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sabato 15 giugno 2013

Razzismo, sessismo e arte / Portrait d'une négresse

Scambio notturno di mail con Rosa (che ringrazio per la segnalazione) a proposito di Portrait d'une négresse, della pittrice francese Marie-Guilhelmine Leroux-Delaville presentato al Salon del 1800 e oggi conservato al Musée du Louvres. Secondo alcune letture critiche con questo ritratto l'artista mette in discussione le imbricazioni di sesso, razza e classe vigenti all'epoca in Francia, quando forti sono le resistenze al decreto sull'abolizione dello schiavismo da parte della Convenzione nel 1894. Per altre/i il quadro di Marie-Guilhelmine Leroux-Delaville è comunque frutto dello sguardo di una donna-artista bianca ancora impregnato di un immaginario coloniale. Di questo quadro si torna a parlare lo scorso anno, quando sul supplemento del quotidiano spagnolo El Mundo viene pubblicato un fotomontaggio dell'artista statunitense Karine Percheron-Daniels, dove al posto del volto della "négresse" di Marie-Guilhelmine Leroux-Delaville vi è quello di Michelle Obama. A questo proposito Yves Ekoué Amaïzo scrive: Karine Percheron-Daniels devrait ouvrir un Zoo humain comme au 19e et début du 20e siècle avec ses œuvres de bas niveau (tableaux et images) comme l’avaient fait ses ancêtres racistes avec les « Vénus hottentotes ». Elle devrait montrer la nudité des ancêtres de la reine Elizabeth ou du roi d’Espagne à côté des massacres coloniaux dont ils portent la responsabilité et qui semblent lui avoir échappé. La femme noire esclave ne l’aurait jamais été si les ancêtres de cette peintre sans culture n’avaient pas eu des ancêtres esclavagistes qu’elle tente maladroitement de justifier, réhabilitant, voire promouvant ainsi, l’esclavage des temps modernes. L’ambigüité de ce tableau relève moins de la demi-nudité de Michelle Obama que de la capacité de cette artiste faussement non-raciste à réveiller la nostalgie de la bonne vieille époque de l’esclavage où la femme noire servait de variable d’ajustement pour les défaillances des femmes blanches auprès de leur mari esclavagiste.

domenica 1 gennaio 2012

Donne e genere nel contesto coloniale / Femmes et genre en contexte colonial / Women and gender in a colonial context


Il convegno internazionale Femmes et genre en contexte colonial che si svolgerà a Parigi dal 19 al 21 gennaio (per il programma dettagliato rinviamo al sito del Centre d’histoire de Sciences Po), presenterà le relazioni di circa settanta ricercatrici/ricercatori provenienti da 17 differenti paesi che cercheranno di restituire la ricchezza delle interazioni tra storia delle donne, genere e colonialismo, per far emergere tratti comuni e specificità delle vicende coloniali europee, così come le ambivalenze, le contraddizioni, le tensioni, le fratture inerenti questo processo.

lunedì 11 luglio 2011

Saartjie Baartman, la Venus Noire


Sembra sia uscito (finalmente) anche nelle sale italiane Venus Noire, il film di Abdellatif Kechiche che ricostruisce la storia di Saartjie Baartman, la cosiddetta Venere ottentotta. Scrivo "sembra" perché qui (si legga: il luogo dove ci troviamo attualmente) il film non è ancora in programmazione e non avendolo ancora visto come le Dumbles, dobbiamo limitarci a qualche segnalazione / riflessione, sperando che esca al più presto, visto che lo aspettiamo (con molta curiosità) da quasi un anno, quando fu presentato a Venezia. All'epoca erano uscite recensioni contrastanti: si passava dall'entusiasmo incondizionato (per molti Kechiche è, dai tempi di L’esquive e poi con il successo di La Graine et le mulet - in Italia Cous Cous - un mito), alle "accuse" di compiacimento o voyeurismo e/o alla denuncia della "spiacevolezza" (quasi insostenibile e intollerabile) del film. Su quest'ultimo punto lo stesso regista ha affermato in un'intervista che la Venere nera "ne devait pas etre un film agreable" (e del resto, aggiungiamo noi, non poteva essere diversamente con una storia di questo tipo). Per le altre questioni aspettiamo di vederlo, anche se pensiamo che affrontare cinematograficamente la vicenda di Saartjie Baartman si presti a più di un rischio, compreso quello di appiattire la denuncia dei violenti rapporti di potere (di "razza"/"sesso"/classe) alla base del colonialismo, sulla storia di una "vittima", per quanto emblematica. Nell'attesa condividiamo per intanto una recensione (in francese) pubblicata sul sito di Rue89.

L'immagine è un'opera di Wangechi Mutu, Uterine Catarrh (2004)

domenica 15 maggio 2011

Sessismo, razzismo e rappresentazioni visuali dei corpi femminili

Alcune iniziative molto interessanti a proposito delle rappresentazioni visuali dei corpi femminili, ci offrono lo spunto per alcune ulteriori riflessioni sulla costruzione della bianchezza e del privilegio. La prima iniziativa alla quale facciamo riferimento è la pubblicazione on-line delle immagini raccolte in una mostra di qualche anno fa, Le rappresentazioni della femminilità nera: dal mito della Black Venus alle artiste nella musica reggae. La mostra, curata tra le altre da Sonia Sabelli, è divisa in quattro sezioni: la storia di Sarah Bartmann, la cosiddetta “Venere ottentotta”, e le contro-rappresentazioni che ha ispirato, le rappresentazioni visuali dei corpi delle donne nere durante il colonialismo italiano, l’uso dei corpi di donne e uomini dalla pelle nera per pubblicizzare i “frutti” della colonizzazione durante il fascismo e il modo in cui le artiste nere hanno decostruito gli stereotipi razzisti e sessisti che sono ancora attivi nella musica contemporanea e che rappresentano un’eredità della schiavitù e del colonialismo. La seconda iniziativa è un seminario organizzato dal Laboratorio Sguardi sui Generis e dal Cirsde, Corpi senza donne, che si terrà a Torino mercoledì 18 maggio e che ruota intorno alla discussione, in presenza delle autrici, del video di Elisa Giomi e Daniela Pitti Se questa è una donna. Il corpo femminile nei messaggi pubblicitari. Se la mostra indaga quindi, nei suoi molteplici aspetti, l'uso/abuso dei corpi "neri", il corpo che emerge dal video al centro dell'iniziativa torinese, è un corpo essenzialmente "bianco" (la rara presenza di alcune immagini pubblicitarie che fanno riferimento o mettono in mostra corpi "neri" - come quello utilizzato per pubblicizzare una birra con lo slogan "Fatti la cubana" - non viene problematizzata). Come dicevamo queste iniziative (il loro "accostamento") ci offrono stimoli, spunti di riflessione e domande, alcune delle quali già al centro dell'analisi delle attuali retoriche razziste e sessiste analizzate alla luce delle rappresentazioni visuali dei corpi maschili/femminili e bianchi/neri nei manifesti di propaganda europei, nel nostro intervento dello scorso anno al convegno States of Feminism / Matters of State (e per una rassegna dei manifesti di propaganda italiani rinvio al sito Cronache di ordinario razzismo). Domande che stiamo tentando di mettere meglio a fuoco in un nostro contributo su Sessismo, razzismo, pubblicità all'interno di un più ampio progetto di ricerca sulle rappresentazioni dei corpi in pubblicità (progetto coordinato da Laura Corradi e di cui una parte è stata già pubblicata nel numero di marzo di Leggendaria). Ci chiediamo, ad esempio, che tipo di relazione (o, potremmo dire, di nesso quasi costitutivo) esiste tra una certa rappresentazione (e costruzione) del corpo nero e la rappresentazione/costruzione del corpo bianco, della sua "bianchezza"? Attraverso quali traiettorie si costruisce il privilegio di alcune all'interno di un processo di di-sumanizzazione che, articolato secondo diversi assi di differenzazione, coinvolge il corpo di tutte? Come "complicare" un approccio di tipo intersezionale (anche) alle rappresentazioni visuali dei corpi (neri e bianchi), all'interno di quella complessa dinamica di rapporti sociali di dominio che diversamente rischia di restare opaca?

venerdì 11 settembre 2009

Caster Semenya, ermafrodito o nuova Venere ottentotta?

Il "caso" Caster Semenya, la splendida atleta sudafricana vincitrice della medaglia d'oro ai mondiali di atletica di Berlino, continua ad infiammare, sulla stampa e nei bar, un dibattito palesemente sessista e razzista. E' di oggi la notizia che i risultati degli ultimi test non lasciano alcun dubbio: Caster Semenya è "tecnicamente un ermafrodito ... non non ha utero e ovaie, ma testicoli maschili interni ... un elemento che spiegherebbe i livelli di testosterone tre volte superiori a quelli normali per una donna" (i corsivi sono miei). Elisa Cusma , vera donna presumo, sarà contenta. La Federazione internazionale di atletica per intanto non si pronuncia, almeno fino a quando i risultati non saranno analizzati da una nuova equipe di "esperti". Non posso che chiedermi: ermafrodito o nuova Venere Ottentotta? Non mi resta che esprimere tutta la mia solidarietà a Caster Semenya (bellissima), lasciandovi alla lettura di un articolo scritto ai primi di settembre da Jamila Mascat, Speriamo che sia femmina:

Ad accoglierla a Pretoria c'era anche il presidente Zuma, indignato e ferito nell’orgoglio sportivo per lo scandalo che ha travolto l’atleta, come la maggior parte dei suoi connazionali sudafricani. “Non le toglieranno la medaglia. L’ha vinta”, ha dichiarato Zuma perentorio, “la domanda non si pone nemmeno”. Winnie Mandela si è schierata pubblicamente dalla parte di Caster. “Siamo fieri della nostra ragazza”, ha detto, e riferendosi ai vertici dell’Associazione internazionale di atletica leggera, ha aggiunto che “i loro insulti possono metterseli dove meglio credono”, (traducendo vivacemente). Il resto del mondo nel frattempo aspetta con curiosità perversa indiscrezioni sui risultati dei cosiddetti gender test cui è stata sottoposta la golden girl, come l’hanno ribattezzata i giornali sudafricani. Che, si mormora, avrebbe in corpo il triplo del testosterone di una donna normale (?). E poco importa che la nonna continui a giurare che sua nipote è una lei. Allo stato attuale l’argomentazione più convincente circa la sua identità sessuale è “Sembra un uomo. Parla come Barry White”. Che forse è un po’ poco per gridare all’impostura. Semenya non somiglia a Brigitte Bardot, d’accordo. E nemmeno a Mick Jagger. E nemmeno a 2pac. E nemmeno a Hu Jintao. Potrei continuare all’infinito, ma cercare di dimostrare che 'sembra' una donna e non 'sembra' un uomo (perché in realtà ci sono miliardi di uomini e donne tutti diversissimi tra loro ecc.) sarebbe altrettanto ridicolo. C'è poco da dimostrare. What makes a woman? E’ stato il tormentone dei commentatori sul caso Semenya. Mettiamola retoricamnte così: donne si sceglie di essere. Oppure magari si decide di non esserlo più. Donne si transita, si sperimenta, si cambia. Che gli altri vogliano o meno. L’IAAF però non ci sta e obietta: sospettiamo con fondamento che sia un uomo. Non sono solo illazioni. Procediamo scientificamente, facciamo un test. E così sia. Adesso che ha vinto la medaglia (800 m in 1 min 55 sec 46 ) bisogna scoprire assolutamente cos'ha in mezzo alle gambe. I test di laboratorio a cui è stata sottoposta Semenya sono esami ginecologici ed endocrinologici. Difficile credere che l'identità di una persona possa essere testata in questo modo. Quello che le misurazioni ormonali possono esaminare, è tutt’al più una 'composizione' biologica. E ancora. Anche se sembra tanto più sofisticato l'insieme di questi esami non è poi molto diverso da un’operazione piuttosto rudimentale: prendere le misure. Mario ce l’ha lungo 20 cm. Maria ha la terza di reggiseno; quindi Mario è un uomo e Maria una donna. Il mondo M/F è apparentemente semplice perché basta barrare la casella corrispondente. Ma questo aut-aut della casella per molte persone è fuori luogo. Come quando da piccolo ti chiedono a chi vuoi più bene a mamma o a papà. Bisogna scegliere per forza? E se proprio è necessario tornare al biologico e alle misure, allora torniamoci fino in fondo. C’è chi nasce con cromosomi XXY. Chi presenta caratteri sessuali primari e secondari non unilateralmente definibili come maschili o femminili. Gli intersex sono naturali al cento per cento come le colture biologiche in Toscana. Eppure per barrare la casella giusta devono essere forzati fin da piccoli in una direzione o in un’altra e medicalizzati. “Naturalmente” sono non classificabili in un sistema binario esclusivo. I test psicologici mi lasciano altrettanto perplessa. Riusciranno a scrutare i moti più profondi del suo animo e scoprire quanto davvero Semenya sia una donna? Le chiederanno su preferisce i calzettoni o il reggicalze. Freddy Mercury avrebbe optato per il secondo. Se invece le piacessero le donne sarebbe per caso un prova ulteriore del fatto che è un uomo? E se le piacessero donne e uomini? Non oso immaginare cosa accadrebbe se le piacessero, che so, le coccinelle. Magari ai prossimi mondiali la farebbero gareggiare a Paperopoli in una sezione speciale con Pippo, Pollon e il Grande Puffo. Qualunque cosa accada con questi test l’unico risultato certo e barbarico è, ancora una volta, quello di assistere all’ispezione zoologica del corpo di una donna nera, trattata come una scimmia con la medaglia, da parte di osservatori sessisti. E privi di fantasia.
Era già successo clamorosamente quasi duecento anni fa con l'esposizione pubblica del corpo della giovane schiava sudafricana Sara Baartman, come ricorda questo post. La Venere ottentotta, deportata a Londra nel 1810, esibita nuda in giro per l’Europa di fronte all’occhio curioso di famelici scienziati e infine sbarcata a Parigi e diventata oggetto di studio di medici francesi ansiosi di dimostrare per mezzo dei suoi attributi l’inferiorità fisico-sessuale delle donne africane.
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