Ricorderete la lettera (che spero abbiate firmato tutte/i) che denunciava il sessismo e l'omo/transfobia di molte delle voci contenute nell'Enciclopedia Treccani scritta da un gruppo di studiose/i e attiviste/i presto definiti, insieme alle/ai tante/i firmatarie/i, come talebani del politicamente corretto da il Secolo d'Italia. Rassegna stampa in aggiornamento sul sito di Intersexioni, buona lettura
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domenica 20 ottobre 2013
lunedì 23 settembre 2013
Talebani del politicamente corretto
Una notiziola per la quale vale la pena sfidare la tenosinovite: "Talebani del politicamente corretto", così il Secolo d'Italia definisce le/i firmatarie/i della lettera scritta da un gruppo di studiose/i per denunciare "il lessico impreciso e i contenuti stigmatizzanti" di alcune delle voci (transgender, omosessualità, lesbismo, intersessualità, gender) presenti nell’Enciclopedia Treccani. Maggiori dettagli sulla vicenda e aggiornamenti sul sito di Intersexioni.
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giovedì 27 giugno 2013
Intersexioni
Con in esergo una bella frase di Milton Diamond (Nature loves variety. Unfortunately, society hates it) è online da qualche giorno, anche se ancora "in costruzione", Intersexioni, sito di un collettivo che, come si legge nel "chi siamo", è composto da "persone di diversa provenienza ed esperienza, accomunate dall’interesse per temi tra loro variamente interconnessi quali le disuguaglianze di genere e l’intersezione tra genere, etnia, ceto/classe,il sessismo, la violenza di genere, il bullismo e l’omo-trasfobia, i diritti delle persone intersex (o con differenze nello sviluppo sessuale), i diritti delle minoranze sessuali, delle persone omosessuali e transgender, le nuove famiglie, l’omo e trans genitorialità, tutto questo e anche altro nell’ottica del rispetto di ogni essere vivente e della costruzione di una società migliore, più equa, giusta e accogliente". Tra i tanti e interessanti materiali già pubblicati anche la voce Modificazioni, scritta da Beatrice Busi per Femministe a parole. Grazie a Intersexioni e buona esplorazione a tutte/i!
mercoledì 15 maggio 2013
SFamily Day : oltre i modelli normativi, per altre forme di intimità e affettività
A cura di Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale si terrà a Roma, il prossimo 25 maggio, la SFamily Day, un'occasione per condividere esperienze e sperimentazioni, relazioni e educazioni, fatti e diritti che coinvolgono le forme di intimità e di affettività, oltre i modelli normativi della famiglia e della coppia come unici luoghi di investimento emotivo e materiale. Sul tumblr di Kespazio! il programma completo della giornata alla quale parteciperanno, tra le altre Sara Garbagnoli, Gianfranco Rebucini, Gaia Guliani, Laura Corradi, il Laboratorio Smaschieramenti e tante altre favolosità ...
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sabato 20 aprile 2013
Dal margine degli studi di genere: una proposta politica
Le voci di protesta che si sono levate in seguito alla chiusura del corso di “Studi di genere” tenuto da Laura Corradi all’Università della Calabria, stanno facendo finalmente emergere sotto gli occhi di tutte e di tutti un quadro grave e inquietante, che conferma come gli studi di genere siano una questione politica. Tale quadro va letto, a nostro parere, su diversi piani. Innanzitutto è necessario collocare questa vicenda in un orizzonte più generale che riguarda lo stato delle università italiane, dove i criteri del finanziamento pubblico e l’ingresso di forme di finanziamento privato privilegiano alcuni ambiti e oggetti di ricerca e ne marginalizzano, o escludono, altri. È noto come gli unici settori di ricerca che non soffrono dei tagli agli investimenti siano quelli relativi alla produzione bellica, alle nanotecnologie, agli strumenti tecnologici di controllo sociale. Il piano successivo è quello che riguarda nello specifico gli studi culturali e, soprattutto, gli studi di genere. Generalmente le tematiche di genere vengono trattate in modo quasi clandestino all’interno di corsi o moduli che portano un altro nome, oppure vengono relegati a “parte seminariale” afferente a un corso specifico. Se, invece, com’è il caso dell’insegnamento tenuto da Laura Corradi, esso si colloca apertamente nell’ambito degli studi di genere, accade che venga cancellato da un giorno all’altro. Dal nostro punto di vista, limitarsi a sostenere l’importanza degli studi di genere come una sorta di “valore aggiunto” nell’offerta formativa di questo o quell’ateneo rischia di essere controproducente e mistificatorio. Vogliamo, infatti, guardare la questione da un altro punto di vista e riteniamo che l’ostracismo contro gli studi di genere e/o la loro cancellazione siano il prodotto della cultura dominante in Italia: una cultura – se così la si può chiamare – che da una parte tende a ipersessualizzare le donne e dall’altra nega loro gli strumenti di critica e di autonomia. Inoltre, con un intero apparato scolastico uniformato su un’offerta che è in realtà più informativa che formativa – basata, quindi, sulla passività della/del discente – gli studi di genere rappresentano senz’altro un’eresia, poiché propongono un approccio complesso e intersezionale, non nozionistico ma critico, non unidimensionale ma interdisciplinare.Gli studi di genere offrono, in sostanza, delle griglie interpretative aperte e multiformi, stimolando a uno sguardo complesso e non riduttivo sull’esistente. E, ancora oltre, questo sguardo critico produce strumenti concreti di lavoro contro le discriminazioni e la violenza di genere, incluse le forme di razzismo e omo/transfobia – una ragione, questa, per cui dovrebbero essere inseriti nei curricula già a partire dalla scuola dell’obbligo. Invece, la realtà dimostra che chi è interessata/o ad acquisire o a sviluppare questi strumenti deve andare all’estero, poiché in Italia vige una sorta di censura della ricerca, della produzione teorica e del dibattito su questi temi. Sappiamo per esperienza quanto sia penalizzante, in sede di concorso o di abilitazione o anche solo di semplice partecipazione ai bandi per contratti di docenza, avere nel proprio curriculum pubblicazioni inerenti queste tematiche. L’ostracizzazione e la cancellazione degli studi di genere, torniamo a ripetere, vanno dunque annoverate tra gli effetti del sessismo e del razzismo pervasivi e trasversali che sono dominanti in Italia. Al proposito ci teniamo a sottolineare come sia l’intero Paese, e non solo la Calabria, a rivelare l’urgenza di sviluppare strumenti efficaci per contrastare l’involuzione culturale che tende a coartare ancora una volta le donne, insieme alle soggettività che esprimono modelli di sessualità non conformi, in un ruolo subalterno e dipendente.Ciò che è avvenuto all’UniCal non è che lo specchio di un processo in atto da anni in tutto il Paese. Non vogliamo quindi, limitarci a dare la nostra più sentita solidarietà a Laura Corradi, o a chiedere a uno specifico ateneo di non chiudere un determinato corso. Vorremmo invece invitare tutte e tutti coloro che operano nell’ambito della trasmissione dei saperi a partecipare a una riflessione più ampia sugli obiettivi dell’istruzione pubblica oggi in Italia (dalla scuola dell’infanzia all’università) e sull’importanza dell’apporto non solo teorico ma anche pratico che gli studi di genere hanno o possono avere nella formazione e nella vita – lavorativa ma non solo – di ciascuna/o, per trovare insieme strategie e strumenti per un’azione efficace contro la restrizione degli spazi di dibattito, ricerca, formazione // Nicoletta Poidimani, Liliana Ellena, Sonia Sabelli, Sabrina Marchetti, Renata Pepicelli, Viola Lo Moro, Cristina Gamberi, Gaia Giuliani, Elisa G. A. Arfini, Lorenzo Bernini, Cristian Lo Iacono, Porpora Marcasciano, Vincenza Perilli, Jamila M.H. Mascat, Barbara De Vivo, Rachele Borghi, Brune Seban, Elena Petricola, Olivia Fiorilli, Laura Ronchetti, Valeria Ribeiro Corossacz, Sara Garbagnoli, Laura Scamorcin, Sara Gvero, Mariagabriella Di Giacomo, Sara De Simone, Laura Schettini, Domitilla Olivieri, Tiziana Mancinelli, Maria Antonietta Passarelli, Rita Debora Toti, Laura Talarico, Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone Sguardi sulle Differenze, Francesca Rinaldi, Elisa Brilli, Alessia Ronchetti // Tra i materiali girati finora sulla questione segnalo: l'appello e il censimento in corso di casi analoghi/affini promosso da Femminismo a Sud, l'intervento di Paola Di Cori, i comunicati del Laboratorio di studi femministi Anna Rita Simeone Sguardi sulle differenze e Centro Studi Milly Villa dell'Università della Calabria e vari spunti di discussione qui e qui.
venerdì 5 aprile 2013
L'inutilità degli studi di genere in Italia
Qualche mese fa un'intervista di Barbara Romagnoli a Serena Sapegno e Annalisa Perrotta in merito al corso di formazione per insegnanti Che genere di programmi? organizzato dal Laboratorio Sguardi sulle differenze, faceva emergere la "cancellazione del genere" dai programmi scolastici in Italia. La "cancellazione" arriva fino all'Università, dove tra i primi corsi a cadere sotto la mannaia dei cosiddetti "tagli" c'è il corso di Studi di genere tenuto da più di un decennio all'Università della Calabria da Laura Corradi, corso giudicato "superfluo" come la stessa docente racconta in un'intervista pubblicata su Il Fatto Quotidiano. Superfluo, quindi inutile. A futura memoria, ed esprimendo la nostra solidarietà personale e politica a Laura, pubblichiamo il bel programma del corso 2012-2013, corso che "si propone di presentare alle studentesse ed agli studenti la categoria sociologica di genere attraverso studi teorici ed empirici che riguardano la società contemporanea - in una vivace dimensione transculturale. La prospettiva adottata guarda al genere nella sua intersezione con altre categorie sociologiche: classe, razza/etnia, età, preferenze sessuali, religione". Programma del corso: 4 marzo - Introduzione al corso. Studi di genere e teoria intersezionale // 5 marzo - Genere, generazioni, orientamenti sessuali (C. Leccardi) // 7 marzo - Genere, generazioni e femminismo (M. Cacace) // 11 marzo - L'uso improprio del corpo della donna in pubblicità // 12 marzo - Il corpo della donna nei media (D. Preziosi) // 14 marzo - Femminismi, agency e leadership delle donne // 18 marzo - (Laboratorio) Donne disabili: salute, sessualità, leadership (N. Coppedè)// 19 marzo - (video) Ecofemminismo indiano - Vandana Shiva // 21 marzo - Le contadine e l'eco-femminismo indiano (B. Benedetti) // 25 marzo - (Laboratorio) Sessismo e razzismo in Italia (V. Perilli) // 26 marzo - Classe e genere nelle pubblicità (E. Chiodo) // 4 aprile - Problematiche di genere - pedofilia (T. Garistena)// 8 aprile - (Laboratorio) Problematiche di genere prostituzione e sex-workers (RhockHer) // 9 aprile - Sessismo ed ageism // 10 aprile - Giornata internazionale del social work // 11 aprile - Problematiche di genere prostituzione minorile // 15 aprile - (Laboratorio) Genere, maschilità e critica della violenza (S. Ciccone)// 16 aprile - Donne movimenti anticoloniali, donne migranti // 18 aprile - Femminismo transnazionale e Islam // 22 aprile - Donne e crisi economica (L.Cirillo)// 23 aprile - Genere, religioni, spiritualità // 29 aprile - (Intervista) Lavorare con le sex workers // 30 aprile - Problematiche: genere, transessualità e transgender // 2 maggio - Donne e leadership nel servizio sociale (L. Nigri)// 6 maggio - Brainstorming, gruppi di lavoro, discussione guidata // 7 maggio - Genere, casta e leadership - Bandit Queen // 9 maggio - Problematiche di genere: anoressia (A. Gullo)//
13 maggio - Presentazione tesine // 14 maggio - Problematiche: omosessuali e religione // 16 maggio - Sessismo, eterosessismo, omofobia, transfobia // 20 maggio - Presentazione tesine // 21 maggio - Genere e sessualità (A.Tiano) 23 maggio - Ripasso concetti e problematiche - Conclusione corso - modalità d'esame
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mercoledì 13 marzo 2013
Anonymous / Per farla finita con CasaPound
Tutte le sedi di CasaPound - organizzazione fascista, razzista, sessista e omofoba - vanno chiuse. Intanto un plauso ad Anonymous che ne ha oscurato il sito e lancia una nuova petizione per provare a farla finita, una volta per tutte, con questa banda di squadristi // Solo un link per memoria: Strage di Piazza Dalmazia. Ricordando Mor Diop e Samb Modou //
sabato 23 febbraio 2013
Elezioni, donne, bambole e sante
Una noiosa influenza mi costringe in casa, il mal di testa mi impedisce di dedicarmi a letture più impegnative, quindi mi ritrovo a fare zapping davanti alla tv e al pc, aggiornandomi - in extremis - sul tema per me poco entusiasmate delle elezioni "al femminile". Passo in un crescendo di sgomento dalla lettura del manifesto Sono una donna non sono una bambola pubblicato a pagamento sul Corriere della Sera da un lungo elenco di "donne comuni" (parrucchiere e avvocate, pensionate e casalinghe, giovani e meno giovani ) che annunciano la loro volontà di votare Berlusconi "per la loro libertà" perché "le donne sono uguali e ciascuna è diversa ... ci rispettiamo e vogliamo rispetto", alla campagna sociale - che ha ottenuto il patrocinio di Pubblicità Progresso - Se crescono le donne, cresce il Paese di Snoq, affiancata dalla campagna di mobilitazione video Un paese per donne: le parole per dirlo, "una rappresentazione corale delle condizioni, delle idee e dei desideri delle donne, dal Sud al Nord". Anche qui infine le donne sono tutte diverse e tutte uguali: come sottolinea Simona De Simoni "C’è la studentessa, la professionista rientrata dall’estero, la vittima di tratta, la casalinga, la manager, l’operaia, la madre, la single", ma "tutte chiedono più lavoro, più riconoscimento, più merito (manco a dirlo), più conciliabilità con gli impegni famigliari. Tutte sognano la stessa vita e lo stesso tipo di realizzazione personale: dividersi equamente e serenamente tra il lavoro e il privato (generalmente nella forma della famiglia)". Sullo sfondo in entrambe le prese di posizione emerge la richiesta del riconoscimento di una "specificità femminile", che per le une "è di genere (le donne partoriscono, gli uomini fecondano) non sociale o culturale o politica" per le altre si materializza nei "temi delle donne" da inserire nell'agenda politica: "a cominciare dalla conciliazione dei tempi casa-lavoro, ai servizi, a una riforma del welfare che non faccia pagare solo alle donne il peso
della crisi". Una lettura annichilente (Giorgia Meloni che condanna l'ultima trovata omofoba dei sui "fratelli" di partito meriterebbe discorso a parte, ma rinviamo a un post di qualche anno fa, ancora attuale), che ci da la misura del baratro in cui è sprofondato questo paese, ma anche di quanto sia importante continuare a lavorare, a valorizzare e dare visibilità a punti di vista femministi critici, che fortunatamente non mancano // Il video è la registrazione dell'esibizione di Rosanna Fratello a Canzonissima nel 1971, lo stesso anno della pubblicazione di La donna clitoridea e la donna vaginale nei Libretti Verdi di Carla Lonzi / Rivolta Femminile
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mercoledì 13 febbraio 2013
Coming out
Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Jamila M.H Mascat che, tra le (tante) altre cose, è la corrispondente da Parigi di Marginalia - cosa di cui siamo indicibilmente felici e onorate. A partire da una quasi-cronaca della manifestazione organizzata a Parigi dall' Inter-lgbt il 27 gennaio scorso, Coming out affronta luci e ombre del dibattito sul cosiddetto mariage pour tous, invitando "ad immaginare altro e meglio". Prima di lasciarvi alla lettura del testo - che personalmente ho letto con l'emozione che si prova quando si condivide ogni parola e ogni virgola - una breve nota redazionale sulla foto che correda questo post: l'abbiamo trovata in Tumbrl, purtroppo senza credits e/o riferimenti che ci permettessero di collocarla in qualche modo. Speriamo che qualche appassionata/o di Marilyn di passaggio possa dirci qualcosa. E ora (finalmente) vi lasciamo alla lettura di Coming out, ringraziando ancora l'autrice per averci fatto dono di questo contributo favoloso. Buona lettura! // Coming out di Jamila M.H Mascat : Ai matrimoni ho la presunzione di essere un'invitata doc. Laici e religiosi, e di qualsiasi confessione. Mi diverto, mi commuovo, faccio onore alla tavola e alle danze, e faccio ovviamente il regalo agli sposi. Al bouquet non ci tengo, ma le promesse mi fanno impazzire, sarà quell’ostinata invocazione d’eternità che prova a fottere l’intermezzo del tutti-i-giorni, o forse solo il pensiero della cattiva sorte che mi rattrista. Sono etero. Amo un uomo da 12 anni, e visto che ne ho 33 secondo me è roba da matti; ma non credo che nessuno ci darà mai la palma d’oro della coppia dell’anno – nessun anticonformismo, solo troppi litigi, troppe distanze, troppe “infedeltà”. Gli ho chiesto di sposarmi soltanto una volta, nel 2005, quando per motivi urgenti e spiacevoli sembrava che fossi costretta a partire per l’Arabia Saudita, e non avrei potuto farlo senza accompagnatore. Avrei avuto bisogno di un marito. Poi non se ne è fatto più niente di quel viaggio né di quel matrimonio. Sono tradizionalista, dicono le mie amiche più libertine e le mie compagne più liberate. In effetti, per esempio, finora non ho mai fatto una cosa a tre. Non è molto rilevante tutto questo, mi rendo conto, ma mi è sembrato che l’unico modo per prendere la parola nel dibattito sul mariage pour tous fosse la testimonianza. Si usa così, e allora perché no. E poi comunque ogni volta che capita di parlare di *affari di famiglie* - e ultimamente capita spesso- è difficile non mettere in mezzo i fatti propri. Ora, per smettere di parlare dei fatti miei copio e incollo una cosa che ha detto la ministra della famiglia, Dominique Bertinotti, a proposito della (quasi) legge sul matrimonio omosessuale, che qui in Francia ha scatenato le coscienze retrograde della destra cattolica e non: “C'est une revendication très normative, pouvoir faire famille, entrer dans un cadre juridique, ça n'a rien d'une destruction mais au contraire, c'est une sécurisation juridique, une protection". E’ una constatazione meno banale di quello che sembra. E mi trova d’accordo. // Pride and Privilege // Parlo dal punto di vista di chi dispone di un privilegio etero, come mi è stato fatto notare spesso negli ultimi tempi. Lo so, e sono così privilegiata da poter decidere perfino di potermene non servire, sapendo che in caso di emergenza, lui, il privilegio, in fondo sta là, da usare se mai ce ne fosse bisogno. Di buoni motivi per sposarsi non ne vedo, se non certo proprio tutte quelle ottime ragioni messe in campo dal movimento lgbtq durante la campagna pro mariage, cioè tutti quei diritti sociali e di cittadinanza che dipendono da questo tanto conteso diritto civile. Di fronte al quale, improvvisamente, sembra che il mondo si divida in due: c’è chi lo vorrebbe per tutti e chi lo vorrebbe solo per pochi. Tertium non datur. Se fosse un sondaggio di opinioni a freddo, se non ci fossero state le obbrobriose manifestazioni degli anti-mariage in Francia, le migliaia di ridicoli emendamenti dell’opposizione (4.999) alla proposta di legge (24 sedute parlamentari, 10 giorni di discussione, il settimo projet de loi piu dibattuto in aula nella storia della Quinta Repubblica) e un clima di omofobia che nel mio mondo sempre meno etero per fortuna avverto solo da lontano, direi a gran voce: mariage pour personne! Non perché non mi rendo conto che sposarsi sia un privilegio, al contrario. Proprio perché è un privilegio, dico: non estendiamolo, piuttosto smontiamolo, liberiamocene. Immaginiamo una riconfigurazione giuridica che permetta di attribuire diversamente quegli stessi diritti vincolati ora al matrimonio. Ripartiamo dai diritti individuali e dalle unioni civili. Ok, lasciamo in piedi il matrimonio per chi proprio non può farne a meno, ma invece di chiedere semplicemente la concessione di un privilegio, proviamo a rendere quel privilegio superfluo. Facciamo uno sforzo immenso di immaginazione e pensiamo a unioni che possano assumere la forma che meglio credono ed essere legittime per questo. Pensiamo che io, mio padre, la mia prozia e la sua fidanzata possiamo fare famiglia. Immaginiamo che tre donne che si amano possano fare famiglia perché si amano, e nel modo in cui scelgono. Pensiamo a due uomini e due donne che possono crescere una bambina e insieme fare famiglia. Pensiamo anche che un collettivo di individui legati da pratiche e rapporti affettivi, o un gruppo di conviventi o semplicemente singoli che condividono relazioni di cura e solidarietà possano disporre dei diritti di famiglia. Pensiamo alla pma e all’adozione per tutt* senza passare per il matrimonio. Sembra fantascienza? Forse. L’obiezione n.1 di solito è “Ma che razza di discorso è questo”. Troppa poca fantasia. L’obiezione n. 2 è disfattista e dice “E’ impossibile”. E invece proposte che vanno in questa direzione esistono. Se sono estendibili, i diritti, sono anche modificabili. L’obiezione n. 3 ostenta buon senso: “Ammesso anche che sia possibile e auspicabile, per queste cose ci vorranno anni. Intanto mariage pour tous” (che a voler essere precise sarebbe pour tou.te.s). // Parole // Quindi il 27 gennaio ho partecipato alla manifestazione organizzata in nome dell’égalité dall’Inter-lgbt una settimana dopo la pessima esibizione di piazza degli esponenti anti mariage. Égalité non è una parola leggera in questo paese, si sa. C’è égalité (ma oltretutto è belga) e égalité. E neanche la bandiera francese, sventolata con entusiasmo qua e là, è un simbolo light. Tantomeno mentre la Francia porta avanti la sua guerra in Mali sostenuta all’unanimità (o quasi) da tutte le forze politiche. Che c’entra il Mali? mi ha detto qualcuno. Questa è una manifestazione per i matrimoni gay in Francia. Non fa un piega. Ed è stata una manifestazione particolarmente riuscita, partecipata, cantata, pacifica, bella. Però io, etero, con il mio privilegio etero in tasca, sono comunque a disagio, tra l’égalité e il tricolore.
Su un cartello c’è scritto: El tipo de familia non altera el producto. Temo che purtroppo forse è vero. Poi con O. (omo, senza privilegio) abbiamo passato la metà del tempo a tentare di decifrare quello che c’era scritto su manifesti e striscioni. Slogan per tutti i gusti: spudorati (Je mets mes doigts partout pourquoi pas dans une bague?), scemi (Plus de mariages, plus de gateaux pour tous), rivendicativi (Indovinate chi ha disegnato i vostri abiti da sposa?), blasfemi (Jésus avait deux papas et une mère porteuse), ottimisti (Il vaut mieux un mariage gay qu’un mariage!), incontestabili (On demande vos droits, pas votre avis). Alla fine del corteo, a Bastille, B. è salita sul palco e ha parlato della sua esperienza di figlia cresciuta con due mamme, un padre e molto altro. Suo fratello l’ha costretta a fare coming out: Ma soeur est lesbienne. Per dire che se l’omosessualità davvero non è un problema, allora la possibilità che le coppie omosessuali si trovino ad avere figl* omosessuali non deve essere agitata come uno spauracchio contro le famiglie omoparentali. Era un po’ commovente vedere B. su quel palco a parlare dei fatti suoi. E’ come se in questo momento tutti avessero bisogno di prove, rassicurazioni e dimostrazioni del fatto che la Terra continuerebbe a girare nello stesso senso anche se tutt* fossimo gay e lesbiche. E quindi bisogna ripeterlo in continuazione. // Favole // C’è perfino chi, tra i giornalisti, ha chiesto a B. che cosa faceva da piccola per la festa del papà. Ho pensato che se lo avesse chiesto a me o a T., sarebbe rimasto estremamente deluso. Alcuni giorni fa la ministra della giustizia Christiane Taubira ha lanciato un’invettiva stra-appaludita contro un deputato dell’Ump, spiegava accalorata che sono soprattutto la stigmatizzazione e la condanna sociale a destabilizzare i figli delle coppie omosessuali, non certo i genitori. Di quella stigmatizzazione ne sanno qualcosa anche tutt* quell* che sono cresciut* all’interno di famiglie non canoniche e non tradizionali. Allora perciò, mentre giochiamo il primo tempo e facciamo le battaglie per l’inclusione, prepariamoci come si deve per il secondo tempo e diciamo fin da subito che l’inclusione non risolve il problema. Proviamo a smontare le barriere dell’accesso, lanciare altri slogan, immaginare altro e meglio. Qualche giorno fa su Le Monde si parlava, forse per la prima volta, di omonazionalismo e imperialismo gay. Due espressioni anche un po’ cacofoniche, davvero. Suona molto meglio “favolosità”, che è sempre stata una delle parole d’ordine del movimento transqueer (delle cui rivendicazioni, per inciso, mi sembra che non ci sia granché traccia nelle piattaforme dei gruppi pro-mariage, ma potrei sbagliare). Di favoloso il mariage pour tous pare che abbia ben poco, e le bandiere francesi ancora meno. Una favola vera, più bella dei Promessi sposi e del ritornello di Beyoncé, una favola pour tou.te.s potrebbe aspirare a molto di più. E soprattutto dovrebbe tenersi alla larga da ogni forma di discriminazione diretta o indiretta (perché il fatto di subirne una non dà diritto a perpetrarne o ignorarle altre), e a debita distanza dall’égalité di cui altri gruppi e minoranze continuano a fare le spese. L’articolo di Le Monde si conclude prefigurando uno scenario apocalittico: la Francia, campo di battaglia del fronte omonazionalista, tragicamente divisa in due blocchi, omofobi da una parte e xenofobi dall’altra. Il che equivale a dire che non ci sia alternativa all’omonormatività (questa è la definizione migliore che ho trovato in circolazione: "homonormativity = a politics that does not contest dominant heteronormative assumptions and institutions, but upholds and sustains them, while promising the possibility of a demobilized gay constituency and a privatized, depoliticized gay culture anchored in domesticity and consumption", L. Duggan). Per fortuna, invece, c’è chi come qui, qui e qui, ci aiuta ancora a credere alle favole (Jamila M.H Mascat, 11 febbraio 2013)
lunedì 29 ottobre 2012
Prendiamoci cura delle nostre perversioni!
Dal Laboratorio Smaschieramenti / antagonismogay: "Lo striscione di Forza Nuova, Le perversioni vanno curate, è un attacco a tutte noi che ogni giorno allegramente ci ribelliamo "agli schemi tradizionali
maschio/femmina". Un attacco che proviene da un formazione politica che non è semplicemente portatrice di "ignoranza" e "inciviltà", ma che è espressione di logore culture fasciste che continuamente cercano di sdoganarsi come opinioni tra le altre, quando invece andrebbero respinte senza appello dalle persone LGBTIQ, da tutta la cittadinanza e dalle istituzioni. Per quanto grottesco e antiquato, il fastidio dei fascisti di fronte all'affermarsi di forme molteplici e complesse di sessualità, piaceri e transiti tra i generi non è una patologia, così come non lo è la violenza contro donne, lesbiche, gay, trans.Si tratta invece della parte più visibile ed estrema della cultura patriarcale e machista che ci circonda e che ogni giorno combattiamo. Eppure c'è una verità racchiusa nello slogan usato dai forzanovisti e nel loro rispolverare la categoria "freudista" di perversione. Le perversioni vanno curate, ma non in senso patologico, come vorrebbero farci credere un manipolo di ciarlatani, sedicenti psicologi e cattolici integralisti. Vanno curate nel senso che bisogna prendersi "cura di sè", coltivare le proprie perversioni, aiutarle a crescere e a dispiegarsi, perché sono costitutive della sessualità, dell'eterosessualità come dell'omosessualità e di tutte le posizioni di desiderio. Coraggio, ancora uno sforzo e anche "I tre saggi sulla sessualità" di Freud potrebbero entrare nella cul-tura - del resto, la cultura è sempre incarnata in un corpo - di questi inconsapevoli fans di Gender Bender, che puntualmente si ripresentano a ogni edizione in cerca del piacere perverso della visibilità"
lunedì 15 ottobre 2012
Il femminismo sul crinale della crisi
Indubbiamente il post-Paestum è alquanto vivace, perlomeno a vedere il gran numero di interventi, testimonianze, interviste pubblicate in riviste, quotidiani e diversi siti femminili/femministi. Nonostante la mia proverbiale curiosità, confesso che purtroppo di tutto questo sono riuscita a leggere pochissimo (ho sempre meno tempo), nonostante l'invio, da parte di qualche insostituibile amica, di "brani scelti" e link. E di quel che ho letto devo dire che moltissimo non mi è piaciuto affatto - in primis certi toni che mi son parsi tristemente trionfalistici - e di questa tre giorni, (non essendoci stata, tra l'altro), non sono ancora riuscita a farmi un'idea, seppur vaga. Tra il grande spazio dato alla questione della rappresentanza, un gruppo di discussione sul lavoro con Luisa Muraro (?) e slogan tipo "siamo tutte femministe storiche", mi perdo. Comunque di quel che ho letto ho trovato piuttosto sensato l'articolo di Lidia Cirillo pubblicato su ZeroViolenzaDonne, Il femminismo sul crinale della crisi. Mi sembra che problematizzi questioni cruciali che sono, invece, un po' assenti nel dibattito, quindi ve lo segnalo (ps: l'articolo di Dominijanni citato da Cirillo è questo, La politica è qui)
giovedì 13 settembre 2012
Che genere di Islam
Che genere di Islam. Omosessuali, queer e transessuali tra shari’a e nuove interpretazioni, a cura di Jolanda Guardi e Anna Vanzan, è l'ultimo volume pubblicato da Ediesse nella collana sessismoerazzismo, volume che - come si legge nella presentazione dell'editore -, "offre una panoramica ampia ed esaustiva, spesso dissacrante e provocatoria, del rapporto omosessualità-islam".
mercoledì 30 marzo 2011
R/esistenze a ... Salò
Del volume curato da Paola Guazzo, Ines Rieder e Vincenza Scuderi - R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista - avevamo già parlato qui in Marginalia in occasione del suo arrivo in libreria lo scorso anno (oltre ad aver partecipato ad una delle sue belle presentazioni/discussioni, ovvero quella organizzata all'interno dell'edizione 2010 del Festival delle Culture antifasciste. Ritorniamo sul volume, brevemente, per segnalare che il primo aprile, alle ore 21, ci sarà una nuova presentazione del libro, organizzata dalla sezione Anpi locale, presso il Centro Sociale Due Pini di Salò (non è un pesce d'aprile) .
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mercoledì 23 febbraio 2011
Orgoglio e pregiudizio
Vi avevamo già anticipato l'uscita di Orgoglio e pregiudizio, il terzo numero della nuova collana dei Quaderni Viola. Il nuovo quaderno tra presentazioni e trasmissioni radiofoniche. è già noto alle più, comunque vi segnaliamo la prossima presentazione a cura delle Fuoricampo alle quali rinviamo per i dettagli della serata ;-)
sabato 17 ottobre 2009
Gay Imperialism: a proposito della censura di Out of Place al tempo della guerra al terrore
Di Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality, aveva già parlato Barbara De Vivo nel suo Relazioni Pericolose. Movimenti femministi e Lgbtiq al tempo delle guerra al terrore, pubblicato nell'ultimo numero di ControStorie, numero che contiene anche la traduzione di un articolo di Jinan Coulter, sull'"imperialismo" (e razzismo) presente anche in una parte dei movimenti femministi e lgbtiq. L'articolo che segue, pubblicato originariamente nel sito x:talk e girato sulla lista del network femminista transnazionale NextGENDERation, fa il punto sulla pesante censura che ha investito Out of Place, libro collettivo di una "straordinaria potenza politica", come giustamente scrive Barbara De Vivo, perché riesce - nello stesso tempo - a mettere in crisi la politica dell'identità, assumere come elemento necessario la questione dell'intersezionalità delle diverse forme di oppressione, e infine condannare senza appello le politiche razziste postcoloniali, securitarie e islamofobe. In particolare uno degli articoli contenuti nel volume - Gay Imperialism: Gender and Sexuality Discourse in the 'War on Terror ' di Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir e Esra Erdem - , analizza impietosamente ma rigorosamente, l'uso del discorso sui diritti dei/delle omosessuali per giustificare politiche neoimperialiste, anti-migranti e islamofobe. Vi lascio quindi alla lettura dell'interessante documento di x: talk, per intanto nella versione originale inglese, sperando che si attivi presto un altro gruppo di infaticabili traduttrici militanti ...
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We have recently witnessed the umpteenth attempt to silence voices that denounce paternalistic, neo-imperialist politics and argue against Islamophobic positions and homonationalist activism. On 7th September 2009, the book Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality (2008) edited by Adi Kunstman & Esperanza Miyake, was declared out of print by its publisher, Raw Nerve. The collection, which was the first academic volume on queerness and raciality in Britain, contained an important article which exposed the use of gay rights discourse as an instrument to justify neo-imperialist, anti-migrant and Islamophobic policies, namely ‘Gay Imperialism: Gender and Sexuality Discourse in the “War on Terror”‘ by Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir and Esra Erdem. In ‘Gay Imperialism’ the authors - themselves academics and activists writing from different trans/queer of colour, queer Muslim and migrant feminist positions - pointed out how the equation of ‘Muslim’ with ‘homophobic’ (as well as sexist) has contributed to the tightening of borders, there construction of the West as the champion of civilisation and modernity, and the victimisation and patronising of Muslim queers. In Germany, migrants from ‘Muslim countries’ applying for nationality are required to pass a discriminatory ‘Muslim Test’ which asks questions such as: What would you do if your son was gay? In the Netherlands, applicants are asked to react to a video showing two men kissing. Drawing on the work of Chandra Talpade Mohanty (1991) and of Jasbir Puar (2007) the article shows how it is not incidental that the attention drawn to non-Western and Muslim gender and sexual regimes comes at the same time as the ‘War on Terror’, the increase in restrictive migration policies and the general upsurge in Islamophobia. The authors point out how, ‘gay rights’ and gender equality, even though they were achieved very recently and not at all exhaustively, have become symbols of the civilisation and modernity of Western countries. While the importance of these (even if limited) rights and equality is not disputed, the authors warn against a white Western single-issue emancipatory politics that claims universality and patronises non-white non-Western Muslim women and queers, while serving neo-imperialistic, racist discourses. It seems rather obvious to draw a parallel with how Western feminist abolitionists feed into security laws that criminalise migrant sex workers and effectively lead to deportation and further marginalisation in the name of combating gender violence. The same societies that demonise and discriminate against Muslims are increasingly criminalising sex workers, using ideas about both homophobia and gender violence as their tools to deport and detain migrants, sex workers and people of colour. There are further parallels between the abolitionist and the Islamophobic discourse: Instead of working with Muslim or non-white non-Western queer organisations (or even simply listening to what they are saying), the tendency for majority white, western gay rights and queer groups is to talk for them, to “save them”- ignoring and re-enforcing the multiple oppressions at stake. Likewise, Western abolitionist feminists do not listen to migrant sex workers’ voices, and by so doing they relegate them to the duped status of victims that need rescuing by the enlightened and modern Western feminist, or, even, by the border police that will ‘assist them home’. Migrant sex workers are equated with trafficked victims and trafficked victims with passive, naive women with no agency or no migratory project of their own. The ‘Gay Imperialism’ article made just such an informed, valuable critique. It drew on acute textual analysis and provided thorough references and links to the texts critiqued. Yet the authors made the “mistake” of naming examples of white queer/gay rights politics that re-produced Islamophobia and patronised queer Muslims, one of which included the gay rights activist Peter Tatchell in the UK. In response to this, the publisher Raw Nerve has issued an apology to PeterTatchell on its web-site and declared the whole book out of print. The apology deems the article as falsely accusing Peter Tatchell of being Islamophobic and racist and enlists a long series of ‘untruths’ contained in it, which are quoted out of context and misrepresented as personal accusations. Ironically, the authors had warned about the difficulty of raising a critical voice against Peter Tatchell. The censorship stands in stark contrast to the radical defence of freedom of speech which Tatchell has made a name for himself. In 2006, this went as far as leading him to participate in the March for Free Expression, which was also attended by various racist and fascist groups. Once again, marginalised voices are being threatened and silenced, but this time, this silencing is instituted by the very champions of free speech themselves. Peter Tatchell’s political campaigns are illustrative of a post-political trend towards celebrity activism where the needs of the many are sacrificed to the empowerment of the few. This is reflected in his tendency to name his campaigns after himself (as in, the Peter Tatchell Human Right Fund). ‘Peter Tatchell’, even more than OutRage!, is one of the most quoted names in Western media representations of gay rights activism. The Raw Nerv apology repeats this personalisation of activism by making Haritaworn’s, Tauqir’s and Erdem’s critique and its subsequent suppression look like a personal problem between the authors and Peter Tatchell. This nevertheless misses the point. No-one has anything personal
against Peter Tatchell. No-one, further, disputes that he genuinely thinks of himself as anti-racist, anti-imperialist or anti-Islamophobic. However, part of doing allied work is being accountable when one’s statements or actions reproduce oppressive structures. Part of being a public person, further, is being open to public critique, rather than shutting it down with force. Sadly, this is not the first time that queers of colour and queers from the Global South have critiqued Peter Tatchell and been punished for it. Tatchell’s and Outrage!’s campaigning in Africa has been strongly criticised for not having listened to African LGBTI activists’ repeated warnings that their actions were in fact harmful. In an open letter quoted by the authors of ‘Gay Imperialism’, activists described how Tatchell and Outrage! had “repeatedly disrespected the lives, damaged the struggle, and endangered the safety of African Human Rights Defenders”. They identify this as neo-colonialism, which is an interpretation we share. While this statement is thankfully still to be found on the net, it has been met with a similarly punitive response, which the Raw Nerve ‘apology’ repeats. We condemn this attempt to quell the voices of queers of colour and queers from the Global South, and express our support to both the African Human Rights defenders and the ‘Gay Imperialism’ authors for resisting racist and imperialist statements and actions made in the name of a white Western ‘gay rights’ agenda. It is undoubtably within a neo-imperialist logic that a white Western Gay man can obtain the role of the saviour of victimised Muslim and non-Western queers, while re-enforcing Islamophobic discourses that construct the West as morally superior. And it is also within aneo-imperialistic logic that one sees white Western feminist abolitionists joining forces with anti-migrant state institutions in the name of women’s rights. As we know from our work, for migrant sex workers this often means the ‘right’ to be ’saved’ and deported, not the right to decide upon one’s work and lives. X:talk was born out the necessity for marginalised voices to be heard, against paternalising and criminalising discourses that deny us the right to speak for ourselves. We therefore condemn the censorship of ‘Out of Place’ as an act of force, that if anything confirms the article’s political validity and necessity. The censorship of ‘Gay Imperialism’ and the Out of Place collection points us in a worrying new direction. Many of us may had thought that a degree of freedom of expression for marginalised voices had been reached. Yet here we go - it has become clearer than ever what the price of anti-racist critique is, and who is paying it. An important document has been lost to us, and those who would like to form their own opinion on the matter can’t. Let us hope that the censorship will have the opposite effect, and lead us to raise our voices even louder. Let us hope that it will provide the impetus for new alliances across activist and academic movements, that join to fight oppression in all its faces, including the ones that wear the cloaks of feminism and gay rights.
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We have recently witnessed the umpteenth attempt to silence voices that denounce paternalistic, neo-imperialist politics and argue against Islamophobic positions and homonationalist activism. On 7th September 2009, the book Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality (2008) edited by Adi Kunstman & Esperanza Miyake, was declared out of print by its publisher, Raw Nerve. The collection, which was the first academic volume on queerness and raciality in Britain, contained an important article which exposed the use of gay rights discourse as an instrument to justify neo-imperialist, anti-migrant and Islamophobic policies, namely ‘Gay Imperialism: Gender and Sexuality Discourse in the “War on Terror”‘ by Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir and Esra Erdem. In ‘Gay Imperialism’ the authors - themselves academics and activists writing from different trans/queer of colour, queer Muslim and migrant feminist positions - pointed out how the equation of ‘Muslim’ with ‘homophobic’ (as well as sexist) has contributed to the tightening of borders, there construction of the West as the champion of civilisation and modernity, and the victimisation and patronising of Muslim queers. In Germany, migrants from ‘Muslim countries’ applying for nationality are required to pass a discriminatory ‘Muslim Test’ which asks questions such as: What would you do if your son was gay? In the Netherlands, applicants are asked to react to a video showing two men kissing. Drawing on the work of Chandra Talpade Mohanty (1991) and of Jasbir Puar (2007) the article shows how it is not incidental that the attention drawn to non-Western and Muslim gender and sexual regimes comes at the same time as the ‘War on Terror’, the increase in restrictive migration policies and the general upsurge in Islamophobia. The authors point out how, ‘gay rights’ and gender equality, even though they were achieved very recently and not at all exhaustively, have become symbols of the civilisation and modernity of Western countries. While the importance of these (even if limited) rights and equality is not disputed, the authors warn against a white Western single-issue emancipatory politics that claims universality and patronises non-white non-Western Muslim women and queers, while serving neo-imperialistic, racist discourses. It seems rather obvious to draw a parallel with how Western feminist abolitionists feed into security laws that criminalise migrant sex workers and effectively lead to deportation and further marginalisation in the name of combating gender violence. The same societies that demonise and discriminate against Muslims are increasingly criminalising sex workers, using ideas about both homophobia and gender violence as their tools to deport and detain migrants, sex workers and people of colour. There are further parallels between the abolitionist and the Islamophobic discourse: Instead of working with Muslim or non-white non-Western queer organisations (or even simply listening to what they are saying), the tendency for majority white, western gay rights and queer groups is to talk for them, to “save them”- ignoring and re-enforcing the multiple oppressions at stake. Likewise, Western abolitionist feminists do not listen to migrant sex workers’ voices, and by so doing they relegate them to the duped status of victims that need rescuing by the enlightened and modern Western feminist, or, even, by the border police that will ‘assist them home’. Migrant sex workers are equated with trafficked victims and trafficked victims with passive, naive women with no agency or no migratory project of their own. The ‘Gay Imperialism’ article made just such an informed, valuable critique. It drew on acute textual analysis and provided thorough references and links to the texts critiqued. Yet the authors made the “mistake” of naming examples of white queer/gay rights politics that re-produced Islamophobia and patronised queer Muslims, one of which included the gay rights activist Peter Tatchell in the UK. In response to this, the publisher Raw Nerve has issued an apology to PeterTatchell on its web-site and declared the whole book out of print. The apology deems the article as falsely accusing Peter Tatchell of being Islamophobic and racist and enlists a long series of ‘untruths’ contained in it, which are quoted out of context and misrepresented as personal accusations. Ironically, the authors had warned about the difficulty of raising a critical voice against Peter Tatchell. The censorship stands in stark contrast to the radical defence of freedom of speech which Tatchell has made a name for himself. In 2006, this went as far as leading him to participate in the March for Free Expression, which was also attended by various racist and fascist groups. Once again, marginalised voices are being threatened and silenced, but this time, this silencing is instituted by the very champions of free speech themselves. Peter Tatchell’s political campaigns are illustrative of a post-political trend towards celebrity activism where the needs of the many are sacrificed to the empowerment of the few. This is reflected in his tendency to name his campaigns after himself (as in, the Peter Tatchell Human Right Fund). ‘Peter Tatchell’, even more than OutRage!, is one of the most quoted names in Western media representations of gay rights activism. The Raw Nerv apology repeats this personalisation of activism by making Haritaworn’s, Tauqir’s and Erdem’s critique and its subsequent suppression look like a personal problem between the authors and Peter Tatchell. This nevertheless misses the point. No-one has anything personal
against Peter Tatchell. No-one, further, disputes that he genuinely thinks of himself as anti-racist, anti-imperialist or anti-Islamophobic. However, part of doing allied work is being accountable when one’s statements or actions reproduce oppressive structures. Part of being a public person, further, is being open to public critique, rather than shutting it down with force. Sadly, this is not the first time that queers of colour and queers from the Global South have critiqued Peter Tatchell and been punished for it. Tatchell’s and Outrage!’s campaigning in Africa has been strongly criticised for not having listened to African LGBTI activists’ repeated warnings that their actions were in fact harmful. In an open letter quoted by the authors of ‘Gay Imperialism’, activists described how Tatchell and Outrage! had “repeatedly disrespected the lives, damaged the struggle, and endangered the safety of African Human Rights Defenders”. They identify this as neo-colonialism, which is an interpretation we share. While this statement is thankfully still to be found on the net, it has been met with a similarly punitive response, which the Raw Nerve ‘apology’ repeats. We condemn this attempt to quell the voices of queers of colour and queers from the Global South, and express our support to both the African Human Rights defenders and the ‘Gay Imperialism’ authors for resisting racist and imperialist statements and actions made in the name of a white Western ‘gay rights’ agenda. It is undoubtably within a neo-imperialist logic that a white Western Gay man can obtain the role of the saviour of victimised Muslim and non-Western queers, while re-enforcing Islamophobic discourses that construct the West as morally superior. And it is also within aneo-imperialistic logic that one sees white Western feminist abolitionists joining forces with anti-migrant state institutions in the name of women’s rights. As we know from our work, for migrant sex workers this often means the ‘right’ to be ’saved’ and deported, not the right to decide upon one’s work and lives. X:talk was born out the necessity for marginalised voices to be heard, against paternalising and criminalising discourses that deny us the right to speak for ourselves. We therefore condemn the censorship of ‘Out of Place’ as an act of force, that if anything confirms the article’s political validity and necessity. The censorship of ‘Gay Imperialism’ and the Out of Place collection points us in a worrying new direction. Many of us may had thought that a degree of freedom of expression for marginalised voices had been reached. Yet here we go - it has become clearer than ever what the price of anti-racist critique is, and who is paying it. An important document has been lost to us, and those who would like to form their own opinion on the matter can’t. Let us hope that the censorship will have the opposite effect, and lead us to raise our voices even louder. Let us hope that it will provide the impetus for new alliances across activist and academic movements, that join to fight oppression in all its faces, including the ones that wear the cloaks of feminism and gay rights.
giovedì 1 ottobre 2009
Stranabologna

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martedì 29 settembre 2009
Anna Paola Concia è conciata male ...
Così scriveva qualcuna/o a commento di un mio post sulla "fiaccolata" romana contro "l'intolleranza e i razzismi" della scorsa settimana. Non soddisfatta del teatrino allestito con il sindaco Alemanno e Imma Battaglia (due cuori e una celtica) nel post-fiaccolata, Anna Paola Concia ha accettato l'invito di CasaPound a partecipare ad un tavolo di confronto sui cosiddetti "diritti civili''. Cosa ne posso pensare si può dedurre da quello che ho scritto e ri-scritto qui e altrove (e non mi prendo neanche la briga di cercare tutti i link, troppi). Ma del resto non sono minimamente sorpresa. Lo "sdoganamento" di CasaPound a "sinistra" è cominciato da un po' (Italo docet). Del resto dialogare con la destra, anche quella estrema, è un vezzo (presumo giudicato trendy o trasgressivo) di parecchia gente (politicanti, artistucoli e intellettualoidi in cerca di un po' di notorietà o desiderosi di vendere qualche copia in più della loro mercanzia) e va avanti da un pezzo (anni 90?). Comunque, per tornare a Concia, non credo ci si potesse aspettare maggiore discernimento da una che mette la sua faccia (e anche qualcosa di più, come aveva celiato l'onorevole Jean Leonard Tuadì, suo compagno di avventura) in una campagna pubblicitaria che, amalgamando diversi e complessi rapporti (sociali, politici ed economici) di dominazione, discriminazione e sfruttamento, finiva per annullarne la specificità: la Lesbica (bianca) e l'Uomo di colore, vittime di un indistinto pregiudizio chiamato razzismo. Di qui al generico e vacuo rifiuto dell'intolleranza, vessillo della fiaccolata romana, il passo è stato breve. E il passo successivo, è stato facile: decidere di sedersi al tavolo di CasaPound in nome della condanna indeterminata di ogni forma di "intolleranza" e della "non-discriminazione". L'antifascismo - sconvenientemente dedémodé, se non nei proclami di circostanza - appare in quest'ottica il vero intollerante, colpevole di rifiutare quattro chiacchiere con i cosiddetti "fascisti del terzo millennio".
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martedì 15 settembre 2009
Terrone sinonimo di maleducato ... Riflessioni solitarie a partire dal manuale di bon ton di un gay-friendly leghista
Credo che i fatti, dopo i tanti articoli, comunicati e prese di posizione, siano noti. Riassumo: la settimana scorsa, a Bologna, dopo una festa gay ai Giardini Margherita, un gruppo di almeno quattro persone aggredisce fisicamente un giovane omosessuale. Nel clima attuale, caratterizzato da una preoccupante escalation di aggressioni contro soggetti lgbt (pestaggi, accoltellamenti, locali dati a fuoco, bombe carta, minacce sui muri ...) l'episodio non poteva che destare legittima preoccupazione. Ma sulla stampa, dopo una dichiarazione della vittima (che avrebbe affermato di "fare fatica a definire omofobica l'aggressione, perché non sono state pronunciate parole di quel segno, ma è convinto che gli aggressori fossero eterosessuali"), l'aggressione viene presto derubricata come un banale litigio per futili motivi, sembra per una sigaretta negata. Inutile dire che nè la dichiarazione della vittima, nè il cosiddetto "futile motivo" (come dimenticare che anche Nicola Tommasoli è stato ammazzato per una sigaretta negata ?) sono parsi a molte/i motivi sufficienti per ritenere quanto accaduto "banale". Ma oggi sulla stampa mainstream la vicenda viene arricchita di un altro particolare: sembra che all'origine dell'aggressione non ci sia una sigaretta rifiutata ma un insulto che un amico dell'aggredito ha urlato agli aggressori, un gruppo di giovani napoletani. L'insulto è di quelli che ben conosco, terrone. E si da anche il caso che colui che l'ha proferito sia un militante della Lega Nord, un attivista "strutturato" del partito di Bossi e Salvini (quello di "Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”... ma ne hanno per tutti, migranti, islamici, meridionali in genere). Ci sarebbero tutti gli elementi per cogliere in questa vicenda la preoccupante e incrociata presenza di elementi sessisti e razzisti, ma la stampa riporta subito una dichiarazione del gay-friendly in camicia verde che rimette tutte le cose a posto. Giura "che quell'epiteto non è stato usato a scopo discriminatorio. Volevo solo dare del maleducato ad una persona ubriaca che mi aveva infastidito. Era solo un sinonimo, credo che nella cultura settentrionale quella parola venga usata spesso in questo modo. Nessuna discriminazione". E' alleggerisce anche le responsabilità degli aggressori: "Ho l'impressione che questa storia sia stata gonfiata ad arte. Nessuno di quei ragazzi ha pronunciato frasi anti-gay". Ma che bravi tutti, evviva! E probabilmente stupida io che sto qui a scrivere. Del resto non mi interessa (da tempo) chiedermi come si può essere gay e votare Lega o essere vittima di razzismo ed essere omofobo (ognuno si suicida come vuole), ma tornare a riflettere ancora una volta, e amaramente, sul fatto che essere "oppressi/e" non garantisce nulla, e per cominciare nessuna innocenza. Puoi essere gay ed essere razzista fino al buco del culo, essere un soggetto storicamente razzializzato (meridionale, nero, migrante ...) ed essere un omofobo o un sessista di merda. E , sia detto a scanso di equivoci, neanche essere donna preserva da simili derive. Donne lesbofobe. Donne lesbofobe e razziste nello stesso tempo. Solo razziste. Non lesbofobe, ma islamofobe . Una volta una si complimentò perché non avevo un "marcato accento meridionale" (ma questo non è razzismo! dicono). Ne ho conosciute fin troppe, molte delle quali si dichiarano anche femministe. O fanno finta di crederci. O hanno convinto qualcuna/o, non si sa bene come, di esserlo. Perché dichiararsi femministe, o antifasciste/i, antirazziste/i, antisessiste/i è un giochetto. "Esserlo" è un tantino più difficile, soprattutto è difficile essere tutte queste cose insieme. E così può accadere che sei gay ma strizzi l'occhio a CasaPound, che sei antisessista e antifascista ma poi fai il macho con la prima donna che ti capita a tiro, che sei femminista ma stigmatizzi altre donne perché portano la gonna troppo lunga e il velo (o la gonna troppo corta e le tette da fuori), che ti definisci antifascista e poi fai il quotidiano radical chic che ammicca ai fasciofuturisti ... E potrei continuare. Ma in questo modo quale mondo si spera di sovvertire?
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lunedì 7 settembre 2009
Omofobia non è un concetto neutro
In questi tempi di inutili (se non dannosi) chiacchiericci volentieri pubblico questa importante riflessione/contributo di Azione Gay e Lesbica di Firenze, che parteciperà dopodomani, mercoledì 9 settembre, al presidio contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia sui ponti di Firenze, assieme al Comitato Gay e Lesbiche Prato e ad altre associazioni glbt del territorio (appuntamento mercoledì alle 18 e 30 presso la sede di Azione Gay e Lesbica in Via Pisana 32r, Firenze e dalle 19 su Ponte Vecchio).
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Lesbiche, gay e trans osservano il mondo da una prospettiva obliqua, e in questo modo aggiungono al mondo stesso un punto di vista altro.
Siamo imprevisti/e/* come chi arriva da lontano, come chi arriva dalla povertà. Qualcuno/a odia noi perché in noi si rispecchia e cerca di distruggere con noi il suo desiderio che ha sempre represso, negato, nascosto, magari celandosi dietro uniformi, abiti talari o monacali, maschere neonaziste. Qualcuno/a freddamente ci nega, ci cancella dalla scena pubblica, perché vuole ri/costruire una società patriarcale e familista i cui pesi ricadano sulle donne prigioniere dei ruoli della tradizione; questo/a qualcuno/a vede nei gay, nelle lesbiche e nelle persone trans ostacoli al suo progetto reazionario. Qualcuno/a ci usa come capro espiatorio, come facile bersaglio perché una società impoverita, priva di diritti, ridotta a plebe cieca, possa sfogare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. E’ già successo, settanta anni fa, e il gioco si sta ripetendo; di nuovo ci troviamo in compagnia di minoranze, immigrate/i, diverse/i a vario titolo. Qualcuno/a finge di prevederci, ma pretende che assomigliamo alla sua idea di noi e ci chiede di rinnegare dei pezzi di noi, in nome del quieto vivere e del decoro.
Qualcuno/a/* di noi finge di non essere imprevisto/a/*, cerca di passare inosservato/a/o, di scivolare con eleganza sulla scena senza turbare, senza spostare la polvere.
Qualcuno/a/* di noi cerca di vincere la paura mettendosi dalla parte degli aggressori, stabilendo gerarchie interne fra chi è più rispettabile e chi lo è meno, cercando attivamente di smarcarsi da altre vittime dell’odio. Qualcuno/a/* di noi non si meraviglia della violenza omofobica, ha fatto della paura un’abitudine. Qualcuno/a/* di noi si meraviglia della violenza omofobica, la vede come un prodigio cattivo senza cause riconoscibili, non legge la connessione fra le Svastichelle e la banalizzazione del neofascismo, fra l’estrema destra italiana e le croci celtiche nascoste dietro la rispettabilità delle cravatte. Qualcuno/a/* per darsi un ruolo fa spettacolo, fa la pagliaccia di lusso, il clown di regime, la trasgressione da fine settimana e rinnega la sua favolosità per un biglietto di seconda classe sul Titanic. Siamo tutte/i/* sul Titanic, la nostra società è il Titanic e la nostra società è anche l’iceberg contro cui il Titanic si schianterà. Lesbiche, gay e trans dall’Europa, dalle liberate città del possibile osservando un’Italia senza orgoglio civile, senza solidarietà sociale, senza difesa della laicità, senza memoria della sua storia resistente capiscono che in questo paese sfibrato lesbiche, gay e trans nel migliore dei casi saranno imprevisti/e/* e ignorati/e/*, nel peggiore aggrediti/e/* e cancellati/e/*. Lesbiche, gay e trans dall’Italia osservano i gommoni dell’immigrazione, sanno in cuor loro che chi odia quegli uomini e quelle donne imprevisti/e prima o poi se la prenderà con gli imprevisti/e della sua “etnia”. È già successo: i triangoli rosa di Auschwitz accanto alle stelle gialle ebraiche, ai triangoli neri asociali, ai triangoli scuri zingari. C’è chi lo rimuove, fra noi, c’è chi fa finta di niente, ma in cuor nostro tutti e tutte lo sappiamo.
Qua o ci salviamo tutti/e/* o non si salva nessuno-nessuna-nessun* Noi lesbiche, gay e trans sappiamo anche che i fondamentalismi e i clericalismi sono distruttivi: cambiano i nomi degli dèi, cambiano i paramenti dei sacerdoti, ma resta costante l’odio per chi è imprevisto/a/*. Contro lesbiche, gay e trans si cimentano improbabili alleanze, fra cattolicesimo e islamismo, fra stalinismo e ortodossia, fra neonazismo e pseudo psicanalisi. L’alleanza però che ci ferisce di più è quella fra la paura lgbt e l’opportunismo del potere.
Eppure noi ci siamo, continuiamo a vivere e a cercare la felicità, come tutti/e/*, come chi scappa e come chi arriva.
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Vedi anche Queer* against racism
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Siamo imprevisti/e/* come chi arriva da lontano, come chi arriva dalla povertà. Qualcuno/a odia noi perché in noi si rispecchia e cerca di distruggere con noi il suo desiderio che ha sempre represso, negato, nascosto, magari celandosi dietro uniformi, abiti talari o monacali, maschere neonaziste. Qualcuno/a freddamente ci nega, ci cancella dalla scena pubblica, perché vuole ri/costruire una società patriarcale e familista i cui pesi ricadano sulle donne prigioniere dei ruoli della tradizione; questo/a qualcuno/a vede nei gay, nelle lesbiche e nelle persone trans ostacoli al suo progetto reazionario. Qualcuno/a ci usa come capro espiatorio, come facile bersaglio perché una società impoverita, priva di diritti, ridotta a plebe cieca, possa sfogare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. E’ già successo, settanta anni fa, e il gioco si sta ripetendo; di nuovo ci troviamo in compagnia di minoranze, immigrate/i, diverse/i a vario titolo. Qualcuno/a finge di prevederci, ma pretende che assomigliamo alla sua idea di noi e ci chiede di rinnegare dei pezzi di noi, in nome del quieto vivere e del decoro.
Qualcuno/a/* di noi finge di non essere imprevisto/a/*, cerca di passare inosservato/a/o, di scivolare con eleganza sulla scena senza turbare, senza spostare la polvere.
Qualcuno/a/* di noi cerca di vincere la paura mettendosi dalla parte degli aggressori, stabilendo gerarchie interne fra chi è più rispettabile e chi lo è meno, cercando attivamente di smarcarsi da altre vittime dell’odio. Qualcuno/a/* di noi non si meraviglia della violenza omofobica, ha fatto della paura un’abitudine. Qualcuno/a/* di noi si meraviglia della violenza omofobica, la vede come un prodigio cattivo senza cause riconoscibili, non legge la connessione fra le Svastichelle e la banalizzazione del neofascismo, fra l’estrema destra italiana e le croci celtiche nascoste dietro la rispettabilità delle cravatte. Qualcuno/a/* per darsi un ruolo fa spettacolo, fa la pagliaccia di lusso, il clown di regime, la trasgressione da fine settimana e rinnega la sua favolosità per un biglietto di seconda classe sul Titanic. Siamo tutte/i/* sul Titanic, la nostra società è il Titanic e la nostra società è anche l’iceberg contro cui il Titanic si schianterà. Lesbiche, gay e trans dall’Europa, dalle liberate città del possibile osservando un’Italia senza orgoglio civile, senza solidarietà sociale, senza difesa della laicità, senza memoria della sua storia resistente capiscono che in questo paese sfibrato lesbiche, gay e trans nel migliore dei casi saranno imprevisti/e/* e ignorati/e/*, nel peggiore aggrediti/e/* e cancellati/e/*. Lesbiche, gay e trans dall’Italia osservano i gommoni dell’immigrazione, sanno in cuor loro che chi odia quegli uomini e quelle donne imprevisti/e prima o poi se la prenderà con gli imprevisti/e della sua “etnia”. È già successo: i triangoli rosa di Auschwitz accanto alle stelle gialle ebraiche, ai triangoli neri asociali, ai triangoli scuri zingari. C’è chi lo rimuove, fra noi, c’è chi fa finta di niente, ma in cuor nostro tutti e tutte lo sappiamo.
Qua o ci salviamo tutti/e/* o non si salva nessuno-nessuna-nessun* Noi lesbiche, gay e trans sappiamo anche che i fondamentalismi e i clericalismi sono distruttivi: cambiano i nomi degli dèi, cambiano i paramenti dei sacerdoti, ma resta costante l’odio per chi è imprevisto/a/*. Contro lesbiche, gay e trans si cimentano improbabili alleanze, fra cattolicesimo e islamismo, fra stalinismo e ortodossia, fra neonazismo e pseudo psicanalisi. L’alleanza però che ci ferisce di più è quella fra la paura lgbt e l’opportunismo del potere.
Eppure noi ci siamo, continuiamo a vivere e a cercare la felicità, come tutti/e/*, come chi scappa e come chi arriva.
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Vedi anche Queer* against racism
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giovedì 3 settembre 2009
E Gianni Alemanno, il sindaco con la celtica al collo, va in pellegrinaggio a Lourdes
Dopo l'annunciato pellegrinaggio da Padre Pio di Berlusconi (che ha poi optato per un ben più vantaggioso, in termini di respingimenti e petrolio, Ramadan a Tripoli), il sindaco di Roma (mentre in tutta la penisola è un crescendo di violenza contro migranti, donne, gay, lesbiche e trans) va a Lourdes con la Diocesi romana e accompagnato, ovviamente, dalla moglie Isabella Rauti. Ed anche questo pellegrinaggio ha i suoi "vantaggi". E' la realpolitik, bellezza ...
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