Due appuntamenti: stasera a Bologna (presso Primopianointernosette, via Mascarella 14) presentazione del volume curato da Gaia Giuliani, Il colore della nazione (2015). Domani a Padova (Fisppa, via Cesarotti 10/12) seminario Colonial legacies and visual culture, a partire dalla proiezione del documentario di Chiara Rinchini e Lucia Sgueglia Good morning Abyssinia (2004)
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martedì 15 dicembre 2015
martedì 30 giugno 2015
I conti col passato: l’Italia repubblicana e l’eredità coloniale / Seminario nazionale SISSCO
Cagliari, 2- 4 luglio 2015, seminario nazionale SISSCO: Colonialismo e identità nazionale. L’Oltremare tra Fascismo e Repubblica Seminario III. I conti col passato: l’Italia repubblicana e l’eredità coloniale Programma e maggiori info nel sito della SISSCO
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martedì 5 maggio 2015
Le esclusioni della bellezza. Costruzioni e incorporamento di ideali estetici
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mercoledì 22 aprile 2015
Seminario Sissco / I conti col passato: l'Italia repubblicana e l'eredità coloniale
Il programma completo sul sito della Sissco, mentre nella mia pagina personale in Academia. edu l'intervento che presenterò insieme a Elena Petricola e Andrea Tappi, Faccetta nera. La «Domenica del Corriere» e il colonialismo italiano.
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mercoledì 25 febbraio 2015
Da/per Gabriella Ghermandi e Atse Tewodros Project
Avevo già segnalato qui, circa tre anni fa, Atse Tewodros, un bellissimo progetto nato dall'incontro ad Addis Abeba tra Gabriella Ghermandi - che molt@ di voi conoscono , se non personalmente sicuramente per il suo bellissimo Regina di fiori e di perle - e alcuni vecchi partigiani etiopici che avevano combattuto contro l'occupazione fascista. Sono stati loro a chiederle di far rivivere i canti della loro resistenza. Nasce così un disco (bellissimo) frutto del lavoro di musicist@ etiopic@ e italian@ e registrato grazie al sostegno dal basso di centinaia di persone che come me e tant@ altr@ hanno acquistato in anticipo una copia del disco stesso. Purtroppo, pur registrato, il disco non è mai stato distribuito. Ma ora c'è la possibilità per Atse Tewodros Project di essere distribuito in tutto il mondo grazie a una competizione musicale indetta da un grosso network, composto da più case discografiche, di world music. Si vince grazie ai voti espressi su questo sito, tramite il rating, cioè cliccando semplicemente su una (e solo una, a seconda del voto che si vuole esprimere) delle stelline presenti. Affrettatevi perché si può votare ancora solo fino a fine mese (e fate girare la notizia, please)
domenica 15 febbraio 2015
Archivi del futuro / Reminder
Velocissimo reminder del convegno di Postcolonialitalia, Archivi del futuro, di cui vi avevo già segnalato a suo tempo il cfp e poi il programma. Purtroppo, per sopraggiunti problemi personali non potrò, con mio grandissimo dispiacere, prendervi più parte e presentare il paper che avevo proposto e che vi copio incollo sotto anche se potete leggerlo, insieme a quelli degli altri interventi, anche nel sito del convegno // Fin dall'epoca liberale, il “meticciato” è uno dei “problemi” maggiori, ma anche di più difficile “soluzione”, che il razzismo coloniale italiano si trova ad affrontare. Dall'iniziale assenza di espliciti divieti, ai vani e confusi tentativi di porre un argine alle “unioni interrazziali” (per lungo tempo tollerate nella sola forma del cosiddetto madamato), fino alla condanna, con la proclamazione dell'Impero, delle “unioni di indole coniugale” tra “nazionali” e “suddite” (che introduce la questione dell'asimmetria dell'interrelazione tra razza e genere, cfr. Barbara Sòrgoni, 1998), il problema del “meticciato” cortocircuita continuamente con un immaginario collettivo, che lo stesso discorso razzista aveva contribuito a consolidare, profondamente intriso di metafore e rappresentazioni di genere (che Anne McClintock ha definito porno-tropics, 1995). Nel secondo dopoguerra, mentre la neonata repubblica si accingeva ad archiviare frettolosamente le brutture del colonialismo come parentesi e frutto della sola barbarie fascista, e un pesante silenzio calava anche sui/sulle bambini/e “meticci” abbandonati dai padri italiani in Africa (questione tabù ancora per tutti gli anni Cinquanta, cfr. Tatiana Petrovich Njegosh in Petrovich Njegosh e Scacchi, 2012) la nascita di bambini/e “mulatti” da donne “italiane” e soldati alleati non-bianchi, reintroduce il “problema” nel cuore stesso della metropoli. Con questo paper mi propongo (ricorrendo a documenti d'archivio, fonti iconografiche, letterarie e cinematografiche) di analizzare le strategie messe in campo per occultare queste unioni e la nascita di coloro che rappresenterebbero con “il colore italo-nero delle loro guance il senso di abiezione della Patria” (per usare le parole di un deputato italiano durante una seduta dell'Assemblea Costituente nel 1947). Analisi che fa emergere con violenza la persistenza nel dopoguerra di violenti rapporti di dominio contemporaneamente “razzizzati” e “genderizzati”, del resto ancora operativi nel nostro presente post-coloniale (Vincenza Perilli, «Il senso di abiezione della Patria». Unioni sessuali interrazziali, genere e razzismo nel secondo dopoguerra italiano)
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sabato 1 novembre 2014
Mailbombing e denunce
Mentre l’Istituto di Cultura Sinta di Mantova, Sucar Drom e l’Osservatorio contro le discriminazioni hanno presentato un esposto all'Ordine dei giornalisti (e una denuncia alla Procura di Torino) per diffamazione e istigazione all’odio etnico/razziale nei confronti del giornalista de La Stampa Massimo Gramellini che in un articolo aveva appoggiato la scelta del sindaco di Borgaro Torinese di bus separati per "rom" e "residenti", sul sito di Cronache di ordinario razzismo prosegue la campagna di mailbombing promossa dalle associazioni Lunaria e Straniamenti. Di seguito la mail che ho inviato a Claudio Gambino qualche giorno fa
Egregio Claudio Gambino, devo confessarle che quando qualche giorno fa ho letto su alcuni quotidiani della sua proposta di istituire sulla linea 69 che da Torino porta a Borgaro Torinese bus “separati” per “rom e residenti”, ho sperato si trattasse della trovata orwelliana di qualche giornalista in cerca di scoop. Dico “sperato” perché troppo grave sarebbe stato che una simile “proposta” venisse da qualcuno che, come lei, ricopre un'importante e delicata carica istituzionale e dal quale sarebbe lecito aspettarsi una maggiore consapevolezza storica e politica. Purtroppo la visione di una video-intervista rilasciata a un giornalista de Il Fatto Quotidiano il 24 ottobre 2014 in cui, contemporaneamente, lei rigetta con sdegno ogni accusa di razzismo ma ribadisce la validità (e necessità) della sua proposta, mi costringono a prendere atto che non si tratta di una boutade ma del preoccupante segnale che certe modalità di pensiero (destinate a tradursi in pratiche) rischiano di non essere più solo patrimonio del più profondo ventre razzista italiano.Non insisto nel ricordarle, come ha già fatto del resto il giornalista de Il Fatto, quanto la sua proposta rievochi vicende quali l'apartheid sudafricano (non ignora, penso, il nome di Nelson Mendela) o ancora la segregazione razziale negli Stati Uniti che proprio nella ribellione all'imposizione di posti “separati” secondo una rigida linea del colore sui mezzi di trasporto pubblici trovò, grazie a Rosa Parks ed altre militanti, uno dei momenti di lotta più significativi. Semmai, come studiosa della genealogia del razzismo italiano, mi permetta di ricordarle qui, a mò di chiusura, una pagina non certo esemplare della nostra storia patria. Mi riferisco al decreto del 19 luglio 1937, n. 41675 che, nelle allora colonie italiane in Africa, vietava tra l'altro ai “sudditi l'uso di autovetture in sevizio pubblico guidate da nazionali” (cfr. Centro Furio Jesi, La menzogna della razza, 1994, p. 293). Sperando di aver contribuito a suscitare in lei qualche costruttiva riflessione sulla dannosa e controproducente persistenza nel presente di pratiche e ideologie di un passato evidentemente non ancora troppo lontano, Cordialmente, Vincenza Perilli
mercoledì 29 ottobre 2014
Généalogies du racisme en Italie
Per chi è attualmente parigin@ segnalo che all'interno del seminario Les épistémologies politiques de la décolonisation. Pour une généalogie de la critique postcoloniale (sul sito di decolonisationsavoirs il programma completo), lunedì 3 novembre vi sarà un incontro dedicato al tema Généalogies du racisme en Italie, con Gaia Giuliani e Francesca Bertino.
sabato 25 ottobre 2014
Bus separati per "rom" e "residenti" / Una lettera di Giuseppe Faso
Bus separati per "rom" e "residenti" sulla linea n. 69, che da Torino porta nella cittadina di Borgaro: questa la proposta avanzata dal sindaco, Claudio Gambino (Pd) e da un assessore di Sel, Luigi Spinelli. La definiscono una "provocazione", forse ignari (come altri che prima di loro hanno avanzato simili proposte) del decreto del 19 luglio 1937 che all'interno della più ampia legislazione di segregazione razziale nelle colonie italiane in AOI, interdiceva "ai sudditi l'uso di autovetture in servizio pubblico guidate da nazionali" (cfr. La menzogna della razza, Grafis, 1994). Sulla vicenda pubblico una lettera che Giuseppe Faso (dell'associazione Straniamenti e autore, tra l’altro, di Lessico del razzismo democratico) ha inviato al sindaco di Borgaro Torinese. Per chi volesse imitarlo ecco la mail: sindaco@comune.borgaro-torinese.to.it .
Egregio sindaco, Le chiedo col massimo rispetto un ripensamento rispetto alla Sua idea, se riportata senza forzature dalla stampa. Si possono senza dubbio capire e rispettare le Sue preoccupazioni e il Suo senso di responsabilità nei confronti di un problema la cui gravità non posso certo giudicare io da centinaia di chilometri di distanza. La soluzione prospettata da Lei, quale appare dalla stampa, preoccupa: non è possibile immaginare di distinguere l’utenza dei bus secondo una provenienza sociale, etnica, razziale e rivendicare una distanza dal razzismo. Abbia pazienza, ma il razzismo consiste proprio nel categorizzare le persone, e attribuire loro responsabilità o quozienti di inaccettabilità, in base semplicemente a una presunta origine. Lei probabilmente è piemontese, e io sicuramente meridionale: “piemuntisi” erano per i miei bisnonni truppe di occupazioni, che sulla base di presunta pericolosità di intere popolazioni hanno compiuto crimini di massa. E persone nate e vissute da ragazzi dove io sono nato e vissuto da ragazzo in Comuni non lontani dal suo hanno operato negli ultimi decenni secondo logiche mafiose – partendo dal movimento terra e inquinando a volte municipi interi -; impediranno a Lei e a me di rispettarci come individui, e come individui responsabili del loro operato, e non della loro più o meno presunta appartenenza, giudicarci? Spero di no. Lei ha una grande responsabilità amministrativa: non si faccia ricordare come chi ha attuato quanto i Suoi colleghi leghisti hanno più volte minacciato. Non penserei che Lei è un razzista, non attribuisco a nessuno etichette totalizzanti. Ma i gesti, le decisioni, i comportamenti, quelli sì, possono essere razzisti, e non dipendono dalle Sue intenzioni, ma dalle categorizzazione che metterà o no in atto. Se Lei adopererà una categoria razzizzata, avrà deciso da solo del razzismo della Sua decisione. Certo, molti Le daranno ragione. Non mi faccia operare paralleli storici poco lusinghieri per chi a suo tempo ha dato o avuto consenso su questi temi. Cordialmente, Giuseppe Faso
(Photo credit: effetti sulla popolazione civile dei gas usati dagli italiani durante l'aggressione all'Etiopia 1936-1941, foto dal sito dell'Ecadf)
giovedì 23 ottobre 2014
Il dilemma della pace / Femministe e pacifiste sulla scena internazionale 1914-1939
Sarà in libreria a fine mese, ma già disponibile sul catalogo della casa editrice, il nuovo volume di Elda Guerra, Il dilemma della pace. Femministe e pacifiste sulla scena internazionale 1914-1939 (Viella,2014). In attesa di finire di leggerlo, copio-incollo la scheda di presentazione presente sul sito dell'editore: "Quali dilemmi dovettero affrontare le protagoniste del movimento politico delle donne nei nuovi drammatici contesti novecenteschi? Esito di un’ampia ricerca, il volume affronta le vicende dell’associazionismo internazionale femminile nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, dagli schieramenti di fronte alla Grande guerra alla ricerca di politiche innovative negli anni Venti e Trenta nel dialogo con la Società delle Nazioni, al giudizio su fascismi e totalitarismi, fino alla scelta tra pacifismo e difesa della democrazia nel precipitare degli eventi nella seconda guerra mondiale. Viene così introdotto, sulla base di una rigorosa analisi delle fonti, uno sguardo innovativo sulla storia del secolo appena concluso grazie alla ricostruzione delle grandi questioni della cultura politica delle donne nelle sue tensioni tra affermazione della giustizia per entrambi i sessi, ricerca di politiche di pace e crescita dei diritti e delle libertà delle donne e di tutti gli esseri umani". Buona lettura!
domenica 19 ottobre 2014
L'invenzione del colore
Ripubblico da il Manifesto di qualche giorno fa la recensione di Liliana Ellena - dal titolo L'invenzione del colore - , al volume di Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop, Bianco e nero. Storia dell'identità razziale degli italiani, buona lettura // Un gusto non troppo soffuso di melanconia postcoloniale pervade gli strascichi lasciati dalle celebr-azioni dei 150 anni dell’unità nazionale: l’idea secondo cui la «nostra» cultura nazionale, a differenzadi altri paesi, sarebbe stata «fino al recente arrivo di immigrati» straordinariamente omogenea perquanto riguarda il colore della pelle, la religione e pure la lingua. Un paradigma identitario chemostra come, nonostante la specifica ossessione del dibattito italiano per l’identità nazionale, restinoradicate e persistenti le resistenze a considerarne le relazioni con il razzismo. Appare quindi una sfida e una scommessa, fin dal titolo, il volume di Gaia Giuliani e CristinaLombardi-Diop Bianco e Nero. Storia dell’identità razziale degli italiani
(Le Monnier, pp. 214, euro 18). L’obiettivo esplicito è quello di rilanciare gli esiti più interessanti degli studi che hanno esplorato il nesso costitutivo tra appartenenza nazionale e immagini dell’alterità, per mettere a fuoco le forme di «autorazializzazione» che hanno modellato tanto la dimensione statuale dell’identità nazionale quanto le rappresentazioni diffuse di quella italiana, dal periodo unitario fino ai primi decenni repubblicani. In particolare, il volume individua continuità e rotture dello specifico caso italiano nelle fluttuazioni che si sono materializzate attorno alla linea del colore. Con gli occhi ben puntati sull’eclatante visibilità di cui sono investiti i corpi non-bianchi nei conflitti del presente, le due studiose si chiedono quali siano le genealogie storiche e politiche della norma, invisibile perché naturalizzata, che fa coincidere bianchezza e italianità e dei vocabolari attraverso cui si è articolata e continua ad articolarsi.Nel corposo saggio che apre il volume, Gaia Giuliani individua nel periodo che va dalla nascita dello stato liberale al 1936–37 un passaggio cruciale per comprendere come i confini della cittadinanza emergano da una definizione dell’appartenenza alla nazione per contrasto con spazi non-bianchi, identificati prima con il Sud interno e poi con le colonie. Le tensioni proprie dello stato liberale trarigenerazione nazionale e questione meridionale, da una parte, e tra migrazioni e colonialismodall’altra, diventano gli ingredienti di un processo di «sbiancamento» che culmina nell’idea fascistadi una mediterraneità bianca.Giuliani insiste qui, in particolare, sul ruolo giocato dalla riformulazione delle teorie mediterranistedi fine ottocento, nel fornire un fondamento «scientifico» all’idea totalitaria della nazione prop-ugnata dal fascismo. Nell’immediato dopoguerra è proprio la centralità di questa matrice a veicolarecontemporaneamente la veloce liquidazione della svolta arianista successiva al 1937e l’invisibilizzazione del razzismo, secondo la ferrea logica per cui l’italiano mediterraneo «non puòper sua natura essere razzista: partecipa della mediterraneità di molti altri popoli e territori, e allostesso tempo definisce gli italiani, a prescindere dalla pigmentazione della loro pelle, come più bian-chi di tutti gli altri paesi al limite dell’Europa o non europei».Nella seconda parte del volume Cristina Lombardi-Diop, sposta l’attenzione sul passaggio tra fasci-smo e primi decenni dell’Italia repubblicana, individuando nei saperi e nelle pratiche legateall’igiene e alla cura del corpo, un terreno di convergenza tra rappresentazioni delle bianchezzae processi di modernizzazione. L’accesso ai consumi e il diffondersi dell’industria culturale declinasul terreno depoliticizzato della sfera domestica, del corpo, delle pratiche quotidiane quel processodi sbiancamento degli italiani che aveva ispirato le campagne fasciste di bonifica della razza sul terr-itorio nazionale e nelle colonie.In questo senso particolarmente significativa è l’analisi dei codici simbolici delle pubblicità dei pro-dotti di bellezza e per la casa, dai Manifesti di Gino Boccassile degli anni ’50 al Carosello degli annisessanta e settanta. Calimero, il pulcino nero icona della pubblicità del detersivo Ava, è forsel’esempio più eclatante della combinazione tra la stigmatizzazione della nerezza associata a impurità,sporcizia e contagio con i motivi anticontadini, antimeridionali e paternalistici che dominavano lacultura diffusa dell’Italia industriale negli anni del boom economico e delle migrazioni interne. Attraverso l’interiorizzazione di modelli di comfort personale e domestico, la linea del colore contribuisce a modellare i processi di mobilità territoriale e quelli della mobilità sociale segnalando «uno spostamento nella rappresentazioni razziali che si allontanano dalle categorie biologiche e si avvicinano a una comprensione più intima e privata della posizione di ciascuno nel progetto morale e nazionale della modernizzazione».Nel mettere in tensione corpo della nazione e disciplinamento biopolitico dei corpi individuali, il volume evidenzia come la linea del colore si materializzi all’intersezione di paradigmi diversi di naturalizzazione delle differenze legate al corpo. Il genere diventa qui un terreno cruciale per individuare le linee mobili attraverso cui l’identità razziale degli italiani è prodotta e contemporaneamente resa invisibile da altre forme di categorizzazione sociale. I riferimenti ai modelli visivi ed estetici che definiscono gli stereotipi di femminilità e mascolinità bianca e mediterranea, così come la trama razzializzata dei meccanismi di controllo e nazionalizzazione del corpo delle donne, individuano nella differenza sessuale il principale terreno attraverso cui la razza e il razzismo si manifestano nel contesto italiano.Uno dei principali meriti del volume, e uno dei suoi punti di forza, è di offrire una chiave interpretativa di lungo periodo che riesce a far dialogare efficacemente due ambiti di indagine finora largamente separati. Il primo è rappresentato da quel patrimonio di ricerche che negli ultimi anni ha riscattato la storia delle migrazioni e del colonialismo italiano da una posizione marginale per collocarle al centro delle dinamiche del nation building italiano. Il secondo è riconducibile a quell’insieme di approcci e griglie interpretative che in ambito anglosassone ha caratterizzato l’emersione dei whiteness studies, un’area trasversale di ricerca — conosciuta in Italia principalmente grazie al lavoro di traduzione di Giuliani — che ha riformulato le teorie critiche della razza assumendo come oggetto privilegiato l’analisi della costruzione storica, culturale e politica del «privilegio» bianco. A muovere questo dialogo è l’urgenza di identificare strumenti analitici adeguati a leggere nei con-flitti del presente un problema contemporaneamente storico e politico in grado di sollecitare nuovemappe dell’archivio delle nostre identità. Proprio su questo terreno la scommessa formulata dalle autrici del volume è stata rilanciata in questi mesi dalla nascita di InteRGRace (Gruppo interdisciplinare e intersezionale su razza e e razzismi/Interdisciplinary Research Group on Race and Racism),di cui Giuliani è una delle fondatrici. InteRGRace è una rete di produzione, diffusione e scambio a livello nazionale e internazionale che,articolandosi nella duplice veste di gruppo di ricerca accademica e di associazione rivolta ad un pub-blico non specialista, si propone come laboratorio di traduzione e contaminazione tra domande politiche e sfide teoriche (L. Ellena, il Manifesto, 15 ottobre 2014)
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sabato 11 ottobre 2014
Mos maiorum. Mega-retata europea contro i migranti
Dal blog di Annamaria Rivera una versione ampliata del suo articolo sull'operazione europea Mos Maiorum pubblicato originariamente da Il Manifesto. Prima di lasciarvi alla lettura dell'articolo vi segnalo che sul sito del Coordinamento migranti è possibile scaricare e stampare un utile foglio informativo multilingue. Buona lettura e diffusione // L’hanno chiamata Mos Maiorum, la grande retata europea contro i migranti che scatterà il 13 ottobre per concludersi il 26. Infelice già nel nome che allude, con gusto della romanità di tipo mussoliniano, ai “costumi degli antenati”, cioè al sistema etico-normativo tradizionale che nella Roma patriarcale e pre-civica aveva al centro, tra gli altri valori e principi, la valentia militare. La spruzzata di romanità da incolti pretenziosi – o piuttosto un lapsus che ne rivela il subconscio razzista e imperialista – non riesce a occultare il vero scopo dell’operazione: fermare, controllare, identificare, schedare migranti irregolari e potenziali richiedenti-asilo, intercettati sul territorio europeo sulla base della presunzione della loro colpevolezza. Promossa dal governo italiano nel contesto del semestre di presidenza europea, approvata, il 10 luglio scorso, dal Consiglio dei ministri dell’Interno e della Giustizia, la mega-retata sarà coordinata dalla Direzione centrale per l’immigrazione e dalla Polizia di frontiera del ministero dell’Interno italiano, in collaborazione con Frontex ed Eurosur. Il principale scopo dichiarato di questa operazione transnazionale, ma che avrà l’Italia come teatro operativo principale, è stroncare le reti che trafficano in “clandestini”. In realtà, come abbiamo ribadito più volte, a creare gli irregolari e quindi il traffico di tale merce umana sono il proibizionismo europeo, l’assenza di canali d’ingresso legali e il Regolamento Dublino III. Quest’ultimo, impedendo i movimenti interni all’UE dei richiedenti-asilo, conferendo agli Stati, invece che alle persone, la facoltà di decidere dove chiedere protezione, prevedendo perfino che essi possano essere trattenuti se c’è “pericolo di fuga”, li induce ad affidarsi a reti illegali pur di raggiungere le mete desiderate.Come è ammesso esplicitamente nel documento ufficiale del Consiglio dell’UE, datato 10 luglio 2014, servirà anche a schedare i migranti e a “raccogliere informazioni rilevanti per scopi investigativi e d’intelligence”. Insomma, le vere finalità sono terrorizzare e criminalizzare migranti e potenziali richiedenti-asilo, soprattutto ripulire il territorio europeo, quello italiano in specie, da un buon numero di indesiderabili. Questa mega-retata non è una novità assoluta. Infatti, tra il 15 e il 23 settembre scorsi si era svolta l’operazione Archimedes (ancora il gusto della classicità!), vasta operazione di polizia, coordinata da Europol, contro il crimine organizzato transnazionale. Nell’ambito di questa operazione, l’Italia, con la collaborazione di Frontex, si era occupata, tra l’altro, d’immigrazione irregolare, identificando e schedando ben diecimila migranti in tutta Europa. Perlopiù persone ree di null’altro se non di sfuggire a miseria e altre calamità, in buona parte provocate dai rapporti di sfruttamento neocoloniale che le potenze occidentali impongono ai paesi del Sud o comunque non egemoni.Ciò che rende ancor più infame Mos Maiorum– non evoca forse le retate di massa, di triste memoria, contro altri indesiderabili?– è che si accompagni con l’annunciata fine di Mare Nostrum. Ancora un’operazione dal nome classicheggiante, ma che almeno, pur con delle ambiguità, ha sottratto più di centoventimila vite umane all’immenso cimitero marino che è divenuto il Mediterraneo. Dopo le lacrime di coccodrillo di Schultz e Mogherini a Lampedusa, nel corso della commemorazione della strage del 3 ottobre 2013, di nuovo coloro che sono costretti a fuggire da realtà funeste, prodotte o incrementate dagli apprendisti stregoni occidentali, tornano a essere nemici o, appunto, indesiderabili. E’ da molti giorni che le associazioni e le reti che difendono i diritti dei migranti lanciano l’allarme sulla Grande Retata e mettono in guardia i migranti e i profughi a rischio. Recente è, invece, la presa di posizione del Gue-Ngl, il raggruppamento di sinistra del Parlamento europeo. Sollecitato da Barbara Spinelli, il gruppo, con l’appoggio dei Verdi, ha denunciato il carattere discriminatorio dell’operazione in una lettera aperta al Consiglio dei ministri della Giustizia e degli Affari Interni. Nella lettera si rivendica, fra l’altro: il sostegno a Mare Nostrum; la creazione di corridoi umanitari; la garanzia della pienezza del diritto di asilo e di altri diritti fondamentali; la possibilità che i rifugiati raggiungano paesi europei diversi dal primo paese d’arrivo; la fine di ogni forma di detenzione dei migranti in quanto tali. Nel contempo, il Gue-Ngl si appresta a presentare una “richiesta di dichiarazione” del Consiglio durante la prossima plenaria del Parlamento europeo. Tutto ciò potrebbe sembrare banale routine politica. Eppure oggi, quando stragi e retate di migranti si consumano spesso nel silenzio e nell’indifferenza dei più, non è cosa da poco che nel Parlamento europeo vi sia qualche sussulto di opposizione alla Fortezza Europa (Annamaria Rivera, 11 ottobre 2014) // L'immagine che illustra questo post è un fin troppo eloquente graffito di Bansky, rimosso qualche giorno fa perché giudicato "offensivo e razzista". Ma è chiaro che "Banksy has not been banned from Clacton-on-Sea because he is a racist. He has been suppressed because he exposed the truth (Jonathan Jones, The Guardian)
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sabato 31 maggio 2014
Cultura, transcultura, razza
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domenica 13 aprile 2014
mercoledì 20 novembre 2013
Il ramadan di Daniela Santanchè
Nuova puntata per La vendetta del burqa, la saga all'insegna dell'islamofobia che vede come protagonista Daniela Santanchè, ex Alleanza Nazionale, poi candidata fallita per La Destra - Fiamma Tricolore e ora fedelissima di Berlusconi nell'agonizzante Popolo della Libertà. Già rinviata a giudizio per diffamazione lo scorso anno dal gup di Milano per aver offeso "la reputazione e l'onore" (così nel decreto che ne disponeva il giudizio) di una donna italiana convertita all'Islam nel corso della trasmissione televisiva Iceberg, il 21 settembre del 2009, adesso Santanchè è a processo per un'altra vicenda che l'ha vista in primissima fila sempre nel settembre 2009. L'episodio è la cosiddetta "protesta anti-burqa" organizzata a Milano dall'allora leader del Movimento per l'Italia (da lei fondato un anno prima) durante la quale la parlamentare aveva tentato di strappare il velo ad alcune donne musulmane che si recavano ad una festa per i festeggiamenti di fine Ramadan. In seguito aveva dichiarato di essere stata vittima di un'aggressione da parte dei "fondamentalisti islamici", notizia che aveva generato titoli memorabili su molti quotidiani, come l'indimenticabile Per festeggiare il Ramadan picchiano la Santanchè (Il Giornale). Ora arriva il processo e la richiesta da parte del pm di un mese di arresto e cento euro di multa per Santanché e 2000 euro di multa per Ahmed El Badry, accusato di lesioni per aver assestato un pugno nello sterno alla parlamentare del Pdl. Per il vice procuratore onorario, a differenza di Santanché, El Badry non merita le attenuanti generiche e nemmeno quelle "della provocazione, in quanto ha colpito una persona, oltre tutto di sesso femminile, che esprimeva opinioni e non c'era motivo di colpirla". L'appuntamento (e terza puntata della saga) è ora per il 1 di dicembre, giorno in cui parleranno le difese e il giudice si dovrebbe ritirare in camera di consiglio per la sentenza.
lunedì 9 settembre 2013
Integralisti cattolici contro le teorie del genere
Dal sito Intersexioni, che Marginalia aveva già segnalato qualche tempo fa, apprendiamo di un convegno in odor di integralismo cattolico promosso dal Movimento europeo difesa della vita e dall’associazione Famiglia Domani e patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Verona, dal titolo significativo di La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo? Sul sito di Intersexioni anche l'appello (diffusione gradita) promosso da vari gruppi e associazioni lgbtqe, che da anni lavorano sul territorio veronese, come il Circolo Pink. Buona lettura e diffusione
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lunedì 15 luglio 2013
Cécile Kyenge e l'orangotango di Calderoli
Durante una festa della Lega Nord a Treviglio, l'ex ministro Roberto Calderoli (lo stesso del Maiale Day in chiave "anti-islamica") ha paragonato la ministra all'integrazione Cécile Kyenge ad un orangotango, suscitando proteste e richieste di dimissioni. Peccato che, e non è la prima volta, affermazioni di questo tipo vengano definite volgari e incivili piuttosto che semplicemente razziste. Come se bastasse un linguaggio meno "volgare e incivile", ovvero politically correct, a far sparire il razzismo (e, specularmente, come se il razzismo potesse essere ridotto a questo tipo di manifestazioni ...) // Alcuni articoli correlati in Marginalia : Un dizionario razzista per Cécile Kyenge, Chi ha paura della donna nera ?, L'integrazione è un campo di battaglia, Cécile Kyenge e lo stupro
lunedì 17 giugno 2013
Colonizzatrici e colonizzate: le donne nell'Etiopia del 1936 negli scritti e nelle foto di Ciro Poggiali
Avevo già segnalato che è da poco online il sito che raccoglie le registrazioni audio del convegno internazionale Femmes et genre en contexte colonial. Non so voi ma io - vista la cronica mancanza di tempo - sto procedendo abbastanza lentamente nell'ascolto degli interventi, ma per intanto oltre quello di Barbara Spadaro - di cui avevamo qui già pubblicato l'abstract - ho ascoltato e segnalo la relazione di Monica Di Barbora, Colonisatrices et colonisées : les femmes dans l’Éthiopie de 1936 à travers les écrits et les photos de Ciro Poggiali
martedì 11 giugno 2013
La passione di Isabella Rauti
Mara Carfagna, portavoce del Pdl alla Camera, ha dichiarato in una nota che Isabella Rauti - appena nominata consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio dal ministro dell'Interno, Angelino Alfano -, è tra le persone più indicate e più competenti per ricoprire questo ruolo poiché "si è sempre distinta per passione e per un impegno constante nella difesa delle donne e dei più svantaggiati". Bien sur la "passione" a cui fa riferimento Carfagna è quella con cui Isabella Rauti ha sostenuto la proposta di legge Tarzia per la riforma dei consultori, le marce per la vita e gli ideali di famiglia ... // (Alcuni) articoli correlati: Nel nome del padre (e della famiglia), Fascisti in lutto, Signore di destra
domenica 9 giugno 2013
Black Panthers ad Atene
Come già è accaduto in Ungheria con la resistenza dei Rom contro le milizie fasciste di Jobbik, ora anche in Grecia un gruppo di africani residenti ad Atene si organizza per rispondere alle ronde xenofobe dei neonazisti di Alba dorata. È un movimento di autodifesa che prende lo stesso nome adottato dal movimento afro-americano negli Stati Uniti d’America negli anni ’60 e ’70: «Black Panthers». Un po’ dappertutto non si vuole più subire senza dir nulla le continue istigazioni all’odio razzista della destra xenofoba. Fosse anche un partito in via d’estinzione come la Lega Nord che ogni sabato mattina fa il suo banchetto in via Orefici contro l’«invasione straniera» e raccoglie ogni volta lo sdegno dei passanti (da Staffetta)
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