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domenica 19 ottobre 2014

L'invenzione del colore

Ripubblico da il Manifesto di qualche giorno fa la recensione di Liliana Ellena - dal titolo L'invenzione del colore - , al volume di Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop, Bianco e nero. Storia dell'identità razziale degli italiani, buona lettura // Un gusto non troppo soffuso di melanconia postcoloniale pervade gli strascichi lasciati dalle celebr-azioni dei 150 anni dell’unità nazionale: l’idea secondo cui la «nostra» cultura nazionale, a differenzadi altri paesi, sarebbe stata «fino al recente arrivo di immigrati» straordinariamente omogenea perquanto riguarda il colore della pelle, la religione e pure la lingua. Un paradigma identitario chemostra come, nonostante la specifica ossessione del dibattito italiano per l’identità nazionale, restinoradicate e persistenti le resistenze a considerarne le relazioni con il razzismo. Appare quindi una sfida e una scommessa, fin dal titolo, il volume di Gaia Giuliani e CristinaLombardi-Diop Bianco e Nero. Storia dell’identità razziale degli italiani (Le Monnier, pp. 214, euro 18). L’obiettivo esplicito è quello di rilanciare gli esiti più interessanti degli studi che hanno esplorato il nesso costitutivo tra appartenenza nazionale e immagini dell’alterità, per mettere a fuoco le forme di «autorazializzazione» che hanno modellato tanto la dimensione statuale dell’identità nazionale quanto le rappresentazioni diffuse di quella italiana, dal periodo unitario fino ai primi decenni repubblicani. In particolare, il volume individua continuità e rotture dello specifico caso italiano nelle fluttuazioni che si sono materializzate attorno alla linea del colore. Con gli occhi ben puntati sull’eclatante visibilità di cui sono investiti i corpi non-bianchi nei conflitti del presente, le due studiose si chiedono quali siano le genealogie storiche e politiche della norma, invisibile perché naturalizzata, che fa coincidere bianchezza e italianità e dei vocabolari attraverso cui si è articolata e continua ad articolarsi.Nel corposo saggio che apre il volume, Gaia Giuliani individua nel periodo che va dalla nascita dello stato liberale al 1936–37 un passaggio cruciale per comprendere come i confini della cittadinanza emergano da una definizione dell’appartenenza alla nazione per contrasto con spazi non-bianchi, identificati prima con il Sud interno e poi con le colonie. Le tensioni proprie dello stato liberale trarigenerazione nazionale e questione meridionale, da una parte, e tra migrazioni e colonialismodall’altra, diventano gli ingredienti di un processo di «sbiancamento» che culmina nell’idea fascistadi una mediterraneità bianca.Giuliani insiste qui, in particolare, sul ruolo giocato dalla riformulazione delle teorie mediterranistedi fine ottocento, nel fornire un fondamento «scientifico» all’idea totalitaria della nazione prop-ugnata dal fascismo. Nell’immediato dopoguerra è proprio la centralità di questa matrice a veicolarecontemporaneamente la veloce liquidazione della svolta arianista successiva al 1937e l’invisibilizzazione del razzismo, secondo la ferrea logica per cui l’italiano mediterraneo «non puòper sua natura essere razzista: partecipa della mediterraneità di molti altri popoli e territori, e allostesso tempo definisce gli italiani, a prescindere dalla pigmentazione della loro pelle, come più bian-chi di tutti gli altri paesi al limite dell’Europa o non europei».Nella seconda parte del volume Cristina Lombardi-Diop, sposta l’attenzione sul passaggio tra fasci-smo e primi decenni dell’Italia repubblicana, individuando nei saperi e nelle pratiche legateall’igiene e alla cura del corpo, un terreno di convergenza tra rappresentazioni delle bianchezzae processi di modernizzazione. L’accesso ai consumi e il diffondersi dell’industria culturale declinasul terreno depoliticizzato della sfera domestica, del corpo, delle pratiche quotidiane quel processodi sbiancamento degli italiani che aveva ispirato le campagne fasciste di bonifica della razza sul terr-itorio nazionale e nelle colonie.In questo senso particolarmente significativa è l’analisi dei codici simbolici delle pubblicità dei pro-dotti di bellezza e per la casa, dai Manifesti di Gino Boccassile degli anni ’50 al Carosello degli annisessanta e settanta. Calimero, il pulcino nero icona della pubblicità del detersivo Ava, è forsel’esempio più eclatante della combinazione tra la stigmatizzazione della nerezza associata a impurità,sporcizia e contagio con i motivi anticontadini, antimeridionali e paternalistici che dominavano lacultura diffusa dell’Italia industriale negli anni del boom economico e delle migrazioni interne. Attraverso l’interiorizzazione di modelli di comfort personale e domestico, la linea del colore contribuisce a modellare i processi di mobilità territoriale e quelli della mobilità sociale segnalando «uno spostamento nella rappresentazioni razziali che si allontanano dalle categorie biologiche e si avvicinano a una comprensione più intima e privata della posizione di ciascuno nel progetto morale e nazionale della modernizzazione».Nel mettere in tensione corpo della nazione e disciplinamento biopolitico dei corpi individuali, il volume evidenzia come la linea del colore si materializzi all’intersezione di paradigmi diversi di naturalizzazione delle differenze legate al corpo. Il genere diventa qui un terreno cruciale per individuare le linee mobili attraverso cui l’identità razziale degli italiani è prodotta e contemporaneamente resa invisibile da altre forme di categorizzazione sociale. I riferimenti ai modelli visivi ed estetici che definiscono gli stereotipi di femminilità e mascolinità bianca e mediterranea, così come la trama razzializzata dei meccanismi di controllo e nazionalizzazione del corpo delle donne, individuano nella differenza sessuale il principale terreno attraverso cui la razza e il razzismo si manifestano nel contesto italiano.Uno dei principali meriti del volume, e uno dei suoi punti di forza, è di offrire una chiave interpretativa di lungo periodo che riesce a far dialogare efficacemente due ambiti di indagine finora largamente separati. Il primo è rappresentato da quel patrimonio di ricerche che negli ultimi anni ha riscattato la storia delle migrazioni e del colonialismo italiano da una posizione marginale per collocarle al centro delle dinamiche del nation building italiano. Il secondo è riconducibile a quell’insieme di approcci e griglie interpretative che in ambito anglosassone ha caratterizzato l’emersione dei whiteness studies, un’area trasversale di ricerca — conosciuta in Italia principalmente grazie al lavoro di traduzione di Giuliani — che ha riformulato le teorie critiche della razza assumendo come oggetto privilegiato l’analisi della costruzione storica, culturale e politica del «privilegio» bianco. A muovere questo dialogo è l’urgenza di identificare strumenti analitici adeguati a leggere nei con-flitti del presente un problema contemporaneamente storico e politico in grado di sollecitare nuovemappe dell’archivio delle nostre identità. Proprio su questo terreno la scommessa formulata dalle autrici del volume è stata rilanciata in questi mesi dalla nascita di InteRGRace (Gruppo interdisciplinare e intersezionale su razza e e razzismi/Interdisciplinary Research Group on Race and Racism),di cui Giuliani è una delle fondatrici. InteRGRace è una rete di produzione, diffusione e scambio a livello nazionale e internazionale che,articolandosi nella duplice veste di gruppo di ricerca accademica e di associazione rivolta ad un pub-blico non specialista, si propone come laboratorio di traduzione e contaminazione tra domande politiche e sfide teoriche (L. Ellena, il Manifesto, 15 ottobre 2014)

mercoledì 1 ottobre 2014

Zapruder a Roma

Lungo week-end zapruderiano a Roma: venerdì 3 ottobre presso la libreria Tuba presentazione del numero 33 della rivista, Movimenti nel mediterraneo a cura di Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, mentre sabato e domenica riunione di redazione (come sempre aperta a a tutt@) presso Officine Resistenti. Odg e ulteriori info sul sito di Storie in movimento. Fly! // Photo credit: Audrey Hepburn e Gregory Peck in Roman Holiday (William Wyler, 1953)

venerdì 30 maggio 2014

Movimenti nel Mediterraneo

Con molta gioia annuncio l'uscita del 33esimo numero di Zapruder, a cura di Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, Movimenti nel Mediterraneo. Relazioni, scambi, conflitti. Di seguito trovate indice , mentre sul sito di Sim tutte le info per sostenere questo progetto che,val la pena ricordarlo, è frutto del lavoro di un gran numero di persone, interamente autofinanziato e dal quale nessun@ trae alcun profitto se non quello dell'esistenza di uno spazio di espressione autonoma. Buona lettura // EDITORIALE: Andrea Brazzoduro e Liliana Ellena, Rovesciare la carta. Giochi di scale / ZOOM: Ilham Khuri-Makdisi, Migranti, lavoratori, anarchici. La costruzione della sinistra in Egitto, 1870-1914 / Emmanuel Blanchard, Massacro coloniale alla Nazione. Parigi, 14 luglio 1953 / Natalya Vince, «È la Rivoluzione che le proteggerà». Movimenti delle donne e “questione femminile” in Algeria e Tunisia / IMMAGINI: Giacomo Mirancola, Il Mediterraneo dalla soglia siciliana (a cura di Ilaria La Fata) / Patrick Altes, Una storia di rivoluzioni / SCHEGGE: Stéphane Dufoix, Diaspora. Metamorfosi di una parola globale / Vanessa Maher, «New Times and Ethiopians News». L’antifascismo e l’anticolonialismo di Sylvia Pankhurst e Silvio Corio / Renata Pepicelli, Le donne nei media arabi a due anni dalle rivolte. Pluralità di modelli e molteplicità di sfere pubbliche / Nicoletta Poidimani, Ius sanguinis. Una sintesi di dominio maschile e dominio razziale / LUOGHI / Enrico Grammaroli e Omerita Ranalli, Il Circolo Gianni Bosio di Roma / ALTRE NARRAZIONI: Davide Oberto, L’immagine latente. Rappresentazione e memoria nel lavoro di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige / Jolanda Insana  , Giufà chi? / VOCI: Elisa A.G. Arfini, Paola Di Cori e Cristian Lo Iacono, Dialogo su questi strani tempi (a cura di Marco Pustianaz) / INTERVENTI : Vincenza Perilli, Desiring Arabs. L’occidente, gli arabi, l’omosessualità / Lia Viola, Utopie in movimento. Riflessioni sull’attivismo lgbti in Africa orientale / RECENSIONI: Fabrizio Billi (Margherita Becchetti, L’utopia della concretezza. Vita di Giovanni Faraboli, socialista e cooperatore), Salvatore Cingari (Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Altri dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite), Vincenza Perilli (Anna Curcio e Miguel Mellino, a cura di, La razza al lavoro) Renate Siebert (Quinn Slobodian, Foreign Front. Third World Politics in Sixties)

sabato 29 giugno 2013

Berlino Transgenial

La nostra carissima Liliana (Ellena) ci invia da Berlino qualche foto del Transgenial Christopher Street Day, la manifestazione berlinese alternativa al Pride, e ne pubblico una che mi sembra significativa delle tensioni che l'attraversano. Anche quest'anno infatti la Transgenial è stata partecipatissima ma ancora fortemente spaccata sulla questione del razzismo. Già nel giugno 2010 infatti, quando Judith Butler aveva rifiutato il Zivilcourage Prize assegnatole dal Pride di Berlino per affermare platealmente la necessità di "prendere le distanze dalla complicità con il razzismo", gli/le attivisti/e di Suspect avevano definito la Transgenial Christopher Street Day   - in un comunicato pubblicato su No homonationalism -, "Pride alternativo a predominanza bianca" rilevando come questa fosse stata l'unico spazio critico citato dalla stampa che aveva dato risalto alla semplice critica della commercializzazione del Pride piuttosto che a quella del razzismo, nonostante le parole di Butler fossero state molto chiare nell'indicare come fosse questo il tema da mettere urgentemente in primo piano nell'agenda politica anche nel movimento lgbtq.

mercoledì 17 aprile 2013

Variabili femministe / Un seminario itinerante a partire da alcune parole chiave

Ad un anno dalla sua pubblicazione, e mentre siamo in attesa che si definiscano le prossime date di quello che abbiamo ironicamente definito tour, parte a Torino una bellissima iniziativa ovvero un ciclo seminariale itinerante ispirato proprio dal volume Femministe a parole (edito da Ediesse nella collana sessismoerazzismo) dal titolo Variabili femministe. Il ciclo - strutturato su di una serie di incontri a partire da alcune parole chiave condivise - è organizzato da FemminismItineranti, una rete di singole e realtà femministe torinesi nata a partire da incontri, scambi, desideri sollecitati dalla lettura del volume ed aperta a tutte/i coloro che condividono una prospettiva antirazzista, antisessista, antiomo&transfobica, e antifascista. Alla rete  hanno aderito AlmaTerra, Archivio delle Donne in Piemonte, Centro Studi del Pensiero Femminile, Donne in Nero-Casa delle Donne, Indignate Rosse, L’Altramartedì, Me-dea e SguardiSuiGeneris. Il primo incontro, a cura di quest'ultima realtà, si terrà questo pomeriggio a Palazzo Nuovo (e mi scuso della segnalazione in extremis ma è sempre più difficile stare dietro al ritmo di mille cose e a veri e propri scompensi temporali) e avrà per titolo Nazionalismi invadenti: genere, rappresentazioni, ruoli (sul sito di SguardiSuiGeneris maggiori dettagli e bibliografia), mentre per gli altri incontri sarà a breve disponibile il programma completo. Per info e contatti: femminismitineranti@gmail.com).

lunedì 25 febbraio 2013

Pink Gang

Proiezione di Pink Gang - il documentario di Enrico Bisi che racconta la storia della Gulabi Gang, gruppo di donne indiane che combatte contro la violenza sule donne - oggi pomeriggio alle ore 17 (Palazzo Nuovo - Torino). Interverranno il regista e la storica Liliana Ellena. Per ulteriori info Sguardi sui Generis

sabato 19 gennaio 2013

Femministe a parole / Una recensione di Cristina Morini

Sul sito di Uninomade è stata pubblicata ieri, con il titolo di Parola di donne, una recensione di Cristina Morini - che ringraziamo per i tanti spunti di riflessione - al nostro volume Femministe a parole. Grovigli da districare. La ripubblichiamo anche qui sperando possa contribuire al dibattito in corso. Buona lettura! //  Le parole per dirlo di Marie Cardinal, cioè il coraggio di ammettere finalmente la nevrosi femminile generata dalla solitudine e dall’ipocrisia di un interno borghese, sono diventate, nel 2002, Le parole per farlo in un libro curato da Adriana Nannicini, espressione del lavoro femminilizzato e relazionale che si dispiega all’esterno, sfruttando sopra ogni cosa proprio il linguaggio e dichiarando la generalizzazione della precarietà. Il rapporto delle donne con la “parola” e la “realtà”, entrambe plasmate dal potere maschile, è questione spinosa per non dire chiaramente di un’antinomia che il femminismo degli esordi denuncia ricorrendo alla pratica dell’autocoscienza come sblocco politico possibile: la parola scritta e il suo “valore mitico” oppure la scoperta di sé e il confronto con le altre, l’esperienza o la “cultura”? Il femminismo ha mantenuto sempre, anche in ambito teorico, una particolare attenzione al linguaggio – inteso come luogo che produce le cose che nomina – ma la domanda risulta particolarmente interessante in tempi di general intellect, nel meccanismo algoritmico della produzione e della diffusione della conoscenza attraverso i processi di cooperazione inseparabili dalla soggettività, nel disfarsi dei collegamenti immediati tra composizione tecnica e composizione politica connessi alla precarizzazione che fuorvia anche il concetto di classe, laddove entrano in crisi i dispositivi di divisione del lavoro e di divisione sessuale del lavoro. Un processo che potrebbe aprire prospettive inedite, ampiamente ricompositrici, pur all’interno della frammentazione non casualmente imposta dalla precarietà, riassumendo la potenza della soggettività in quell’“unica materia del mondo” evocata da Daniela Pellegrini (Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare, Franco Angeli, 2012). Infatti, nel saldarsi delle categorie di produzione e riproduzione, la soggettività attuale potenzialmente saprebbe, in modo inedito, autonomizzarsi dal potere, forse con ciò liberandosi, tra le altre cose, anche della storica dicotomia tra espressione di sé e “cultura” del cui amaro contrassegno patriarcale è stato consapevole il femminismo più stimolante e radicale. Così, la prima cosa che immediatamente attrae in un libro che s’intitola Femministe a parole. Grovigli da districare (Ediesse, 2012, pag. 363) è lo spingersi ad affermare adesso, rivendicando l’atto in modo il più possibile ampio e imponente, la forza della parola e del sapere delle donne nel mondo benché sempre al di fuori di ogni lusinga mainstream (tradotto: bianca, moderata, rigorosamente eterosessuale). Una parola che non sia ideologica, ovvero corrotta dalle tentazioni di un potere che finisce solo per rassicurare e confermare il potere stesso, ma che ricostruisca, voce dopo voce, la risonanza della produzione di pensiero delle donne, pensiero sovversivo rispetto ai dispositivi normanti e di comando sulla vita. Una parola che metta in crisi, definitivamente, ogni dominio annichilente perché è incompatibile con esso, e contemporaneamente non pretenda di dare risposte definitive. Una parola che non si dichiari salvifica, poiché non intende proteggere alcuno indicando la strada del futuro tra le macerie, ma che si proponga di disfare l’impianto esistente, tirando il colpo necessario con tutta la necessaria energia. Un lessico, dunque, un dizionario ragionato di parole femministe per tutte e per tutti, di cui tutte e tutti avevamo bisogno. Nell’introduzione, le curatrici, Sabrina Marchetti, Jamila M. H. Mascat e Vincenza Perilli, scrivono: “L’ironia sottesa al titolo del volume è un’ironia che rivendica e sottolinea la nostra esigenza, in quanto femministe, di fare i conti con le parole che usiamo e come le usiamo e con quelle che non usiamo e perché lo facciamo. La lezione che il femminismo insegna, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro ma riflette rapporti di dominazione che le parole, a loro volta, possono contribuire a riprodurre e a consolidare” (pag. 13). Il richiamo della prefazione a come i “soggetti assoggettati” abbiano costantemente sentito il bisogno di “condurre battaglie contro e dentro il linguaggio, rimuovendo alcune parole o inventandone di nuove” (pag.14), ha fatto scattare un’assonanza: “lo spazio della donna sarebbe tra questi due poli: tra il silenzio (la mancanza di simbolo) e la parola paterna, la Legge e il Valore” (Carla Lonzi, 1977). La contraddizione si risolse a quei tempi ponendosi al di fuori di ogni parlare che fosse interno a una formulazione maschile, rifiutando un riconoscimento pagato al prezzo di costruirsi sull’immagine voluta dall’uomo. Oggi, ricordando con bell hoock come la lingua sia anche “un luogo di lotta”, le 44 autrici che hanno affrontato i lemmi proposti nel testo hanno voluto mettere in risalto l’aggrovigliamento del tema trattato “con la consapevolezza che se la stanza tutta per se forse è diventata una certezza appena se ne esce fuori per le femministe cominciano i rompicapi” (pag. 12). Tuttavia gli oppressi lottano anche con la lingua per riprendere possesso di se stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. E cioè, “le nostre parole significano, sono azione, resistenza”. Scrittura antagonistica, non asservita, una forma di esercizio del conflitto di cui, tra l’altro, non tutti comprendono e riconoscono la sofferenza e la fatica. Ma c’è di più. Osserviamo bene i dispositivi attuali di esclusione dalla polis: essi sono senz’altro spietati nei confronti delle/degli “stranieri”, migranti “illegali” che forzano i muri delle fortezze occidentali ma sono viceversa, sempre più spesso, diventati sistemi di inclusione forzata/cercata per le donne native. A quarant’anni dalla rivoluzione femminista, non possiamo più tratteggiare un conflitto lineare fra “le” donne e lo spazio pubblico: non abbiamo affatto di fronte solo un’uniforme voglia di estraneità, non oppressioni né tanto meno diseguaglianze omogenee ma ancora più ampie varietà e stratificazioni che in passato. Ci confrontiamo con un nuovo desiderio di assimilazione e con un sconosciuto bisogno delle donne di essere viste, proprio dentro i luoghi istituzionali. Non c’entra direttamente con il libro e non è scopo di queste note entrare nello specifico di una bagarre sulle delizie e le miserie della rappresentanza femminile sulla quale molte opinioni verranno spese da qui alla attesa elezione di un 40% di parlamentari donne: questa discussione è stata già fatta e non riesce ad appassionarmi veramente (si vedano su questo sito gli articoli “Femminismo prêt à porter” e “Se il femminismo è un brand”). Certo, essa fa parte di insolite complicanze e di sconosciute torsioni, di conformismi e “chiamate” ieri impensabili (l’immagine e la figura della velina, per esempio, trattate nel libro da Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi). Mentre si scaricano vecchie zavorre (“Famiglie. Affettività non tradizionali”, lemma di Gaia Giuliani), si manifesta una neonata ma robusta tensione di una parte delle donne verso nuovi incarichi formalizzati e stabiliti dallo stato e dalle sue deformi strutture, nel bel mezzo della crisi più estrema della politica contemporanea tradizionale e proprio mentre parti dei movimenti europei si confrontano con la necessità di aprire processi costituenti. Un gesto, piaccia o meno, con il quale bisognerà fare i conti, qualcosa ci ha già detto, qualcosa ci dirà. Forse ennesimo accoglimento del ruolo tutelare del femminile, che tanta parte ha avuto nelle nostre culture: capaci, già nei miti antichi, di dissipare le tenebre e il male, riusciranno oggi le donne nel prodigio di vitalizzare la moribonda politica italiana? Forse, più prosaicamente, solo specchio inclemente delle nostre precarietà a cui non sappiamo trovare soluzioni: l’assenza di una radicale trasformazione sociale ci mette sempre più gravemente di fronte al problema del denaro e del tempo – e non è certo la prima volta che accade. La donna, “eterna ironia della comunità”: è stata, anche in questo caso, Carla Lonzi a rimarcare che già Hegel (sul quale consigliava di sputare) aveva capito come “l’arguzia della ragione” sarebbe stata in grado di rendere funzionale alla società patriarcale l’indistinto moto di dissidenza femminile (1970). Tuttavia, aggiungeremo noi, le donne non sono le sole custodi della cosiddetta “eccedenza”, consacrate, come le sante, a un voto di marginalità e povertà mentre tutti i “compagni” del mondo si possono misurare con le maschie contraddizioni della rappresentanza, comunque vada tra minori scandali, nausee e clamori. Questo per dire, tornando al tema, che le cose cambiano. Che cosa significano certi spostamenti? Come potremo interpretarli e con quali strumenti? Quali sono i femminismi oltre il nostro orizzonte provinciale, quante le posizioni sui vari temi? Soprattutto, quali le donne e quali le cose che vogliono? Quali i sessi, che cosa i generi? E infine, anche: chi è questo Lui, “significante assoluto del soggetto sociale pieno e libero rispetto al quale gli/le altri/i sono minoranze”, e cioè “l’Uomo” (“Uomo. Smascherare il maschile” del Laboratorio Smaschieramenti)? Per questi motivi e altri ancora sui quali non mi dilungo, la condivisione di un lessico, la proposta di un bagaglio di parole-frasi che fungano da strumentazione dei femminismi contemporanei è fondamentale. Essa può essere non solo utile ma propedeutica a un ripensamento critico, qui e ora, delle nuove contraddizioni e problematiche che incontra sulla sua strada il soggetto sessuato, incarnato, situato, ancorato all’oggi. Certamente contro la concezione dell’universalismo astratto incardinata sull’individuo neutro (maschio) ma senz’altro dentro la necessità di una nuova modulazione e di un aggiornamento delle nostre categorie interpretative per accompagnare nuove battaglie. Le donne, dunque, completamente interne a tutti i processi, con le parole e i rischi di nuove soggezioni, fuori da ogni logica identitaria, tenendo conto di diversi luoghi e diverse condizioni, intendendo la pratica del posizionamento come modo di “interrogare e decostruire il privilegio della bianche” della classe media e ponendo molta attenzione a sogni di alleanza globale tra donne basati “sulla convinzione essenzialista che tutte le donne del mondo condividano una comune esperienza ‘in quanto donne’” (“Femminismo transazionale” di Elisabetta Pesole). Figure di un’antropologia sessuata di una nuova politica forse non più fallogocentrica e non più imprigionata nelle sue tradizionali antinomie ma che debbono rendersi consapevoli di inedite opposizioni e complessità, di inconsueti sistemi di cattura. I temi affrontati nelle voci proposte da questo testo sono importanti e rendono conto della produzione teorica delle donne che insieme animano il dibattito politico sul vivere contemporaneo, sui suoi recessi e sulle sue increspature, dentro un caleidoscopio di posizioni diverse che fa plurali i femminismi. All’interno di queste prospettive, il punto di vista femminista può rappresentare una chiave di lettura fondamentale, da rivisitare o da scoprire, a seconda che la lettrice o il lettore siano più o meno vicini o lontani dalla materia. Quindi, il testo si pone anche semplicemente come una raccolta di voci per approfondire, per conoscere, per capire meglio e di più. Effettivamente, si tratta di districare i grovigli, come dicono le curatrici, “senza eliminare le tensioni e i conflitti che ne sono all’origine e che sono parte del dna del femminismo”. La lezione biopolitica del femminismo, che ha consentito di comprendere alcuni nodi cruciali con grande anticipo rispetto alle modificazioni bioeconomiche che ci pone chiaramente di fronte il presente, ci ricorda che gli strumenti di indagine “a partire da sé”, vanno intesi come un concreto procedimento politico, come “pratica sperimentale della politica” che punta alla rivoluzione del mondo che conosciamo attraverso instancabili tentativi che possono muovere solo da ciò che conosciamo. Voglio qui ricordare quanto scritto – ed è esattamente così che io credo si debba procedere tutti, da qui in poi – da Judith Revel alla voce “Sperimentazione” per il Dictionnaire politique à l’usage des gouvernés: “La sperimentazione è precisamente la questione del campo attuale dei possibili. Ben lontana dall’utopia – che non lavora all’interno del “già-dato” delle cose presenti – essa tenta la scommessa al contempo dell’analisi di ciò che è, e della sua trasformazione radicale. Non si tratta né di ridursi alla mera registrazione delle necessità di un mondo subìto né di sognare un altro mondo, bensì di cambiare questo mondo qui. (…) Un’attitudine nei confronti del mondo che fa di ciascuno di noi colui che allo stesso tempo diagnostica la propria situazione e cartografa le proprie determinazioni, e colui che inventa una differenza possibile (Dictionnaire politique à l’usage des gouvernés, a cura di F. Brugère a G. le Blanc, Bayard, Paris, 2012. Vedi http://www.uninomade.org/sperimentazione/). Saperi situati e voci per il nuovo mondo. I saperi a cui attingere per ri-trovare le parole per cambiare questo mondo, quelli a cui personalmente penso, in linea con il contesto del biocapitalismo cognitivo-relazionale che richiamavo frettolosamente in attacco, attengono dunque direttamente al soggetto, fattosi autonomo anche rispetto alle fabbriche del sapere, ai templi sfatti della conoscenza accademica, vuotamente arroccata su se stessa. A questi nuovi saperi non meramente libreschi e a un’autorevolezza che non ha più tutto questo bisogno – si è, appunto, almeno parzialmente, autonomizzata – dei filtri delle istituzioni storicamente deputate (università, giornali…) è necessario guardare per trovare il nuovo. La fase è faticosa, complessa, rischiosa e oggi, con la crisi economica e finanziaria, perfino disgraziata, ma il campo è anche più libero da certi fardelli: i partiti, i sindacati, i sessi, le separazioni tra il bene e il male o il privato e il pubblico sono in grande difficoltà. Addio a tutti voi, mai ci siamo amati. Dunque, evidentemente, questo contesto cambiato ci può consentire di imprimere un andamento diverso, giocando una funzione pienamente d’attacco ora che la materia stessa della produzione è la riproduzione sociale ed ora che anche la classe è più difficile da individuare. Un’occasione che, lungi dall’intendersi come una sciagura, può essere vista come una nuova possibilità di collegamento tra gruppi sociali, categorie, generi, nel fordismo comunque sclerotizzati improduttivamente da separazioni. Bisogna rompere con una soffocante identità ideologica tra donne che impedisce ogni emersione di coscienza critica distinta e che naturalizza le forme specifiche di “violenza razzista e di classe delle società europee” (si vedano le voci “Serva&Padrona” di Sabrina Marchetti e “Velate e svelate” di Chiara Bonfiglioli), ma nello stesso tempo evitare di ritenere che, per la prima volta nella storia, la precarietà ci abbia messe di fronte alla difficoltà delle frammentazioni. Perciò, interrogarsi insieme alle altre, scandagliando i labirinti di termini come colore, noir, bianchezza, razza, migranti, femminismo islamico, femminismo postcoloniale. Essi vengono assunti come parte integrante del bagaglio terminologico della cultura femminista contemporanea. “Subalterna” il lemma preso in carico da Angela D’Ottavio parte dal famoso saggio di Gayatri Chakravorty Spivak Can the subaltern speack? per inserire il tema della subalternità all’interno delle trasformazioni del capitalismo globale contemporaneo, sottolineando come sia necessario prestare attenzione a non abusare del termine per riferirsi a qualsiasi forma di subordinazione, quasi si andasse disperatamente alla ricerca del buon selvaggio a cui fare del bene. Istaurare invece una linea di comunicazione, una agency che può “far cominciare il lungo cammino verso l’egemonia”, spogliandosi da ogni eurocentrismo benevolente per creare le condizioni “perché la resistenza possa essere riconosciuta come tale”. Si tratta cioè di tenerci al riparo da ogni stucchevole relativismo, essendo tuttavia consapevoli delle possibili interrelazioni tra razza e genere, intese nei termini di una congiunta vigilanza critica sulle forme assunte dal capitalismo contemporaneo. Non a caso abbiamo ritenuto necessario mettere queste nozioni al centro del seminario di UniNomade del giugno scorso, a Napoli: “Oggi, il processo di razzializzazione deve essere considerato come parte costitutiva di un più largo esempio di governance locale postcoloniale orientata alla gestione delle principali trasformazioni politiche ed economiche degli ultimi vent’anni (la così detta transizione dal fordismo al postfordismo). Si tratta della riorganizzazione dell’intero tessuto sociale come esito dei processi di globalizzazione, delle ormai inarrestabili migrazioni e dell’irriducibile mobilità del lavoro. Ma anche come effetto delle lotte anticoloniali e delle enunciazioni del femminismo che hanno rimodellato il mercato del lavoro e le relazioni sociali dal 1970 in avanti” (Anna Curcio e Miguel Mellino, estratti da Race at Work. Rise and Challenge of Italian Racism, in Darkmatter Journal, 6, 2010, trad. it. http://www.uninomade.org/note-su-razzismo-e-antirazzismo/). Altri nodi, nel testo, si avviluppano intorno ai termini “Queer” (“Un soggetto senza identità?”, di Monica Pietrangeli) e “Postporno” (“Quel porno che non è un porno” di Rachele Borghi). Nel primo caso, ammettendo che ricostruire l’origine – da Teresa de Lauretis a Judith Butler a Preciado – di una parola pressoché intraducibile e che “trae un certo vantaggio dal mantenersi al di sotto della soglia dell’intellegibile”, è la perfetta figurazione lessicale della soggettività contemporanea, rizomatica, scomposta e composita, nell’esplosione della categoria di donna e nella proliferazione di varie categorie di genere. Nel secondo, descrivendo un fenomeno fluido, che rifiuta etichette e che rimette al centro il corpo e il suo desiderio e il suo piacere contro la (dis)erotizzazione mercificata imposta dal capitale, che mi pare l’aspetto più interessante da rimarcare. Performer di cultura postporno che fanno riferimento alla queer theory nel suo insieme che diventano veri e propri manifesti “di un femminismo dissidente tran-genere”. E così il lemma “Sesso e genere”, scritto da Liliana Ellena e Vincenza Perilli serve per dipanare i fili di una matassa particolarmente difficile da sbrogliare laddove, paradossalmente, la parola genere (da gender la cui traduzione nelle lingue romanze pone problemi e rischia slittamenti di significato), “nel linguaggio comune e nel dibattito culturale – inteso in maniera semplificatoria come ciò che attiene al sociale in contrapposizione alla sfera biologica rappresentata dal sesso – corre il rischio di reintrodurre quei presupposti naturalizzanti contro i quali aveva preso le mosse”. Beatrice Busi ci porta via con sé a visitare la “geografia degli organi senza corpo ritagliata dal dispositivo etero-normativo, il cui funzionamento richiede una rigida separazione tra maschile e femminile e i genitali rivestono il ruolo di significante socio-sessuale per eccellenza” e siamo alla voce “Modificazioni. MGF, trans e inter-sex”: “La sostituzione di un modello binario con un modello polimorfico del sesso e del genere non può di per sé assicurare la fine della violenza e delle discriminazioni” ma almeno assicurerebbe lo sforzo di una ginnastica mentale collettiva verso la legittimazione dell’“Altro”. Insomma, anche qui, un nucleo combinato di parole che ci inserisce nel solco tracciato dal “terzo femminismo” di Beatriz Preciado, “aprendo definitivamente la strada al transfemminismo, un femminismo trasversale al sesso e al genere che legittima l’esistenza di identità fluide caratteristiche delle società post identitarie in cui le nostre alleanze più prossime debbono essere transgeniche, transessuali, anticoloniali. Queste sono le nostre alleanze, questo è il luogo del femminismo oggi” (Rachele Borghi). Siamo arrivate alla fine. Dopo questa traversata sinceramente entusiasta tra le parole, non posso evitare dal fare un appunto al libro: mancano alcune voci, per esempio “precarietà”, nell’evoluzione/involuzione della figura della donna(uomo)-impresa-precaria e della precarietà di seconda o addirittura di terza generazione; avrei voluto leggere qualcosa su welfare del comune e reddito di base dal punto di vista delle donne, analisi che ha alle spalle una autorevole tradizione italiana, a partire da Lotta Femminista. Proprio per reagire alla normalizzazione complessiva del pensiero all’interno della quale anche il femminismo tende a diventare un’opzione puramente culturale, dentro un meccanismo di integrazione che ha oscurato, invisibilizzato e addomesticato l’elaborazione più radicale dei movimenti italiani delle donne, sarebbe stato soprattutto fruttuoso ricostruire-decostruire l’origine e gli effetti del termine “lavoro”, attualizzando – a partire da ciò che una parte del femminismo ha già detto – la sempre più assurda asimmetria concettuale “lavoro-non lavoro” che è forse quella che maggiormente avrebbe la necessità di essere rivisitata, setacciata e messa a critica. La scomposizione della soggettività è anche il frutto dell’inesorabile e problematica crisi dell’istituto sociale del lavoro, la retorica lavorista – che vogliamo respingere – ci ha agganciate solo di recente, guarda caso nel momento in cui il lavoro perde di significato da un punto di vista simbolico e del valore, e guarda caso mentre ne guadagna la riproduzione sociale contemporanea, ovvero un più ampio processo produttivo che ha a che vedere anche con la traduzione delle esistenze in forme di gestione e di controllo, ovvero con la produzione di ideologie e di consenso, di stili di vita, di riti, di norme comportamentali. Queste sono, a mio avviso, le parole che ci autorizzano di fare i ragionamenti con i quali ho aperto la mia lettura, ovvero quelle che consentono di sviscerare il cambio di paradigma e dunque di circoscrivere il quadro nel quale vanno inserite le lotte e i conflitti delle soggettività plurali al sistema del biocapitalismo totale, ciò che collega i grovigli e complica le complessità, rendendole possibili e visibili. Pur ammettendo che non esistono più gli scenari granitici e le spiegazioni univoche e definitive, ciò che stiamo evocando potrebbe anche essere definito biopolitica, con i suoi quadri di prescrittività sociale e di appropriazione del vivente: è la società vampirizzata e tradotta in mercato, dove si inducono le condizioni perché l’intreccio degli scambi non venga mai indirizzato a un bene collettivo. Dispositivo di biopolitica che coordina sottilmente la competizione tra interessi individuali, interiorizzati e diversi. Dispositivo di infelicità, presentismo che dà ansia. Che genera depressione perché avvilisce l’essenza della cooperazione (comunanza), esigendo di sussumerla e traducendola in valore di scambio. Ma che, d’altro lato, produce eccedenza, un meccanismo di enorme importanza per l’esistenza, rivincita della vita sulle forme di produzione finalizzate al profitto, trasformazione dei piani della produzione e della riproduzione sociale stessa. Eccedenza che intendiamo come capacità critica e di produzione di pensiero autonomo, di produzione di materiali improduttivi rispetto al criterio di “produttività” funzionale al profitto. Dunque proprio questa consapevolezza “materiale” dei processi in atto va posta al centro: oggi più che mai essa è il cuore di ogni capacità di presa di posizione responsabile e di sottrazione alle programmazioni sociali o ideologiche nelle quali siamo tutte e tutti inseriti. Un filo rosso che già emerge, a tratti, sia chiaro, dalle matasse proposte dal testo ma che, a mio parere, sarebbe stato particolarmente interessante indicare. Nominare apertamente, appunto //

martedì 27 novembre 2012

Lo schermo del potere al Torino Film Festival

In collaborazione con il Torino Film Festival, il Museo Nazionale del Cinema ospita, mercoledì 28 novembre, alle ore 17.00, nella sala eventi della Bibliomediateca, la presentazione del volume Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi. Ne discuteranno con le autrici Liliana Ellena e Alina Marazzi // L'immagine, tratta dalla copertina del libro, è - come avevamo già avuto modo di segnalarvi - un'opera di Birgit Jürgenssen, Gladiatorin, 1980

venerdì 13 luglio 2012

Donne di mondo / L'analogia imperfetta. Sessismo, razzismo e femminismi tra Italia, Francia e Stati Uniti

Tra i materiali del seminario di UniNomade di qualche settimana fa a Napoli, Composizione di classe e frammentazione nella crisi, il mio saggio L'analogia imperfetta. Sessismo, razzismo e femminismi tra Italia, Francia e Stati Uniti, originariamente pubblicato nel mitico numero di Zapruder Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, curato da Liliana Ellena e Elena Petricola. Da qualche anno gli articoli dello parte monografica della rivista vengono inseriti dopo qualche tempo nel sito della rivista, ma all'epoca (2007) non era ancora così e dunque questo saggio è restato a lungo (benché spesso citato e utilizzato) di difficile consultazione per quante/i non avessero avuto la fortuna di acquistare il numero. Grazie dunque a UniNomade per averlo messo a disposizione in formato pdf (L'analogia imperfetta), mentre per chi volesse accaparrarsi uno degli ultimi numeri ancora disponibili di Donne di mondo, basta compilare questo form nel sito di Storie in movimento. Buona lettura!

mercoledì 13 giugno 2012

Attraversare i confini. Pratiche culturali e politiche del femminismo italiano

Attraversare i confini. Pratiche culturali e politiche del femminismo italiano, è il titolo dell'ultimo numero di Genesis, la rivista della Società italiana delle Storiche. Il volume - curatoda Teresa Bertilotti, Elisabetta Bini e Catia Papa, contiene - tra gli altri - articoli di Liliana Ellena, Liana Borghi, Federica Giardini, Chiara Bonfiglioli, Teresa Bertilotti e Simonetta Spinelli. Nel sito della Sis l'indice completo, buona lettura!

martedì 29 maggio 2012

Asincronie del femminismo / Una presentazione al Cirsde

Questo pomeriggio presso la Sala Lauree della Facoltà di Lettere dell'Università di Torino, presentazione del volume di Paola Di Cori Asincronie del femminismo. Ne parleranno con l'autrice Anna Badino, Liliana Ellena e Marco Pustiniaz. Coordina Franca Balsamo. Per ulteriori info sull'incontro rinviamo al sito del Cirsde 

domenica 20 maggio 2012

Intersessualità / Perché ci interessa?

Domani sera al Circolo Maurice, serata informativa e di discussione intorno all'intersessualità "un termine che assume significati diversi a seconda dei punti di vista. Per alcuni è un modo di far riferimento alla condizione delle persone che presentano caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili, sia femminili, per il discorso medico-scientifico è una patologia o una sindrome in cui i cromosomi sessuali, i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non corrispondono alla 'normale' distinzione binaria maschile/femminile. Ma da dove arriva questo termine? Cosa sta dietro a queste definizioni? E come si autorappresentano i soggetti?". In previsione di una futura giornata seminariale, se ne discuterà con Liliana Ellena e Roberta di Nardo, antropologa e precaria, laureata presso l'Università degli Studi di Torino con una tesi sulla gestione biomedica dell'intersessualità

venerdì 27 aprile 2012

Genere, linguaggio, culture / Conversazioni intorno al dizionario "Femministe a parole. Grovigli da districare"

Dopo un' anteprima via radio (ieri pomeriggio ad Attica Blues) finalmente oggi, venerdì 27 aprile, alle ore 18.30 presso il Caffè letterario (Casa Internazionale delle Donne, via della Lungara 19 - Roma), si svolgerà il tanto atteso incontro-dibattito con curatrici e autrici del dizionario Femministe a parole. Grovigli da districare, edito dalla casa editrice Ediesse nella collana sessismoerazzismo. Femministe a parole è un volume sulle questioni controverse che hanno attraversato il dibattito femminista nel corso degli ultimi anni: il multiculturalismo e i diritti delle donne, l’Islam in Europa e l’affaire du voile, la condizione postcoloniale e l’impatto delle migrazioni, il rapporto tra universalismo e relativismo culturale, il ruolo dei corpi e la performance dei generi. Intorno a questi temi, e molti altri ancora, nasce un dizionario ragionato delle contraddizioni, degli ossimori e delle domande complicate: un dizionario di «grovigli» redatto da 44 autrici, tutte femministe con percorsi ed esperienze diverse, che si cimentano nell’impresa non facile di fare i conti con le parole. La scrittrice afroamericana bell hooks ci ricorda che il linguaggio è «anche un luogo di lotta». Molto prima di lei Virginia Woolf si rammaricava del fatto che alle donne mancasse il tempo di coniare parole nuove, sebbene il linguaggio ne avesse veramente bisogno. Una delle più importanti lezioni che il femminismo ci ha trasmesso, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione. E visto che le parole sono sempre state imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, le femministe hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio.Per le femministe di oggi, però, prendere la parola sul mondo è diventato sempre più complicato: che dire del velo, delle veline, delle modificazioni genitali e della chirurgia estetica? Della famiglia, del sex work, del postporno? Che dire di Dio, della poligamia, del welfare e della globalizzazione? Le identità sono un bene o un male? E le culture sono solo quelle «degli altri»? Le risposte non sono a portata di mano, ma grazie a questi interrogativi il pensiero delle donne è chiamato a riattivare la capacità di convivere con le contraddizioni, riscoprendo così la sua vocazione eterogenea e plurale. Indice delle voci e delle autrici: Anticolonialismo (Anna Vanzan) – Autodeterminazione (Tamar Pitch) - Backlash (Jamila M.H. Mascat) – Bianchezza (Gaia Giuliani) – Biomedicina (Olivia Fiorilli) – Cittadinanza ( Alessandra Sciurba ) – Classe (Andrea D’Atri) – Colonizzatrici (Catia Papa) – Colore (Valeria Ribeiro Corossacz) - Cristiane (Sara Cabibbo) - Differenza ( Lea Melandri ) – Donne di destra ( Isabella Peretti e Barbara Mapelli ) - Europa (Enrica Rigo) – Famiglie (Gaia Giuliani) – Femminismo islamico (Renata Pepicelli) - Femminismo postcoloniale (Caterina Romeo) – Femminismo transazionale (Elisabetta Pesole) – Generazioni migranti ( Giulia Cortellesi ) – Globalizzazione (Laura Ronchetti) – Integrazione (Silvia Cristofori) – Intersezionalità ( Vincenza Perilli e Liliana Ellena) – Lesbica (Elisa A.G. Arfini) – Madre-patrie (Isabelli Peretti) – Mamme col fucile (Inderpal Grewal; trad. Ambra Pirri ) – Maternità surrogata ( Daniela Danna ) – Matrimoni ( Daniela Danna ) – Migranti (Francesca Brezzi) – Modificazioni (Beatrice Busi) - Multiculturalismo (Laura Ronchetti) – Neo-Orientalismo (Jamila M.H. Mascat) – Noir (Stefania Vulterini) – Omonazionalismo (Barbara De Vivio e Suzanne Dufour) – Poligamia (Maria Rosaria Marella) - Postporno (Rachele Borghi) – Prostituzione ( Giulia Garofalo ) – Queer (Monica Pietrangeli) – Razza (Valeria Ribeiro Corossacz) – Relativismo culturale ( Annamaria Rivera ) – Riproduzione assistita (Alessandra Gribaldo) – Serva & padrona ( Sabrina Marchetti ) – Sesso/genere (Liliana Ellena e Vincenza Perilli ) – Spazio (Rachele Borghi) – Subalterna (Angela D’Ottavio) – Sviluppo sostenibile ( Daniela Danna ) – Tricolore (Sonia Sabelli) – Uomo (Laboratorio Smaschieramenti) – Velate e svelate (Chiara Bonfiglioli) – Veline (Giovanna Zapperi e Alessandra Gribaldo) – Welfare transnazionale ( Flavia Piperno).

mercoledì 23 novembre 2011

Le italiane dall'Unità ad oggi : un convegno della SIS

Di generazione in generazione. Le italiane dall'Unità ad oggi, è il titolo del convegno organizzato dalla Società Italiana delle Storiche che si terrà da domani fino a venerdì 25 novembre a Firenze. Per il programma dettagliato rinviamo al sito della SIS.

martedì 15 novembre 2011

Frantz Fanon, au présent

Cinquant'anni dopo la sua morte, quale uso possiamo fare oggi del pensiero di Frantz Fanon? In cosa la vita di questo martinicano d'origine, inumato in terra algerina nel 1961, medico psichiatra, scrittore, teorico e combattente anticolonialista, può aiutarci nel presente? Per le/gli attualmente parigine/i segnaliamo il dibattito Frantz Fanon, au présent che si terrà il 28 novembre alle 20.30 al Théatre National de Chaillot (1 Place du Trocadéro - Paris). Al dibattito, organizzato da Mediapart, interverranno Elsa Dorlin, Nicole Lapierre, Pap N'diaye e Louis-Georges Tin. Per chi invece non potrà parteciparvi rinvio alla lettura della bella introduzione di Liliana Ellena alla traduzione italiana, pubblicata da Einaudi, de I dannati della terra.

giovedì 10 novembre 2011

La prima bomba sulla Libia : Shock and Awe

Anche in relazione alla recente giornata di studi intorno ad Augusto Masetti e l'invasione della Libia, riceviamo da Liliana Ellena - che cogliamo l'occasione per ringraziare dei tanti spunti, stimoli e incoraggiamenti con i quali continua da anni ad accompagnare Marginalia e non solo - segnalazione di un convegno molto interessante che si terrà - a partire da domani, venerdì 11 novembre, fino a domenica - a Londra: Shock and Awe. Il convegno - che prevede interventi, tra le/gli altre/i di Paul Gilroy, Nirmal Puwar, Miguel Mellino e Les Back -, prende spunto dal centenario del primo bombardamento aereo della storia mondiale: quello avvenuto nel novembre del 1911 nei pressi di Tripoli ad opera del pilota Giulio Covotti della Flottiglia aeroplani di Tripoli, la squadra aerea italiana impegnata nella guerra di aggressione coloniale in Tripolitania e Cirenaica. Sintomatico dei miti e smemoratezze che avviluppano le vicende coloniali italiane nel nostro paese, il fatto che debba essere un convegno organizzato dalla Goldsmiths University e dalla Lse a ricordarci alcuni, non certo irrilevanti, particolari del nostro passato. Per maggiori informazioni sul convegno e il programma dettagliato rinviamo al sito di Shock and Awe.

venerdì 7 ottobre 2011

Solidarietà e rabbia per l'aggressione di Suad Omar

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a proposito dell'aggressione razzista e sessista ai danni di Suad Omar avvenuta la scorsa settimana a Torino: "Con queste righe vogliamo stringere in un abbraccio Suad Omar che nel pomeriggio di venerdì scorso è stata aggredita prima verbalmente e poi fisicamente mentre viaggiava sul 63 e esprimere la nostra rabbia per l’ennesimo episodio di violenza sessista e razzista a Torino. Perché tanto accanimento? L’aggressore irritato che non gli venisse ceduto il posto accanto alle porte dell’autobus in nome del proprio privilegio di uomo bianco, deve aver ritenuto insostenibile il fatto che una donna aggredita, invece di abbassare lo sguardo e farsi da parte abbia risposto e si sia difesa. Alla violenza subita, si sovrappone quella istituzionale. E’ una strana politica quella dei regolamenti del Gtt che prevedono l’apertura o la chiusura delle porte di autobus e tram a seconda della supposta nazionalità o provenienza di chi li frequenta. Non è raro per chi viaggia sui trasporti pubblici torinesi assistere alla chiusura immediata delle porte per fronteggiare la ‘pericolosa’ fuga di un supposto migrante sorpreso senza biglietto, ma quando una cittadina italo-somala supposta ‘migrante’ viene insultata e picchiata le porte magicamente si aprono permettendo all’aggressore di dileguarsi. Altrettanto inquietante è stato l’intervento dei carabinieri chiamati sul posto che invece di preoccuparsi della salute di una donna aggredita hanno pensato che fosse più urgente verificare i documenti, perché senza, si sa, si è un po’ meno umane. La logica che presiede a queste scelte è una logica razzista, radicata non solo nella cultura diffusa, ma nelle stesse procedure istituzionali. Il pomeriggio successivo altre forze dell’ordine hanno caricato il presidio di chi sotto il Centro di identificazione e di espulsione di Corso Brunelleschi da tanto tempo chiede la chiusura di questa struttura in cui donne e uomini vengono privati della loro libertà e dei loro diritti per il semplice fatto di arrivare da fuori dalla Fortezza Europa e denuncia le violenze che si esercitano al loro interno. Il legame tra questi due episodi mette le radici in una cultura dell’esclusione e della violenza che, in nome della sicurezza, non tollera né il rispetto dei diritti individuali né il dissenso. Noi non ci sentiamo affatto sicure e saremo al fianco di Suad che abbiamo conosciuto nei luoghi delle donne, del movimento antirazzista, tra le strade di San Salvario, negli spazi di una cultura dal basso inclusiva e aperta verso il mondo.Vigileremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione affinché vengano visionati i filmati delle telecamere di sorveglianza presenti sull'autobus e identificato l’aggressore. Chiediamo ai responsabili di questa città, alle forze dell’ordine, al Gtt di garantire l’incolumità di ogni donna, di ogni uomo, e di predisporre modalità di intervento per fronteggiare gli episodi di aggressione contro le donne straniere verso le quali è più cruenta e impunita la violenza sessista che si respira nei luoghi pubblici e per le strade della nostra città. Dietro alla denuncia di Suad ci sono moltissime altre donne, più ricattabili perché senza documenti o con il permesso di soggiorno, che subiscono quotidianamente in silenzio minacce, molestie, insulti e discriminazioni, per timore di perdere il lavoro, la casa, l’accesso ai servizi. Invitiamo tutte e tutti alla mobilitazione, questa violenza ci riguarda, non staremo zitte! Vesna Scepanovic, Roberta Valetti, Liliana Ellena, Eleonora Missana, Susi Monzali, Associazione Villa5-Arte per le donne, Almateatro".

Per adesioni e contatti:

Liliana Ellena liellena@libero.it
Vesna Scepanovic miavesna@gmail.com
Roberta Valetti robertavaletti@gmail.com

mercoledì 5 ottobre 2011

Suad Omar: della necessità di opporsi al razzismo e al sessismo machista in Italia

Suad Omar, cittadina italo-somala, mediatrice culturale, scrittrice, da molte e molti conosciuta e apprezzata per il suo impegno ventennale nella vita culturale, sociale e politica di Torino ( e non solo), ha subito venerdì scorso una vile e vergognosa aggressione razzista e machista su di un autobus della città sabauda da parte di un uomo italiano . In un'intervista rilasciata al Tg regionale Suad racconta anche dell'indifferenza di coloro che hanno assistito alla scena: se ad essere aggredita, magari  da un uomo africano, fosse stata una donna italiana, le reazioni sarebbero state le stesse? Di questa vicenda si parlerà venerdì mattina su RadioBlackout (105.250 FM e in streaming su RadioBlackout), dove Suad racconterà la sua storia. A lei, della quale ancora ricordiamo il lucido e rigoroso intervento a Dialoghi di frontiera, va tutta la nostra affettuosa solidarietà.

Altri articoli e materiali di approfondimento sulla vicenda :

La Stampa: Presa a pugni sull'autobus "perché sono donna e nera"
Me-DeA: Suad, aggredita perché donna, perché "diversa"
Circolo Maurice: Solidarietà a Suad Omar