In un post dal titolo La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza, Sonia Sabelli stabilisce utilissime connessioni storiche, teoriche e politiche (rinviando anche a testi utili quali il volume di Sabrina Tosi Cambini La zingara rapitrice e l'articolo di Gaia Giuliani Maria-piena-di-grazia-e-bianchezza) per continuare la riflessione (ri)avviata dalla vicenda di Maria, la bambina rom "bianca, bionda e con gli occhi azzurri" e quindi necessariamente "rapita" di cui avevo scritto qualche giorno fa riprendendo il documento dell' Osservatorio antidiscriminazioni. Una riflessione quanto mai urgente, visto anche il caso recentissimo che ha coinvolto un'altra bambina rom in Irlanda, anche lei troppo bianca e bionda per essere "figlia di rom". Prelevata con la forza dalla polizia dal campo in cui viveva alla periferia di Dublino, la bambina è stata "restituita" ai sui genitori solo dopo alcuni giorni, quando la prova del Dna ha dimostrato che era figlia "legittima e biologica" della coppia alla quale era stata sottratta. Il ministro della Giustizia irlandese ha ovviamente difeso l'operato della polizia e dei servizi sociali perché "sono situazioni molto difficili e si devono prendere decisioni altrettanto difficili quando si tratta di questioni di protezione di minori". Ma non è chiaro, parafrasando Beatriz Preciado, chi "protegge" le bambine (e i bambini) rom. Approfitto di questo breve aggiornamento per ringraziare Il paese delle donne, Cronache di ordinario razzismo e La libera università delle donne per la ripresa di La bambina bionda e i rom e la Fondazione Romanì Italia per avermi segnalato il testo di Nazzareno Guarnieri, Rom, biondo, di carnagione chiara
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mercoledì 30 ottobre 2013
venerdì 25 ottobre 2013
La bambina bionda e i rom
Ricevo dall'Osservatorio antidiscriminazioni una riflessione, dal titolo "Giù le mani da Maria!" sulla campagna mediatica e sulla psicosi anti-rom "rapitori di bambini" che si è scatenata (non solo in Italia) a partire dal caso della bambina (insistentemente definita dai media "bionda con gli occhi azzurri", "bianca", "dai tratti nordici") trovata in un campo rom in Grecia in compagnia di un uomo e di una donna poi risultati, tramite prova del dna, non suoi genitori "biologici". Nonostante le spiegazioni della coppia (la bambina era stata loro affidata piccolissima dalla "vera" madre che non poteva mantenerla e loro l'avevano cresciuta come "una figlia"), spiegazioni confermate sin dal primo momento da altri/e abitanti del campo (e nelle ultime ore dal ritrovamento della madre "biologica"), l'episodio ha riportato a galla, in tutta la sua virulenza, il razzismo verso quell'"altro da noi" di cui abbiamo parlato tante volte (vedi ad esempio qui, qui, qui e qui). Mi auguro che il testo dell'Osservatorio antidiscriminazioni (e la sua pubblicazione in Marginalia e altrove) possa contribuire ad innescare un effetto moltiplicatore dell'attenzione e della vigilanza necessaria su questa e altre vicende // "Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tanto meno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunché di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo.
Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom (Osservatorio antidiscriminazioni, Giù le mani da Maria!, ottobre 2013).
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giovedì 11 luglio 2013
A scuola di razzismo
Purtroppo la scuola è spesso veicolo di razzismo e episodi come questo, a volte relegati nelle "brevi" dei quotidiani locali, non sono casi isolati: è sufficiente dare un'occhiata al database del sito Cronache di ordinario razzismo o a vecchi articoli pubblicati anche qui in Marginalia, come Piccoli razzisti crescono. Senza commento
domenica 7 luglio 2013
Il colore come marchio
Nel suo Race e Nature. Système des marques, idée de groupe et rapports sociaux (1977) - che abbiamo recentemente tradotto e pubblicato in Non si nasce donna - Colette Guillaumin ricostruisce la storia della (recente) nascita del "sistema dei marchi" (e tra questi i tratti somatico-morfologici come il "colore"), aspetto cruciale nella genealogia del razzismo. Non è esattamente la stessa cosa (mi sembra ovvio ma specifico a scanso di equivoci), ma leggendo su Il Paese delle donne della ricerca di Jo B. Paoletti (Pink and Blue: Telling the Girls From the Boys), sul fenomeno del rosa e dell’azzurro come colori di genere, è scattata immediatamente l'associazione
mercoledì 15 maggio 2013
SFamily Day : oltre i modelli normativi, per altre forme di intimità e affettività
A cura di Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale si terrà a Roma, il prossimo 25 maggio, la SFamily Day, un'occasione per condividere esperienze e sperimentazioni, relazioni e educazioni, fatti e diritti che coinvolgono le forme di intimità e di affettività, oltre i modelli normativi della famiglia e della coppia come unici luoghi di investimento emotivo e materiale. Sul tumblr di Kespazio! il programma completo della giornata alla quale parteciperanno, tra le altre Sara Garbagnoli, Gianfranco Rebucini, Gaia Guliani, Laura Corradi, il Laboratorio Smaschieramenti e tante altre favolosità ...
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domenica 25 novembre 2012
Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne / Smaschieriamoci contro la violenza (del) maschile
Pubblichiamo, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, un documento del Laboratorio Smaschieramenti con il quale ci sentiamo particolarmente in sintonia, anche per la capacità - che ci sembra ancor oggi così rara - di riflettere a partire dal proprio posizionamento e fare la "storia" del proprio percorso politico, rifuggendo da comode e consolanti "soluzioni". // 25 Novembre 2012 - Giornata internazionale contro la violenza maschile: Smaschieriamoci contro la violenza (del) maschile // Quando parliamo di violenza maschile contro le donne non ci riferiamo solo alle forme di violenza comunemente riconosciute come tali -
assassini, stupri, violenza domestica - che pure sono fenomeni molto più diffusi di quanto si pensi, in tutti gli ambienti sociali e in tutte le fasce d'età. Parlare di violenza maschile significa individuare un meccanismo che determina e condiziona /continuamente/ le nostre esistenze. Non si tratta di un fenomeno isolabile dal resto, di un incidente di percorso, o soltanto di un cattivo comportamento da cui prendere le distanze: la violenza maschile sulle donne è parte integrante della nostra società e della nostra cultura, che vogliono tenere ben distinti due sessi e due generi per mantenere la supremazia, più o meno velata, di uno dei due sull'altro.In questo senso,la violenza contro le persone transessuali e transgender, della quale abbiamo ricordato le vittime il 20 novembre, è in stretta relazione con la violenza di cui sono oggetto le donne e le lesbiche.Dobbiamo essere capaci di vedere la continuità che esiste fra tutta una serie di esperienze ben presenti nella vita di ognuna/o/u di noi: la divisione asimmetrica del lavoro di cura nelle famiglie, l'imposizione, diretta o indiretta, di rapporti sessuali non desiderati all'interno delle relazioni di coppia, la forma stessa delle relazioni amorose con il loro portato di aspettative e pretese, la colpevolizzazione della donna che "abbandona" il partner e tutte le piccole e grandi vendette conseguenti; gli sguardi, le parole, gli atteggiamenti arroganti, la scarsa considerazione ed il paternalismo di cui spesso siamo oggetto in quanto donne; la cultura perbenista e misogina che ci pone come unica alternativa quella fra moglie e puttana, o fra
/brava-ragazza-che-studia-e-lavora/ e velina; l'educazione che bambini e
bambine ricevono fin da piccoli/e affinché si conformino a precisi ruoli di genere; lo sfruttamento, subdolo ma intensissimo, delle nostre presunte attitudini "femminili" o "maschili" sul lavoro; il ricatto economico che, con la crisi, costringe sempre più donne a rimanere docilmente nell'ambito familiare o di coppia; i mille ostacoli che ci impediscono di esercitare liberamente il diritto di decidere /se/, /quando/ e /come/ diventare madri (si pensi solo a quanto è difficile procurarsi la pillola del giorno dopo, alla colpevolizzazione che circonda le donne che abortiscono, ai medici obiettori, alla deresponsabilizzazione dei maschi rispetto alla contraccezione, o al fatto che l'educazione sessuale delle/degli adolescenti nel nostro paese è affidata di fatto soltanto ai mass media, al sentito dire e all'industria pornografica mainstream). Agli estremi di questo /continuum/ ci sono la violenza fisica, lo stupro, l'uccisione. Ma questo vuol dire anche che, *essendo tutte/i/ implicat@, tutte/i/ abbiamo la possibilità di fare qualcosa per smontare un piccolo pezzo di quel grande sistema culturale che sostiene la violenza maschile contro le donne e contro chi trasgredisce i confini dei generi sessuali. Il Laboratorio Smaschieramenti è nato proprio a seguito della grande manifestazione contro la violenza maschile contro le donne del 24 novembre 2007 a Roma: una manifestazione alla quale gli uomini non erano stati invitati. Piuttosto che criticarla, abbiamo deciso di lasciarci interpellare da questa decisione: per questo abbiamo costituito un gruppo misto, formato da soggettività codificate come "donne" e soggettività codificate come "uomini", con relazioni omosessuali, lesbiche e/o eterosessuali, che riflettessero a partire dai propri diversi posizionamenti sul privilegio maschile, sulla sua costruzione sociale e culturale e su come sabotarla. In questi cinque anni di lavoro, abbiamo capito che, da parte di chi vive in abiti maschili in una società come questa, non è sufficiente proclamare di essere un maschio "diverso", sensibile, solidale, magari gay per poter stare credibilmente in piazza il 25 novembre e in tutte le lotte contro la violenza maschile sulle donne. Un discorso contro la violenza maschile sulle donne pronunciato da "uomini" è credibile solo se parte dal riconoscimento del /privilegio/ che viene loro accordato in ogni più piccolo aspetto della vita, anche a dispetto degli sforzi e dell'eventuale scelta di essere maschio "diverso" o "dissidente". Un privilegio che li rende comunque in qualche modo /strumento/ della violenza contro le donne. È necessario allora mettere in atto *pratiche concrete* di smarcamento dal maschile dominante, che di volta in volta, nelle varie situazioni pubbliche e private, nella vita di relazione come nelle pratiche politiche, spezzino la nostra potenziale complicità con esso.Non si tratta solo di non picchiare e non stuprare. La cultura machista che alimenta e sostiene la violenza contro le donne è fatta anche di tutta quella lunga serie di battutine, risate, commenti pesanti, luoghi comuni sulla sessualità che affollano le conversazioni. Allora si tratta, per esempio, di rifiutare la propria complicità, spezzare il "cameratismo" (o il quieto vivere) e non restare in silenzio
in queste situazioni. Parte di questa lotta è anche la produzione consapevole di maschilità non egemoniche - froce, butch, drag king... - che contribuiscano a denaturalizzare il binarismo dei sessi e dei generi, e con esso il
maschile e i suoi privilegi. La violenza contro le donne non può essere ridotta a una questione di ordine pubblico, e il compito di contrastarla non può essere semplicemente delegato a un impianto legislativo, ma deve essere il punto di partenza per ripensare il binarismo dei sessi e dei generi e tutte le dinamiche di potere che pesano sulle nostre vite //.
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lunedì 19 novembre 2012
Una testimonianza da Gaza
Da Le Mafalde l'email inviata ieri da Adriana, una compagna italiana attualmente a Gaza insieme ad altre/i cooperanti e internazionali, e che al suo messaggio allega anche un resoconto con immagini di una visita all'ospedale di Al Shifa, dove molti dei morti sono bambini/e. Con preghiera di diffusione: "Qui a Gaza si vive ancora una situazione molto tesa, i bombardamenti israeliani continuano incessantemente e stanotte non ci hanno fatto chiudere occhio. Stanno continuando a colpire su tutta la striscia e finora hanno compiuto più di seicento bombardamenti, un'operazione che sta terrorizzando l'intera popolazione di Gaza sotto assedio. Finora 29 persone sono state uccise, e più di 250 quelle ferite di cui 100 bambini e 30 casi gravi. Oggi le milizie palestinesi hanno colpito con un razzo un campo aperto fuori Gerusalemme, oltre ad aver già raggiunto Tel Aviv. Dalle otto di stasera gli israeliani hanno detto che avrebbero incrementato l'attacco ... lo stiamo sentendo. Ci attende un'altra notte di bombe e boati che risuonano intorno, droni ed F16 che ronzano con il loro carico di distruzione in cielo. I bombardamenti avvengono in prossimità e dentro aree densamente popolate mettendo a rischio la vita dei civili. Ogni bombardamento causa la vibrazione delle abitazioni, creando un effetto terremoto che scuote le case. Un'amica vive vicino a un campo di addestramento che stanotte hanno colpito ripetutamente. La sua casa è stata scossa così forte e il boato è stato cosi assordante che pensava stessero attaccando casa sua. Stamattina mi ha scritto: 'E' da stamattina che tremo e ho paura. Pensavo che ci sarebbe caduta la casa addosso verso le sei, non so cosa usino ma è terrificante'. Fa rabbia leggere le versione dei principali media e giornali, che enfatizzano i lanci di razzi senza raccontare del disastro umanitario di Gaza, dell'illegalità del blocco israeliano, e dei bombardamenti indiscriminati su una popolazione imprigionata. Stanno terrorizzando l'intera popolazione, per fare la loro campagna elettorale. Penso che la maggior parte della gente per 8-10 ore al giorno non ha elettricità nelle case (come da tre anni a questa parte) e molti la sera sentono gli aerei e gli attacchi stando nel buio delle loro case. Penso alla paura dei bambini (a Gaza il 50% della popolazione ha meno di 14 anni). Munir, un amico, mi ha raccontato che suo figlio di 3 anni grida spaventato per i botti e la bimba di 8 anni non vuole mangiare né bere niente. Vi giro anche un comunicato con le interviste raccolte ieri all'ospedale Al Shifa di Gaza City, con la preghiera di diffusione. Un abbraccio, Adriana
mercoledì 23 maggio 2012
Ryanair / Induzione al sessismo ad alta quota
Scenetta: coppia lui/lei con bambino al seguito in aeroporto si accingono a salire a bordo su un volo della Ryanair. Lei davanti, lui dietro con il bambino per mano. Quest'ultimo a metà scaletta urla: " Mamma non hai visto il cartello? Fermati altrimenti ci fanno la multa! I bambini devono salire dando la mano alla mamma non al papà ...". Mi chiedo: la Ryanair (e non solo) potrebbe essere denunciata per induzione al sessismo?
N.B : Ci scusiamo per la pessima qualità dell'immagine
mercoledì 9 maggio 2012
Donne, corpi, pubblicità
Domani, giovedì 10 maggio, presso la Casa Internazionale delle Donne (via della Lungara, 19 - Roma), presentazione del volume di Laura Corradi di cui vi avevamo già annunciato l'uscita, Specchio delle due brame, un'analisi socio-politica delle pubblicità tra genere, classe, razza, età ed eterosessismo. Per maggiori info sull'incontro rinviamo a Il paese delle donne, mentre una scheda del volume è consultabile sul sito della casa editrice Ediesse
domenica 25 settembre 2011
Orgasm Inc. e le mutilazioni genitali femminili in occidente
Orgasm Inc. è un documentario girato nel 2009, dopo quasi dieci anni di lavoro di ricerca, dalla regista Elizabeth Canner. Il film, che abbiamo visto nell'ultima edizione del Some Prefer Cake, mostra il "dietro le quinte" della corsa febbrile di alcune case farmaceutiche statunitensi per la messa a punto (ed immissione sul mercato) del primo farmaco per curare le cosiddette Fsd, disfunzioni sessuali femminili. La "scoperta" delle Fsd, vera e propria nuova "malattia femminile", è stata di fatto un'invenzione delle compagnie farmaceutiche, speranzose di piazzare sul mercato un prodotto capace di eguagliare le vendite strepitose di prodotti quali il notissimo Viagra (contro la scarsa "potenza" sessuale maschile). Orgasm Inc. documenta questa corsa senza scrupoli (i rischi per la salute delle donne di prodotti a base di testosterone ed estrogeni, tra l'altro inefficaci, sono continuamente omessi) e il sistematico tentativo delle compagnie farmaceutiche di trasformare in "malattia" ciò che invece è frutto di fattori molteplici, che non hanno nulla a che fare con il patologico (problematiche relazioni tra i generi, mancanza di educazione sessuale, eterosessualità obbligatoria ...). Il film documenta anche il martellamento mediatico che spinge molte donne occidentali, spesso consigliate dal proprio medico, a ricorrere sempre più massicciamente, ad operazioni chirurgiche, quali vaginoplastiche e interventi "estetici" (grandi labbra, clitoride ...), viste come mezzo per curare le proprie "disfunzioni" e accedere al "piacere" e alla "normalità". Vere e proprie mutilazioni genitali femminili. E dal documentario emerge anche un altro dato: l'occidente (a differenza di quanto vorrebbero farci credere certe retoriche razziste e sessiste) è l'unico luogo sulla faccia della terra dove il numero delle mutilazioni genitali femminili è in costante e rapido aumento ...
sabato 9 luglio 2011
Informazione di genere / Zeroviolenzadonne.it
Il sito Zeroviolenzadonne.it, che negli ultimi anni ha portato avanti un utilissimo progetto di informazione sulla questione di genere ("per dimostrare che la violenza sulle donne, i bambini e le bambine è una delle principali cause di disgregazione sociale"), rischia di chiudere e per scongiurare questa eventualità lancia una campagna di sostegno. Nonostante i tempi grami ci auguriamo che l'appello raggiunga il suo scopo e Zeroviolenzadonne (che tante volte ha anche ripreso cose pubblicate qui in Marginalia) possa continuare il suo lavoro di informazione, divulgazione e condivisione.
giovedì 7 aprile 2011
Cadaveri migranti al largo di Lampedusa e l'indegna farsa dell'accoglienza
Un'altra tragedia migrante: al largo di Lampedusa un barcone con oltre trecento migranti (uomini, donne, bambine/i), per la maggior parte somali ed eritrei in fuga dalla Libia, è affondato. Da quanto leggiamo su Fortress Europe, i superstiti sono solo poche decine. Su queste ennesime vittime della Fortezza Europa e l'indegna farsa dell'accoglienza all'italiana rinviamo all'editoriale di Liberazione di qualche giorno fa, I fili spinati della nostra mediocrità di Annamaria Rivera.
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giovedì 27 gennaio 2011
Simone De Beauvoir: come la società "fabbrica le donne"
Il video (dal titolo Le parole di Simone De Beauvoir), è un originale montaggio - con sottotitoli in italiano -, di alcuni frammenti tratti da film e materiali d'archivio (frammenti da On ne naît pas femme ... di Virginie Linhart del 2007, ma mi sembra anche dal film di Carole Roussopoulos, Des fleurs pour Simone De Beauvoir), realizzato recentemente da Collettiva Femminista, che ringraziamo.
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mercoledì 19 gennaio 2011
Barbie e libertà (ovvero: della tanto sbandierata libertà femminile in Occidente)
La foto è stata scattata qualche settimana fa ad una delle due vetrine di un negozio di giocattoli in una via centrale di una città medio grande del nord Italia. E' la vigilia della Befana, le due vetrine sono tirate a lucido e rigidamente "separatiste" (il separatismo è disdicevole solo quando lo praticano i gruppi di dominati), ovvero una vetrina per "maschi" (giochi d'azione, supereroi, macchinine e poi il piccolo scienziato, il piccolo dottore, il piccolo esploratore ...) e l'altra per le bambine, tutta rosa ovviamente. Sulla pila di pupazzetti, cucinine e lavatrici in miniatura, bambolette di tutti i tipi con guardaroba e attrezzi per il maquillage annessi, una Barbie fasciata in un abito di lamè con stampata la statua della libertà ... Chissà quanti adulti (magari "scandalizzati" dalle "orge" di Berlusconi & Co ... ) hanno regalato (o regaleranno) a povere bambine questa disgraziata summa della libertà femminile in occidente ...
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giovedì 9 dicembre 2010
Razzismi (e sessismi) natalizi / Black Peter
Girare per le vie commerciali di una qualsiasi città europea è, in questo inizio di periodo natalizio, un incubo (in realtà a nostro giudizio lo è sempre, ma durante le cosiddette "feste" lo è di più). Già questa massa informe di merci (che non si sa bene chi acquisterà/potrà acquistare), questo invito spudorato e volgare al consumo, è francamente rivoltante. Ma ancor di più lo sono i messaggi sessisti veicolati da vetrine e manifesti pubblicitari (in Italia certo, ma anche in altri paesi della "civilissima" Europa). Le donne ammiccanti sono la regola - vestite da renna, da Babbo Natale "sexy", addobbate e inghirlandate come un albero di Natale ... Per non parlare poi del solito scempio ai danni di bambini e bambine, giocattoli di un sessismo violento e abiti da "grandi", tutti oggetti finalizzati a istruire - fin dalla più tenera età - su cosa significa essere una "vera donna" o un "vero uomo". E non mancano (come potrebbero mancare?) gli elementi profondamente razzisti. La foto che illustra questo post è stata scattata dalla sottoscritta qualche giorno fa a Maastricht, in Olanda. Città che certo tutti/e conoscerete, per via del famoso trattato. Probabilmente però ai/alle più è ignota la "tradizione" di Zwarte Piet, il "pupazzetto" immortalato nella foto . Almeno chi scrive l'ignorava, nonostante tre precedenti viaggi in Olanda - a Amsterdam, Rotterdam e una landa dal nome oramai dimenticato - viaggi fatti però non nel gelo di dicembre. Particolare non trascurabile. Zwarte Piet (Black Peter in inglese), è infatti una "tradizione" olandese (e in misura minore anche belga) prettamente natalizia: è in questo periodo che la sua sagoma fa capolino, come "decorazione di Natale", nella maggioranza delle vetrine, in mille fogge diverse, grandezze, materiali (abbiamo "collezionato" un discreto numero di fotografie). La ritroviamo sotto forma di biglietti d'auguri, cioccolatini, dolci, pupazzetti da appendere all'albero, carta da regalo (quest'ultima vista in un grande magazzino nei pressi di Vrijthof - avremmo voluto, l'ultima giorno di permanenza, acquistarne un rotolo per la nostra collezione di memorabilia postcoloniali, ma non avevamo calcolato che da quelle parti i negozi sono gesloten alle sei del pomeriggio). Dopo aver letto svariati materiali qui e la e chiacchierato con un buon numero di persone, ci sembra che l'origine di Zwarte Piet non sia certissima (comunque per chi avesse voglia e tempo di approfondire trovate un'ampia raccolta di link e bibliografia correlata nel blog Zwarte Piet / Black Peter and Racism Links). Un diavolo, un "Moro" o uno schiavo affrancato, proveniente dalla Spagna o forse da Venezia, talvolta descritto come aiutante altre volte come servo (o schiavo) di SinterKlass/San Nicola. Certo è invece che il cinque dicembre di ogni anno - giorno dell'arrivo di SinterKlass in Olanda - ci sono delle vere e proprie sfilate, dove i personaggi principali sono Sinterklass (impersonato, sembra, sempre da un uomo) e vari Zwarte Piet (che possono essere impersonati anche da donne ...). Quest'ultimo è un/una "bianco/a" con il volto dipinto di nero e i labbroni rossi (qui trovate alcune immagini eloquenti). Sembra che spesso Zwarte Piet parli in maniera da "imitare" quello che dovrebbe essere un olandese con forte accento del Suriname (en passant ricordiamo che il Suriname è una delle ex-colonie olandesi, divenuta indipendente solo nel 1975). Ed è proprio a partire dagli anni 70, con l'arrivo in Olanda di ex-colonizzati/e, che sono cominciate ad emergere critiche all'immaginario profondamente razzista e coloniale che Zwarte Piet veicola, critiche che hanno portato a forme di protesta (molti migranti si rifiutano di mandare i/le figli/e a scuola il giorno della festa di Sinterklass) e a ciclici dibattiti. Questi non sono però riusciti ad intaccare sensibilmente la "tradizione", difesa strenuamente dalla maggioranza degli olandesi ma anche da alcuni storici che affermano che Zwarte Piet è semplicemente la variante di un'antica figura del diavolo, figura che non ha nulla a che fare con il razzismo e il colonialismo del XIX secolo. Queste spiegazioni ignorano le stratificazioni storiche, razziste e coloniali che la figura originaria ha subito e che rendono difficile guardare oggi a questa figura in maniera a-problematica. Per molti/e - soprattutto per gli ex- colonizzati che in Olanda subiscono tutto il peso di questa "tradizione", ad esempio quando vengono indicati per strada dai/dalle bambini come Zwarte Piet - questa versione razzializzata della figura originaria (oggi a tutti gli effetti una "caricatura del nero" che non è priva di conseguenze sui rapporti di dominio tra ex-colonizzatori/ex-colonizzati) andrebbe decisamente abolita. E noi siamo d'accordo.
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Grazie a Chiara Bonfiglioli per il supporto a questa mia (insana) passione per memoriabilia post-coloniali
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Grazie a Chiara Bonfiglioli per il supporto a questa mia (insana) passione per memoriabilia post-coloniali
sabato 9 ottobre 2010
Sarah e le pari opportunità

Mentre oggi si terranno i funerali di Sarah Scazzi (la ragazzina di 15 anni strangolata e poi violentata dallo zio, il cui cadavere è stato ritrovato solo dopo più di un mese in un pozzo, ricoperto di pietre), ancora nessuna dichiarazione della ministra delle Pari Opportunità Mara Carfagna. Eppure, neanche una settimana fa, poche ore dopo la notizia dell' omicidio della migrante di origini pakistane Begm Shnez da parte del marito, aveva annunciato di volersi costituire parte civile al processo contro quest'ultimo. Notizia riportata con grande enfasi dai maggiori organi d'informazione. Sono questi i "privilegi" di cui godono i/le migranti nel nostro paese.
_________________L'immagine è un'opera dell'artista Jenny Holzer, qui in Marginalia via Gli occhi di Blimunda.
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martedì 5 ottobre 2010
Matrimoni combinati tra sessismo e razzismo
Relegato generalmente in scarni trafiletti, il quotidiano bollettino di guerra di femminicidi e varie violenze che si consumano in Italia ai danni di donne e bambine, scatena l'attenzione dei media e i commenti del politico di turno, quando la nazionalità dell'omicida e/o stupratore si presta ad essere usata strumentalmente per legittimare la politica securitaria e xenofoba che oramai caratterizza questo paese. Nonostante la nostra scarsa propensione alla "cronaca" abbiamo denunciato tante (troppe) volte questo meccanismo negli ultimi anni (e per non crivellare queste poche righe di link rinviamo agli articoli correlati in coda), e non avremmo voluto scrivere dell'ennesimo omicidio di una donna, presto immortalata sull'altare del sistema sessismo / razzismo. Lei, come si legge in svariati quotidiani, si chiamava Begm Shnez, quarantasei anni, pakistana, viveva a Modena. E' stata uccisa a sassate dal marito, Hamad Khan Butt, mentre difendeva la figlia ventenne - presa a sprangate dal fratello - che non voleva cedere al ditakt paterno del "matrimonio combinato". Abbiamo letto ieri con sgomento un articolo di Giuliana Sgrena su questa vicenda, articolo pubblicato su il manifesto, nella sua rubrica La maschera dell'islamismo. Perché collegare questo orrendo femminicidio (frutto come tantissimi altri della violenta autorità paterna/patriarcale) a l'Islam (o con la sua versione "islamista") quando in realtà la pratica dei "matrimoni combinati" è frutto di un retaggio culturale (violentemente riattivato dal processo di sradicamento migratorio) non immediatamente riconducibile ad una religione o un'altra? Perché "etnicizzarlo" collegandolo agli omicidi di Hina Saleem e Sanaa Dafani (e solo a quelli)? Perché scrivere che anche il suicidio avvenuto qualche settimana fa in provincia di Cremona di una ragazza di origini indiane era dovuto al timore di un "matrimonio combinato", quando invece sembra che quello che questa ragazza temeva era di essere espulsa grazie alla Bossi-Fini perché senza lavoro? E perché infine la ministra delle cosiddette Pari Opportunità, Mara Carfagna, chiede di costituirsi parte civile nel processo contro Hamad Khan Butt mentre è restata muta in tante altre occasioni, quando i massacratori erano uomini di nazionalità italiana, magari mariti di donne che il "matrimonio per amore" non ha ugualmente risparmiato?
(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Hina Saleem e la religione dei padri
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Ricordando Hina Saleem. E le altre
L'uomo bianco stupra, lo stato bianco assolve
Economia politică a violului
Interruzioni involontarie di gravidanza
Economia politica dello stupro
No Trespassing
Sessismo e razzismo: informazione e deformazione
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venerdì 9 aprile 2010
Prima le donne e i bambini (con riserva)

Ecco che, fingendo di applicare in modo neutrale la legge, il comune commissariato di Bologna decide senza troppi complimenti che a pagare i costi della crisi sono, per primi, i bambini e le donne migranti. Da oggi i figli di migranti irregolari rischiano di non avere più accesso agli stessi diritti degli altri bambini, e così uno dei fiori all’occhiello del welfare emiliano, gli asili nido, diventa privilegio di alcuni, mentre altri dovranno portare sin dall’infanzia il marchio della clandestinità. Alla faccia dei diritti dell’infanzia. D’altra parte, da tempo il fiore all’occhiello è appassito: che gli asili siano un privilegio di pochi non è certo una novità. Per prime se ne sono accorte quelle donne, migranti e non, costrette a lasciare il lavoro in mancanza di servizi per l’infanzia adeguati a sostenerle, o che pagano con il loro salario il salario di una donna migrante perché posti negli asili non ce ne sono abbastanza. Non si tratta solo di Bologna: abbiamo già sentito di bambini lasciati senza cibo perché i genitori non possono pagare la retta, oppure senza sedie e banchi perché gli asili non hanno soldi. Nella crisi, a pagare sono per primi i figli di chi la crisi la subisce: cassintegrati, licenziati, madri sole, precari, italiani, migranti, regolari e irregolari. Mentre i diritti sono una merce per chi li può comprare, escludere i figli dei migranti irregolari si rivela un utile diversivo: facciamo fuori loro, intanto, mentre nel silenzio facciamo fuori tutti. Ai genitori italiani si vende l’illusione che, escludendo i migranti, i loro figli saranno tutelati, così come ai lavoratori italiani si vende l’illusione che, espellendo i migranti, il loro lavoro sarà salvaguardato.Questa vicenda, nella sua gravità, mostra di nuovo che il razzismo istituzionale sancito dalla Bossi-Fini e dal pacchetto sicurezza e reso ogni giorno operativo da una miriade di provvedimenti amministrativi è una delle risposte principali alla crisi. E la crisi non è passata, ma colpisce migliaia di uomini e donne che si misurano con licenziamenti, cassa integrazione, sfratti. Chi perde il lavoro perde il permesso di soggiorno, i permessi di chi ancora riesce a rinnovare giacciono per mesi negli uffici stranieri della questura, e chi è in attesa di rinnovo perde ogni possibilità di trovare un lavoro che è già difficile avere. A monte la legge Bossi-Fini condanna alla clandestinità; a valle, il comune di Bologna ne approfitta per risparmiare qualche soldo sulla pelle dei bambini e delle donne.Sia chiaro: che il comune di Bologna sia commissariato non può servire da alibi. Non ci interessano le condanne di facciata, e non accettiamo che si invochi la legalità quando persino la Prefettura di Torino ha dato della legge un’interpretazione estensiva, considerando gli asili alla pari della scuola dell’obbligo ed escludendoli così dall’applicazione del pacchetto sicurezza. Perciò vigileremo affinché le forze politiche che oggi condannano il commissario non permettano, nei comuni nei quali governano, alcuna distinzione nell’accesso agli asili. Perciò dopo gli scioperi del lavoro migrante e le grandi manifestazioni che li hanno sostenuti il 1° marzo, non solo a Bologna, torneremo ancora in piazza. Il 18 aprile a Castel Maggiore e il 16 maggio a Bologna i migranti prenderanno ancora parola contro ogni forma di razzismo istituzionale, per il congelamento dei permessi, il blocco immediato delle espulsioni, una regolarizzazione slegata dal lavoro e dal salario.
Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
Alcuni articoli correlati in Marginalia:
La straniera a Casa di Khaoula
Nell'Italia postcoloniale clandestini si nasce (e razzisti si diventa)
Piccoli razzisti crescono
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Scuola e quartiere senza frontiere
La foto (del periodo segregazionista negli Stati Uniti) è presa da qui. Ringrazio Chiara Bonfiglioli per la segnalazione
lunedì 21 dicembre 2009
Giocattoli non sessisti: consigli per gli acquisti

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L'immagine è la copertina di Gioca Jouer. Guida pratica per salvarti dai giochi sessisti, guida che potete scaricare in pdf QUI (ottima idea per regalo utile e a basso costo)
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sabato 5 dicembre 2009
Sopra i Ponti, un'associazione e un sito anche per continuare a ricordare Mohamed Saif
Sopra i Ponti è un'associazione nata nel 1995 a Bologna per volontà di un gruppo di cittadini/e migranti, in prevalenza marocchini/e e abitanti del quartiere Navile.I primi anni sono stati caratterizzati da attività volte all'integrazione dei/delle migranti, in particolare marocchini/e, al problema della casa e allo scambio culturale. Nel tempo le iniziative di "accompagnamento sociale" si sono qualificate e l'associazione si è dedicata alla promozione dell'intercultura e della conoscenza della cultura araba, nelle attività educative a favore di bambini e bambine di seconda generazione e nella cooperazione allo sviluppo in partnership con alcune comunità rurali del sud del Marocco. Ora Sopra i Ponti ha anche un sito, e non è casuale (il caso non lo è mai) che ne parlo proprio oggi, dopo aver letto dell'omicidio di un giovane di origine senegalese, Ibrahim M'bodi, per mano del suo datore di lavoro. Perché Sopra i Ponti nasce in un Centro di Prima Accoglienza Comunale per lavoratori stranieri ribattezzato Mohamed Saif, in ricordo della morte di un altro lavoratore migrante, un giovane operaio metalmeccanico, immigrato dall'entroterra di Casablanca, residente nel centro di accoglienza e che fu ucciso nel 1991 a 25 anni, da due compagni di lavoro, a causa di un tragico e volgare "scherzo" da essi messo in atto nello spogliatoio della fabbrica. E fu per volontà di alcuni dei fondatori di Sopra i Ponti che il centro di accoglienza, prima chiamato "Arcoveggio" per la sua collocazione urbana, nel 1996 venne intestato a quello che nel sito viene definito "sfortunato martire dell'immigrazione", uno dei primi in Italia. Il centro di accoglienza, un insieme di prefabbricati in lamiera in un angolo di periferia, è stato smantellato dal comune nel 2003 dopo 14 anni di precaria esistenza. Con esso è stata cancellata ogni traccia sul territorio cittadino del giovane metalmeccanico ucciso dal nonnismo. Ma Sopra i Ponti continua a ricordarlo, anche con occasioni di incontro, condivisione e conoscenza reciproca come quella che si terrà domani, La pace a tavola, in occasione della ricorrenza islamica dell'Aid al adha.
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