A più di tre anni dalla morte, arriva la sentenza della Cassazione sull'omicidio di Hina Saleem, sentenza che - respingendo la richiesta di diminuzione della pena avanzata dalla difesa dell'omicida per "motivi culturali e religiosi" - afferma che Hina è stata uccisa dal padre non per "ragioni o consuetudini religiose o culturali" ma per un "patologico e distorto rapporto di possesso parentale", che lo rendeva incapace di accettare la richiesta di autonomia e libertà della figlia. Una sentenza che non piace (ovviamente) a chi a suo tempo strumentalizzò l'omicidio di Hina per stigmatizzare tutta la comunità pakistana, tutti i migranti, tutti i musulmani. E parla oggi di "sentenza choc": "per i giudici dunque non conta che la ragazza sia stata sgozzata, proprio come nei video degli integralisti islamici in Irak. E non conta nemmeno che il padre l’abbia sepolta con la testa rivolta verso la Mecca", si può leggere su un noto quotidiano, specializzato nel fomentare il cosiddetto "scontro di civiltà" (nel quale non è prevista la messa in discussione della religione dei padri-padroni)
L'immagine è un'opera di Mona Hatoum.
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2 commenti:
una sentenza etica (al di là del fatto che ogni religione è strumentalizzabile!)
Certo, tutte le religioni possono essere strumentalizzate ma in questo caso si prese a pretesto la religione dell'omicida (musulmano) per stigamtizzare un'intera comunità. Razzisti di ogni risma dopo aver agitato per anni la morte atroce di Hina come spettro contro,dopo questa sentenza non possono che urlare allo scandalo e attaccare i giudici. Giudici che hanno sancito con la sentenza quello che in tante dicevamo da tempo e cioè che l'omicidio di Hina è un delitto maturato in "famiglia" e compiuto da un padre che non ne accettava la sacrosanta voglia di libertà
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