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domenica 9 giugno 2013

Black Panthers ad Atene

Come già è accaduto in Ungheria con la resistenza dei Rom contro le milizie fasciste di Jobbik, ora anche in Grecia un gruppo di africani residenti ad Atene si organizza per rispondere alle ronde xenofobe dei neonazisti di Alba dorata. È un movimento di autodifesa che prende lo stesso nome adottato dal movimento afro-americano negli Stati Uniti d’America negli anni ’60 e ’70: «Black Panthers». Un po’ dappertutto non si vuole più subire senza dir nulla le continue istigazioni all’odio razzista della destra xenofoba. Fosse anche un partito in via d’estinzione come la Lega Nord che ogni sabato mattina fa il suo banchetto in via Orefici contro l’«invasione straniera» e raccoglie ogni volta lo sdegno dei passanti (da Staffetta)

mercoledì 13 febbraio 2013

Coming out

Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Jamila M.H Mascat che, tra le (tante) altre cose, è la corrispondente da Parigi di Marginalia - cosa di cui siamo indicibilmente felici e onorate. A partire da una quasi-cronaca della manifestazione organizzata a Parigi dall' Inter-lgbt il 27 gennaio scorso, Coming out affronta luci e ombre del dibattito sul cosiddetto mariage pour tous, invitando "ad immaginare altro e meglio". Prima di lasciarvi alla lettura del testo - che personalmente ho letto con l'emozione che si prova quando si condivide ogni parola e ogni virgola - una breve nota redazionale sulla foto che correda questo post: l'abbiamo trovata in Tumbrl, purtroppo senza credits e/o riferimenti che ci permettessero di collocarla in qualche modo. Speriamo che qualche appassionata/o di Marilyn di passaggio possa dirci qualcosa. E ora (finalmente) vi lasciamo alla lettura di Coming out, ringraziando ancora l'autrice per averci fatto dono di questo contributo favoloso. Buona lettura! //  Coming out di Jamila M.H Mascat : Ai matrimoni ho la presunzione di essere un'invitata doc. Laici e religiosi, e di qualsiasi confessione. Mi diverto, mi commuovo, faccio onore alla tavola e alle danze, e faccio ovviamente il regalo agli sposi. Al bouquet non ci tengo, ma le promesse mi fanno impazzire, sarà quell’ostinata invocazione d’eternità che prova a fottere l’intermezzo del tutti-i-giorni, o forse solo il pensiero della cattiva sorte che mi rattrista. Sono etero. Amo un uomo da 12 anni, e visto che ne ho 33 secondo me è roba da matti; ma non credo che nessuno ci darà mai la palma d’oro della coppia dell’anno – nessun anticonformismo, solo troppi litigi, troppe distanze, troppe “infedeltà”. Gli ho chiesto di sposarmi soltanto una volta, nel 2005, quando per motivi urgenti e spiacevoli sembrava che fossi costretta a partire per l’Arabia Saudita, e non avrei potuto farlo senza accompagnatore. Avrei avuto bisogno di un marito. Poi non se ne è fatto più niente di quel viaggio né di quel matrimonio. Sono tradizionalista, dicono le mie amiche più libertine e le mie compagne più liberate. In effetti, per esempio, finora non ho mai fatto una cosa a tre. Non è molto rilevante tutto questo, mi rendo conto, ma mi è sembrato che l’unico modo per prendere la parola nel dibattito sul mariage pour tous fosse la testimonianza. Si usa così, e allora perché no. E poi comunque ogni volta che capita di parlare di *affari di famiglie* - e ultimamente capita spesso- è difficile non mettere in mezzo i fatti propri. Ora, per smettere di parlare dei fatti miei copio e incollo una cosa che ha detto la ministra della famiglia, Dominique Bertinotti, a proposito della (quasi) legge sul matrimonio omosessuale, che qui in Francia ha scatenato le coscienze retrograde della destra cattolica e non: “C'est une revendication très normative, pouvoir faire famille, entrer dans un cadre juridique, ça n'a rien d'une destruction mais au contraire, c'est une sécurisation juridique, une protection". E’ una constatazione meno banale di quello che sembra. E mi trova d’accordo. // Pride and Privilege // Parlo dal punto di vista di chi dispone di un privilegio etero, come mi è stato fatto notare spesso negli ultimi tempi. Lo so, e sono così privilegiata da poter decidere perfino di potermene non servire, sapendo che in caso di emergenza, lui, il privilegio, in fondo sta là, da usare se mai ce ne fosse bisogno. Di buoni motivi per sposarsi non ne vedo, se non certo proprio tutte quelle ottime ragioni messe in campo dal movimento lgbtq durante la campagna pro mariage, cioè tutti quei diritti sociali e di cittadinanza che dipendono da questo tanto conteso diritto civile. Di fronte al quale, improvvisamente, sembra che il mondo si divida in due: c’è chi lo vorrebbe per tutti e chi lo vorrebbe solo per pochi. Tertium non datur.  Se fosse un sondaggio di opinioni a freddo, se non ci fossero state le obbrobriose manifestazioni degli anti-mariage in Francia, le migliaia di ridicoli emendamenti dell’opposizione (4.999) alla proposta di legge (24 sedute parlamentari, 10 giorni di discussione, il settimo projet de loi piu dibattuto in aula nella storia della Quinta Repubblica) e un clima di omofobia che nel mio mondo sempre meno etero per fortuna avverto solo da lontano, direi a gran voce: mariage pour personne! Non perché non mi rendo conto che sposarsi sia un privilegio, al contrario. Proprio perché è un privilegio, dico: non estendiamolo, piuttosto smontiamolo, liberiamocene. Immaginiamo una riconfigurazione giuridica che permetta di attribuire diversamente quegli stessi diritti vincolati ora al matrimonio. Ripartiamo dai diritti individuali e dalle unioni civili. Ok, lasciamo in piedi il matrimonio per chi proprio non può farne a meno, ma invece di chiedere semplicemente la concessione di un privilegio, proviamo a rendere quel privilegio superfluo. Facciamo uno sforzo immenso di immaginazione e pensiamo a unioni che possano assumere la forma che meglio credono ed essere legittime per questo. Pensiamo che io, mio padre, la mia prozia e la sua fidanzata possiamo fare famiglia. Immaginiamo che tre donne che si amano possano fare famiglia perché si amano, e nel modo in cui scelgono. Pensiamo a due uomini e due donne che possono crescere una bambina e insieme fare famiglia. Pensiamo anche che un collettivo di individui legati da pratiche e rapporti affettivi, o un gruppo di conviventi o semplicemente singoli che condividono relazioni di cura e solidarietà possano disporre dei diritti di famiglia. Pensiamo alla pma e all’adozione per tutt* senza passare per il matrimonio. Sembra fantascienza? Forse. L’obiezione n.1 di solito è “Ma che razza di discorso è questo”. Troppa poca fantasia. L’obiezione n. 2 è disfattista e dice “E’ impossibile”. E invece proposte che vanno in questa direzione esistono. Se sono estendibili, i diritti, sono anche modificabili. L’obiezione n. 3 ostenta buon senso: “Ammesso anche che sia possibile e auspicabile, per queste cose ci vorranno anni. Intanto mariage pour tous” (che a voler essere precise sarebbe pour tou.te.s). // Parole // Quindi il 27 gennaio ho partecipato alla manifestazione organizzata in nome dell’égalité dall’Inter-lgbt una settimana dopo la pessima esibizione di piazza degli esponenti anti mariage. Égalité non è una parola leggera in questo paese, si sa. C’è égalité (ma oltretutto è belga) e égalité. E neanche la bandiera francese, sventolata con entusiasmo qua e là, è un simbolo light. Tantomeno mentre la Francia porta avanti la sua guerra in Mali sostenuta all’unanimità (o quasi) da tutte le forze politiche. Che c’entra il Mali? mi ha detto qualcuno. Questa è una manifestazione per i matrimoni gay in Francia. Non fa un piega. Ed è stata una manifestazione particolarmente riuscita, partecipata, cantata, pacifica, bella. Però io, etero, con il mio privilegio etero in tasca, sono comunque a disagio, tra l’égalité e il tricolore. Su un cartello c’è scritto: El tipo de familia non altera el producto. Temo che purtroppo forse è vero. Poi con O. (omo, senza privilegio) abbiamo passato la metà del tempo a tentare di decifrare quello che c’era scritto su manifesti e striscioni. Slogan per tutti i gusti: spudorati (Je mets mes doigts partout pourquoi pas dans une bague?), scemi (Plus de mariages, plus de gateaux pour tous), rivendicativi (Indovinate chi ha disegnato i vostri abiti da sposa?), blasfemi (Jésus avait deux papas et une mère porteuse), ottimisti (Il vaut mieux un mariage gay qu’un mariage!), incontestabili (On demande vos droits, pas votre avis). Alla fine del corteo, a Bastille, B. è salita sul palco e ha parlato della sua esperienza di figlia cresciuta con due mamme, un padre e molto altro. Suo fratello l’ha costretta a fare coming out: Ma soeur est lesbienne. Per dire che se l’omosessualità davvero non è un problema, allora la possibilità che le coppie omosessuali si trovino ad avere figl* omosessuali non deve essere agitata come uno spauracchio contro le famiglie omoparentali. Era un po’ commovente vedere B. su quel palco a parlare dei fatti suoi. E’ come se in questo momento tutti avessero bisogno di prove, rassicurazioni e dimostrazioni del fatto che la Terra continuerebbe a girare nello stesso senso anche se tutt* fossimo gay e lesbiche. E quindi bisogna ripeterlo in continuazione. // Favole // C’è perfino chi, tra i giornalisti, ha chiesto a B. che cosa faceva da piccola per la festa del papà. Ho pensato che se lo avesse chiesto a me o a T., sarebbe rimasto estremamente deluso. Alcuni giorni fa la ministra della giustizia Christiane Taubira ha lanciato un’invettiva stra-appaludita contro un deputato dell’Ump, spiegava accalorata che sono soprattutto la stigmatizzazione e la condanna sociale a destabilizzare i figli delle coppie omosessuali, non certo i genitori. Di quella stigmatizzazione ne sanno qualcosa anche tutt* quell* che sono cresciut* all’interno di famiglie non canoniche e non tradizionali. Allora perciò, mentre giochiamo il primo tempo e facciamo le battaglie per l’inclusione, prepariamoci come si deve per il secondo tempo e diciamo fin da subito che l’inclusione non risolve il problema. Proviamo a smontare le barriere dell’accesso, lanciare altri slogan, immaginare altro e meglio. Qualche giorno fa su Le Monde si parlava, forse per la prima volta, di omonazionalismo e imperialismo gay. Due espressioni anche un po’ cacofoniche, davvero. Suona molto meglio “favolosità”, che è sempre stata una delle parole d’ordine del movimento transqueer (delle cui rivendicazioni, per inciso, mi sembra che non ci sia granché traccia nelle piattaforme dei gruppi pro-mariage, ma potrei sbagliare). Di favoloso il mariage pour tous pare che abbia ben poco, e le bandiere francesi ancora meno. Una favola vera, più bella dei Promessi sposi e del ritornello di Beyoncé, una favola pour tou.te.s potrebbe aspirare a molto di più. E soprattutto dovrebbe tenersi alla larga da ogni forma di discriminazione diretta o indiretta (perché il fatto di subirne una non dà diritto a perpetrarne o ignorarle altre), e a debita distanza dall’égalité di cui altri gruppi e minoranze continuano a fare le spese. L’articolo di Le Monde si conclude prefigurando uno scenario apocalittico: la Francia, campo di battaglia del fronte omonazionalista, tragicamente divisa in due blocchi, omofobi da una parte e xenofobi dall’altra. Il che equivale a dire che non ci sia alternativa all’omonormatività (questa è la definizione migliore che ho trovato in circolazione: "homonormativity = a politics that does not contest dominant heteronormative assumptions and institutions, but upholds and sustains them, while promising the possibility of a demobilized gay constituency and a privatized, depoliticized gay culture anchored in domesticity and consumption", L. Duggan). Per fortuna, invece, c’è chi come qui, qui e qui, ci aiuta ancora a credere alle favole (Jamila M.H Mascat, 11 febbraio 2013)

mercoledì 5 ottobre 2011

Suad Omar: della necessità di opporsi al razzismo e al sessismo machista in Italia

Suad Omar, cittadina italo-somala, mediatrice culturale, scrittrice, da molte e molti conosciuta e apprezzata per il suo impegno ventennale nella vita culturale, sociale e politica di Torino ( e non solo), ha subito venerdì scorso una vile e vergognosa aggressione razzista e machista su di un autobus della città sabauda da parte di un uomo italiano . In un'intervista rilasciata al Tg regionale Suad racconta anche dell'indifferenza di coloro che hanno assistito alla scena: se ad essere aggredita, magari  da un uomo africano, fosse stata una donna italiana, le reazioni sarebbero state le stesse? Di questa vicenda si parlerà venerdì mattina su RadioBlackout (105.250 FM e in streaming su RadioBlackout), dove Suad racconterà la sua storia. A lei, della quale ancora ricordiamo il lucido e rigoroso intervento a Dialoghi di frontiera, va tutta la nostra affettuosa solidarietà.

Altri articoli e materiali di approfondimento sulla vicenda :

La Stampa: Presa a pugni sull'autobus "perché sono donna e nera"
Me-DeA: Suad, aggredita perché donna, perché "diversa"
Circolo Maurice: Solidarietà a Suad Omar

martedì 27 settembre 2011

L'accoglienza di Lampedusa

Qualche giorno fa, in seguito ad una rivolta nel Centro di primo soccorso e accoglienza (!) di Lampedusa, un nutrito gruppo di migranti tunisini è stato rimpatriato forzatamente, tra gli sputi e le bastonate di una folla inferocita, aizzata dai discorsi xenofobi e razzisti del sindaco dell'isola e spalleggiata da una polizia compiacente. Sull'episodio rinviamo all'articolo di Annamaria Rivera pubblicato qualche giorno fa su Il Manifesto e poi ripreso sul suo blog: Lampedusa: ma quale 'guerra tra poveri'!.

giovedì 7 aprile 2011

Cadaveri migranti al largo di Lampedusa e l'indegna farsa dell'accoglienza

Un'altra tragedia migrante: al largo di Lampedusa un barcone con oltre trecento migranti (uomini, donne, bambine/i), per la maggior parte somali ed eritrei in fuga dalla Libia, è affondato. Da quanto leggiamo su Fortress Europe, i superstiti sono solo poche decine. Su queste ennesime vittime della Fortezza Europa e l'indegna farsa dell'accoglienza all'italiana rinviamo all'editoriale di Liberazione di qualche giorno fa, I fili spinati della nostra mediocrità di Annamaria Rivera.

mercoledì 23 marzo 2011

Migrazioni e identità nazionale italiana / Zapruder call for papers

Negli ultimi decenni le migrazioni sono diventate un tema di ricerca centrale in numerose discipline. Studiose e studiosi, spinte/i verso questo tema anche dal contemporaneo massificato movimento di uomini e donne, hanno riformulato gli approcci disciplinari convenzionali, occupandosi di donne migranti, di identificazioni transnazionali, di trasformazioni culturali e sociali. Il numero di Zapruder dedicato a Migrazioni e identità nazionale italiana intende circoscrivere l’oggetto d’analisi a quelle tensioni, conflitti, trasformazioni che sorgono dal rapporto tra migrazioni e costruzione, in diversi contesti temporali, di un’identità (o più identità) nazionale italiana. Il numero è inoltre interessato a un confronto tra processi del passato e del presente, tra approcci storiografici e sociologici in grado di dialogare tra di loro e di riflettere criticamente sui presupposti teorici e categoriali implicati nel tema analizzato. Si sollecitano quindi contributi che problematizzino e discutano categorie come identità, cultura, ‘razza’, etnia, nazione nel contesto dei processi migratori da, verso e attraverso l’Italia. Alcune delle domande che il numero si pone sono: in che modo i movimenti di uomini e di donne sono entrati nei processi di formazione identitaria declinati anche in chiave nazionale? In relazione ai processi migratori del passato e del presente, quali rappresentazioni di nazione, popolo, cultura, ‘razza’, etnia, genere, sessualità diventano il campo di battaglia in cui intervengono diversi progetti e diverse forze sociali e culturali? In che modo donne e uomini migranti ridisegnano confini, processi di inclusione ed esclusione, d’identificazione e di dis-identificazione, meccanismi di accesso alla cittadinanza? Che ruolo hanno avuto l’emigrazione e l’immigrazione nel ridisegnare la mappa delle identificazioni con la città, la nazione, l’Europa e il mondo? Quali legami esistono tra migrazioni e costruzione delle diverse sfumature della ‘bianchezza’ degli italiani? Sono benvenuti interventi che affrontano una o più delle seguenti tematiche: Nazione, genere, sessualità e migrazioni / Fratture dell’idea di identità nazionale in relazione ai processi migratori / Migrazioni e costruzione della ‘bianchezza’ / Italianità, transnazionalità, europeità / Migrazioni interne / “Nuovi italiani” / Politiche del ‘colore’ e politiche di cittadinanza. Gli abstract degli articoli, di max 400 parole, devono provenire alla curatrici (sabrinamarchetti@rocketmail.com e enrica.capussotti@ncl.ac.uk) entro il 1° maggio 2011. Gli articoli completi dovranno poi essere consegnati entro il 31 ottobre 2011. La rivista Zapruder nasce all'interno del progetto Storie in Movimento. Per approfondire si rimanda al sito: www.storieinmovimento.org.

venerdì 17 settembre 2010

"Clandestini": licenza d'uccidere

Sulla vicenda del peschereccio italiano mitragliato da una motovedetta con bandiera libica (ma, sembra, made in Italy e con militari nostrani a bordo), episodio liquidato dal nostro ministro dell'interno con la frase "immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave con clandestini", ripubblico l'editoriale di Liberazione di qualche giorno fa, a firma Annamaria Rivera, Sbagliato bersaglio: non erano clandestini.

E’ arduo stabilire se la stoltezza prevalga sulla crudeltà, l’incoscienza sul razzismo, l’insipienza politica su un deliberato disegno politico. Nel caso del ministro dell’interno verrebbe la tentazione di dire che si tratta di un mélange di tutte queste proprietà. La sua “giustificazione” del tentativo di abbordaggio e dell’assalto a colpi di mitraglia della motovedetta italo-libica contro marinai inermi –“Immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave che trasportava clandestini”- ha una strana affinità con la banalità del male incarnata da certi burocrati nazisti, tanto mediocri quanto criminali. Quegli ometti per i quali gli intoppi e le inefficienze della macchina della deportazione e dello sterminio erano “problemi tecnici”, al massimo “deplorevoli inconvenienti”. Che le sue dichiarazioni ogni volta ci evochino, pur nelle ovvie differenze, quel passato sinistro non dipende dalla scarsa stima nei suoi confronti o da un eccesso di malevolenza. E’ che in comune con quella banalità del male il ministro ha un’attitudine primaria. Cioè la tendenza a considerare certe categorie di esseri umani –gli “zingari”, i profughi, i migranti- al pari di cose: bersagli mobili, merce avariata, zavorra da cui liberarsi con ogni mezzo. Né si discosta molto da quello stile –l’eufemismo cinico- il compassato ministro degli esteri che riduce il gravissimo atto di guerra contro un pacifico peschereccio italiano a una questione di “regole d’ingaggio”: “Quelle pattuglie devono lavorare esclusivamente in operazione anti-immigrazione, il che potrebbe essere utile”?, si chiede Frattini. Cioè: le ciurme libico-italiche devono mitragliare solo le imbarcazioni sospettate di trasportare “clandestini” o anche qualsiasi natante non riconoscibile? Ha ragione, invece, Maroni a ricordare che la motovedetta mitragliera è una delle sei consegnate alla Libia “sulla base di un accordo siglato nel 2007 dall'allora ministro Giuliano Amato”. Il che non riduce di un grammo il peso enorme della sua responsabilità né la colpa degli sciocchi esecutori libici e dei conniventi finanzieri italiani, ma fa risaltare tutta l’ipocrisia e l’ondivaga strumentalità dell’indignazione della cosiddetta opposizione. La quale, pur con qualche remora linguistica e di stile, è essa che ha inaugurato la corrispondenza d’amorosi sensi affaristico-militari con il dittatore libico. Come sempre accade, poi, nelle mani di artefici più grossolani e spregiudicati, i congegni centrosinistri diventano bombe micidiali. Così che, mentre le tende di poveri e reietti vengono distrutte ogni giorno, in Italia come in Francia, nei due Paesi al gentiluomo libico (come ha scritto Antonio Tabucchi in un ottimo articolo per Le Monde Magazine) è concesso di piantare le sue tende beduine, pacchiane come chi lo ospita, affinché gli accordi politico-militari-affaristici vadano a buon fine. Peccato che ci sia un piccolo dettaglio disturbante, almeno per chi continua a considerare umani gli umani (e degni di rispetto anche i non-umani): nel Mediterraneo, la caccia ai “clandestini” è diventata come la mattanza dei tonni. E’ significativo che chi comanda i pescatori di tonni sia detto Rais, anche in Italia. Ma dietro il Rais c’è sempre un padrone: è lui che decide la strategia generale, è a lui che vanno i profitti (Annamaria Rivera, Liberazione, 15 settembre 2010).

mercoledì 9 giugno 2010

In nome del burqa: cronache di ordinario razzismo (e sessismo)

Mentre in Francia il Consiglio di Stato deve riconoscere che un divieto assoluto del cosiddetto burqa (velo integrale, niqab ...), non troverebbe "alcuna base giuridica incontestabile", altrove continuano le campagne mediatiche finalizzate alla propaganda dell'odio (come in Catalogna, dove partiti decisamente xenofobi agitano la questione del fondamentalismo islamico in vista delle prossime elezioni autunnali). Anche in Italia il burqa è sempre sula cresta dell'onda, e mentre a Cremona il centrodestra si spacca su come/quando/dove "migliorare" la legge proposta dal gruppo parlamentare della Lega Nord (che nella formulazione non è abbastanza chiara nel proclamare "l'illegalità del burqa"), a Udine un consigliere della Lega Nord, tal Luca Dordolo, dopo aver inutilmente intimato ad una donna a passeggio con figli e marito, di togliersi il niqab, l'ha fotografata con il telefonino e poi ha chiamato la Digos per farla identificare, poiché si stavano dirigendo verso il duomo "obiettivo sensibile". I quotidiani locali riferiscono dell'imbarazzo del consigliere quando è risultato che la donna era "moglie di un ingegnere della Danieli". E se fosse stata moglie di un qualsiasi migrante, operaio possibilmente in nero e senza documenti? La Lega avrebbe esultato insieme ai media, e non è certa la fine che avrebbe fatto lui (pericoloso terrorista) e lei (povera donna vittima del fondamentalismo). La notizia non è recentissima (25 maggio), mi è stata segnalata solo adesso (grazie a Naima) ma si presta a interessanti riflessioni su genere, "razza" e classe, come anche sulla "falsa emancipazione" che ci viene proposta (e di cui parla il volantino distribuito da antirazziste/i solidali con i/le recluse/i nei Cie, qualche giorno fa a Roma, durante l'interruzione della presentazione alla Sapienza del volume Womenomics: perché le donne sono il motore dell’economia, presenti, tra le altre, Isabella Rauti e Giorgia Meloni). Intanto Dordolo imperterrito dichiara di voler lanciare uno slogan: "Sono belle senza il velo, fotografiamole tutte".

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

La subalterna può parlare?
Avvistato burqa, Ufo postcoloniale?
Il fondamentalismo del pelo superfluo
Daniela Santanché e le nuove cerimonie di svelamento
Burqa laptop

lunedì 21 settembre 2009

Auschwitz. Prima e oltre. Nuovi conflitti e percorsi altri tra esclusione, identità e differenza

Di seguito il call for papers per il convegno promosso dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell'Università degli Studi di Macerata, dall'Osservatorio di genere e dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea Mario Morbiducci, che si terranno a Macerata il 27, 28, e 29 Gennaio 2010. Quanti/e intendano partecipare ad uno dei workshop tematici sono invitati ad inviare, entro e non oltre il 30 settembre 2009, un abstract del proprio intervento (max 300 parole) a: csgeneremc@gmail.com (o via fax allo 0039 0733 258 2551). Saranno accettati soltanto gli abstract in lingua italiana e/o inglese che indicheranno: nome e cognome, indirizzo di posta elettronica, titolo dell’intervento e un breve curriculum vitae et studiorum (max 2000 battute, spazi inclusi). Ulteriori info: Dip. Scienze della Comunicazione: g.calamanti@unimc.it e/o Osservatorio di Genere: csgeneremc@gmail.com

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Attorno ad Auschwitz come evento paradigmatico del costruirsi e dello sfaldarsi di categorie tanto storiche quanto politiche si sono condensati studi eriflessioni che ne hanno indagato ampiamente origini ed effetti ben aldi là dell’orizzonte novecentesco. L’intento di queste giornate di studio è quello di proporre una rilettura di quelle circostanze (storiche, sociali, politiche, culturali, filosofiche) che, anche attraverso progressive dissipazioni del senso dei limiti, hanno avviato a regimi in cui tutto è apparso possibile. A questa analisi, che si propone di mettere a confronto discipline e approcci differenti, si vuole affiancare un tentativo di guardare alla contemporaneità, segnatamente ai nuovi conflitti che non di rado accompagnano forme di chiusura identitaria, alla luce di quelle modalità diesclusione/discriminazione che investono spesso le differenze tout court. L’intento di andare oltre Auschwitz, rivitalizzando un’idea di memoria non meramente conservativa ma che tenti di stabilire raccordi con l’oggi, induce a guardare a quelle forme di opposizione ai conflitti, dai movimenti pacifisti alla non violenza, che si sono raffinati nel corso del Novecento. All’interno di questa cornice di carattere più generale potranno essere affrontate in maniera più specifica le seguenti tematiche: Esclusione e discriminazione delle minoranze, violenza di genere: donna come soggetto e oggetto dei totalitarismi, pacifismo e movimenti per la pace, identità e politica: classe, etnia e genere, nuove forme di opposizione ai conflitti dopo Auschwitz e Hiroshima, conflitti nel mondo contemporaneo, biopolitica del campo.
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giovedì 3 settembre 2009

E Gianni Alemanno, il sindaco con la celtica al collo, va in pellegrinaggio a Lourdes

Dopo l'annunciato pellegrinaggio da Padre Pio di Berlusconi (che ha poi optato per un ben più vantaggioso, in termini di respingimenti e petrolio, Ramadan a Tripoli), il sindaco di Roma (mentre in tutta la penisola è un crescendo di violenza contro migranti, donne, gay, lesbiche e trans) va a Lourdes con la Diocesi romana e accompagnato, ovviamente, dalla moglie Isabella Rauti. Ed anche questo pellegrinaggio ha i suoi "vantaggi". E' la realpolitik, bellezza ...
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lunedì 15 giugno 2009

Nell'Italia postcoloniale clandestini si nasce (e razzisti si diventa)

Nell'Italia postcoloniale la maternità resta una virtù e i figli un valido e auspicabile contributo alla Patria, a patto che siano (ovviamente) italiani doc. Abbiamo scritto più volte che l'approvazione del "pacchetto sicurezza" (legge sulla sicurezza n. 733) ha istituito (in virtù del reato di ingresso e soggiorno illegale) per tutt* i/le migranti la fine dei diritti umani: cancellato il diritto alla salute per i/le cosiddett* "immigrati irregolari" , introdotta una tassa per il permesso di soggiorno, residenza subordinata all'idoneità dell'alloggio in cui si vive, imatrimoni ostacolati, delazione (di medici e anche presidi) incoraggiata. Nessun migrante, mentre in nome della sicurezza si istituiscono le ronde, è più "sicuro/a": adult* o bambin*, con permesso di soggiorno o no. A poco più di un mese dalla morte di Mabruka Mamouni, un'altra donna migrante, Vira Orlova, badante ucraina senza permesso di soggiorno, è morta dissanguata in seguito ad un aborto, sola nella sua stanza troppo spaventata delle conseguenze che poteva avere rivolgendosi ad una struttura ospedaliera senza documenti. Di fronte a questa situazione drammatica neanche i bambini e le bambine migranti sfuggono. Già vittime di un razzismo devastante (per il quale anche lo stupro di una bambina, se migrante, è percepito e trattato mediaticamente, in maniera diversa rispetto a quello di una coetanea italiana), oggi i bambini e le bambine migranti possono, ad esempio, essere separati dalla madre "clandestina" a poche ore dal parto (se questa ha l'ardire di rivolgersi a una struttura sanitaria come nel caso di Kante) o possono non avere un nome grazie alla nuova legislazione che impedisce la registrazione anagrafica dei bambini e delle bambine nati da genitori senza permesso di soggiorno. E così nell'Italia postcoloniale si nasce clandestini. E come clandestini i bambini e le bambine migranti, in questo paese ossessionato dallo spettro della denatalità (se "bianca"), possono vedersi esclusi dai centri estivi, come accade in questi giorni a Milano dove una circolare del Comune stabilisce che per partecipare alle attività educative e ricreative estive (a differenza delle lezioni durante l'anno che sono considerate scuola dell'obbligo per tutti/e) è necessario il “ permesso di soggiorno in regola con la normativa vigente". Ci saranno dunque bambini e bambine "irregolari" che, dopo aver frequentato normalmente l'anno scolastico, saranno ora separati dai bambini e dalle bambine "regolari". Non sappiamo ancora se questa circolare diventerà operativa (questo pomeriggio ci sarà un altro presidio del comitato antirazzista milanese), del resto ricorderete che il Comune di Milano aveva già tentato lo scorso anno di impedire l'iscrizione alle scuole materne di bambine e bambini figli di "clandestini", ma poi (anche in seguito a diverse iniziative di protesta) la magistratura impose l'ammissione dei bambini e delle bambine "irregolari". Ma comunque vada, restano gli effetti nefasti che simili iniziative hanno sui bambini e sulle bambine. E non solo su quelli/e "irregolari" (e in questo caso gli effetti dovrebbero essere facilmente immaginabili, se per qualcuno/a non lo sono lo saranno tra qualche anno ...), ma anche su tutti/e gli/le altri/e. Ovvero sui bambini e sulle bambine italiani/e purosangue, con tutti i documenti in regola e che stiamo tirando su a pane, nutella e razzismo. Oramai più di dieci anni fa Paola Tabet in La pelle giusta (un libro per me fondamentale e che avevo recensito sul primo numero della rivista Razzismo&Modernità, per inciso una delle mie primissime, e rare, recensioni) giungeva a conclusioni inquietanti. La sua indagine sulla presenza di schemi mentali propri dell'ideologia della razza nei/nelle bambini/e, dimostrava come i più beceri e triti stereotipi e pregiudizi razzisti sono precocemente (e saldamente) interiorizzati dai/dalle bambini/e. E non ci vuole molto ad indovinare come. Perché cari miei (e care mie) se clandestini si nasce, razzisti si diventa ...
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Alcuni articoli correlati in Marginalia:

Piccoli razzisti crescono
Scuole matrigne
Scuola e quartiere senza frontiere
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giovedì 7 maggio 2009

Vivre libre ou mourir. Per Mabruka, suicida in un Cie (e a perpetua memoria di una legislazione infame)

Stanotte, una donna migrante si è uccisa, impiccandosi, nel Cie di Porta Galeria a Roma. Si chiamava Mabruka Mamouni, aveva poco più di quarant'anni ed era in Italia da quasi trenta. Momentaneamente senza lavoro, non le era stato rinnovato il permesso di soggiorno. Questo significa essere "clandestina", anche dopo tre quarti della tua vita passati in un paese dove vige una legge infame. Fermata, portata nel centro di identificazione ed espulsione, lì detenuta per alcune settimane, sarebbe stata rimpatriata oggi. Ora non possono più farlo. Mi rifiuto di leggere la sua morte come un atto di disperazione, la disperazione deve essere tutta nostra che non siamo riusciti ad impedirlo. Quello di Mabruka è un gesto politico . Un gesto politico che urla. E dobbiamo urlare anche noi (insieme a tutt* le/i migranti in sciopero della fame e in rivolta nei centri di identificazione ed espulsione), noi con i documenti in tasca e tutti i sacrosanti diritti di "cittadina/o". Ma fuori, fuori di qui.

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Rinvio a (velocemente perché non è il momento di stare qui davanti a una tastiera):

Indymedia, No(b)logo, la stampa mainstream. Ma soprattutto la diretta dai microfoni di radio Blackout di Torino con una detenuta del Centro di Ponte Galeria

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martedì 5 maggio 2009

Ammiccamenti razzisti al muro


Probabilmente chi ha pensato e realizzato questo manifesto pubblicitario si trastulla evocando (consapevolmente o "spontaneamente") il fantasma dell'epurazione a mezzo sterminio. Come posso non pensare, guardando questo manifesto, al razzismo nazista per il quale gli/le ebre* erano "parassiti" (come del resto anche i cosiddetti "zingari") da eliminare a tutti i costi per evitare la contaminazione della "pura razza ariana", "pidocchi" da sterminare con lo Zyklon B? E come posso non rivedere in questi ammiccamenti razzisti al muro la cartolina di De Seta Armamenti, che ben esemplifica l'atteggiamento del fascismo italiano verso gli/le african*, considerati alla stregua di insetti per sterminare i quali l'insetticida è "l'arma più opportuna"? E, più recentemente, come posso non pensare ai deliri xenofobi e razzisti dei vari Calderoli (per non parlare dei rosari di Forza Nuova) contro la cosiddetta "invasione islamica"e le "orde di clandestini"?
Per me questo manifesto è intollerabile.

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La foto l'ho scattata ieri a Bologna. Ma presumo che lo stesso manifesto sia stato affisso anche in altre città

giovedì 16 aprile 2009

Quando antisessismo fa rima con razzismo ...


Questo manifesto prodotto nel 1944 dal Nucleo Propaganda (organismo creato dal Ministero della Cultura Popolare della Repubblica Sociale Italiana per curare l'organizzazione della propaganda sul fronte della "guerra psicologica"), è stato utilizzato per pubblicizzare, via mail, il seminario Femminicidi, ginocidi e violenza sulle donne, promosso dal Comune di Bologna e dal Centro di documentazione ricerca e iniziativa delle donne con l'adesione di diverse realtà femminili/femministe (Associazione Orlando, Armonie, Casa delle Donne per non subire violenza, UDI, SOS Donna ...). Lo "scopro" solo ora, ma la notizia ha già fatto il giro della rete (rinvio qui per dettagli e considerazioni) e sui quotidiani si leggono le prime reazioni critiche (e le conseguenti giustificazioni: "svista", "provocazione", "messaggio frainteso" ... ). Da parte mia non credo di poter essere tacciata (come spesso mi è successo) di eccessiva durezza se affermo che un episodio di questo genere è per me totalmente ingiustificabile, soprattutto alla luce di quanto prodotto all'interno di una parte del femminismo (dal Black Feminism ai femminismi cosiddetti postcoloniali) per denunciare, criticare e smantellare il mito dello stupratore nero e l'economia politica dello stupro, cioè l'uso in termini razzisti e securitari della violenza sulle donne. Scrivevo, solo qualche giorno fa che, a mio giudizio, alcuni nodi inerenti all'interrelazione tra razzismo e sessimo, non sono stati ancora sufficientemente meditati e fatti propri all'interno del movimento delle donne. Ma ero lontana dall'immaginare un episodio di una tale gravità, paradossalmente a ridosso di un fine settimana antirazzista e antisecuritario. Ma allora siamo proprio condannate alla ripetizione logorante senza fine e senza risultati?
Auspicherei (per il ri-avvio di un dibattito quanto mai necessario) ulteriori prese di distanza critica su quanto accaduto, anche (o forse soprattutto) da parte delle relatrici invitate al convegno (credo ignare dell'immagine usata per publicizzarlo). Di alcune ben conosco e apprezzo il lavoro teorico e militante contro la violenza subita dalle donne e credo abbiano l'intelligenza e la capacità di porre al centro la necessità di riflettere su queste questioni. Da parte mia, come contributo al dibattito, oltre quanto già scritto qui e altrove, mi limito a copiare la scheda che accompagna il manifesto Difendila! del Nucleo Propaganda nel catalogo della mostra La menzogna della razza a cura del Centro Furio Jesi:

Ciò che veniva ovunque suggerito, prospettato, sottinteso, è messo in scena qui, con tutta l'enfasi del caso: chi ha progettato il manifesto riteneva che la raffigurazione dello stupro avrebbe guadagnato in atrocità proprio sottolineando la diversità etnica di chi lo perpetra. Così il soldato nero ha sguardo lubrico, bocca e labbra ingigantite, mani ad artiglio, è tutto proteso nella brama di possesso simboleggiata dalla vampa di fuoco che sembra emanare dal suo corpo, materializzazione dello smodato desiderio erotico che il pregiudizio razzista ha spesso attribuito alle genti di colore. La donna bianca viene rappresentata come il suo opposto speculare: il volto atteggiato a severo sdegno ma composto nella sua dignità ferita, la veste candida della purezza, il corpo disperatamente teso nel virtuoso sforzo della repulsione.
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martedì 7 ottobre 2008

CasaPound Superstar


Stamani su Il Resto del Carlino (ah! come potrei sopravvivere quando sono a Bologna senza Il Resto del Carlino?) leggo di un'improbabile denuncia del responsabile provinciale di CasaPound Bologna, Alessandro Vignani, che nella mappatura della presenza fascista in città pubblicata sul sito dell'AAP, vede "un'istigazione alla violenza". Cito: "E' chiaro che qualcuno, in questa città, vuole istigare alla violenza [...] A che cosa può servire una mappatura (peraltro correlata di invenzioni degne di un romanzo) se non a identificare e a promuovere azioni contro tali persone e luoghi? [...] Con questi mezzi cercano di intimorire". E invita "chi di dovere a intervenire, per evitare che qualche esaltato passi dalle parole ai fatti".
Ma caso vuole che, da un bel po' di tempo, gli "esaltati" sono stati (e restano) gli appartenenti alla cosiddetta "destra radicale" nella cui galassia si colloca CasaPound e relativo sito, "esaltati" che sono passati dalle "parole ai fatti" contro migranti, rom e sinti, compagni e compagne (o semplicemente persone reputate , per il loro aspetto, "irregolari" o "di sinistra"), omosessuali, trans, donne e lesbiche vittime di "stupri punitivi" ... Ed è proprio per contrastare la disinvoltura di queste aggressioni (in diverse circostanze mortali) che l'Assemblea Antifascista Permanente ha realizzato questa mappa, che ha uno scopo puramente difensivo, uno strumento "necessario per fini di tutela collettiva", come è stato ripetutamente precisato sia in forma scritta che in occasioni pubbliche (ed anche in un recente comunicato).
E basta leggere questi documenti per rendersi conto che non soltanto non ci sono "fatti" da imputare, ma neanche "parole". Gli stessi nomi e cognomi presenti nella mappa sono nomi già noti grazie a informazioni pubblicate dagli organi di stampa.
Ad esempio il nome di Vigliani non mi era ignoto, in quanto è intervenuto qui in Marginalia con un commento al post Italo da rottamare, per precisare il suo esatto cognome che compariva in forma errata in un passaggio che avevo ricopiato da un articolo del Corriere.
Ne ho tratto l'impressione, oggi confermata, che Vignani sia assillato dalla ricerca di un po' di notorietà. Alla storia di CasaPound nel mirino non ci crede nessuno e, come riferisce l'articolo del Carlino, non ci crede nemmeno la Questura (notoriamente non sempre tenera con gli/le antifascisti/e ...) ... Perché mai dovremmo crederci noi?
E no, questa storia non ce la beviamo. Figurarsi se ce la mangiamo ...

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Non ricordo se ho segnalato già la mappa, comunque la trovate qui
Qui invece potete scaricare in pdf un utile dossier nel caso abbiate ancora qualche dubbio su chi è veramente CasaPound
... e grazie a L'Ombroso per la bella immagine che ho ripreso dal suo blog!

martedì 15 aprile 2008

Italiani/e, brava gente ...

Non c'è scampo.


Da oggi camminerò chiedendomi in mezzo a che gente vivo. Non che prima pensassi di vivere in chissà quale paese, ma oggi devo rassegnarmi al fatto che la maggioranza di coloro che incontro per strada ha direttamente o indirettamente accolto e premiato la destra xenofoba e razzista, omo-lesbo-transfobica e sessista, integralista, pro-life e guerrafondaia ...

Non c'è "illusione" possibile.


Anche considerando i voti - che potremmo definire di "protesta" o "dissenso" - dati a gruppi minori come Sinistra Critica o Partito comunista dei lavoratori, i conti non tornano.
E non tornano neanche se consideriamo l'astensionismo, questa volta certo aumentato, ma che non è possibile ricondurre a una motivazione o matrice unica, essendoci stata una massiccia campagna per l'astensione anche da destra, e in particolare dalla cosiddetta nuova destra [1].

Tra l'altro, e anche per quanto sopra, per me non è consolatoria neppure l'affermazione ricorrente "tanto sono tutti uguali".

Per chiudere con un riferimento colto e "femminista", non mi interessa in questo momento pensare che Virginia Woolf infine decise di non dare a nessuno le sue tre ghinee (e perché), ma mi colpisce a chi tanti/e, troppi/e hanno deciso di dare, oggi in Italia, il proprio obolo.


NOTE:

[1] Penso in particolare a Movimento Zero, fondato da Massimo Fini, il cui Manifesto vede tra i firmatari il maître à penser della Nouvelle Droite, Alain De Benoist.

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Articoli correlati in Marginalia:

Piccoli razzisti crescono
La pelle giusta
Un frammento per ricordare Riccardo
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lunedì 30 ottobre 2006

Lobby continua alle crociate?

Un trafiletto di Marco Politi su La Repubblica di qualche giorno fa (27 ottobre 2006), annuncia il progetto di Paolo Sorbi, ex militante di Lotta Continua e attuale presidente del Movimento per la Vita ( noto in Italia in particolare per la cosiddetta "difesa dell’embrione") di Milano, di creare una "lobby di massa" che unisca cristiani e seguaci di altre fedi e filosofie per la difesa dell’Occidente dal pericolo del fondamentalismo islamico. Al seguito dell’esortazione di B16 (vedi il mio Integralismi a confronto) all’unione con tutti coloro che non vogliono "staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà", Sorbi - che in un’intervista del 24 settembre 2006 al Secolo XIX (che potete leggere su Gaynews) aveva affermato, presentando il suo progetto Living Waters, che "i gay? Sono malati, noi li curiamo" (che fa eco allo slogan di Forza Nuova contro il corteo glbt di Catania dal quale è nata la manifestazione Orgoglioso antifascismo)-, sogna di importare l’attivismo e la capacità di mobilitazione del movimento Pro Life statunitense per fare pressione sulle istituzioni e contrastare una certa cultura democratica e tollerante. Allo scopo Sorbi ha creato un Ufficio socio-politico e prepara la prima sortita pubblica sulla questione Islam con l’appoggio e la partecipazione di Magdi Allam e Giorgio Israel. Cattolici, musulmani ed ebrei uniti nella lotta alla cospirazione dei radicali islamici contro l’Occidente. In Integralismi a confronto parlavo delle inquietanti assonanze tra le posizioni dell’integralismo islamico e cattolico (nella fattispecie per quanto riguarda l’attacco all’omosessualità). E le assonanze tra gli integralismi ebraico, cristiano e mussulmano erano l’oggetto di un libro di qualche anno fa (Tirs Croisés. La laicité à l’éprouve des intégrismes juif, chrètien et musulman, Calmann-Lévy, 2003)) di Caroline Fourest e Fiammetta Venner (quest’ultima tra l’altro ha lavorato lungamente sui movimenti pro-life, disgraziatamente niente è stato tradotto, ma i meno edotti sappiano almeno che in nome della "difesa della vita" i movimenti pro-life statunitensi hanno ucciso un buon numero di persone a partire dai medici abortisti). L’interesse di questa prospettiva era ed è quello di mettere in luce la prossimità delle posizioni relative alla sessualità e alla “libertà di scelta” che legano paradossalmente gli attori più “irriducibili” del cosiddetto scontro di civiltà. Nel progetto di Sorbi l’elemento “nuovo” è che il revanscismo cattolico arruola alla sua nuova crociata integralista da una parte un fautore (Israel) dell’alleanza della cultura ebraica con il cattolicesimo conservatore per la difesa della tradizione (giudeo) cristiana dell’Europa e dall’altra un curioso rappresentante (Allam) delle tendenze “razionaliste e laiche” della cultura islamica. La “nuova alleanza” tra le armate papaline ed esponenti di un’improbabile cultura razionalista e laica mira a legittimarsi proprio attraverso l’annessione del presunto elemento “laico” al fronte unico contro il comune nemico (il fondamentalismo islamico). Le vie del Signore, e della demagogia, sono infinite …

(Questo post è stato pubblicato anche qui)