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domenica 23 ottobre 2011

"Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi ..."

"Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi ...": comincia così il messaggio che Mauro Raspanti, del Centro Furio Jesi, ha inviato - a qualche ora dal diffondersi della notizia della morte di Muamar Gheddafi -, al piccolo gruppo di discussione nato intorno all'organizzazione della giornata di studi Augusto Masetti e l'invasione della Libia. Con il consenso dell'autore e condividendolo fino in fondo lo ri-pubblichiamo qui: "Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi mentre stavo guardando le copertine della Domenica del Corriere. «Nuovi mezzi offensivi di guerra: effetti delle bombe lanciate da un aviatore militare italiano sul campo nemico di Tripoli» (12-19 novembre 1911), «Lo sgombero dell'oasi di Tripoli: la fuga di oltre sessantamila abitanti davanti all'avanzare dei nostri soldati» (24-31 dicembre 1911), «Insidiosa rivolta degli arabi a Tripoli: fucilazione dei traditori che prima avevano accettato soccorsi dagl'italiani» (5-12 novembre 1911). Stessi deserti, ancora cadaveri in nome della libertà, della democrazia, della civiltà, del 1911. Un grazie a Masetti e a tutti gli antimilitaristi di ieri e di oggi che non smettono di lottare contro l'ipocrisia e la ferocia dell'imperialismo e delle sue guerre e mi fanno sentire meno solo, Mauro Raspanti".

martedì 13 settembre 2011

"Zingari", "nomadi": un malinteso europeo / "Tsiganes", "nomades", un malentendu européen

"Al di là della politica di smantellamento dei 'campi' e dell'espulsione dei 'rom' lanciata dalla Francia nel luglio 2010, le misure di segregazione contro gli 'zingari' si moltiplicano in tutta Europa, in maniera diversa ma ovunque tese ad espellere un corpo 'estraneo'. Esiste oggi su scala europea una 'questione Rom' che le rivendicazioni identitarie transnazionali, portatrici d'equivoci, rendono forse più temibile ancora. Questa produzione politica di indesiderabili nel seno degli Stati-nazione non è un'eccezione. Ma essa si nutre qui della costruzione di un'alterità specifica, un misto di disprezzo culturale, di paura sociale e di odio razziale che rinvia all'immagine che l'Europa ha di se stessa, della sua storia, della sua vocazione e del suo destino. Cosa significa questa ossessione verso un supposto popolo nomade, i cui membri divengono altrettanti 'stranieri interni' tra le nazioni che dovrebbero assimilarli o eliminarli? Come si è costruita e continua a costruirsi, talora di maniera interattiva, questa rappresentazione dell'Altro europeo? Qual'è la funzione di questa costruzione nel contesto dell'Unione europea e della mondializzazione? Cosa ci dice del collettivo che continua a produrre e riciclare questa immagine e le categorie o miti che gli sono associati (razza, tribù, popolo, nazione, minoranze)?": questa la breve presentazione (che traduciamo velocemente per i non-francofoni) del convegno internazionale "« Tsiganes », « nomades » : un malentendu européen", organizzato da Catherine Coquio, Jean-Luc Poueyto e Leonardo Piasere e che si terrà a Parigi dal 6 al 9 ottobre in vari luoghi della città (Mémorial de la Shoah, Université Paris 8 Vincennes - Saint-Denis, Institut Hongrois, Petit Palais), affiancato da un cineforum al cinema Trois Luxembourg . Per la presentazione dettagliata, il programma completo e gli abstract degli interventi rinviamo al sito del convegno.

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Antiziganismo in Europa: una barbarie che avanza
Stranieri ovunque
Zingari d'Italia
L'estraneo tra noi. L'immagine dello zingaro nell'immaginario italiano
La Banda della Uno bianca e l'assalto al campo nomadi

mercoledì 25 maggio 2011

Le forme del dominio

Le forme del dominio. Razzismo e sessismo tra passato e presente, è il titolo della discussione che si terrà dopodomani (27 maggio 2011 - ore 18), presso la Libreria delle Moline (via delle Moline 3/a - Bologna) a partire dal volume di Alberto Burgio Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in Europa (DeriveApprodi, 2010). Interventi di Vincenza Perilli (Razzismo e sessismo) e Mauro Raspanti (Razza, razzismo e neorazzismo). Seguirà dibattito con l'autore.


martedì 17 maggio 2011

Le forme del dominio. Razzismo e sessismo tra passato e presente

Le forme del dominio. Razzismo e sessismo tra passato e presente, è il titolo della discussione che si terrà venerdì prossimo (27 maggio 2011 - ore 18), presso la Libreria delle Moline (via delle Moline 3/a - Bologna) a partire dal volume di Alberto Burgio Nonostante Auschwitz. Il "ritorno" del razzismo in Europa (DeriveApprodi, 2010). Interventi di Vincenza Perilli (Razzismo e sessismo) e Mauro Raspanti (Razza, razzismo e neorazzismo). Seguirà dibattito con l'autore.

martedì 10 maggio 2011

Razzismo & Modernità

Il Centro di Documentazione di Pistoia ha da poco messo a punto un nuovo sito, all'interno del quale trovate anche gli indici della rivista Razzismo&Modernità, , di cui vi avevamo in passato già segnalato alcuni nostri contributi, come la recensione a La pelle giusta di Paola Tabet e il dossier su Sexe et Race. Nel sito tutte le indicazioni per acquistare i numeri arretrati, buona lettura.

lunedì 21 settembre 2009

Ricordando ancora Riccardo Bonavita



Rinvio qui, al frammento dell'articolo di Riccardo Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica (in La menzogna della razza, 1994) e alla bibliografia che avevo ri-pubblicato nel primo anniversario della morte.
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giovedì 16 aprile 2009

Quando antisessismo fa rima con razzismo ...


Questo manifesto prodotto nel 1944 dal Nucleo Propaganda (organismo creato dal Ministero della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana per curare l'organizzazione della propaganda sul fronte della "guerra psicologica"), è stato utilizzato per pubblicizzare, via mail, il seminario Femminicidi, ginocidi e violenza sulle donne, promosso dal Comune di Bologna e dal Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne con l'adesione di diverse realtà femminili/femministe (Associazione Orlando, Armonie, Casa delle Donne per non subire violenza, UDI, SOS Donna ...). Lo "scopro" solo ora, ma la notizia ha già fatto il giro della rete (rinvio qui per dettagli e considerazioni) e sui quotidiani si leggono le prime reazioni critiche (e le conseguenti giustificazioni: "svista", "provocazione", "messaggio frainteso" ... ). Da parte mia non credo di poter essere tacciata (come spesso mi è successo) di eccessiva durezza se affermo che un episodio di questo genere è per me totalmente ingiustificabile, soprattutto alla luce di quanto prodotto all'interno di una parte del femminismo (dal Black Feminism ai femminismi cosiddetti postcoloniali) per denunciare, criticare e smantellare il mito dello stupratore nero e l'economia politica dello stupro, cioè l'uso in termini razzisti e securitari della violenza sulle donne. Scrivevo, solo qualche giorno fa che, a mio giudizio, alcuni nodi inerenti all'interrelazione tra razzismo e sessimo, non sono stati ancora sufficientemente meditati e fatti propri all'interno del movimento delle donne. Ma ero lontana dall'immaginare un episodio di una tale gravità, paradossalmente a ridosso di un fine settimana antirazzista e antisecuritario. Ma allora siamo proprio condannate alla ripetizione logorante senza fine e senza risultati?
Auspicherei (per il ri-avvio di un dibattito quanto mai necessario) ulteriori prese di distanza critica su quanto accaduto, anche (o forse soprattutto) da parte delle relatrici invitate al convegno (credo ignare dell'immagine usata per publicizzarlo). Di alcune ben conosco e apprezzo il lavoro teorico e militante contro la violenza subita dalle donne e credo abbiano l'intelligenza e la capacità di porre al centro la necessità di riflettere su queste questioni. Da parte mia, come contributo al dibattito, oltre quanto già scritto qui e altrove, mi limito a copiare la scheda che accompagna il manifesto Difendila! del Nucleo Propaganda nel catalogo della mostra La menzogna della razza a cura del Centro Furio Jesi:

Ciò che veniva ovunque suggerito, prospettato, sottinteso, è messo in scena qui, con tutta l'enfasi del caso: chi ha progettato il manifesto riteneva che la raffigurazione dello stupro avrebbe guadagnato in atrocità proprio sottolineando la diversità etnica di chi lo perpetra. Così il soldato nero ha sguardo lubrico, bocca e labbra ingigantite, mani ad artiglio, è tutto proteso nella brama di possesso simboleggiata dalla vampa di fuoco che sembra emanare dal suo corpo, materializzazione dello smodato desiderio erotico che il pregiudizio razzista ha spesso attribuito alle genti di colore. La donna bianca viene rappresentata come il suo opposto speculare: il volto atteggiato a severo sdegno ma composto nella sua dignità ferita, la veste candida della purezza, il corpo disperatamente teso nel virtuoso sforzo della repulsione.
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giovedì 23 ottobre 2008

Tra sessismo e razzismo: ricordo dell'Africa Orientale

Per una ricostruzione "per immagini" di alcuni aspetti del passato coloniale italiano: di fianco una delle cartoline della serie Africa Orientale disegnata da Enrico De Seta, dal titolo Ufficio Postale (1935-36). La didascalia recita: "Vorrei spedire ad un mio amico questo ricordo dell'Africa Orientale ...".
Le cartoline di De Seta , violentemente razziste e sessiste, insistono sul tema già altrove collaudato delle donne e delle vittorie "facili". Gli uomini africani sono "sotto-uomini", bestie, insetti o parassiti che si possono sterminare con un insetticida, "l'arma più opportuna" come recita la cartolina Armamenti. Le donne sono facili prede, che si possono acquistare al mercato o spedire come un pacco, irrimediabilmente sottomesse al colonizzatore italiano, esponente della "razza superiore". Anche la lunga tradizione di donne guerriere viene ridicolizzata in cartoline come Esercito abissino e Donne guerriere ("Allegri ragazzi ... Sotto, al corpo a corpo! ... ). Nonostante ciò la serie (originariamente destinata alle truppe in Africa Orientale), viene rifiutata dagli alti comandi, poiché le autorità non gradiscono il fatto che queste cartoline finiscano comunque per incoraggiare le cosiddette "unioni miste". La politica sessuale nelle colonie africane sta cambiando, con il decreto dell'aprile 1937 i rapporti sessuali interrazziali saranno definitivamente proibiti.

Questa ed altre cartoline di De Seta sono reperibili nel catalogo della mostra La menzogna della razza, a cura del Centro Furio Jesi.
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giovedì 15 maggio 2008

L'estraneo tra noi. La figura dello zingaro nell'immaginario italiano

Oggi a Napoli una manifestazione delle reti antirazziste ha denunciato gli assalti di questi giorni ai danni di vari campi nomadi nella periferia orientale della città innescati dal presunto tentativo di rapimento di una bambina da parte di una "zingara".
Ed è l'immagine del rapimento di un bambino da parte di una carovana di zingari - un'illustrazione di Achille Beltrame per un numero del 1909 de La Domenica del Corriere - che campeggia nel manifesto della mostra curata dal Centro Furio Jesi dal titolo “L’estraneo fra noi. La figura dello zingaro nell’immaginario italiano”.
La mostra, che ripercorre l’antigitanismo nella società italiana tra Ottocento e Novecento attraverso pagine di giornali, copertine di riviste, romanzi e libri per l'infanzia, fotografie, documenti scientifici e altro materiale, verrà inaugurata domani pomeriggio alle 18 a Bologna, all’Archiginnasio di piazza Galvani 1, con la partecipazione - tra gli altri - del curatore Mauro Raspanti.
Nella nota introduttiva al catalogo della mostra si sottolinea come " A lato di quelle figure concrete, con le loro abitudini e i loro comportamenti, con i loro pregi e i loro difetti, che oggi chiamiamo Rom e che almeno dal 1422 fanno parte a tutti gli effetti della storia italiana, esiste un'altra figura che si affianca loro e che spesso si sovrappone alla realtà: l'immagine dello "zingaro". Termine ancor oggi dall'etimologia controversa, ma che indubbiamente nel corso del tempo ha condensato in sé una seria di stereotipi, quasi sempre negativi [...]. Questo termine è qui utilizzato consapevolmente nella sua carica straripante di pregiudizi, e che in questo contesto riteniamo pienamente legittimo. Lungi dal definire un'essenza della cultura Rom, rimanda piuttosto a un rapporto fra due entità egualmente costruite: il buon cittadino italiano e la sua controparte negativa, il nomade zingaro senza patria. In questo complesso gioco relazionale, i Rom diventano l'emblema del non cittadino, dello straniero interno, di cui non ci si può fidare, la cui sola presenza genera insofferenza e inquietudine e diventa essa stessa ingombrante e da eliminare".
Ed è questa figura dello "zingaro" che la mostra indaga, attraverso i vari "sguardi" che dall'Ottocento a oggi l'hanno "costruita" e definita come "estranea": dallo sguardo della stampa popolare (di cui l'illustrazione di Beltrame è un esempio), dallo sguardo scientifico (tra gli altri Cesare Lombroso in L'uomo delinquente), lo sguardo razzista (con, ad esempio, diversi articoli tratti da La difesa della razza), allo sguardo letterario (il romanzo Zingari di Mario Almirante, padre del più noto Giorgio) allo sguardo dei media. E di questi ultimi (da La Padania passando per La Repubblica a Il Secolo d'Italia) viene seguito il filo rosso di quello che sembra essere uno dei più tenaci stereotipi riguardanti gli "zingari" come "ladri di bambini". "E' come un fantasma in sonno, periodicamente destato da "notizie" che, opportunamente diffuse dai mass media, diventano leggenda metropolitana, passaparola linguacciuto, senso comune. Durante l'estate dello scorso anno si è consumato l'ultimo episodio di isteria collettiva. Su una spiaggia di Isola delle Femmine, alle porte di Palermo, un gruppetto di nomadi "invade" uno stabilimento balneare per chiedere l'elemosina. E' sabato pomeriggio, e la spiaggia è piena di bambini. Uno di questi si avvicina incautamente a Maria Feraru, 45enne cittadina romena residente nel trapanese. Una donna inizia a urlare, attirando l'attenzione dei presenti. Sarà lei a sostenere che la "zingara" aveva nascosto il bambino sotto la gonna. Dopo una breve fuga, l'accusata viene catturata dai carabinieri e tradotta in carcere". Qualche giorno dopo il caso si smonta, la donna viene rilasciata ma se "il caso è chiuso [...] i giornali ne avevano già spolpato la carcassa, mentre il veleno correva anche sulla rete". E se "la diceria che gli zingari rubino i bambini non trova riscontro nella giurisprudenza italiana [...] la credenza permane nell'immaginario collettivo, e il comportamento della stampa non aiuta a sradicare questo luogo collettivo".
Un titolo de La Padania (31 Luglio 2007): Emergenza nomadi. Ladri di bambini sulle nostre spiagge ...



Dal 16 maggio al 21 giugno.
Info: Scuola di Pace 051 491953

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Articoli correlati in Marginalia:

Disimparare il razzismo
Il delirio razzista
La pelle giusta
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giovedì 20 settembre 2007

Settembre 2005- 2007: un frammento per ricordare Riccardo

Riccardo Bonavita, Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica, in Centro Furio Jesi (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994, pp. 53-64*


[...] Dal momento che al vertice della gerarchia viene sempre, incontestabilmente, posto l'uomo bianco, in una prospettiva che associa maschilismo e razzismo eurocentrico, le "razze" esterne all'occidente stanno qui tanto più in alto quanto più sono assimilabili all'aspetto fisico ed alla cultura dei colonizzatori. La costante tematica del genere, l'amore, non resta estranea a questo principio non scritto, e lega nella reciprocità soltanto gli uomini bianchi e le uniche donne di diversa etnia che l'immaginario della società fascista poteva reputare "degne" di sedurli: le arabe. Ma in queste figure femminili rimane comunque manifesta la duplice inferiorità, di genere e di "razza", che conduce le loro relazioni coi bianchi ad esiti naturalmente negativi. La sola eccezione si trova ne La reclusa di Giarabub [1], che si conclude coll'unione dell'eroe fascista Marcello De Fabritis e della donna araba da lui amata; tuttavia se qui viene trasgredita una consuetudine narrativa, non viene però violato l'implicito principio gerarchico che resta fondamentale: la protagonista femminile, Meriem, unica donna orientale di questi romanzi a non venir reificata, è in fondo un'occidentale nel corpo di un'araba [...]. In quest'opera superare le barriere religiose e "razziali" significa in ultima analisi eliminare le caratteristiche della propria etnia, inferiore perchè non occidentale: infatti Meriem giunge a rinnegare la propria "razza" e la vita "bestiale" a cui la costringe [2]. Mitrano Sani, con il proprio strumentale sostegno ad un'emancipazione femminile che il fascismo certo non incoraggiò né in patria né in colonia, legittima l'intervento coloniale italiano gettando sottilmente nel discredito la società araba. Egli pone con il personaggio di Meriem, evoluta ma condannata alla tradizionale servitù dall'arretratezza musulmana, uno sguardo occidentale nel seno del mondo dei colonizzati, perché lo additi al disprezzo dall'interno, ad opera di una sorta di autocoscienza critica: si reinserisce così lo sguardo del bianco colonizzatore che giudica dall'alto della propria compiaciuta superiorità, ovunque riaffermata nelle forme e nei testi più diversi [...].
L'araba resta una tabula rasa su cui l'immaginazione del bianco, prima "depravata" dalla degenerazione post-bellica poi "purificata"dall'ascesi guerriera può proiettare i propri fantasmi amorosi. Come oggetto che stimola e ricambia l'affettività si qualifica come colonizzata ed amante "ideale". Quale colonizzata in quanto è questa la forma di relazione coll'altro tipica dell'imperialismo coloniale: conquista d'un mondo senza alcuna intenzione di riconoscergli una soggettività, una dignità propria, spazio vuoto ed aperto ad una progettualità estranea di cui deve mostrarsi riconoscente. Quale amante perchè all'ideologia razzista si sovrappone l'immaginario maschilista e reificante, che configura la donna come passività assoluta ma "calda", colma di desiderio, in grado di gratificare chi la possiede manifestandogli muto, incondizionato amore.
Le donne arabe sono le figure con cui termina l'àmbito "concesso" agli amori dei bianchi ed anche il novero dei personaggi la cui appartenenza all'umanità viene riconosciuta, per quanto siano dipinti come decisamente inferiori: nell'universo romanzesco della narrativa, coloniale e non, di quegli anni, non abbiamo mai trovato un bianco che ami una donna "negra" o meticcia, categorie che nell'immaginario della società fascista vengono in diverso grado associate più o meno metaforicamente al regno animale [...].
A considerare la rete di metafore messe in opera per caratterizzare Elo, la "madama" di Femina somala [3] [...], l'animalizzazione è sistematica, per quanto congiunta ad una speciosa "affettuosità"; non a caso l'animale più costantemente chiamato in causa a paragone della "femina" è il cane, ad elogio della sua remissiva ed incondizionata "fedeltà" all'uomo bianco [...].
Nella rappresentazione del rapporto tra Elo e l'ufficiale italiano troviamo un'immagine del madamato - comune ad altri romanzieri reduci delle colonie -, che documenta tra l'altro la condizione reale delle "Veneri nere" e la loro percezione erotico-immaginativa da parte dei conquistatori bianchi.

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* Questo saggio di Riccardo Bonavita è stato ripubblicato in Studi Culturali, n. 1, 2006. Rinvio inoltre alla bibliografia (ancora non esaustiva) di Ricccardo pubblicata nel primo anniversario della morte.

NOTE:

[1] Mitrano Sani, La reclusa di Giarabub, Milano, Alpes 1931.
[2] Ivi, p. 150, 208, 259.
[3] Mitrano Sani, Femina somala, Napoli, Detken e Rocholl 1933.

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giovedì 31 maggio 2007

Disimparare il razzismo


Vincenza Perilli, Contro ogni razzismo, Portici, n. 1/2, aprile 2006, p. 26*


Il razzismo non è una tendenza naturale e spontanea, ma un complesso rapporto sociale articolato a una certa “cultura” trasmessa e appresa, appunto, come “naturale”. Per questo conoscerlo – capire come si forma, come agisce e come si trasmette – può essere un modo per combatterlo, criticarlo e disimpararlo.

Di qui l’importanza di attività come quella del Centro Furio Jesi una delle associazioni che operano presso la Scuola di pace di via Lombardia 36 a Bologna – al quale si deve la costituzione dell’omonimo Centro di documentazione che, nato nel 1989, raccoglie oggi circa diecimila volumi che offrono un vasto panorama documentario relativo al razzismo.

Ad un primo nucleo che, partendo dalle opere di Furio Jesi, si concentrava in particolare sul mito e le sue manipolazioni da parte di regimi totalitari quali il nazismo, si sono aggiunte, a partire dalla mostra La Menzogna della razza (1994), sezioni incentrate sul razzismo: dal colonialismo italiano al razzismo fascista, dall’eugenetica alla biopolitica, dallo schiavismo alle migrazioni contemporanee, dall’antisemitismo alla Shoah fino ai genocidi spesso dimenticati (zigano, armeno, ruandese), dai testi razzisti contemporanei alle pubblicazioni dei cattolici integralisti.

Tra i volumi spiccano vere e proprie rarità quali Il sangue cristiano nei riti ebraici della moderna sinagoga, testo apocrifo del 1883, o Italiani del Nord, italiani del sud di Alfredo Niceforo (1901), testo chiave nella genesi del pregiudizio antimeridionale. Notevole il fondo concernente i famigerati Protocolli dei Savi di Sion che comprende oltre ad una vasta letteratura critica tutte le edizioni italiane e molte di quelle straniere.

Il settore riviste, oltre a “classici” quali La difesa della razza o i primi numeri de La Civiltà Cattolica (di metà Ottocento), comprende Il Giornalissimo, rivista fortemente antisemita del 1938 di cui il Centro – unico in Italia – possiede l’annata completa.

Il catalogo dei volumi della biblioteca, non ancora incluso nell’Opac, è consultabile on-line nel sito della Scuola di pace: www.scuoladipace.org .

Aperto al pubblico per ricerca e consultazione dalle 15 alle 19 dal lunedì al venerdì, il Centro è anche un luogo di elaborazione e realizzazione di iniziative, tra le quali il corso per insegnati “Disimparare il razzismo” tenuto da Mauro Raspanti che, non a caso, riprende il titolo di un libro di Paola Tabet e Silvana Di Bella: Io non sono razzista ma… Strumenti per disimparare il razzismo (Anicia, 1999).


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* Questo testo è scaricabile in formato Pdf dall'archivio di Portici