domenica 23 ottobre 2011
"Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi ..."
martedì 13 settembre 2011
"Zingari", "nomadi": un malinteso europeo / "Tsiganes", "nomades", un malentendu européen
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Antiziganismo in Europa: una barbarie che avanza
Stranieri ovunque
Zingari d'Italia
L'estraneo tra noi. L'immagine dello zingaro nell'immaginario italiano
La Banda della Uno bianca e l'assalto al campo nomadi
mercoledì 25 maggio 2011
Le forme del dominio
martedì 17 maggio 2011
Le forme del dominio. Razzismo e sessismo tra passato e presente
martedì 10 maggio 2011
Razzismo & Modernità
lunedì 21 settembre 2009
Ricordando ancora Riccardo Bonavita

Rinvio qui, al frammento dell'articolo di Riccardo Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica (in La menzogna della razza, 1994) e alla bibliografia che avevo ri-pubblicato nel primo anniversario della morte.
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giovedì 16 aprile 2009
Quando antisessismo fa rima con razzismo ...

Auspicherei (per il ri-avvio di un dibattito quanto mai necessario) ulteriori prese di distanza critica su quanto accaduto, anche (o forse soprattutto) da parte delle relatrici invitate al convegno (credo ignare dell'immagine usata per publicizzarlo). Di alcune ben conosco e apprezzo il lavoro teorico e militante contro la violenza subita dalle donne e credo abbiano l'intelligenza e la capacità di porre al centro la necessità di riflettere su queste questioni. Da parte mia, come contributo al dibattito, oltre quanto già scritto qui e altrove, mi limito a copiare la scheda che accompagna il manifesto Difendila! del Nucleo Propaganda nel catalogo della mostra La menzogna della razza a cura del Centro Furio Jesi:
Ciò che veniva ovunque suggerito, prospettato, sottinteso, è messo in scena qui, con tutta l'enfasi del caso: chi ha progettato il manifesto riteneva che la raffigurazione dello stupro avrebbe guadagnato in atrocità proprio sottolineando la diversità etnica di chi lo perpetra. Così il soldato nero ha sguardo lubrico, bocca e labbra ingigantite, mani ad artiglio, è tutto proteso nella brama di possesso simboleggiata dalla vampa di fuoco che sembra emanare dal suo corpo, materializzazione dello smodato desiderio erotico che il pregiudizio razzista ha spesso attribuito alle genti di colore. La donna bianca viene rappresentata come il suo opposto speculare: il volto atteggiato a severo sdegno ma composto nella sua dignità ferita, la veste candida della purezza, il corpo disperatamente teso nel virtuoso sforzo della repulsione.
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giovedì 23 ottobre 2008
Tra sessismo e razzismo: ricordo dell'Africa Orientale

Le cartoline di De Seta , violentemente razziste e sessiste, insistono sul tema già altrove collaudato delle donne e delle vittorie "facili". Gli uomini africani sono "sotto-uomini", bestie, insetti o parassiti che si possono sterminare con un insetticida, "l'arma più opportuna" come recita la cartolina Armamenti. Le donne sono facili prede, che si possono acquistare al mercato o spedire come un pacco, irrimediabilmente sottomesse al colonizzatore italiano, esponente della "razza superiore". Anche la lunga tradizione di donne guerriere viene ridicolizzata in cartoline come Esercito abissino e Donne guerriere ("Allegri ragazzi ... Sotto, al corpo a corpo! ... ). Nonostante ciò la serie (originariamente destinata alle truppe in Africa Orientale), viene rifiutata dagli alti comandi, poiché le autorità non gradiscono il fatto che queste cartoline finiscano comunque per incoraggiare le cosiddette "unioni miste". La politica sessuale nelle colonie africane sta cambiando, con il decreto dell'aprile 1937 i rapporti sessuali interrazziali saranno definitivamente proibiti.
Questa ed altre cartoline di De Seta sono reperibili nel catalogo della mostra La menzogna della razza, a cura del Centro Furio Jesi.
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giovedì 15 maggio 2008
L'estraneo tra noi. La figura dello zingaro nell'immaginario italiano
Ed è l'immagine del rapimento di un bambino da parte di una carovana di zingari - un'illustrazione di Achille Beltrame per un numero del 1909 de La Domenica del Corriere - che campeggia nel manifesto della mostra curata dal Centro Furio Jesi dal titolo “L’estraneo fra noi. La figura dello zingaro nell’immaginario italiano”.
La mostra, che ripercorre l’antigitanismo nella società italiana tra Ottocento e Novecento attraverso pagine di giornali, copertine di riviste, romanzi e libri per l'infanzia, fotografie, documenti scientifici e altro materiale, verrà inaugurata domani pomeriggio alle 18 a Bologna, all’Archiginnasio di piazza Galvani 1, con la partecipazione - tra gli altri - del curatore Mauro Raspanti.
Nella nota introduttiva al catalogo della mostra si sottolinea come " A lato di quelle figure concrete, con le loro abitudini e i loro comportamenti, con i loro pregi e i loro difetti, che oggi chiamiamo Rom e che almeno dal 1422 fanno parte a tutti gli effetti della storia italiana, esiste un'altra figura che si affianca loro e che spesso si sovrappone alla realtà: l'immagine dello "zingaro". Termine ancor oggi dall'etimologia controversa, ma che indubbiamente nel corso del tempo ha condensato in sé una seria di stereotipi, quasi sempre negativi [...]. Questo termine è qui utilizzato consapevolmente nella sua carica straripante di pregiudizi, e che in questo contesto riteniamo pienamente legittimo. Lungi dal definire un'essenza della cultura Rom, rimanda piuttosto a un rapporto fra due entità egualmente costruite: il buon cittadino italiano e la sua controparte negativa, il nomade zingaro senza patria. In questo complesso gioco relazionale, i Rom diventano l'emblema del non cittadino, dello straniero interno, di cui non ci si può fidare, la cui sola presenza genera insofferenza e inquietudine e diventa essa stessa ingombrante e da eliminare".
Ed è questa figura dello "zingaro" che la mostra indaga, attraverso i vari "sguardi" che dall'Ottocento a oggi l'hanno "costruita" e definita come "estranea": dallo sguardo della stampa popolare (di cui l'illustrazione di Beltrame è un esempio), dallo sguardo scientifico (tra gli altri Cesare Lombroso in L'uomo delinquente), lo sguardo razzista (con, ad esempio, diversi articoli tratti da La difesa della razza), allo sguardo letterario (il romanzo Zingari di Mario Almirante, padre del più noto Giorgio) allo sguardo dei media. E di questi ultimi (da La Padania passando per La Repubblica a Il Secolo d'Italia) viene seguito il filo rosso di quello che sembra essere uno dei più tenaci stereotipi riguardanti gli "zingari" come "ladri di bambini". "E' come un fantasma in sonno, periodicamente destato da "notizie" che, opportunamente diffuse dai mass media, diventano leggenda metropolitana, passaparola linguacciuto, senso comune. Durante l'estate dello scorso anno si è consumato l'ultimo episodio di isteria collettiva. Su una spiaggia di Isola delle Femmine, alle porte di Palermo, un gruppetto di nomadi "invade" uno stabilimento balneare per chiedere l'elemosina. E' sabato pomeriggio, e la spiaggia è piena di bambini. Uno di questi si avvicina incautamente a Maria Feraru, 45enne cittadina romena residente nel trapanese. Una donna inizia a urlare, attirando l'attenzione dei presenti. Sarà lei a sostenere che la "zingara" aveva nascosto il bambino sotto la gonna. Dopo una breve fuga, l'accusata viene catturata dai carabinieri e tradotta in carcere". Qualche giorno dopo il caso si smonta, la donna viene rilasciata ma se "il caso è chiuso [...] i giornali ne avevano già spolpato la carcassa, mentre il veleno correva anche sulla rete". E se "la diceria che gli zingari rubino i bambini non trova riscontro nella giurisprudenza italiana [...] la credenza permane nell'immaginario collettivo, e il comportamento della stampa non aiuta a sradicare questo luogo collettivo".
Un titolo de La Padania (31 Luglio 2007): Emergenza nomadi. Ladri di bambini sulle nostre spiagge ...
Dal 16 maggio al 21 giugno.
Info: Scuola di Pace 051 491953
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Il delirio razzista
La pelle giusta
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giovedì 20 settembre 2007
Settembre 2005- 2007: un frammento per ricordare Riccardo
[...] Dal momento che al vertice della gerarchia viene sempre, incontestabilmente, posto l'uomo bianco, in una prospettiva che associa maschilismo e razzismo eurocentrico, le "razze" esterne all'occidente stanno qui tanto più in alto quanto più sono assimilabili all'aspetto fisico ed alla cultura dei colonizzatori. La costante tematica del genere, l'amore, non resta estranea a questo principio non scritto, e lega nella reciprocità soltanto gli uomini bianchi e le uniche donne di diversa etnia che l'immaginario della società fascista poteva reputare "degne" di sedurli: le arabe. Ma in queste figure femminili rimane comunque manifesta la duplice inferiorità, di genere e di "razza", che conduce le loro relazioni coi bianchi ad esiti naturalmente negativi. La sola eccezione si trova ne La reclusa di Giarabub [1], che si conclude coll'unione dell'eroe fascista Marcello De Fabritis e della donna araba da lui amata; tuttavia se qui viene trasgredita una consuetudine narrativa, non viene però violato l'implicito principio gerarchico che resta fondamentale: la protagonista femminile, Meriem, unica donna orientale di questi romanzi a non venir reificata, è in fondo un'occidentale nel corpo di un'araba [...]. In quest'opera superare le barriere religiose e "razziali" significa in ultima analisi eliminare le caratteristiche della propria etnia, inferiore perchè non occidentale: infatti Meriem giunge a rinnegare la propria "razza" e la vita "bestiale" a cui la costringe [2]. Mitrano Sani, con il proprio strumentale sostegno ad un'emancipazione femminile che il fascismo certo non incoraggiò né in patria né in colonia, legittima l'intervento coloniale italiano gettando sottilmente nel discredito la società araba. Egli pone con il personaggio di Meriem, evoluta ma condannata alla tradizionale servitù dall'arretratezza musulmana, uno sguardo occidentale nel seno del mondo dei colonizzati, perché lo additi al disprezzo dall'interno, ad opera di una sorta di autocoscienza critica: si reinserisce così lo sguardo del bianco colonizzatore che giudica dall'alto della propria compiaciuta superiorità, ovunque riaffermata nelle forme e nei testi più diversi [...].
L'araba resta una tabula rasa su cui l'immaginazione del bianco, prima "depravata" dalla degenerazione post-bellica poi "purificata"dall'ascesi guerriera può proiettare i propri fantasmi amorosi. Come oggetto che stimola e ricambia l'affettività si qualifica come colonizzata ed amante "ideale". Quale colonizzata in quanto è questa la forma di relazione coll'altro tipica dell'imperialismo coloniale: conquista d'un mondo senza alcuna intenzione di riconoscergli una soggettività, una dignità propria, spazio vuoto ed aperto ad una progettualità estranea di cui deve mostrarsi riconoscente. Quale amante perchè all'ideologia razzista si sovrappone l'immaginario maschilista e reificante, che configura la donna come passività assoluta ma "calda", colma di desiderio, in grado di gratificare chi la possiede manifestandogli muto, incondizionato amore.
Le donne arabe sono le figure con cui termina l'àmbito "concesso" agli amori dei bianchi ed anche il novero dei personaggi la cui appartenenza all'umanità viene riconosciuta, per quanto siano dipinti come decisamente inferiori: nell'universo romanzesco della narrativa, coloniale e non, di quegli anni, non abbiamo mai trovato un bianco che ami una donna "negra" o meticcia, categorie che nell'immaginario della società fascista vengono in diverso grado associate più o meno metaforicamente al regno animale [...].
A considerare la rete di metafore messe in opera per caratterizzare Elo, la "madama" di Femina somala [3] [...], l'animalizzazione è sistematica, per quanto congiunta ad una speciosa "affettuosità"; non a caso l'animale più costantemente chiamato in causa a paragone della "femina" è il cane, ad elogio della sua remissiva ed incondizionata "fedeltà" all'uomo bianco [...].
Nella rappresentazione del rapporto tra Elo e l'ufficiale italiano troviamo un'immagine del madamato - comune ad altri romanzieri reduci delle colonie -, che documenta tra l'altro la condizione reale delle "Veneri nere" e la loro percezione erotico-immaginativa da parte dei conquistatori bianchi.
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* Questo saggio di Riccardo Bonavita è stato ripubblicato in Studi Culturali, n. 1, 2006. Rinvio inoltre alla bibliografia (ancora non esaustiva) di Ricccardo pubblicata nel primo anniversario della morte.
NOTE:
[1] Mitrano Sani, La reclusa di Giarabub, Milano, Alpes 1931.
[2] Ivi, p. 150, 208, 259.
[3] Mitrano Sani, Femina somala, Napoli, Detken e Rocholl 1933.
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giovedì 31 maggio 2007
Disimparare il razzismo
Vincenza Perilli, Contro ogni razzismo, Portici, n. 1/2, aprile 2006, p. 26*
Il razzismo non è una tendenza naturale e spontanea, ma un complesso rapporto sociale articolato a una certa “cultura” trasmessa e appresa, appunto, come “naturale”. Per questo conoscerlo – capire come si forma, come agisce e come si trasmette – può essere un modo per combatterlo, criticarlo e disimpararlo.
Di qui l’importanza di attività come quella del Centro Furio Jesi – una delle associazioni che operano presso
Ad un primo nucleo che, partendo dalle opere di Furio Jesi, si concentrava in particolare sul mito e le sue manipolazioni da parte di regimi totalitari quali il nazismo, si sono aggiunte, a partire dalla mostra
Tra i volumi spiccano vere e proprie rarità quali Il sangue cristiano nei riti ebraici della moderna sinagoga, testo apocrifo del 1883, o Italiani del Nord, italiani del sud di Alfredo Niceforo (1901), testo chiave nella genesi del pregiudizio antimeridionale. Notevole il fondo concernente i famigerati Protocolli dei Savi di Sion che comprende oltre ad una vasta letteratura critica tutte le edizioni italiane e molte di quelle straniere.
Il settore riviste, oltre a “classici” quali La difesa della razza o i primi numeri de
Il catalogo dei volumi della biblioteca, non ancora incluso nell’Opac, è consultabile on-line nel sito della Scuola di pace: www.scuoladipace.org .
Aperto al pubblico per ricerca e consultazione dalle 15 alle 19 dal lunedì al venerdì, il Centro è anche un luogo di elaborazione e realizzazione di iniziative, tra le quali il corso per insegnati “Disimparare il razzismo” tenuto da Mauro Raspanti che, non a caso, riprende il titolo di un libro di Paola Tabet e Silvana Di Bella: Io non sono razzista ma… Strumenti per disimparare il razzismo (Anicia, 1999).
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* Questo testo è scaricabile in formato Pdf dall'archivio di Portici