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lunedì 19 novembre 2007

Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère ...


[Ultima parte. Prima parte qui]


Strategie di ripresa


Per il cinema di Allio, impegnato a dare voce alla gran massa degli sfruttati "sprofondata fino al collo nella melma del quotidiano", a coloro che sono senza storia perché "non hanno la parola"[18], l'incontro con la Memoria di Rivière era qualcosa di più di una semplice continuazione. Uno di questi ignoti si staccava dalla penombra della storia con un discorso che non si trattava più di decifrare negli interstizi dei discorsi dominanti: "Qui, non siamo noi a dover raccontare una storia: un contadinello ha preso la parola. Non soltanto esprimendo delle posizioni e dei punti di vista, ma scrivendo anche della condizione contadina ... e il tutto con uno straordinario talento di scrittore" [19].

Come il libro, il film si fa carico di restituire centralità alla Memoria e, insieme, di fare emergere gli scontri, le battaglie e le lotte di potere e sapere che investono tutti i personaggi del film: la lotta della madre contro il padre, la lotta di Rivière contro i suoi giudici, la lotta dei giudici contro i medici... e questo riattivando contemporaneamente il rovesciamento delle gerarchie dei discorsi operato dal libro. Ma come risolvere la"contraddizione difficilmente evitabile" costituita dall'"impresa di lasciar parlare Rivière e di metterlo in scena, con dietro la cinepresa", come rispettare la scelta di Foucault di non interpretare, quando fare un film è, di per se, "prendere posizione perché, rappresentando, si sceglie"? [20]. E, ancora, come operare il passaggio, la traduzione, dello scritto (i documenti, la Memoria, il libro) in immagini ?

Lo scritto rende conto di una parola ma è anche, allo stesso tempo, questo modo di renderne conto. Si tiene in due luoghi, insieme come scritto e come parola rappresentata, sulla pagina - come parola e come scritto promesso, nella bocca che lo proferisce. E né nell'uno né nell'altro, poiché la bocca è scomparsa, e la pagina non è una bocca, né lo scritto, e la parola c'è sempre. Ma quando si rappresentano dei fatti, dei gesti, delle persone? Torniamo al problema delle forme [21].

È questo l'interrogativo centrale: "Come tradurre in termini di forme ciò che funziona nel reale? Quali forme scegliere? Quali eliminare?"[22]. La ricerca di procedimenti di tipo formale estranei alle modalità proprie della finzione dominante era un problema già presente nella pratica cinematografica di Allio, che si dichiarava "molto scettico circa la politicità di un film quando la si introduce solo a livello di discorso, di dialogo"[23]. La "politica" non può essere introdotta come un supplemento, ma deve investire la struttura, il procedimento, la forma stessa dell'opera: "se la politica è inscritta da qualche parte nel film, è nel modo di farlo"[24]. A partire dalla scelta del soggetto - che è di per sé una prima presa di posizione - tutti gli elementi del film subiscono un trattamento consequenziale.

Rivière racconta nella Memoria di aver coltivato un mito di eroismo:

Mi figuravo Bonaparte nel 1815 ... Pensai che l'occasione era giunta di innalzarmi, che il mio nome avrebbe fatto scalpore nel mondo intero, che con la mia morte mi sarei coperto di gloria e che nei tempi a venire le mie idee sarebbero state adottate e si farebbe la mia apologia [25].

Il cinema di Allio cerca di "restituire a dei personaggi popolari un ruolo centrale ... il posto degli eroi: di farli passare dal posto secondario in cui sono relegati dal cinema o dai racconti dominanti o nei resoconti della storia, al posto primo ed essenziale"[26]. Rivière prenderà nel film questo posto, ma non nella forma che aveva immaginato: ha, dell'eroe, il ruolo centrale, ma non è oggetto di apologia, non suscita e non permette il processo consolatorio dell'identificazione. Siamo lontani dalle eroine assassine cantate da Breton e altri surrealisti: Violette Nozières che avvelena il padre stupratore, le sorelle Papin che massacrano i loro padroni, l'anarchica Germaine Berton che uccide a colpi di pistola un redattore del giornale fascista L'action française [27]. In particolare, il rilievo dato alla figura della madre, espone la tragicità del gesto di rivolta di Rivière, che non ha, come avrebbe voluto, colpito il tiranno, ma "sua sorella e sua madre, altre due ribelli, impegnate nella stessa confusa lotta di emancipazione, donne che minavano accanitamente da una parte (la loro) un ordine ingiusto che Pierre attaccava dall'altro"[28]. Da questo lato, il conflitto è una tremenda e accanita guerra tra poveri. Solo ai notabili il film conferisce il "lusso" di essere interpretati da attori professionisti, mentre i ruoli dei contadini sono recitati dagli abitanti del luogo, ben coscienti che "le storie di eredità, di dote, di beni, di contratti, non soltanto esistono ancora ai nostri giorni, ma sono, più o meno, portatrici della stessa violenza"[29].

A differenza degli attori essi "non dimenticano nulla, ne la macchina da presa, ne il testo, ne il fatto che stanno recitando ... le parole cadono dalla loro bocca da tutta la loro altezza". La recitazione dei contadini rompe il naturale, "l'evidenza sotto tutte le sue forme". Con la loro non-naturalezza, essi svelano "la non-evidenza delle parole, dei testi ... della recitazione che non è la parola, ma semmai una forma della scrittura ... il potere delle parole e la forza dello scritto"[30] rinviando continuamente alla presenza attiva di un dispositivo cinematografico, di un testo preesistente, di una presa di posizione.

La stessa "naturalità dello sguardo" viene sottoposta a critica attraverso l'uso di inquadrature fisse, ravvicinate, che mimano la prossimità "della conversazione ... della testimonianza, del rapporto umano, della piccola proprietà ... di rapporti sociali propri di un'epoca , di una classe, di un modo di vita, quindi di un modo di vedere". Sono banditi i piani generali, poiché "a quell'epoca questo sistema di visione era quello degli imperatori, dei re, dei generali"[31], mentre questa è la tragedia del popolo. Se la tragedia greca "racconta la nascita della legge e gli effetti mortali della legge sugli uomini", il caso Rivière - avvenuto solo una ventina di anni dopo la messa in applicazione del codice civile - è un "dramma del diritto, del codice, della legge, della terra, del matrimonio, dei beni..."[32] che racconta gli effetti di questa nuova legge sulla vita quotidiana della povera gente delle campagne, dei contrasti e delle "guerre" che ne conseguono: il film è ritmato da un movimento che non è quello della "convenzione scenica", ma che rinvia ed obbedisce "a un'altra categoria di movimenti, non meno codificati, quelli della guerra" [33].

Ma tutte queste scelte formali "sarebbero di scarsa importanza senza questo: instaurare nel film un transito ininterrotto tra la scrittura e la parola ... la conversione dello scritto ... in un detto"[34].

Attraverso un uso magistrale del sonoro - costituito interamente da stralci dei documenti che formano il dossier -, Allio perviene a restituire centralità alla parola di Rivière: è la sua voce fuori campo - la Memoria - che parla sugli avvenimenti, che domina le immagini "che avvolge tutto il resto ... tutto il film è dentro la voce di Rivière e Rivière non è soltanto presente nel film, ma lo avvolge come una specie di membrana, grava sui suoi confini esterni"[35]. A questa "parola sovversiva" Allio oppone, facendo intervenire voci documentarie di giornalisti, medici, giudici, la verità ufficiale, i discorsi tesi a intrappolarlo. Rompendo la cronologia dei fatti, dopo aver rotto, o almeno smontato, questa trappola, il film sposta la fuga di Rivière alla fine, dopo la sua morte. Forse in quel "dopo" in cui la Memoria sfuggita alla presa dei saperi che l'avevano circoscritta, è divenuta un'arma per combatterli.

A un redattore di La revue du cinéma che gli chiede se ha riconosciuto Pierre Rivière nel film, Foucault risponde lapidario: " non c'era bisogno di riconoscerlo. Egli è là, punto e basta..." [36].


Epilogo


Non è forse una semplice coincidenza il fatto che il film abbia in un certo senso riprodotto non soltanto la Memoria, ma la sua sorte: come questa era oggetto di analisi contrastanti - per gli uni prova della pazzia per altri della lucidità criminale dell'autore -, il film ha incontrato, o forse "provocato", una sorta di "replica" di questo conflitto di interpretazioni. La conversione dello scritto in detto mentre diviene per alcuni segno di un'eccessiva fedeltà del regista al libro, al dossier, alla Memoria, è per altri una riproduzione insufficiente, lacunosa, una semplificazione che rasenta il tradimento.

Un'ultima annotazione dai Carnets di Allio:

La follia ... Non è la follia che ho filmato in questo film. Non l'ho mai filmata, né ho tentato mai di farlo, se non quella follia del tutto ordinaria del quotidiano... il rapporto che ho intrattenuto con la follia sono i miei stessi film. Non è filmare la follia che bisogna considerare. La vera follia è fare dei film ... E' prendere la parola con ciò che è proibito e fare dei film per sé, nel cinema di oggi. E' fare come il folle in mezzo ai 'normali' [37].


NOTE:


[18] R. Allio, Carnets, cit., pp. 42-44.
[19] R. Allio, "Comment traduire en termes de formes ce qui fonctionne dans le réel?" intervista a cura di Mireille Amiel, in «Cinema 76», n. 215, nov. 1976, pp. 74-80, p. 75.
[20] G. Gauthier (a cura di), "Il ritorno di Pierre Rivière. Conversazione con René Allio", cit., p. 81.
[21]
R. Allio, Carnets, cit., p. 47.
[22] R. Allio, "Comment traduire en termes de formes ce qui fonctionne dans le réel?", cit., p.78.
[23]
Ivi., p. 80.
[24] Ivi.
[25] P. Rivière, "La Memoria", cit., p. 102.
[26] R. Allio: "... la parole populaire", intervista in «Jeune Cinéma», déc. 76 - jan. 77, pp.20-26, p. 20.
[27] Cfr. José Pierre, prefazione a
Violette Nozières, Paris, Éditions Terrain Vague, 1991.
[28] J.-P. Peter e J. Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", cit., p. 214. Per la centralità assunta dal personaggio - secondo Foucault "assolutamente enigmatico"- di Victoire Brion nel film, si veda Michelle Perrot, "De Madame Jourdain à Herculine Barbin: Michel Foucault et l'histoire des femmes", in AaVv,
Au risque de Foucault, Paris, Éditions du Centre Pompidou, 1997, pp. 95-105.
[29] R. Allio, "Comment traduire en termes de formes ce qui fonctionne dans le réel?", cit., p. 76.
[30] Serge Le Péron, "L'écrit et la cru", in «Cahiers du Cinema», n.271, nov. 1976, pp. 56-57, p. 57.
[31]
Ibidem., p. 56. Non posso non ricordare che la fotografia di questo film è di Nurith Aviv [nella foto], la quale, il 26 marzo 2000, ha animato con altri lo stimolante incontro che ha accompagnato la proiezione di Moi, Pierre Rivière... alla XXII edizione del Festival International de Film de Femmes di Créteil.
[32] M. Foucault, intervista in «Cahiers du Cinema», n.271, nov. 1976, pp.52-53, p. 53.
[33] R. Allio, "Le théâtre des opérations", in «Cahiers du cinéma», n. 271, nov. 1976, p. 49.
[34] J.-P. Sarrazac, "L'écriture fautive" in «L'Avant-Scene», n. 183, marzo 1977, p. 5.
[35] G. Gautier (a cura di), « Il ritorno di Pierre Rivière. Conversazione con Michel Foucault », in G. Gori (a cura),
Passato ridotto, cit., p. 211.
[36]
Ibidem., p.209.
[37] R. Allio,
Carnets, cit., p. 243.

venerdì 9 novembre 2007

Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère ...

Vincenza Perilli, "Dopo Foucault, con altri mezzi. Moi, Pierre Rivière...: un film di René Allio", in Katia Bernuzzi ( a cura di), I linguaggi della follia, Collana Arcipelago, Fara Editore, Rimini 2001, pp. 81-87*.

Premessa

Il 12 febbraio 1974 René Allio annota in uno dei suoi quaderni: " E' di una storia di questo tipo, con questo tipo di violenza, che rinvia a quel che rinvia, che bisognerebbe parlare" [1]. La "storia" è quella pazientemente ricostruita durante un seminario sui rapporti tra psichiatria e giustizia penale al Collège de France, da poco pubblicata da Gallimard con il titolo di Moi, Pierre Rivière, ayant égorgé ma mère, ma sœur et mon frère... [2].
A pochi mesi dalla prima annotazione, l'ipotesi ha preso la forma di un imperativo: "bisogna che Pierre Rivière divenga il film-manifesto di un cinema che sceglie di parlare del popolo nella sua vera storia" [3].
Occorreranno più di due anni, in gran parte spesi nella difficile ricerca di qualcuno disposto a finanziare l'impresa, perché il film sia finito. Nel novembre '76 viene proiettato a Caen e, la sera successiva, a Flers: "la sala è affollata di un pubblico che non si vede mai al cinema. La gente della campagna. Uomini, donne sulla cinquantina, pieno di giovani, il miglior pubblico possibile per questo film. Il loro piacere grave di riconoscere qualche cosa di loro nel film fatto con loro e che viene da loro"[4]
. Sono i luoghi dove il film è stato girato e dove, più di centotrenta anni prima, un povero contadino di ventun'anni aveva provato sulla propria pelle che "per prendere la parola e perché la si ascolti, l'indigeno deve cominciare ad uccidere, e morire"[5].

Uccidere/scrivere: il crimine, la Memoria.


Il 3 giugno 1835, in un villaggio della campagna normanna, Pierre Rivière uccide a colpi di roncola la madre, la sorella e il fratello. Subito dopo si dà alla fuga vagando per i boschi e le cittadine del circondario fino ai primi di luglio, quando viene riconosciuto e arrestato. Processato, condannato a morte, in seguito graziato da Luigi Filippo, viene rinchiuso, per scontarvi l'ergastolo, nel carcere di Beaulieu. Lì, il 20 ottobre 1840, si toglie la vita, impiccandosi.

Non è la violenza, spesso tragicamente rivolta contro altri dominati o contro sé stessi, a costituire la singolarità di questo "caso". Un fatto crudele ma, all'epoca, non eccezionale: altri Rivière, oscuri personaggi senza nome né storia, abitano le cronache del tempo, come se "il linguaggio spaventoso del crimine"[6] costituisse la sola, estrema possibilità di sollevarsi, almeno per un istante, dalla - e contro la - propria condizione:

L'eco delle battaglie risponde dal lato opposto della legge alla fama vergognosa degli assassini ... dopo tutto le battaglie imprimono il marchio della storia su massacri senza nome; mentre il racconto crea frammenti di storia a partire da semplici scontri di strada. Dagli uni agli altri, il limite è oltrepassato senza posa ... per un avvenimento privilegiato: l'omicidio[7].

Decimati dalle malattie e dalla fame, ridotti a bestie, mandati a morire in guerre di cui spesso non capivano le ragioni e di cui non erano mai gli eroi, i ceti popolari delle campagne si avvedono ben presto che l'avvento della Rivoluzione non ha segnato per loro un radicale cambiamento. L'uguaglianza giuridica, il nuovo statuto di cittadini, la forma del contratto, sono un nuovo e più raffinato metodo per il loro assoggettamento: "L'ordine della nuova società liberale ha disposto le sue istanze di controllo proprio nel contratto, nel gusto della proprietà e nella spinta al lavoro che ne consegue, per tenervi in mano e perpetuarvi gerarchie e disuguaglianze"[8].

Ed è allora che "la campagna, universo silenzioso dell'infelicità, cessa di subire soltanto il suo stato, l'esteriorizza, e produce al di fuori, come altrettanti sintomi significanti, dei crimini spaventosi"[9]. Questi "atti sono discorsi", ma nessuno ha voglia di intenderli, anzi un complesso di poteri e saperi si mette subito in moto per ridurli. L'eccezionalità del caso Rivière risiede nel fatto che egli riesce a sottrarsi a questa riduzione. Al punto che, paradossalmente, è la stessa macchina che voleva "contenerlo" a rendere possibile, dopo più di un secolo, il suo (ri)emergere: il crimine di Rivière era stato assunto come posta in gioco nel conflitto tra il potere giudiziario e quello, nascente, della psichiatria, uno scontro che proprio in quegli anni conosceva il suo culmine. È proprio seguendo il solco di questo conflitto che il seminario di Foucault ha incontrato "l'omicida dagli occhi rossi"[10], attraverso il dossier pubblicato nel 1836 nelle "Annales d'hygiène publique et de médecine légale", da Esquirol e altri psichiatri parigini intervenuti, dopo la condanna a morte, a favore della domanda di grazia.

Le ricerche condotte dal seminario "riaprono" questo dossier, estendendo la massa dei documenti, riproponendoli nel libro in base alla cronologia dei fatti: processo verbale dei medici che constatano i decessi, mandato di cattura, verbali degli interrogatori dell'omicida e dei testimoni, consultazioni medico-legali, sentenza di condanna, grazia, scheda di immatricolazione e di "uscita" del carcere, resoconti della stampa e, infine, un "foglio volante".

L'insieme di questi documenti disegna "una lotta singolare, uno scontro, un rapporto di potere, una battaglia di discorsi e attraverso dei discorsi"[11], al cui centro si trova "quel documento straordinario: la memoria"[12], quaranta pagine di straordinaria bellezza [13], scritte in carcere nell'arco di undici giorni dallo stesso Rivière, "molto grossolanamente, poiché non so che leggere e scrivere; ma purché si intenda quel che voglio dire, è questo che chiedo". Questa Memoria si articola in due parti: un "Riassunto delle pene e delle afflizioni che mio padre ha sofferte da parte di mia madre dal 1813 fino al 1835" e un "compendio della mia vita personale e dei pensieri che mi hanno occupato sino ad oggi". Qui l'omicida offre "la spiegazione in dettaglio" del suo crimine e i motivi che ve lo hanno condotto, per esercitare la giustizia di Dio e sfidare le leggi umane "ignobili e mostruose"[14]:

Mi sembrò che sarebbe per me una gloria, che mi sarei immortalato morendo per mio padre, mi raffiguravo i guerrieri che morivano per la loro patria e per il loro re ... dicevo tra me: quelli là morivano per sostenere il partito di un uomo che non conoscevano e che neppure li conosceva, che non aveva mai pensato a loro; ed io morirò per liberare un uomo che mi ama e mi predilige ... Presi dunque questa orrenda risoluzione, mi determinai ad ucciderli tutti e tre; le prime due perché si accordavano tra loro per far soffrire mio padre, quanto al piccolo avevo due ragioni, l'una perché amava mia madre e mia sorella e l'altra perché ... mio padre ... amava questo bambino che aveva dell'intelligenza, pensai tra me: avrà un tale orrore di me che si rallegrerà della mia morte [15].

Questa Memoria che, perfino nella versione amputata della prima parte pubblicata dalle "Annales", sembra suscitare (o tradire) un sintomatico imbarazzo, mobiliterà un varietà di tattiche tese a ridurla, circoscrivendola in esami che ne faranno per alcuni il lucido progetto di un criminale, per altri il delirio di un pazzo. Il libro curato da Foucault tendeva proprio a "far emergere in qualche modo il piano di queste lotte diverse, restituire questi scontri e queste battaglie, ritrovare il gioco di questi discorsi, come armi, come strumenti di attacco e di difesa in rapporti di potere e di sapere"[16].

E qui si inseriva la più importante posta in gioco: rovesciare la gerarchia dei discorsi. Mettere lo scritto di Rivière al centro, non solo nella successione dei testi, ma nell'ordine del discorso: evitare di interpretarlo, di "riprenderlo in uno di quei discorsi (medici, giuridici, psicologici, criminologici) di cui volevamo parlare a partire da esso"[17].

____________________________________________


* Colette Guillaumin, nel suo "Follie et norme sociale. A propos de l'attentat du 6 décembre 1989" (in Sexe, race et pratique du pouvoir. L'idée de nature), scrive: "Un jeune paysan normand, Pierre Rivière, qui a fait rêver, de façon étrangement aveugle - et peut être complaisante -, bien des anthropologues et cinéastes, tuait, en 1835, sa mère, sa sœur de dix huit ans et un enfant de sept ans, son petit frère, dans une explosion de haine qui ne retient l'explication des analystes que par la "haine de la mère", laissant dans l'inconnu ou le non-dit la haine des femmes.


NOTE:


[1] René Allio, Carnets, a cura di Arlette Farge, Paris, Lieu Commun, 1991, p. 39.
[2]
Michel Foucault (a cura di),
Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello...., Torino, Einaudi, 1976 (ed. or. 1973). Per osservazioni critiche relative alla recente riedizione Einaudi, introdotta dallo psichiatra Paolo Crepet, si vedano gli articoli pubblicati in «Alias»,, n. 24, 17 giugno 2000, pp. 22-23.
[3] R. Allio,
Carnets, cit., p. 42.
[4] Ivi, cit., p. 63. In Italia il film di Allio, che non raggiungerà mai la grande distribuzione, è presentato alla Decima Settimana Cinematografica Internazionale di Verona (16-22 giugno 1978):
Momenti del cinema francese contemporaneo (1976-1978). Due anni prima, alla Biennale di Venezia, era stato presentato un altro film sul tema: Je suis Pierre Rivière, opera d'esordio della regista Christine Lipinska.
[5] Jean-Pierre Peter e Jeanne Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", in
Io, Pierre Rivière..., cit., pp. 199-221, p. 206.
[6] Ivi.
[7] M. Foucault, “I delitti che si raccontano”, in
Io, Pierre Rivière ..., cit., pp. 228-229.
[8] J.-P. Peter e J. Favret, "L'animale, il pazzo, il morto", cit., p. 204.
[9] Ivi, p. 205.
[10] Così nella scheda di immatricolazione del carcere di Beaulieu. Cfr.
Io, Pierre Rivière..., cit., p. 181.
[11] M. Foucault, "Presentazione", in
Io, Pierre Rivière..., cit., pp. X.
[12] Guy Gauthier (a cura di), "Il ritorno di Pierre Rivière. Conversazione con René Allio", in Gianfranco Gori (a cura di),
Passato ridotto. Gli anni del dibattito su cinema e storia, Firenze, La casa Usher, 1982, pp. 77-84, p. 79.
[13] Circa sessanta pagine nella versione Einaudi, quaranta nel manoscritto originale. Cfr. M. Foucault, "I delitti che si raccontano"
, cit.
[14] P. Rivière, "La Memoria", in
Io, Pierre Rivière ... , cit., pp. 53-114, p. 99.
[15]
Ivi., pp. 99-100.
[16] M. Foucault, "Presentazione", op. cit., p. XI.
[17] Ivi, p. XII.

[continua qui]