la pena ricordarlo, è frutto del lavoro di un gran numero di persone, interamente autofinanziato e dal quale nessun@ trae alcun profitto se non quello dell'esistenza di uno spazio di espressione autonoma. Buona lettura // EDITORIALE: Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, Rovesciare la carta. Giochi di scale / ZOOM: Ilham Khuri-Makdisi, Migranti, lavoratori, anarchici. La costruzione della sinistra in Egitto, 1870-1914 / Emmanuel Blanchard, Massacro coloniale alla Nazione. Parigi, 14 luglio 1953 / Natalya Vince, «È la Rivoluzione che le proteggerà». Movimenti delle donne e “questione femminile” in Algeria e Tunisia / IMMAGINI: Giacomo Mirancola, Il Mediterraneo dalla soglia siciliana (a cura di Ilaria La Fata) / Patrick Altes, Una storia di rivoluzioni / SCHEGGE: Stéphane Dufoix, Diaspora. Metamorfosi di una parola globale / Vanessa Maher, «New Times and Ethiopians News». L’antifascismo e l’anticolonialismo di Sylvia Pankhurst e Silvio Corio / Renata Pepicelli, Le donne nei media arabi a due anni dalle rivolte. Pluralità di modelli e molteplicità di sfere pubbliche / Nicoletta Poidimani, Ius sanguinis. Una sintesi di dominio maschile e dominio razziale / LUOGHI / Enrico Grammaroli e Omerita Ranalli, Il Circolo Gianni Bosio di Roma / ALTRE NARRAZIONI: Davide Oberto, L’immagine latente. Rappresentazione e memoria nel lavoro di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige / Jolanda Insana , Giufà chi? / VOCI: Elisa A.G. Arfini, Paola Di Cori e Cristian Lo Iacono, Dialogo su questi strani tempi (a cura di Marco Pustianaz) / INTERVENTI : Vincenza Perilli, Desiring Arabs. L’occidente, gli arabi, l’omosessualità / Lia Viola, Utopie in movimento. Riflessioni sull’attivismo lgbti in Africa orientale / RECENSIONI: Fabrizio Billi (Margherita Becchetti, L’utopia della concretezza. Vita di Giovanni Faraboli, socialista e cooperatore), Salvatore Cingari (Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite), Vincenza Perilli (Anna Curcio e Miguel Mellino, a cura di, La razza al lavoro) Renate Siebert (Quinn Slobodian, Foreign Front. Third World Politics in Sixties)
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venerdì 30 maggio 2014
Movimenti nel Mediterraneo
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venerdì 11 ottobre 2013
Terrorist Assemblages
La copertina dell'edizione francese (Editions Amsterdam, 2012) di Terrorist Assemblages. Homonationalism in Queer Times (2007) di Jasbir K. Puar
venerdì 19 luglio 2013
I fondamenti politico-economici del femonazionalismo
Avevamo parlato di femonazionalismo non molto tempo fa, ora torniamo sull'argomento per segnalare alle/ai francofone/i che sul sito di ContreTemps è stata appena pubblicata la traduzione in francese di un saggio di Sara Farris Femonationalism and the 'Reserve' Army of Labor Called Migrant Women (History of the Present, 2(2), 2012, pp. 184-199). Buona lettura e grazie in anticipo a chi vorrà poi condividere con noi le proprie riflessioni // Grazie a Enrica Capussotti per la tempestiva segnalazione!
sabato 29 giugno 2013
Berlino Transgenial
La nostra carissima Liliana (Ellena) ci invia da Berlino qualche foto del Transgenial Christopher Street Day, la manifestazione berlinese alternativa al Pride, e ne pubblico una che mi sembra significativa delle tensioni che l'attraversano. Anche quest'anno infatti la Transgenial è stata partecipatissima ma ancora fortemente spaccata sulla questione del razzismo. Già nel giugno 2010 infatti, quando Judith Butler aveva rifiutato il Zivilcourage Prize assegnatole dal Pride di Berlino per affermare platealmente la necessità di "prendere le distanze dalla complicità con il razzismo", gli/le attivisti/e di Suspect avevano definito la Transgenial Christopher Street Day - in un comunicato pubblicato su No homonationalism -, "Pride alternativo a predominanza bianca" rilevando come questa fosse stata l'unico spazio critico citato dalla stampa che aveva dato risalto alla semplice critica della commercializzazione del Pride piuttosto che a quella del razzismo, nonostante le parole di Butler fossero state molto chiare nell'indicare come fosse questo il tema da mettere urgentemente in primo piano nell'agenda politica anche nel movimento lgbtq.
martedì 25 giugno 2013
Pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione
Pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione. Le contraddizioni dei Pride è un testo pubblicato qualche giorno fa su Un altro genere di comunicazione, e che, a partire dal Pride palermitano, offre ulteriori spunti di riflessione sull'attualità di temi quali pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione. Prima di lasciarvi alla lettura vi segnaliamo, oltre ai materiali di approfondimento già segnalati in coda all'articolo di Un altro genere di comunicazione, l' intervento di Jamila Mascat pubblicato qui (e violentemente contestato) in occasione della manifestazione organizzata a Parigi dall'Inter-lgbt il 27 gennaio scorso. Buona lettura e riflessioni! // "Oggi è il giorno del Pride di Palermo, il Pride nazionale. Questo Pride e tutti gli altri che si sono svolti e si svolgeranno nelle diverse città italiane sono carichi di contraddizioni politiche. Contraddizioni tra le legittime richieste di diritti, tra cui matrimonio e adozioni, e la necessaria istituzionalizzazione attraverso la quale si dovrebbe passare per veder riconosciuti tali diritti. Contraddizioni tra la partecipazione della segretaria Boldrini e della Ministra delle Pari Opportunità e dello Sport Idem, il patrocinio di comuni e regioni, e pure degli Stati Uniti, e la necessità di non farsi inglobare in un processo di normalizzazione, che il riconoscimento e i diritti te li fa pagare cari.
Molti collettivi e associazioni Gltbiq si sono dissociati o hanno previsto la presenza di spezzoni alternativi per la partecipazione ai Pride. È successo a Torino dove, un Pride fortemente incentrato sul tema della famiglia, è stato messo in discussione da diverse associazioni che hanno dato vita al Famolo-Pride proprio per la paura che, con il rapporto matrimoniale diventato norma, continuerebbero a essere escluse tutte quelle “marginalità” che non si riconoscono in quella istituzione. Che scenario per loro? I gay, le lesbiche, i/le trans single, i non monogami, coloro che non si vogliono sposare, quali diritti per loro? Il riconoscimento dei diritti non può passare solo attraverso il riconoscimento dell’istituzione matrimoniale. Appiattite le contraddizioni, fatte rientrare le “marginalità” nella norma, inglobate nel sistema di produzione e ri-produzione. Questo è il prezzo da pagare. Dentro se ti normalizzi, fuori se non ti sottoponi a questo processo di istituzionalizzazione della tua differenza che, inglobata nella massa, non sarà più tale. Il Palermo Pride, oltre a questa, vive anche un’altra contraddizione, alla prima comunque collegata. Il patrocinio degli Stati Uniti d’America ha portato molti collettivi e associazioni locali a declinare l’invito al Pride nazionale perché il patrocinio americano è stato avvertito, su un territorio che sta combattendo contro il Muos e altre devastazioni del territorio per scopi militari, come una delegittimazione delle lotte. Confindustria, Croce Rossa, Stati Uniti d’America finanziano il Pride per ripulirsi faccia e coscienza, in quell’operazione che prende il nome di pinkwashing. Il termine Pinkwashing è nato per definire il comportamento dello stato di Israele nei confronti delle comunità Gltbq. Tel Aviv capitale del turismo gay, spot e campagne genderfriendly, finanziamenti a festival gay/lesbo/queer internazionali, tutto questo per ripulirsi la faccia e nascondere sotto il lenzuolo gltbiq friendly i crimini di guerra nei confronti dei palestinesi. Palestinesi e mondo arabo che verranno fatti apparire come omofobi e incivili da un governo nazionalista che ha strumentalizzato le conquiste delle comunità gltbiq locali trasformandole in omonazionalismo razzista.
Il termine pinkwashing si è poi allargato a comprendere tutte quelle operazioni che con una “spruzzata di rosa” intendono lavare via i propri “crimini” usando in maniera strumentale le rivendicazioni e le richieste dei soggetti gltbiq.
A questo proposito lo spot del Palermo Pride mi sembra abbastanza evocativo. Riporto la parte conclusiva di questo articolo del collettivo Le Ribellule, perché questo post ne condivide gli scopi. Pur riconoscendo l’importanza e la necessità di manifestazioni come i gaypride è necessario far emergere e far conoscere tutte le contraddizioni. Abbiamo deciso di informare chi sta attraversando il Pride su quali sono i processi che si stanno verificando sui nostri corpi e di ripulire il Pride dal Pink Market che controlla i corpi e omologa i desideri e per spazzare via l’immagine gay-friendly che Confindustria, Ambasciata USA e anche la Croce Rossa utilizzano per distrarre dalle violazioni, violenze e i crimini che compiono" //Link per approfondire su pinkwashing e omonazionalismo: Pinkwashing: un incontro-dibattito, Omonazionalismo, Il pinkwashing del governo israeliano ai tempi dell'omonazionalismo,
mercoledì 17 aprile 2013
Variabili femministe / Un seminario itinerante a partire da alcune parole chiave
Ad un anno dalla sua pubblicazione, e mentre siamo in attesa che si definiscano le prossime date di quello che abbiamo ironicamente definito tour, parte a Torino una bellissima iniziativa ovvero un ciclo seminariale itinerante ispirato proprio dal volume Femministe a parole (edito da Ediesse nella collana sessismoerazzismo) dal titolo Variabili femministe. Il ciclo - strutturato su di una serie di incontri a partire da alcune parole chiave condivise - è organizzato da FemminismItineranti, una rete di singole e realtà femministe torinesi nata a partire da incontri, scambi, desideri sollecitati dalla lettura del volume ed aperta a tutte/i coloro che condividono una prospettiva antirazzista, antisessista, antiomo&transfobica, e antifascista. Alla rete hanno aderito AlmaTerra, Archivio delle Donne in Piemonte, Centro Studi del Pensiero Femminile, Donne in Nero-Casa delle Donne, Indignate Rosse, L’Altramartedì, Me-dea e SguardiSuiGeneris. Il primo incontro, a cura di quest'ultima realtà, si terrà questo pomeriggio a Palazzo Nuovo (e mi scuso della segnalazione in extremis ma è sempre più difficile stare dietro al ritmo di mille cose e a veri e propri scompensi temporali) e avrà per titolo Nazionalismi invadenti: genere, rappresentazioni, ruoli (sul sito di SguardiSuiGeneris maggiori dettagli e bibliografia), mentre per gli altri incontri sarà a breve disponibile il programma completo. Per info e contatti: femminismitineranti@gmail.com).
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mercoledì 13 marzo 2013
Femonazionalismo / Femonationalism
Nell' articolo che vi abbiamo segnalato ieri - Comprendre l’instrumentalisation du féminisme à des fins racistes pour résister (Comprendere la strumentalizzazione del femminismo a fini razzisti per resistere) -, si citavano una serie di ricerche che negli ultimi anni hanno contribuito a decostruire / denunciare la strumentalizzazione dei movimenti femministi e lgbtq da parte dei governi occidentali a fini razzisti e xenofobi. In questo quadro, sulla scorta del termine homonationalism ( omonazionalismo), coniato da Jasbir K. Puar per definire le forme di sostegno e identificazione dei movimenti lgbtq agli interessi e alle retoriche nazionaliste, Sara R. Farris introduce il termine di femonationalism (femonazionalismo) per descrivere "l'alleanza contemporanea tra i discorsi delle femministe occidentali e i movimenti nazionalisti e xenofobi sotto la bandiera della guerra contro il velo e del patriarcato musulmano". Ed è proprio sul femonazionalismo che Sara R. Farris terrà venerdì 15 marzo un workshop all’Amsterdam Research Center for Gender and Sexuality , workshop di cui Sonia Sabelli, che ringraziamo per il gran lavoro che continua a fare (nel web e fuori dal web), traduce l'abstract. Buona lettura e riflessioni! // L'immagine di questo post la "rubiamo" al Circolo Maurice, che l'aveva adoperata lo scorso anno per lanciare una serie di incontri seminariali su omonazionalismo, pinkwashing, gay di destra e xenofobia
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lunedì 11 marzo 2013
Comprendere la strumentalizzazione del femminsimo a fini razzisti per resistere
Per le/i francofone/i segnalo questo articolo, Comprendre l’instrumentalisation du féminisme à des fins racistes pour résister (Comprendere la strumentalizzazione del femminismo a fini razzisti per resistere), articolo pubblicato qualche anno fa su Contretemps, ma ancora utilissimo, mi sembra
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mercoledì 13 febbraio 2013
Coming out
Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Jamila M.H Mascat che, tra le (tante) altre cose, è la corrispondente da Parigi di Marginalia - cosa di cui siamo indicibilmente felici e onorate. A partire da una quasi-cronaca della manifestazione organizzata a Parigi dall' Inter-lgbt il 27 gennaio scorso, Coming out affronta luci e ombre del dibattito sul cosiddetto mariage pour tous, invitando "ad immaginare altro e meglio". Prima di lasciarvi alla lettura del testo - che personalmente ho letto con l'emozione che si prova quando si condivide ogni parola e ogni virgola - una breve nota redazionale sulla foto che correda questo post: l'abbiamo trovata in Tumbrl, purtroppo senza credits e/o riferimenti che ci permettessero di collocarla in qualche modo. Speriamo che qualche appassionata/o di Marilyn di passaggio possa dirci qualcosa. E ora (finalmente) vi lasciamo alla lettura di Coming out, ringraziando ancora l'autrice per averci fatto dono di questo contributo favoloso. Buona lettura! // Coming out di Jamila M.H Mascat : Ai matrimoni ho la presunzione di essere un'invitata doc. Laici e religiosi, e di qualsiasi confessione. Mi diverto, mi commuovo, faccio onore alla tavola e alle danze, e faccio ovviamente il regalo agli sposi. Al bouquet non ci tengo, ma le promesse mi fanno impazzire, sarà quell’ostinata invocazione d’eternità che prova a fottere l’intermezzo del tutti-i-giorni, o forse solo il pensiero della cattiva sorte che mi rattrista. Sono etero. Amo un uomo da 12 anni, e visto che ne ho 33 secondo me è roba da matti; ma non credo che nessuno ci darà mai la palma d’oro della coppia dell’anno – nessun anticonformismo, solo troppi litigi, troppe distanze, troppe “infedeltà”. Gli ho chiesto di sposarmi soltanto una volta, nel 2005, quando per motivi urgenti e spiacevoli sembrava che fossi costretta a partire per l’Arabia Saudita, e non avrei potuto farlo senza accompagnatore. Avrei avuto bisogno di un marito. Poi non se ne è fatto più niente di quel viaggio né di quel matrimonio. Sono tradizionalista, dicono le mie amiche più libertine e le mie compagne più liberate. In effetti, per esempio, finora non ho mai fatto una cosa a tre. Non è molto rilevante tutto questo, mi rendo conto, ma mi è sembrato che l’unico modo per prendere la parola nel dibattito sul mariage pour tous fosse la testimonianza. Si usa così, e allora perché no. E poi comunque ogni volta che capita di parlare di *affari di famiglie* - e ultimamente capita spesso- è difficile non mettere in mezzo i fatti propri. Ora, per smettere di parlare dei fatti miei copio e incollo una cosa che ha detto la ministra della famiglia, Dominique Bertinotti, a proposito della (quasi) legge sul matrimonio omosessuale, che qui in Francia ha scatenato le coscienze retrograde della destra cattolica e non: “C'est une revendication très normative, pouvoir faire famille, entrer dans un cadre juridique, ça n'a rien d'une destruction mais au contraire, c'est une sécurisation juridique, une protection". E’ una constatazione meno banale di quello che sembra. E mi trova d’accordo. // Pride and Privilege // Parlo dal punto di vista di chi dispone di un privilegio etero, come mi è stato fatto notare spesso negli ultimi tempi. Lo so, e sono così privilegiata da poter decidere perfino di potermene non servire, sapendo che in caso di emergenza, lui, il privilegio, in fondo sta là, da usare se mai ce ne fosse bisogno. Di buoni motivi per sposarsi non ne vedo, se non certo proprio tutte quelle ottime ragioni messe in campo dal movimento lgbtq durante la campagna pro mariage, cioè tutti quei diritti sociali e di cittadinanza che dipendono da questo tanto conteso diritto civile. Di fronte al quale, improvvisamente, sembra che il mondo si divida in due: c’è chi lo vorrebbe per tutti e chi lo vorrebbe solo per pochi. Tertium non datur. Se fosse un sondaggio di opinioni a freddo, se non ci fossero state le obbrobriose manifestazioni degli anti-mariage in Francia, le migliaia di ridicoli emendamenti dell’opposizione (4.999) alla proposta di legge (24 sedute parlamentari, 10 giorni di discussione, il settimo projet de loi piu dibattuto in aula nella storia della Quinta Repubblica) e un clima di omofobia che nel mio mondo sempre meno etero per fortuna avverto solo da lontano, direi a gran voce: mariage pour personne! Non perché non mi rendo conto che sposarsi sia un privilegio, al contrario. Proprio perché è un privilegio, dico: non estendiamolo, piuttosto smontiamolo, liberiamocene. Immaginiamo una riconfigurazione giuridica che permetta di attribuire diversamente quegli stessi diritti vincolati ora al matrimonio. Ripartiamo dai diritti individuali e dalle unioni civili. Ok, lasciamo in piedi il matrimonio per chi proprio non può farne a meno, ma invece di chiedere semplicemente la concessione di un privilegio, proviamo a rendere quel privilegio superfluo. Facciamo uno sforzo immenso di immaginazione e pensiamo a unioni che possano assumere la forma che meglio credono ed essere legittime per questo. Pensiamo che io, mio padre, la mia prozia e la sua fidanzata possiamo fare famiglia. Immaginiamo che tre donne che si amano possano fare famiglia perché si amano, e nel modo in cui scelgono. Pensiamo a due uomini e due donne che possono crescere una bambina e insieme fare famiglia. Pensiamo anche che un collettivo di individui legati da pratiche e rapporti affettivi, o un gruppo di conviventi o semplicemente singoli che condividono relazioni di cura e solidarietà possano disporre dei diritti di famiglia. Pensiamo alla pma e all’adozione per tutt* senza passare per il matrimonio. Sembra fantascienza? Forse. L’obiezione n.1 di solito è “Ma che razza di discorso è questo”. Troppa poca fantasia. L’obiezione n. 2 è disfattista e dice “E’ impossibile”. E invece proposte che vanno in questa direzione esistono. Se sono estendibili, i diritti, sono anche modificabili. L’obiezione n. 3 ostenta buon senso: “Ammesso anche che sia possibile e auspicabile, per queste cose ci vorranno anni. Intanto mariage pour tous” (che a voler essere precise sarebbe pour tou.te.s). // Parole // Quindi il 27 gennaio ho partecipato alla manifestazione organizzata in nome dell’égalité dall’Inter-lgbt una settimana dopo la pessima esibizione di piazza degli esponenti anti mariage. Égalité non è una parola leggera in questo paese, si sa. C’è égalité (ma oltretutto è belga) e égalité. E neanche la bandiera francese, sventolata con entusiasmo qua e là, è un simbolo light. Tantomeno mentre la Francia porta avanti la sua guerra in Mali sostenuta all’unanimità (o quasi) da tutte le forze politiche. Che c’entra il Mali? mi ha detto qualcuno. Questa è una manifestazione per i matrimoni gay in Francia. Non fa un piega. Ed è stata una manifestazione particolarmente riuscita, partecipata, cantata, pacifica, bella. Però io, etero, con il mio privilegio etero in tasca, sono comunque a disagio, tra l’égalité e il tricolore.
Su un cartello c’è scritto: El tipo de familia non altera el producto. Temo che purtroppo forse è vero. Poi con O. (omo, senza privilegio) abbiamo passato la metà del tempo a tentare di decifrare quello che c’era scritto su manifesti e striscioni. Slogan per tutti i gusti: spudorati (Je mets mes doigts partout pourquoi pas dans une bague?), scemi (Plus de mariages, plus de gateaux pour tous), rivendicativi (Indovinate chi ha disegnato i vostri abiti da sposa?), blasfemi (Jésus avait deux papas et une mère porteuse), ottimisti (Il vaut mieux un mariage gay qu’un mariage!), incontestabili (On demande vos droits, pas votre avis). Alla fine del corteo, a Bastille, B. è salita sul palco e ha parlato della sua esperienza di figlia cresciuta con due mamme, un padre e molto altro. Suo fratello l’ha costretta a fare coming out: Ma soeur est lesbienne. Per dire che se l’omosessualità davvero non è un problema, allora la possibilità che le coppie omosessuali si trovino ad avere figl* omosessuali non deve essere agitata come uno spauracchio contro le famiglie omoparentali. Era un po’ commovente vedere B. su quel palco a parlare dei fatti suoi. E’ come se in questo momento tutti avessero bisogno di prove, rassicurazioni e dimostrazioni del fatto che la Terra continuerebbe a girare nello stesso senso anche se tutt* fossimo gay e lesbiche. E quindi bisogna ripeterlo in continuazione. // Favole // C’è perfino chi, tra i giornalisti, ha chiesto a B. che cosa faceva da piccola per la festa del papà. Ho pensato che se lo avesse chiesto a me o a T., sarebbe rimasto estremamente deluso. Alcuni giorni fa la ministra della giustizia Christiane Taubira ha lanciato un’invettiva stra-appaludita contro un deputato dell’Ump, spiegava accalorata che sono soprattutto la stigmatizzazione e la condanna sociale a destabilizzare i figli delle coppie omosessuali, non certo i genitori. Di quella stigmatizzazione ne sanno qualcosa anche tutt* quell* che sono cresciut* all’interno di famiglie non canoniche e non tradizionali. Allora perciò, mentre giochiamo il primo tempo e facciamo le battaglie per l’inclusione, prepariamoci come si deve per il secondo tempo e diciamo fin da subito che l’inclusione non risolve il problema. Proviamo a smontare le barriere dell’accesso, lanciare altri slogan, immaginare altro e meglio. Qualche giorno fa su Le Monde si parlava, forse per la prima volta, di omonazionalismo e imperialismo gay. Due espressioni anche un po’ cacofoniche, davvero. Suona molto meglio “favolosità”, che è sempre stata una delle parole d’ordine del movimento transqueer (delle cui rivendicazioni, per inciso, mi sembra che non ci sia granché traccia nelle piattaforme dei gruppi pro-mariage, ma potrei sbagliare). Di favoloso il mariage pour tous pare che abbia ben poco, e le bandiere francesi ancora meno. Una favola vera, più bella dei Promessi sposi e del ritornello di Beyoncé, una favola pour tou.te.s potrebbe aspirare a molto di più. E soprattutto dovrebbe tenersi alla larga da ogni forma di discriminazione diretta o indiretta (perché il fatto di subirne una non dà diritto a perpetrarne o ignorarle altre), e a debita distanza dall’égalité di cui altri gruppi e minoranze continuano a fare le spese. L’articolo di Le Monde si conclude prefigurando uno scenario apocalittico: la Francia, campo di battaglia del fronte omonazionalista, tragicamente divisa in due blocchi, omofobi da una parte e xenofobi dall’altra. Il che equivale a dire che non ci sia alternativa all’omonormatività (questa è la definizione migliore che ho trovato in circolazione: "homonormativity = a politics that does not contest dominant heteronormative assumptions and institutions, but upholds and sustains them, while promising the possibility of a demobilized gay constituency and a privatized, depoliticized gay culture anchored in domesticity and consumption", L. Duggan). Per fortuna, invece, c’è chi come qui, qui e qui, ci aiuta ancora a credere alle favole (Jamila M.H Mascat, 11 febbraio 2013)
lunedì 21 gennaio 2013
Femministe a parole / Una recensione di Anna Curcio
Pubblichiamo con immenso piacere la bella recensione di Anna Curcio al volume Femministe a parole, La misura del mondo nel dizionario, pubblicata sabato scorso dal quotidiano Il Manifesto e ripresa sul sito di UniNomade con il titolo di Demolire la casa del padrone. Ringraziando l'autrice vi lasciamo alla lettura // «Gli strumenti del padrone non demoliranno mai la casa del padrone». Così scriveva Audre Lorde in un potente intervento pubblico dell'inizio degli anni Ottanta. Era in gioco lo statuto stesso del femminismo, con la sfida aperta che le militanti nere (e più complessivamente le «donne povere, nere, del terzo mondo e lesbiche» come la stessa Lorde aveva scritto) avevano lanciato contemporaneamente al patriarcato razzista imperante e all'universalismo del femminismo bianco eterosessuale di classe media che aveva fino a quel momento tirato le fila del dibattito. Si trattava, detto altrimenti, di ridefinire gli strumenti di una lotta che assumeva il linguaggio come campo di battaglia, imponendo la parola - fino a quel momento taciuta - delle donne nere.Ricalibrata nel presente, un'operazione per certi versi analoga può essere attribuita a Femministe a parole. Grovigli da districare (Ediesse 2012, p.363, 18 euro) a cura di Sabrina Marchetti, Jamila Mascat e Vincenza Perilli. Un mosaico ricco di spunti e suggestioni, immagini e narrazioni che sfida la dimensione normativa di un certo femminismo dominante in Italia e prova a ridefinire le coordinate del dibattito. Un'operazione a tratti riuscita, si potrebbe dire ad alcuni mesi dalla pubblicazione, visto che il volume osteggiato dal mainstream del femminismo italiano ha invece avuto ampia circolazione soprattutto tra giovani e giovanissime donne e uomini. Una lettura dunque attraente per tante e tanti che si accostano per la prima volta al dibattito femminista ma anche per chi è alla ricerca di uno sguardo femminista critico o più semplicemente di chiarimenti, spunti e nuove argomentazioni. Il volume porta allo scoperto diversi e molteplici femminismi. «Misurarsi con quelle parole e quegli argomenti su cui, per le femministe, pronunciarsi è diventato sempre più complicato» scrivono le curatrici nell'introduzione. Da qui un dizionario ragionato. Quarantanove i lemmi presenti: dai «classici» del dibattito femminista (Sesso/genere, Razza, Classe, Autodeterminazione, Differenza, Lesbica, Prostituzione, e poi Backlash, Bianchezza, Cittadinanza, Femminismo transnazionale, Intersezionalità, Anticolonialismo) a questioni di più cogente attualità (Biomedicina, Globalizzazione, Migranti e Generazioni migranti, Maternità surrogata, Modificazioni, Omonazionalismo, Postporno, Veline, Queer).Ma ci sono anche voci che sembrano spiazzare i canoni più tradizionali di un discorso ancora troppo ingessato intorno al tema della differenza sessuale: tra questi senz'altro il lemma Uomo. «Significante assoluto» dei dispositivi discorsivi, soprattutto occidentali, da decostruire per «smascherare» l'eteronormatività come oppressione delle minoranze sessuali e di genere.Femministe dunque che fanno i conti con le parole, con i rapporti di potere che queste implicano e producono e con lo spazio di resistenza e sovversione a cui danno forma. E proprio per questo femministe «nei fatti», non «a parole». Anzi l'ironia sottile nel titolo del volume è la misura della consapevolezza dell'uso «affatto neutro» e tutto politico del linguaggio e insieme la forma della violazione dei suoi dogmi e canoni. Più complessivamente, il volume raccoglie i contributi di un paio almeno di generazioni di femministe. Teoriche e militanti, per la gran parte precarie, spesso costrette a barcamenarsi - dentro e fuori l'accademia - tra la propria sensibilità femminista e l'ansia disciplinare delle università italiane. E se alcune voci sono forse eccessivamente compilative, altre risultano efficaci, di gradevole lettura, con uno sguardo dall'interno che assume (ed è questo un altro dei punti di forza del volume) il dibattito femminista nella sua dimensione transnazionale. Nell'insieme si tratta di un impegno chiaro, aperto e non riduttivo, a sistematizzare un dibattito tanto ricco quanto complesso e controverso. È un punto di vista di parte, situato e instabile, aperto al suo rovescio. In una parola «eccentrico»: queer. Dove il queer rimanda al suo significato originale e abietto come deviazione rispetto alla norma, oltre dunque la declinazione di generica trasgressione «alla moda» con cui ha spesso dovuto fare conti. Ma non c'è in questo ritorno all'origine nessun «mito esistenzialista dell'autenticità». Al contrario tutto il volume è attraversato dalla tensione costante alla messa in discussione dell'autentico. Per ognuno dei grovigli - termine che ritorna in molte delle voci proposte - non c'è ricerca di verità, esemplificazioni o ricette salvifiche; vengono invece individuati e discussi limiti e punti deboli, proponendo discorsi differenti e punti di vista contrastanti. Un testo senz'altro utile nel suo complesso. Unica avvertenza: la trama di lettura proposta rischia di rimanere disincarnata, sganciata dalla materialità dei rapporti di produzione che pur costituiscono i processi di soggettivazione e la creazione discorsiva con cui il volume si confronta. Il potere e lo sfruttamento; e poi il tema del lavoro, di quello cosiddetto produttivo e di quello riproduttivo, la loro sovrapposizione e articolazione nel capitalismo contemporaneo, le forme anomale e spurie che assume nella vita di tante e tanti di noi; la crisi e le lotte. Rimangono temi taciuti.
Eppure avrebbero offerto un contributo importante nel fabbricare gli strumenti per demolire la sempre più «stretta» casa del femminismo mainstream (Anna Curcio, La misura del mondo nel dizionario, Il Manifesto, 19 gennaio 2013)//
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mercoledì 9 gennaio 2013
Atlantide non si affonda!
Un veloce tweet per invitare tutte/i a sostenere Atlantide, lo spazio che con le sue iniziative e le diverse soggettività che lo animano ha fatto tante volte capolino anche qui (ad esempio 1, 2, 3 ...). Potete firmare la petizione e, se stasera siete a Bologna, partecipare all' assemblea pubblica in difesa di Atlantide.
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martedì 11 dicembre 2012
Homonationalism, Sex, and Disability: Pinkwashing and Biopolitics in the Middle East
Segnaliamo, da NextGenderation, questa conferenza di Jasbir Puar che si terrà il 17 gennaio 2013 al Dipartimento di Gender Studies della Queen's University, che in effetti - vista da qua - è quasi dall'altra parte del globo, ma in ogni caso ecco un abstract: // This presentation will survey recent debates on what has been termed pinkwashing: the use of gay rights by the Israeli government to deflect attention from its occupation of Palestine. Instead of reproducing a queer exceptionalism – homonationalism – that singles out homosexuality as a particular facet of state control, Jasbir Puar argues that the practice of pinkwashing should be situated within a broader biopolitics of state control that invests in a range of bodies and bodily habits. The focus will be specifically on the use of disability as part of a biopolitical assemblage of control that instrumentalizes a spectrum of capacities and debilities for the use of the Israeli occupation of Palestine //
mercoledì 7 novembre 2012
Pinkwashing / Un incontro-dibattito non solo per chi non ne ha mai sentito parlare
Si apre con una serie di domande quanto mai urgenti (Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa?) il documento di Smaschieramenti /Antagonismogay che invita tutt* ad un incontro-dibattito sul pinkwashing sabato prossimo, 10 novembre, alle ore 17.30 ad Atlantide (Piazza di Porta Santo Stefano 6 - Bologna). Condividiamo gli spunti di riflessione e l'urgenza di aprire un dibattito su questioni restate ancora troppo ai margini, ripubblicando anche qui il documento e auspicando non solo una larga partecipazione all'incontro ma che questo sia l'inizio di un percorso condiviso. Buona lettura e riflessioni // Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa? Con una precisa strategia di politica culturale, Israele si promuove come paese lgbtiq friendly per ripulire la propria immagine internazionale, macchiata da sessant’anni di occupazione militare dei territori palestinesi e da gravissime violazioni dei diritti umani contro le/i palestinesi. Come evitare che la nostra identità e le nostre lotte vengano strumentalizzate, in Israele come in Europa? Il finanziamento e il sostegno da parte dello stato di Israele ai festival lesbo-gay-trans-queer in Europa e in Nord America fa parte di una strategia di marketing globale lanciata su larga scala dai ministeri del turismo e dell’interno israeliani a partire dal 2005. (cfr. Sara Schulzmann in un editoriale apparso sul New Yok Times nel 2011). Solo nel 2010 lo stato di Israele ha investito 90 milioni di dollari per promuovere film filo israeliani nei maggiori festival queer internazionali e per realizzare campagne pubblicitarie destinate a coppie gay occidentali dai 18 ai 35 anni, con lo scopo di promuovere il 'brand Israel' e trasformare il paese in una meta del turismo gay internazionale. I movimenti queer transnazionalii hanno chiamato questa strategia pinkwashing (=lavarsi nel rosa), in analogia con il 'greenwashing', operazione di copertura attuata da aziende altamente inquinanti per ripulire la propria immagine attraverso una qualche azione ambientalista. Lo scopo dichiarato di queste politiche, infatti, non è tanto accaparrarsi una fetta del turismo LGBT, ma piuttosto 'ripulire' l’immagine dello stato israeliano. Magnificando la 'pulsante vita gay di Tel Aviv, degna delle grandi capitali occidentali', il governo cerca di dare un’immagine democratica del paese, con lo scopo di contrastare lo sdegno crescente dell’opinione pubblica internazionale per la sistematica violazione dei più elementari diritti umani de* palestines* da parte di questo stato. Da più di sessant’anni, infatti, Israele occupa illegittimamente i territori palestinesi e mette in atto una strategia di segregazione della popolazione e di distruzione sistematica dell’economia e della società palestinese attraverso il muro dell’apartheid, la vessazione quotidiana dei controlli e dei checkpoint, l’impoverimento, gli omicidi 'mirati', i bombardamenti di civili e le ripetute invasioni militari. Il pinkwashing strumentalizza le conquiste e le lotte del movimento lgbtiq israeliano e proietta sui palestinesi un’immagine di sessisti/omofobi/incivili, negando l’esistenza stessa de* queer palestines* e delle loro associazioni; in questo modo il governo di Israele cerca di indebolire il sostegno alla causa palestinese sia a livello internazionale che fra gli/le cittadin* israelian*. In realtà, il pinkwashing finisce per rappresentare tutto il mondo arabo come omofobo, antidemocratico, barbaro e incivile. Questa rappresentazione, nei paesi occidentali, è servita a costruire il consenso intono alla 'Guerra al terrore', agli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, e intorno a politiche razziste contro i/le migranti (il cosiddetto 'omonazionalismo'). Jasbir Puar, in Terrorist assemblage. Homonationalism in queer times (2007), mostra come avviene l’assemblaggio del nemico, che dopo l’11 settembre e lo scatenarsi della 'guerra al terrore' ha preso le sembianze dell’arabo / musulmano / terrorista. Puar sottolinea come le politiche di pinkwashing si siano globalizzate e come il caso israeliano sia diventato un modello per l’emergere dell’omonazionalismo in Occidente. La lotta all’omofobia e per i diritti lgbitq viene così strumentalizzata e cooptata nella guerra antislamica, nelle politiche militariste e imperialiste, e nel razzismo interno generato da questo clima. In un recente articolo, Puar ci fa vedere come il pinkwashing e l’omonazionalismo non siano sostenuti solo dagli stati o dagli apparati di stato, ma anche da gruppi indipendenti, aziende o dalle stesse associazioni lgbtqi occidentali. In Italia, un caso emblematico è stato, nel 2005, l’appello contro la repressione dell’omosessualità in Iran, che ha portato a un presidio a Roma in cui esponenti gay nazionali affermavano che Israele andava difesa come baluardo di democrazia contro la barbarie islamista. In Gran Bretagna Peter Tatchell, storico esponente del gruppo Outrage!, ha più volte promosso appelli per porre fine alla persecuzione dei queer palestinesi, senza alcun contatto con le numerose realtà lgbitq palestinesi. Nel saggio Gay Imperialism Tatchell viene duramente criticato in quanto bianco occidentale gay che parla per conto de* queer migranti o colonizzati, vittimizzandol* e impedendo loro di prendere parola se non in quanto vittime dell’omofobia delle loro comunità d’origine. In un appello contro il pinkwashing i gruppi lgbtiq palestinesi Aswat, Helem, Al Quds, Palestinian Queer for BDS denunciano che l’omofobia esiste nella società palestinese come in tutte le altre società, e che non accettano di essere usati per screditare le ragioni del popolo palestinese, sottolineando che assieme all’omofobia subiscono anche l’embargo, l’apartheid, la distruzione sistematica e quotidiana portati avanti dal governo israeliano con la complicità della comunità internazionale. L’omonazionalismo e il pinkwashing ci chiamano in causa. L’idea che la vivibilità lgbitq di un paese si misuri solo in base ai diritti di cui godono gli/le omosessuali nativi moralmente ed economicamente rispettabili, o in base al grado di sviluppo raggiunto dai circuiti commerciali in cui ci è concesso di spendere i nostri soldi apre la strada alle strumentalizzazioni di Israele così come di qualunque altro stato, soggetto o partito. Bisogna allora rifiutare una visione spoliticizzata e isolata dei diritti lgbtiq. Siamo lesbiche, gay, trans, itersex, queer, e siamo allo stesso tempo lavoratrici, precarie, disoccupate, migranti… I nostri bisogni e i nostri desideri non si riducono al poter sposare una persona dello stesso sesso o al poter ballare – portafogli permettendo – in una discoteca ma si articolano con le altre dimensioni della nostra vita, si intrecciano con le lotte contro il machismo, contro lo sfruttamento e la precarietà del reddito, contro il razzismo, l’imperialismo e ogni altra forma di oppressione"//
Alcuni articoli e link utili:
Pinkwatching Istrael //
Madonna for palestinians //
Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra //
Politiche di pinkwashing e pratiche di resistenza//
Sulla censura di Gay Imperialism e Out the Place //
sabato 1 settembre 2012
Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe
Per chi attualmente è londinese - o lo sarà intorno al 19 ottobre - segnalo questa interessante giornata di studi alla London South Bank University,Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe. L'iniziativa E qui la fine del post.
Over the last few years, debates about nationalism and racism have received renewed critical attention within queer/sexuality studies. Just as the boundaries of ‘Europe’ are being redefined through economic and political integration, the protection of sexual citizenship rights is increasingly celebrated as a core ‘European’ value. However, this discourse has been deployed to produce new exclusions, in a context marked by the rise of defensive and inward-looking nationalisms, by the lingering ‘war on terror’, by increased mobilities within Europe and by initiatives aimed at limiting migration towards ‘Fortress Europe’. As the secular liberalism that inspired both feminism and gay liberation is increasingly becoming conflated with ‘Europeannes’ and ‘whiteness’, important questions are raised about the relationship between sexual citizenship and national belonging in different European contexts; about the ability of LGBTIQ and feminist movements to sustain meaningful solidarities across cultural and geographic boundaries; and about LGBTIQ and feminist communities’ ability to embrace difference along racial, ethnic and faith lines.
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lunedì 23 aprile 2012
Femministe a parole. Grovigli da districare
Dal nove maggio sarà in libreria Femministe a parole. Grovigli da districare. Curato da Sabrina Marchetti, Jamila M.H Mascat e Vincenza Perilli e pubblicato nella collana sessismoerazzismo della casa editrice Ediesse, Femministe a parole è un volume sulle questioni controverse che hanno attraversato il dibattito femminista nel corso degli ultimi anni: il multiculturalismo e i diritti delle donne, l’Islam in Europa e l’affaire du voile, la condizione postcoloniale e l’impatto delle migrazioni, il rapporto tra universalismo e relativismo culturale, il ruolo dei corpi e la performance dei generi. Intorno a questi temi, e molti altri ancora, nasce un dizionario ragionato delle contraddizioni, degli ossimori e delle domande complicate: un dizionario di «grovigli» redatto da 44 autrici, tutte femministe con percorsi ed esperienze diverse, che si cimentano nell’impresa non facile di fare i conti con le parole. La scrittrice afroamericana bell hooks ci ricorda che il linguaggio è «anche un luogo di lotta». Molto prima di lei Virginia Woolf si rammaricava del fatto che alle donne mancasse il tempo di coniare parole nuove, sebbene il linguaggio ne avesse veramente bisogno. Una delle più importanti lezioni che il femminismo ci ha trasmesso, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione. E visto che le parole sono sempre state imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, le femministe hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio.Per le femministe di oggi, però, prendere la parola sul mondo è diventato sempre più complicato: che dire del velo, delle veline, delle modificazioni genitali e della chirurgia estetica? Della famiglia, del sex work, del postporno? Che dire di Dio, della poligamia, del welfare e della globalizzazione? Le identità sono un bene o un male? E le culture sono solo quelle «degli altri»? Le risposte non sono a portata di mano, ma grazie a questi interrogativi il pensiero delle donne è chiamato a riattivare la capacità di convivere con le contraddizioni, riscoprendo così la sua vocazione eterogenea e plurale. Indice delle voci e delle autrici: Anticolonialismo (Anna Vanzan) – Autodeterminazione (Tamar Pitch) - Backlash (Jamila M.H. Mascat) – Bianchezza (Gaia Giuliani) – Biomedicina (Olivia Fiorilli) – Cittadinanza ( Alessandra Sciurba ) – Classe (Andrea D’Atri) – Colonizzatrici (Catia Papa) – Colore (Valeria Ribeiro Corossacz) - Cristiane (Sara Cabibbo) - Differenza ( Lea Melandri ) – Donne di destra ( Isabella Peretti e Barbara Mapelli ) - Europa (Enrica Rigo) – Famiglie (Gaia Giuliani) – Femminismo islamico (Renata Pepicelli) - Femminismo postcoloniale (Caterina Romeo) – Femminismo transazionale (Elisabetta Pesole) – Generazioni migranti ( Giulia Cortellesi ) – Globalizzazione (Laura Ronchetti) – Integrazione (Silvia Cristofori) – Intersezionalità ( Vincenza Perilli e Liliana Ellena) – Lesbica (Elisa A.G. Arfini) – Madre-patrie (Isabelli Peretti) – Mamme col fucile (Inderpal Grewal; trad. Ambra Pirri ) – Maternità surrogata ( Daniela Danna ) – Matrimoni ( Daniela Danna ) – Migranti (Francesca Brezzi) – Modificazioni (Beatrice Busi) - Multiculturalismo (Laura Ronchetti) – Neo-Orientalismo (Jamila M.H. Mascat) – Noir (Stefania Vulterini) – Omonazionalismo (Barbara De Vivio e Suzanne Dufour) – Poligamia (Maria Rosaria Marella) - Postporno (Rachele Borghi) – Prostituzione ( Giulia Garofalo ) – Queer (Monica Pietrangeli) – Razza (Valeria Ribeiro Corossacz) – Relativismo culturale ( Annamaria Rivera ) – Riproduzione assistita (Alessandra Gribaldo) – Serva & padrona ( Sabrina Marchetti ) – Sesso/genere (Liliana Ellena e Vincenza Perilli ) – Spazio (Rachele Borghi) – Subalterna (Angela D’Ottavio) – Sviluppo sostenibile ( Daniela Danna ) – Tricolore (Sonia Sabelli) – Uomo (Laboratorio Smaschieramenti) – Velate e svelate (Chiara Bonfiglioli) – Veline (Giovanna Zapperi e Alessandra Gribaldo) – Welfare transnazionale ( Flavia Piperno).
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mercoledì 23 novembre 2011
Politiche di pinkwashing e strategie di resistenza
Facciamo Breccia pubblica la traduzione di un appello di Palestinian Queers for Boycott, Divestment & Sanctions, in cui si chiede all'IGLYO - uno dei principali network di associazioni GLBT internazionali - di non essere complice delle politiche di pinkwashing israeliane svolgendo - senza prendere in questo modo posizione - la propria assemblea generale, prevista per dicembre, a Tel Aviv. L'invito, sempre sottinteso quando si pubblicano appelli di questo tipo, è di far circolare il più largamente possibile.
Articoli correlati in Marginalia alla query Omonazionalismo
sabato 10 settembre 2011
Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra, xenofobia : un incontro al Circolo Maurice

Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra, xenofobia, sono le parole-chiave intorno alle quali si discuterà la settimana prossima al Circolo Maurice di Torino (al cui sito rinviamo per più dettagliate info sull'incontro),per tentare insieme di individuare nuove forme di agire politico e di contrasto all'avanzare,anche nelle comunità lgbtq, di culture e pratiche di destra.
Alcuni link / materiali utili alla discussione:
http://www.facciamobreccia.org/content/view/503/1/
http://nohomonationalism.blogspot.com/
http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/search/label/omonazionalismo
http://www.infoaut.org/blog/femminismoagenders/item/1683-pinkwashing-assad
http://www.ondarossa.info/category/tags/omonazionalismo
Alcuni link / materiali utili alla discussione:
http://www.facciamobreccia.org/content/view/503/1/
http://nohomonationalism.blogspot.com/
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lunedì 13 giugno 2011
Amina Abdallah ieri a Radio Blackout
Il titolo del post è volutamente spiazzante e provocatorio. Che l'attivista femminista queer di A Gay Girl in Damascus possa aver partecipato ieri ad una trasmissione radio è ovviamente impossibile. Impossibile perché è stata rapita/sequestrata da tre uomini armati una settimana fa a Damasco. Anzi no, impossibile perché Amina Abdallah non esiste e il suo rapimento è una bufala, come da qualche giorno si vociferava in rete. Ancora meglio: impossibile perché dietro al blog A Gay Girl in Damascus c'è in effetti un certo Tom MacMaster (nome che se è vero sembra inventato), che scrive da Istanbul Turchia. Non sappiamo (e non ci interessa in questo specifico contesto), sapere qual'è la "verità". Come era già stato sottolineato da qualcuna e come è stato ribadito ieri pomeriggio nella trasmissione Interferenze di Radio Blackout, se questa è una maniera inventata ad arte per portare attenzione (in "occidente") su certe questioni, ben venga. Perché del resto, come si può leggere stamani in Apology to readers , se la voce narrante è una finzione, i fatti narrati sono veri.
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martedì 7 giugno 2011
Chi ha interesse a far tacere Amina Abdallah?
Abbiamo appena appreso del rapimento/sequestro dell'attivista femminista queer Amina Abdallah, che dalle pagine del suo blog A Gay Girl in Damascus, aveva portato avanti da una parte una dura critica del regime di Assad e dall'altra del pinkwashing (e Pinkwashing Assad? è in titolo di un suo articolo da poco tradotto in italiano) ovvero la strumentalizzazione dei diritti glbtq e delle donne da parte delle “democrazie occidentali” per legittimare le proprie politiche imperialiste e neocoloniali. Rinviamo all'appello della cugina di Amina, Rania, tradotto a cura della redazione di Infoaut, sperando nell'avvio di tutte le possibili forme di mobilitazione.
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mercoledì 27 aprile 2011
Tra politiche dei diritti e pratiche omo-nazionaliste. Movimenti lgbtiq, supremazia occidentale e pratiche razziste
Nel ricordarvi che si avvicina la data ultima per l'invio di proposte per il convegno Fuori & Dentro la democrazie sessuali, pubblichiamo l'abstract dell'intervento Tra politiche dei diritti e pratiche omo-nazionaliste. Movimenti lgbtiq, supremazia occidentale e pratiche razziste, presentato nel panel Dai margini al centro. Femminismo, teoria queer e critica postcoloniale, al recente convegno internazionale Www.world wide woman. In coda all'abstract (già pubblicato, insieme ad altri, nel Libro degli abstract del Cirdse), trovate una serie di documenti, via via pubblicati negli ultimi anni in Marginalia, che crediamo utili per una riflessione sull'argomento. Buona lettura. "Il recente rifiuto (giugno 2010) di Judith Butler di non accettare il Zivilcourage Prize assegnatole dagli organizzatori del Pride di Berlino – la filosofa ha esplicitamente dichiarato che intendeva così “prendere le distanze dalla complicità con il razzismo, compreso il razzismo islamofobico”- ha reso noto ad un pubblico più vasto un tema fondamentale per i movimenti omosessuali e queer contemporanei: quello del razzismo. Non è una problematica nuova per i militanti dei movimenti queer antirazzisti; in Inghilterra, in Olanda, in Germania, in Francia gli attivisti hanno in più occasioni denunciato la sovrapposizione tra discorsi e politiche del movimento omossessuale ufficiale e discorsi e politiche volte ad affermare la supremazia di una presunta cultura occidentale uniformata nel segno del liberalismo e dei diritti ‘anche’ degli omosessuali. Nel passaggio al nuovo millennio, non più solo i ‘diritti delle donne’ sono diventati armi nella presunta guerra tra civiltà (caso esemplare è quello della guerra in Afganistan) ma anche i diritti di gay e lesbiche. E nel contesto europeo contemporaneo, l’omonazionalismo e il razzismo hanno un nemico ben preciso: quei migranti, soprattutto di religione islamica, che sarebbero naturali portatori di un atteggiamento omofobico e transfobico. Per quanto il contesto italiano sia segnato da importanti differenze rispetto al nord Europa, pratiche omonazionalistiche si sono riconfigurate nella specificità italiana. Il conflitto in occasione dell’organizzazione del Pride italiano 2010 tra gruppi diversi della galassia lgbtiq può essere letta alla luce di questa chiave interpretativa: la rottura è infatti avvenuta intorno a nodi fondamentali del linguaggio e delle pratiche politiche (trasversalità, politicizzazione, identità, diritti, sicurezza). L’opposizione all’omonazionalismo costituisce inoltre un incontro inedito tra culture e politiche centrali per i movimenti di genere contemporanei: quella queer e quella postcoloniale. Gli attivisti queer e migranti, i ‘queer of colour’ antirazzisti e i loro alleati stanno elaborando una visione radicalmente alternativa dell’agenda politica dei movimenti gay e lesbici ufficiali, proponendo, sul piano del dibattito e delle politiche, intrecci inediti tra identificazioni, teorie e pratiche.In concreto, la comunicazione intende presentare la nascita e lo sviluppo del dibattito sull’omonazionalismo in alcuni paesi europei; nel fare ciò, si confronterà con le principali teorizzazioni della critica queer e postcoloniale nel contesto del movimento lgbtiq in Europa, valutando il peso dei processi migratori e delle politiche anti-immigrazione nei contesti descritti. In seguito, la comunicazione intende esplorare le ricadute, in termini di continuità e differenze, dell’omonazionalismo e della sua opposizione nel contesto politico e teorico italiano.
(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Racialization, Neoliberalism and Queer Public Spheres
Fuori e dentro le democrazie sessuali / In and Out of Sexual Democracies
Repertori della sessualità e politiche razziste
Judith Butler: prendere le distanze dalla complicità con il razzismo
Sulla censura di Gay Imperialism e Out of Place
Queer arabi contro le strumentalizzazioni
Concia e L'altro
Genere e processi di razzializzazione nelle democrazie occidentali
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