lunedì 31 ottobre 2011

Anarchiche, crocerossine, madri italiane e donne arabe. Figure femminili durante la prima guerra coloniale libica

In attesa che sia online la registrazione audio/video (a cura di XM24, che ringraziamo insieme a tutto il Comitato pro-Masetti), della giornata di studi di ieri su Augusto Masetti e l'invasione coloniale della Libia (di cui presto usciranno anche gli atti), pubblichiamo l'abstract del nostro intervento "Anarchiche, crocerossine, madri italiane e donne arabe. Figure femminili durante la prima guerra coloniale libica" : Negli ultimi anni numerose ricerche sul nazionalismo e l'imperialismo hanno messo in luce come metafore e rappresentazioni sessiste della cosiddetta "differenza dei sessi" siano non solo alla base della costituzione stessa dell'idea di "nazione" (all'interno della quale ri-definiscono gerarchie sociali e sessuali) ma anche strettamente connesse alle ideologie e alle pratiche razziste del dominio coloniale. Per il contesto italiano gli anni a cavallo della guerra italo-turca e della successiva invasione di Tripolitania e Cirenaica, rappresentano in questo senso un momento cruciale . Da una parte, infatti, è in questo periodo che si consolida la costruzione di una certo modello di femminilità (la "donna italiana" come "madre eroica" ), processo che già si era avviato nel periodo che va dalla proclamazione dell'Unità d'Italia alla sconfitta di Adua per arrivare alle soglie dell' "impresa tripolina". Dall'altra, lungo precisi assi di differenziazione e gerarchie di "razza", genere e classe, la costruzione di questa "donna nuova" si definisce anche in opposizione e in stretta relazione con le coeve rappresentazioni di altre figure femminili delineate come modelli negativi: dalle oppositrici alla guerra coloniale (anarchiche e antimilitariste in primis) che con il loro comportamento offendevano la "fierezza delle madri", alle "donne arabe", figure ambivalenti sospese continuamente tra fascinazione e ripulsa, ma delle quali sarà spesso sottolineato, in specie sulla grande stampa favorevole all'"impresa", la mancanza della più importante (o forse unica) delle muliebri virtù, l'abnegazione materna (Vincenza Perilli).

giovedì 27 ottobre 2011

Giornata di studi sull'anarchico Augusto Masetti e l'invasione coloniale della Libia


Domenica 30 0ttobre, presso la Sala del Baraccano (via S. Stefano,119 - Bologna), si terrà la giornata di studi, che vi avevamo già preannunciato, dedicata all'anarchico Augusto Masetti e l'invasione coloniale della Libia del 1911. Come noto, il 30 0ttobre 1911, Augusto Masetti manifestò il suo rifiuto di partecipare alla guerra contro la Turchia e all’invasione della Libia, sparando contro un ufficiale nella caserma Cialdini a Bologna. Il tentativo da parte delle autorità militari e politiche fu di depotenziare e neutralizzare l’accaduto, trasformandolo da gesto di rivolta politica ed esistenziale a semplice manifestazione di disturbi mentali e psichici, condannando così Masetti a lunghi anni di detenzione nei manicomi criminali. Nel centenario degli avvenimenti, vorremmo rievocare questo episodio senza nessun intento celebrativo, ma, a partire dall’ approfondimento della sua vicenda, cercare di capire le ragioni e le modalità della guerra coloniale e le condizioni per un suo rifiuto. Per il programma dettagliato della giornata rinviamo al sito del Circolo Anarchico Berneri

martedì 25 ottobre 2011

Cartografie della differenza. Storie di donne a Sud

Grazie a Sud De-Genere per averci segnalato Cartografie della differenza. Storie di donne da Sud, una videonarrazione, parte di un più ampio progetto, dell'associazione Nata di Donna, che si prefigge di focalizzare l’attenzione, e dare rilevanza sociale e culturale, ai percorsi di vita originali delle donne migranti e alle possibili e positive relazioni che si stabiliscono tra donne immigrate e donne native italiane,nello specifico della realtà calabrese. Curato da Doriana Righini e Lucrezia Scordamaglia, Cartografie della differenza raccoglie i racconti di Oleksandra Pasyeka, Laura Gentile, Om Kaltoum Bakkali, Fatima Zahra Mrhili e Naima Azri. Nel sito di Nata di Donna potete vederne un denso pezzettino, buona visione/riflessione.

Alcuni articoli correlati in Marginalia:

Noi/altre: sguardi incrociati su razzismo, sessismo e privilegio
Voci di donne native e migranti
Sessismo e razzismo nel mercato del lavoro. Biblio-video-sitografia minima

domenica 23 ottobre 2011

La memoria rimossa del colonialismo italiano in Libia

Mentre nel web (come nelle televisioni e nei giornali di mezzo mondo) continuano ad impazzare le immagini di Muammar Gheddafi morto, noi facciamo un piccolo passo indietro temporale. Solo qualche settimana fa in Libia, e precisamente a Tripoli, era stato celebrato in pompa magna dal presidente del Cnt Mustafa Abdel Jalil e dal "nostro" ministro della difesa, Ignazio La Russa, il centenario dell'aggressione coloniale in Libia , evento passato in Italia nel quasi assoluto silenzio (perlomeno nei media mainstream). Ma il tipo di "memoria" emersa da questa celebrazione, è una memoria distorta, edulcorata, che ripropone il mito di un "colonialismo buono", costruttore di palazzi, acquedotti e strade. Per una cronaca della giornata, che può offrire spunti di riflessione, rinviamo  ad un articolo di Manlio Dinucci pubblicato in origine da il manifesto, e che noi riprendiamo dal sito Voce Proletaria: La memoria rimossa del colonialismo italiano in Libia.

"Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi ..."

"Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi ...": comincia così il messaggio che Mauro Raspanti, del Centro Furio Jesi, ha inviato - a qualche ora dal diffondersi della notizia della morte di Muamar Gheddafi -, al piccolo gruppo di discussione nato intorno all'organizzazione della giornata di studi Augusto Masetti e l'invasione della Libia. Con il consenso dell'autore e condividendolo fino in fondo lo ri-pubblichiamo qui: "Ho visto le foto del corpo morto di Gheddafi mentre stavo guardando le copertine della Domenica del Corriere. «Nuovi mezzi offensivi di guerra: effetti delle bombe lanciate da un aviatore militare italiano sul campo nemico di Tripoli» (12-19 novembre 1911), «Lo sgombero dell'oasi di Tripoli: la fuga di oltre sessantamila abitanti davanti all'avanzare dei nostri soldati» (24-31 dicembre 1911), «Insidiosa rivolta degli arabi a Tripoli: fucilazione dei traditori che prima avevano accettato soccorsi dagl'italiani» (5-12 novembre 1911). Stessi deserti, ancora cadaveri in nome della libertà, della democrazia, della civiltà, del 1911. Un grazie a Masetti e a tutti gli antimilitaristi di ieri e di oggi che non smettono di lottare contro l'ipocrisia e la ferocia dell'imperialismo e delle sue guerre e mi fanno sentire meno solo, Mauro Raspanti".

venerdì 21 ottobre 2011

Omar al-Mukhtar: la cattura, il processo, l'esecuzione

La mostra fotografica Omar al Mukhtar. La cattura, il processo, l'esecuzione è visitabile fino al 28 ottobre presso la Biblioteca di Studi Politici di via Chiabrera a Roma. Per info più dettagliate rinviamo al sito dell'Università di Roma Tre

Alcuni articoli correlati e materiali di approfondimento:

Angelo Del Boca, Omar al Mukhtar, credente e stratega
Marginalia, Muammar Gheddafi e Il leone del deserto
Museo virtuale delle intolleranze e degli stermini, Atti del processo a Omar al Mukhtar
Marginalia, Dal leone del deserto Omar al Mukhtar al "colonnello" Muammar Gheddafi
Enrica Capussotti, European colonial memory on sell: Italian-Libyan agreements and the rejection of migrants
Vincenza Perilli, Miti e smemoratezze del passato coloniale italiano

giovedì 20 ottobre 2011

lunedì 17 ottobre 2011

Una manifestazione a Parigi a cinquant'anni dal massacro del 17 ottobre 1961

Lo scorso anno, ricordando il massacro avvenuto a Parigi il 17 ottobre del 1961 (quando una manifestazione per l'indipendenza dell'Algeria venne violentemente repressa dalla polizia diretta all'epoca dal famigerato Papon), scrivevamo che quei fatti sono ancora sospesi tra storia ed oblio, ed ancora capaci di suscitare aspri e dolorosi conflitti come quello denunciato nel documento Nous ne voulons pas d'un féminisme de l'oubli et des parenthèses mais d'un féminisme combattant l'ensemble des oppression, che per Marginalia avevamo tradotto. Oggi, nel cinquantenario di quegli avvenimenti, una manifestazione è indetta a Parigi, per chiedere (come si legge in un documento di Lutte Ouvriere tradotto da Lia Anita Di Peri Silviano, che ringraziamo) che "le più alte autorità della Repubblica riconoscano il massacro commesso dalla polizia parigina il 17 ottobre del 1961 e nei giorni seguenti, come crimine di Stato".

giovedì 13 ottobre 2011

Black Power : i pugni alzati di Tommie Smith e John Carlos


Ottobre 1968: Tommie Smith e John Carlos con i pugni alzati sul podio olimpico di Città del Messico. La foto è, mi sembra, molto celebre, ma forse non tutte/i ne conoscono la storia. Riprendiamo dunque un articolo dal sito InStoria, Tommie Smith. Un nero con il pugno alzato, che di questo avvenimento fa una breve ma insieme ricca sintesi. Pur se forse troppo centrato sul "mito" Tommie Smith, comunque offre elementi invogliando a letture e approfondimenti: "Appena la bandiera a stelle e strisce cominciò a oscillare nel vento di quell’estate messicana, Tommie Smith e John Carlos rimasero in piedi sul podio, con le loro medaglie al petto (per la cronaca, una era fatta d’oro e una di bronzo); abbassarono la testa e alzarono un pugno. Il destro Smith, il sinistro Carlos. Pugni evidenziati dai loro guanti di cuoio nero.Thomas Smith, meglio conosciuto come Tommie, era nato il 5 giugno del 1944, settimo di dodici figli. Da piccolo, dopo essersi salvato da un terribile attacco di polmonite, lavorò nei campi di cotone; ma presto, visto che il ragazzo era determinato e amava lo studio, si iscrisse all’università, dove ottenne due lauree. Oltre a ciò, visto che il ragazzo era determinato e amava correre... si portò a casa tredici record universitari nell’atletica leggera.Iniziò così la storia di uno dei più grandi sprinter dell’atletica leggera, Tommie Smith, tra i più forti di sempre nei 200 metri, specialità con cui trionfò nelle olimpiadi di Mexico City, nel 1968, con il tempo record di 19.83 secondi. Ma a questo punto, poco dopo il record, la storia di Tommie esce dai confini dell'attività sportiva.La sua premiazione divenne uno dei più grandi simboli per immagini di tutto il XX secolo, e si trattò senza dubbio della cerimonia di medaglia più popolare di tutti i tempi, nonché di un momento fondamentale per movimento di diritti civili. Ad accompagnare Tommie Smith nella Storia, il suo collega e amico John Carlos, medaglia di bronzo nella stessa gara.Smith disse più tardi a chi lo intervistò che il suo pugno destro, dritto nell’aria, rappresentava il potere nero in America, mentre il pugno sinistro di Carlos rappresentava l’unità dell’America nera. Con i loro pugni alzati, lì sul podio olimpico, Tommie Smith e John Carlos comunicarono al mondo intero la loro solidarietà con il movimento del black power, che in quegli anni lottava aspramente per i diritti dei neri negli Stati Uniti. In maniera non violenta i due stavano attuando quella disobbedienza civile che era stata auspicata da Martin Luther King, morto poco prima delle Olimpiadi. I loro occhi rivolti verso il basso (e non verso la bandiera americana), insieme al loro pugni foderati di cuoio nero, suscitarono enorme scalpore e polemiche.Un gesto silenzioso che scavò dentro molte coscienze. Questo gesto di portata mondiale spinse Tommie Smith nella ribalta come portavoce dei diritti umani, attivista, e simbolo dell'orgoglio afro-americano, a casa e all'estero. Nel frattempo Smith ha vissuto anche una discreta carriera come allenatore, educatore e direttore sportivo... Ma torniamo a quelle olimpiadi del '68. Il movimento dei diritti civili non aveva fatto molta strada nel tentativo di eliminare le ingiustizie subite dai neri d’America, e per attirare l'attenzione pubblica sulla questione, verso la fine del 1967, alcuni atleti neri avevano dato vita all’Olympic Project for Human Rights, OPHR, con il fine di organizzare un boicottaggio delle olimpiadi che si sarebbero tenute l’anno seguente a Città del Messico. Il leader del progetto era il dottor Harry Edwards. Edwards, pur appoggiato da Smith e da altri, non riuscì però a convincere gli atleti neri della nazionale olimpica a partecipare al boicottaggio. I due atleti sfruttarono quindi il palcoscenico offerto dalla premiazione per rovinare la festa ai connazionali e al mondo. Almeno un po'. Anche il terzo atleta, quello bianco con la medaglia d’argento, prese a suo modo parte all’evento: portava infatti sul petto un piccolo distintivo dove c’era scritto OPHR.La provocazione era completa. Il nome di quell’atleta è Pietro Norman, la nazionalità australiana. Un temporale di oltraggi fu quello che investì i ribelli Tommie e John: per vilipendio alla bandiera e ai Giochi Olimpici furono espulsi dalla squadra nazionale e addirittura banditi dal villaggio olimpico. Ma la loro leggenda era già iniziata, visceralmente legata, come molti fatti del '900, a un'immagine... una fotografia.

martedì 11 ottobre 2011

lunedì 10 ottobre 2011

Il burqa e le pseudo-femministe

Dichiarazione di Suad Sbai, deputata del Pdl, a proposito dell'imminente arrivo in Aula, anche in Italia, della cosiddetta legge "anti-burqa": "In Europa la salvezza delle donne sarà il diritto e non le pseudo-femministe: spero che la Camera dimostri coraggio nell’approvarlo e nel liberare tutte queste donne da un fardello insopportabile”. Pseudo-femministe del mondo intero uniamoci ...

(Alcuni) articoli correlati:

Burqa burqa delle mie brame chi è la più fashion del reame?
In nome del burqa: cronache di ordinario razzismo e sessismo
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Il burqa nel cervello ...
Il fondamentalismo del pelo superfluo
Violenza sulle donne migranti e razzismo
Veli svelati. Soggettività del velo islamico

venerdì 7 ottobre 2011

Solidarietà e rabbia per l'aggressione di Suad Omar

Riceviamo e pubblichiamo un comunicato a proposito dell'aggressione razzista e sessista ai danni di Suad Omar avvenuta la scorsa settimana a Torino: "Con queste righe vogliamo stringere in un abbraccio Suad Omar che nel pomeriggio di venerdì scorso è stata aggredita prima verbalmente e poi fisicamente mentre viaggiava sul 63 e esprimere la nostra rabbia per l’ennesimo episodio di violenza sessista e razzista a Torino. Perché tanto accanimento? L’aggressore irritato che non gli venisse ceduto il posto accanto alle porte dell’autobus in nome del proprio privilegio di uomo bianco, deve aver ritenuto insostenibile il fatto che una donna aggredita, invece di abbassare lo sguardo e farsi da parte abbia risposto e si sia difesa. Alla violenza subita, si sovrappone quella istituzionale. E’ una strana politica quella dei regolamenti del Gtt che prevedono l’apertura o la chiusura delle porte di autobus e tram a seconda della supposta nazionalità o provenienza di chi li frequenta. Non è raro per chi viaggia sui trasporti pubblici torinesi assistere alla chiusura immediata delle porte per fronteggiare la ‘pericolosa’ fuga di un supposto migrante sorpreso senza biglietto, ma quando una cittadina italo-somala supposta ‘migrante’ viene insultata e picchiata le porte magicamente si aprono permettendo all’aggressore di dileguarsi. Altrettanto inquietante è stato l’intervento dei carabinieri chiamati sul posto che invece di preoccuparsi della salute di una donna aggredita hanno pensato che fosse più urgente verificare i documenti, perché senza, si sa, si è un po’ meno umane. La logica che presiede a queste scelte è una logica razzista, radicata non solo nella cultura diffusa, ma nelle stesse procedure istituzionali. Il pomeriggio successivo altre forze dell’ordine hanno caricato il presidio di chi sotto il Centro di identificazione e di espulsione di Corso Brunelleschi da tanto tempo chiede la chiusura di questa struttura in cui donne e uomini vengono privati della loro libertà e dei loro diritti per il semplice fatto di arrivare da fuori dalla Fortezza Europa e denuncia le violenze che si esercitano al loro interno. Il legame tra questi due episodi mette le radici in una cultura dell’esclusione e della violenza che, in nome della sicurezza, non tollera né il rispetto dei diritti individuali né il dissenso. Noi non ci sentiamo affatto sicure e saremo al fianco di Suad che abbiamo conosciuto nei luoghi delle donne, del movimento antirazzista, tra le strade di San Salvario, negli spazi di una cultura dal basso inclusiva e aperta verso il mondo.Vigileremo con tutti gli strumenti a nostra disposizione affinché vengano visionati i filmati delle telecamere di sorveglianza presenti sull'autobus e identificato l’aggressore. Chiediamo ai responsabili di questa città, alle forze dell’ordine, al Gtt di garantire l’incolumità di ogni donna, di ogni uomo, e di predisporre modalità di intervento per fronteggiare gli episodi di aggressione contro le donne straniere verso le quali è più cruenta e impunita la violenza sessista che si respira nei luoghi pubblici e per le strade della nostra città. Dietro alla denuncia di Suad ci sono moltissime altre donne, più ricattabili perché senza documenti o con il permesso di soggiorno, che subiscono quotidianamente in silenzio minacce, molestie, insulti e discriminazioni, per timore di perdere il lavoro, la casa, l’accesso ai servizi. Invitiamo tutte e tutti alla mobilitazione, questa violenza ci riguarda, non staremo zitte! Vesna Scepanovic, Roberta Valetti, Liliana Ellena, Eleonora Missana, Susi Monzali, Associazione Villa5-Arte per le donne, Almateatro".

Per adesioni e contatti:

Liliana Ellena liellena@libero.it
Vesna Scepanovic miavesna@gmail.com
Roberta Valetti robertavaletti@gmail.com

The Black Power Mixtape 1967-1975

Kathleen Cleaver in una foto tratta dal film documentario The Black Power Mixtape diretto da Göran Olsson e premiato al Sundance Film Festival 2011. Con lei, tra le/gli altre/i, Danny Glover, Harry Belafonte, Erykah Badu, Ahmir-Khalib Thompson, Talib Kweli, Angela Davis, Bobby Seale, Stokely Carmichael

mercoledì 5 ottobre 2011

Con Houria Bouteldja, accusata di "ingiurie razziali"

Houria Bouteldja, portavoce de Les Indigènes de la République e figura centrale delle Blédardes, autrici del notorio Appel des féministes indigènes, e della quale avevamo pubblicato la traduzione di Le féminisme est-il universel?, è stata denunciata per "razzismo anti-bianchi" da un gruppuscolo di estrema destra, l'Agrif (Alleanza generale contro il razzismo e per il rispetto dell'identità francese e cristiana). L'Agrif contesta a Bouteldja l'uso, durante una trasmissione televisiva nel 2007, del neologismo "souchiens", una sorta di "ritorsione" contro i propositi razzisti di coloro che si definiscono "francesi di souche" (di origine, stirpe, generazione ...). Convocata davanti al procuratore il 6 maggio scorso, Houria Bouteldja sarà presto, in data ancora da fissare, sottoposta a processo. Nella petizione Solidarité avec Houria Bouteldja: une accusation "qui nous insulte tous", petizione già firmata, tra gli altri, da Etienne Balibar e Christine Delphy, si sottolinea come il fatto che "siano proprio coloro che esercitano le peggiori violenze contro le minoranze a presentarsi come coraggiosi difensori dei francesi [bianchi, di souche] insultati, non è un fatto isolato, ma il segno di una deriva inquietante".

Suad Omar: della necessità di opporsi al razzismo e al sessismo machista in Italia

Suad Omar, cittadina italo-somala, mediatrice culturale, scrittrice, da molte e molti conosciuta e apprezzata per il suo impegno ventennale nella vita culturale, sociale e politica di Torino ( e non solo), ha subito venerdì scorso una vile e vergognosa aggressione razzista e machista su di un autobus della città sabauda da parte di un uomo italiano . In un'intervista rilasciata al Tg regionale Suad racconta anche dell'indifferenza di coloro che hanno assistito alla scena: se ad essere aggredita, magari  da un uomo africano, fosse stata una donna italiana, le reazioni sarebbero state le stesse? Di questa vicenda si parlerà venerdì mattina su RadioBlackout (105.250 FM e in streaming su RadioBlackout), dove Suad racconterà la sua storia. A lei, della quale ancora ricordiamo il lucido e rigoroso intervento a Dialoghi di frontiera, va tutta la nostra affettuosa solidarietà.

Altri articoli e materiali di approfondimento sulla vicenda :

La Stampa: Presa a pugni sull'autobus "perché sono donna e nera"
Me-DeA: Suad, aggredita perché donna, perché "diversa"
Circolo Maurice: Solidarietà a Suad Omar

lunedì 3 ottobre 2011

Il nome della cosa. Classificare, schedare, discriminare / Zapruder Call for Papers

Il nome della cosa. Classificare, schedare, discriminare è il titolo del ventinovesimo numero di Zapruder, la cui pubblicazione è prevista per la prossima primavera. Curato da Fiammetta Balestracci e Ferruccio Ricciardi, il numero si propone di interrogare la storia delle pratiche amministrative di selezione, classificazione, identificazione che, apparentemente neutre e oggettive, diventano strumenti di differenziazione negativa, ovvero di discriminazione, stigmatizzazione e marginalizzazione. Per ulteriori info e i testo completo del CfP rinviamo al sito di Zapruder / Storie in Movimento.