All'appello delle attiviste di Aswat, Take Action Against the Bombing of Gaza's Civilians, fa eco quello della rete francofona di ricercatrici/ricercatori in studi di genere/femministi Efigies , Face à l'impunité israélienne : pour un féminisme décolonial, che pubblico di seguito // Par le présent appel, l’association EFIGIES (association de jeunes chercheur-e-s en Études Féministes, Genre et Sexualités) fait acte de sa solidarité avec les Gazaoui-e-s assiégé-e-s, assassiné-e-s, et plus généralement avec les Palestiniennes et les Palestiniens dont l’assujettissement colonial perdure.À l’heure actuelle, l’islamophobie, le racisme, les représentations coloniales persistantes dévaluent les vies palestiniennes, criminalisent et déshumanisent les manifestant-e-s pro-palestiniennes. Étant donné notre engagement dans le champ académique en France, nous ne pouvons rester indifférent-e-s à l’implication de certains discours universitaires et féministes dans la production de l’islamophobie et du racisme, ou du moins leur désengagement au regard des réflexions postcoloniales. Ces représentations coloniales, qui imprègnent le soutien inconditionnel de la France à la politique de l’État israélien, doivent urgemment être déconstruites dans le cadre d’une épistémologie rigoureuse et non ethnocentrique, incluant les outils des études postcoloniales, notamment dans leur intrication aux formations genrées et aux catégories sexuelles. Le Pinkwashing et l’homonationalisme d’Israël commencent à être internationalement déconstruits et dénoncés. Mais en France, les féminismes hégémoniques, de par certains de leurs positionnements notamment face au port du voile et à la religion musulmane, entretiennent l’islamophobie et participent à la minimisation des crimes commis envers les Palestinien-ne-s. Alors que l’Université de Tel Aviv accorde aux étudiants qui servent dans l’attaque contre Gaza la gratuité des inscriptions pour un an, et qu’un avis diffusé à l’Université Hébraïque de Jérusalem annonce une collecte de produits pour les soldats au front, nous invitons les étudiant.e.s et chercheur.e.s en genre, féminisme et sexualité à participer personnellement au boycott académique d’Israël et à signer la pétition contre l’interdiction du soutien à la Palestine de l’association des Universitaires pour le Respect du Droit International en Palestine (AURDIP: http://www.aurdip.fr/Petition-contre-l-interdiction-du.html). Le site de l’AURDIP ayant été hacké, vous pouvez signer la pétition en suivant le lien suivant . Le colonialisme ne crée pas seulement de tels produits « symboliques », qui en retour l’étayent. Ses enjeux sont géopolitiques et économiques, et parce que nous ne distinguons pas notre engagement dans la recherche et nos positionnements pratiques, nous relayons également et vous invitons à diffuser l’appel de la campagne Boycott, Désinvestissement, Sanctions, réponse citoyenne et non-violente à l’impunité d’Israël (http://www.bdsfrance.org/). Pour signer l’appel: Pour un féminisme décolonial. En solidarité,
Le bureau d’EFIGIES // Articoli correlati in Marginalia: Pinkwashing // Gaza. Dei vivi che passano // Over my dead body
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giovedì 31 luglio 2014
martedì 5 febbraio 2013
Alice Walker / Non restare muti
Come per Angela Davis anticipiamo di qualche giorno gli auguri di compleanno ad Alice Walker (9 febbraio 1944), ripromettendoci di leggere il suo Non restare muti (Nottetempo, 2011) che attende su uno degli scaffali della nostra libreria da troppo tempo
lunedì 19 novembre 2012
Una testimonianza da Gaza
Da Le Mafalde l'email inviata ieri da Adriana, una compagna italiana attualmente a Gaza insieme ad altre/i cooperanti e internazionali, e che al suo messaggio allega anche un resoconto con immagini di una visita all'ospedale di Al Shifa, dove molti dei morti sono bambini/e. Con preghiera di diffusione: "Qui a Gaza si vive ancora una situazione molto tesa, i bombardamenti israeliani continuano incessantemente e stanotte non ci hanno fatto chiudere occhio. Stanno continuando a colpire su tutta la striscia e finora hanno compiuto più di seicento bombardamenti, un'operazione che sta terrorizzando l'intera popolazione di Gaza sotto assedio. Finora 29 persone sono state uccise, e più di 250 quelle ferite di cui 100 bambini e 30 casi gravi. Oggi le milizie palestinesi hanno colpito con un razzo un campo aperto fuori Gerusalemme, oltre ad aver già raggiunto Tel Aviv. Dalle otto di stasera gli israeliani hanno detto che avrebbero incrementato l'attacco ... lo stiamo sentendo. Ci attende un'altra notte di bombe e boati che risuonano intorno, droni ed F16 che ronzano con il loro carico di distruzione in cielo. I bombardamenti avvengono in prossimità e dentro aree densamente popolate mettendo a rischio la vita dei civili. Ogni bombardamento causa la vibrazione delle abitazioni, creando un effetto terremoto che scuote le case. Un'amica vive vicino a un campo di addestramento che stanotte hanno colpito ripetutamente. La sua casa è stata scossa così forte e il boato è stato cosi assordante che pensava stessero attaccando casa sua. Stamattina mi ha scritto: 'E' da stamattina che tremo e ho paura. Pensavo che ci sarebbe caduta la casa addosso verso le sei, non so cosa usino ma è terrificante'. Fa rabbia leggere le versione dei principali media e giornali, che enfatizzano i lanci di razzi senza raccontare del disastro umanitario di Gaza, dell'illegalità del blocco israeliano, e dei bombardamenti indiscriminati su una popolazione imprigionata. Stanno terrorizzando l'intera popolazione, per fare la loro campagna elettorale. Penso che la maggior parte della gente per 8-10 ore al giorno non ha elettricità nelle case (come da tre anni a questa parte) e molti la sera sentono gli aerei e gli attacchi stando nel buio delle loro case. Penso alla paura dei bambini (a Gaza il 50% della popolazione ha meno di 14 anni). Munir, un amico, mi ha raccontato che suo figlio di 3 anni grida spaventato per i botti e la bimba di 8 anni non vuole mangiare né bere niente. Vi giro anche un comunicato con le interviste raccolte ieri all'ospedale Al Shifa di Gaza City, con la preghiera di diffusione. Un abbraccio, Adriana
martedì 11 settembre 2012
Judith Butler, ebraismo e violenza di stato
A fine agosto, a Francoforte, Judith Butler è stata insignita del prestigioso Premio Adorno, assegnazione preceduta e accompagnata da una violenta polemica da parte di alcune organizzazioni israeliane con articoli del tenore di "Il premio Adorno ad una fan di Hamas". Val la pena leggere la risposta di Judith Butler a questi attacchi, inviata originariamente a Mondoweiss, e poi ripresa e tradotta in italiano da varie testate (1, 2 e 3 ...). Eccola: "Il Jerusalem Post ha recentemente pubblicato un articolo in cui informa che alcune organizzazioni erano contrarie a che io ricevessi il Premio Adorno. Questo premio viene assegnato ogni tre anni a chi lavora nella tradizione intellettuale della teoria critica, intesa in senso ampio. Le accuse contro di me sono di appoggiare Hamas e Hezbollah (non vero), di appoggiare il BDS (parzialmente vero) e di essere un’anti-semita(platealmente falso). Forse non dovrei essere così sorpresa che chi si oppone al mio ricevimento del Premio Adorno ricorra ad accuse così ignobili e infondate per farsi notare. Sono una studiosa arrivata alla filosofia attraverso il pensiero ebraico e mi considero una persona che difende e prosegue una tradizione etica che include figure come Martin Buber e Hannah Arendt. Ho ricevuto un’educazione ebraica a Cleveland, sotto la guida del Rabbino Daniel Silver, in una sinagoga dell’Ohio dove ho sviluppato solide visioni etiche sulla base del pensiero filosofico ebraico. Nel mio percorso di formazione mi sono convinta che gli altri ci chiedono di – e noi stessi ci interroghiamo su come– rispondere alle loro sofferenze e cercare di alleviarle. Tuttavia, per fare questo, dobbiamo essere capaci di ascoltare e trovare i mezzi con cui rispondere, e talvolta pagare le conseguenze dei modi in cui decidiamo di opporci alle ingiustizie. In ogni singola tappa della mia educazione ebraica mi è stato insegnato che rimanere in silenzio di fronte all’ingiustizia non è accettabile. La difficoltà di un precetto di questo genere sta nel fatto che esso non ci dice chiaramente quando e come pronunciarci, o come opporci senza produrre una nuova ingiustizia, o come parlare in modo da essere ascoltati ed essere capiti in maniera corretta. La mia posizione non è ascoltata da questi detrattori, e forse non dovrei sorprendermi, visto che la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni dell'ascolto. Ho studiato filosofia all’Università di Yale e ho continuato a concentrarmi sulle questioni di etica ebraica lungo l’intero arco della mia educazione. Sono contenta di aver ricevuto quel bagaglio etico e l’educazione che mi è stata data, e che tuttora mi anima. È falso, assurdo e doloroso per chiunque sentir dire che chi formula una critica dello Stato di Israele è un antisemita, o, se ebreo, un ebreo che odia sé stesso. Accuse di questo genere cercano di demonizzare la persona che articola un punto di vista critico e di squalificare a priori questo punto di vista. Si tratta di una tattica di messa a tacere: di questa persona non si può parlare, e qualunque cosa essa dica va respinta in anticipo o distorta in modo tale da negare la validità stessa della presa di parola. L’accusa rifiuta di prendere in considerazione il punto di vista, di discuterne la validità, di valutarne le sue prove, e di trarne una conclusione oculata sulla base dell’ascolto della propria ragione. L’accusa non è semplicemente un attacco contro le persone che hanno punti di vista discutibili, ma si traduce in un attacco contro qualsiasi scambio ragionevole di opinioni, contro la stessa possibilità di ascoltare e parlare in un contesto in cui si potrebbe prendere in considerazione cosa l’altro ha da dire. Quando degli ebrei etichettano altri ebrei come “antisemiti”, essi cercano di monopolizzare il diritto di parlare in nome degli ebrei. Dunque l’accusa di antisemitismo serve da copertura per un conflitto tra ebrei. Sono allarmata per il numero di ebrei che, costernati per le politiche israeliane, tra cui l’occupazione, l’uso delle detenzioni indefinite e il bombardamento della popolazione civile a Gaza, cerca di rinnegare la propria ebraicità. Il loro errore consiste nel considerare lo Stato di Israele come rappresentante contemporaneo dell’ebraismo, e nel pensare che se una persona si definisce ebrea, questo significhi appoggiare Israele e le sue azioni. Nonostante questo, ci sono sempre state tradizioni ebraiche che si oppongono alla violenza statale, che affermano la coabitazione multiculturale e difendono i principi dell’uguaglianza. Queste tradizioni etiche di fondamentale importanza vengono dimenticate e marginalizzate ogni qualvolta si accetta che Israele sia la base dell’identificazione e dei valori ebraici. Quindi, da un lato gli ebrei che criticano Israele forse pensano di non potere più essere ebrei perché Israele rappresenta l’ebraismo; dall’altro lato, chi cerca di mettere a tacere i critici di Israele fa ugualmente coincidere l’ebraismo con Israele, traendo la conclusione che ogni critica è antisemita o, se la critica proviene da un ebreo, mossa da odio di sé. I miei sforzi, sia nella ricerca sia nei miei discorsi pubblici, sono sempre stati volti a uscire da questo vicolo cieco. Dal mio punto di vista ci sono tradizioni ebraiche molto significative – anche le prime tradizioni sioniste – che valorizzano la coabitazione e che forniscono modalità di opposizione contro la violenza di qualunque genere, inclusa la violenza di Stato. Oggi è molto importante valorizzare e tenere in vita queste tradizioni, poiché esse rappresentano i valori diasporici, le battaglie per la giustizia sociale e un principio ebraico talmente rilevante come la “riparazione del mondo” (Tikkun). È chiaro che quelle passioni che raggiungono livelli così elevati su questioni come queste rendono molto difficile l’ascolto e la presa di parola. Si decontestualizzano alcune parole e si distorce il loro significato per poi utilizzarle per stigmatizzare ed squalificare un individuo. Questo succede con molte persone che hanno una visione critica di Israele – e che vengono etichettate come antisemite o collaboratrici naziste; queste forme di accusa mirano a creare le forme più durevoli e tossiche di stigmatizzazione e demonizzazione. Si colpisce la persona decontestualizzandone le parole, invertendone i significati e sostituendole alla persona; di fatto, queste forme di accusa annientano i punti di vista della persona a prescindere da quegli stessi punti di vista. Per coloro che tra noi sono i discendenti degli ebrei europei eliminati dal genocidio nazista (la famiglia di mia nonna è stata distrutta in un piccolo villaggio a sud di Budapest), essere chiamati complici dell’odio contro gli ebrei o ebrei che odiano sé stessi è uno degli insulti e delle ferite più dolorosi che possano esistere. Risulta ancora più difficile resistere al dolore di un’accusa di questo genere quando la persona colpita cerca di affermare ciò che di più prezioso esiste nel giudaismo per pensare all’etica contemporanea, inclusa la relazione etica con chi è privato della propria terra e dei diritti di auto-determinazione, con chi cerca di mantenere viva la memoria della propria oppressione, con chi prova a vivere un vita che possa e debba essere riconosciuta come vita degna di essere vissuta. Sostengo che questi valori derivano tutti da fonti ebraiche importanti, il che non significa dire che essi derivano esclusivamente da quelle fonti. Ma, data la storia da cui provengo, è di fondamentale importanza, in quanto ebrea, oppormi all’ingiustizia e combattere contro tutte le forme di razzismo. Questo non fa di me una ebrea che odia sé stessa, bensì mi rende una persona che vuole affermare un giudaismo non identificabile con la violenza statale e che si identifica con una battaglia globale per la giustizia sociale.I miei commenti su Hamas e Hezbollah sono stati decontestualizzati e i miei noti e assodati punti di vista brutalmente distorti. Sono sempre stata a favore dell’azione politica non violenta, e questo principio ha sempre caratterizzato le mie posizioni. Alcuni anni fa, un membro di un pubblico accademico mi ha chiesto se penso che Hamas e Hezbollah appartengano alla “sinistra globale” e ho risposto con due commenti. Il primo era meramente descrittivo: queste due organizzazioni politiche si definiscono anti-imperialiste, e una delle caratteristiche della sinistra globale è l’anti-imperialismo; quindi, in questa logica, esse potrebbero essere descritte come parte della sinistra globale. Il mio secondo commento era critico: come per qualsiasi gruppo che si colloca a sinistra, occorre decidere se uno è contro o a favore di quel gruppo e valutare criticamente le posizioni di quel gruppo. Non accetto o approvo tutti i gruppi che fanno parte della sinistra globale. Infatti questi stessi commenti hanno fatto seguito a una mia presentazione in cui ho sottolineato l’importanza del lutto collettivo e delle pratiche politiche della non violenza, un principio che ho sviluppato e difeso in tre dei miei libri più recenti: Precarious Life, Frames of War e Parting Ways. Sono stata intervista sulle mie posizioni non violente sulla rivista Guernica e su altre riviste online, ed è facile ritrovare queste mie posizioni se uno volesse capire da che parte mi colloco su tali questioni. Talvolta sono addirittura presa in giro da membri della sinistra che appoggiano le forme di resistenza violenta che pensano che io non sia in grado di capire quelle pratiche. E’ vero: non appoggio le pratiche di resistenza violenta e non appoggio, non ho mai appoggiato e non posso appoggiare nemmeno la violenza statale. Forse questa posizione mi rende più naïve che pericolosa, ma è la mia posizione. Per questo mi è sempre sembrato assurdo che i miei commenti venissero interpretati come un appoggio a Hamas o Hezbollah! Non ho mai preso una posizione su nessuna organizzazione, così come non ho mai appoggiato tutte le organizzazioni che presumibilmente fanno parte della sinistra globale – non sono una sostenitrice incondizionata di tutti i gruppi che oggi fanno parte della sinistra globale. Dire che quelle organizzazioni fanno parte della sinistra non significa dire che esse dovrebbero esserne parte, o che in qualche modo le appoggio.Due altri punti. Appoggio il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) con una modalità specifica di appoggio. Ne rifiuto alcune versioni e ne accetto altre. BDS per me significa che mi oppongo agli investimenti in compagnie che producono equipaggiamenti militari il cui solo scopo è di demolire case. Questo vuol dire che non parlo in delle istituzioni israeliane a meno che non prendano una posizione chiara contro l’occupazione. Non accetto nessuna versione del BDS che discrimina contro i singoli individui sulla base della loro cittadinanza nazionale e continuo ad avere strette relazioni di collaborazione con molti studiosi israeliani. Una delle ragioni per cui appoggio il BDS e non appoggio Hamas e Hezbollah è che il BDS è il movimento civile e politico non-violento più ampio che cerchi di stabilire l’uguaglianza e il diritto all’auto-determinazione per i palestinesi. Il mio punto di vista è che i popoli di quella terra, ebrei e palestinesi, devono trovare un modo per vivere insieme in condizioni di uguaglianza. Come molte altre persone, desidero una comunità politica democratica su quella terra e sostengo i principi di autodeterminazione e coabitazione per entrambi i popoli e per tutti i popoli. Desidero, come lo desidera un numero sempre crescente di ebrei e non-ebrei, che venga posta fine all’occupazione, che cessi la violenza, e che i diritti politici fondamentali di tutti i popoli che vivono in quella terra vengano preservati da una nuova struttura politica.Due ultime note. Il gruppo che sponsorizza l’attacco contro di me si chiama Scholars for Peace in the Middle East – un nome quantomeno improprio – e nel suo sito web si sostiene che l’"Islam" è una "religione intrinsecamente antisemita (sic!)". Contrariamente a quanto riportato dal Jerusalem Post, non si tratta di un folto gruppo di studiosi ebrei con base in Germania, ma di una organizzazione internazionale con base in Australia e in California. Essi fanno parte di una organizzazione di destra e dunque di una guerra intra-ebraica. Un ex-membro del loro consiglio di amministrazione, Gerald Steinberg, è noto per i suoi attacchi contro le organizzazioni per i diritti umani israeliane, contro Amnesty International e Human Rights Watch. A quanto pare lo sforzo che questi gruppi compiono per denunciare le violazioni israeliane dei diritti umani le rende etichettabili come “organizzazioni antisemite”. Per finire, non sono lo strumento di nessuna organizzazione non-governativa: faccio parte del comitato consultivo di Jewish Voice for Peace; sono membro della sinagoga Khelillah a Oakland, in California; sono membro esecutivo della Faculty for Israeli-Palestinian Peace negli Stati Uniti e del Freedom Theatre di Jenin. I miei punti di vista politici toccano vari argomenti e non sono ristretti al Medio Oriente o allo Stato di Israele. Infatti ho scritto di violenza e ingiustizia in altre parti del mondo, ponendo la mia attenzione sulle guerre scatenate dagli Stati Uniti. Ho scritto anche di violenza contro le persone transessuali in Turchia, di violenza psichiatrica, di tortura a Guantanamo e di violenza della polizia contro i manifestanti pacifici negli Stati Uniti, solo per menzionare alcuni dei miei interessi. Ho scritto anche di antisemitismo in Germania e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.
venerdì 15 giugno 2012
Madonna for palestinians ...
Madonna for palestinians, un video sulla prima tappa del nuovo tour di Madonna - arrivato ieri in Italia - allo stadio Ramat Gan di Tel Aviv, dove la popstar ha lanciato il suo messaggio per "la pace", nonostante fosse stata invitata a sostenere la campagna Bds, cancellando il concerto. Un altro bel contributo al pinkwashing ...
lunedì 1 agosto 2011
Palestina: un appello di Indigenous and Women of Color Feminists
Dal sito Free Palestine riprendiamo (con un po' di ritardo è vero, ma può servire come promemoria per quante/i non lo avevano ancora visto), la traduzione di un appello di Indigenous and Women of Color Feminists, un gruppo di undici donne "studiose, attiviste e artiste" (ovvero Rabab Abdulhadi, Ayoka Chenzira, Angela Y. Davis, Gina Dent, Melissa Garcia,Anna Romina Guevarra, Beverly Guy-Sheftall, Premilla Nadasen, Barbara Ransby, Chandra Talpade Mohanty e Waziyatawin). In questo appello, che invitano a leggere e far circolare, affermano ("come donne indigene, donne nere, donne dalla schiavitù e donne dell’immigrazione postcoloniale coinvolte in vari percorsi di lotta"), la loro "affinità con il crescente movimento internazionale per la liberazione della Palestina".
Giustizia per la Palestina: Una chiamata all’azione
Giustizia per la Palestina: Una chiamata all’azione
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venerdì 15 aprile 2011
Vittorio Arrigoni / Guerrilla Radio
Guerrilla Radio, il blog di Vik da Gaza City. Un posto dove passare adesso e magari lasciargli un saluto, o solo rileggere qualcosa, imparare delle cose, essere d'accordo o no. E per chi prima di oggi non sapeva neanche chi fosse, sicuramente l'unico luogo dove scoprire chi era Vittorio Arrigoni e cosa faceva.
sabato 19 marzo 2011
Annassîm nel paese delle donne
Con un po' di ritardo (ma non potete immaginare quante cose da pubblicare abbiamo ancora nella nostra "lista d'attesa" ...) vi segnaliamo, sul sito de Il Paese delle donne, il report della giornata No hagra! No tirannia! organizzata da Annassîm. Donne native e migranti delle due sponde del mediterraneo, lo scorso otto marzo. L'urgenza di continuare a riflettere su quanto sta succedendo nei paesi a sud del mediterraneo, sul ruolo delle donne nelle rivolte in corso, così come sugli interessi e responsabilità che ha anche il nostro paese sulla situazione in Medio Oriente e Nord Africa, si fa sempre più urgente. Soprattutto allarmante è il quadro che si sta delineando in Libia, con un intervento militare che sembra imminente (rinviamo ad alcuni dei materiali/iniziative che ci sono state segnalate nelle ultime ore, dall'appello di Angelo del Boca e altri, al comunicato Nessuna complicità con l'intervento militare, alle cronache dalla Libia di Fortress Europe).
(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:
Dal Medio Oriente al Nord Africa fino all'Italia
Voci di donne dalle rivolte, uteri per la patria e guerre umanitarie
E' l'Italia mercenaria che spara sulla folla in Libia
Muammar Gheddafi, Silvio berlusconi e l'Italietta postcoloniale
"Clandestini": licenza d'uccidere
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sabato 5 marzo 2011
Dal Medio Oriente al Nordafrica fino all'Italia: un otto marzo di lotta e rivolta senza fiocchi rosa!
Chi segue da un po' Marginalia sa bene dell'allergia alle mimose che alberga in questo blog, della poca passione per la "festa" e i "miti" dell'otto marzo. Se poi, come sembra stia succedendo quest'anno, c'è chi pensa di addobbare questa ricorrenza con fiocchi rosa e appelli alle donne italiane, la nostra allergia rischia di trasformarsi in vero e proprio shock anafilattico. Ma l'adrenalina salva-vita viene dai segnali di lotta e rivolta che giungono dai paesi a sud del Mediterraneo, dall'appello che vi avevamo segnalato delle donne di Nasawiya per una International Women's Day in Lebanon, all'alleanza femminista Women United for Future of the Middle East (Donne unite per il futuro del Medio Oriente) messa in piedi dalle donne di Sawt al Niswa, che chiedono a tutte le singole e realtà femministe del Medio Oriente e del Nord Africa di fare fronte comune e alle donne di ogni parte del mondo di sostenerle. Ma tante (fortunatamente) sono anche le iniziative di lotta e rivolta senza fiocchi rosa che si stanno programmando per l'otto marzo qui in Italia (vorremmo potervi promettere presto un altro post che le segnalasse tutte, ma sapendo già che non ne avremo sicuramente il tempo, vi invitiamo a visitare i tanti siti femministi che abbiamo inserito nelle nostre sitografie da Femminismi a Razzismo_Genere_Classe passando per Movimenti lgbtq*). Ve ne segnaliamo solo una, un'iniziativa che riteniamo preziosa e nella quale siamo state felici di essere state coinvolte: No hagra! No tirannia!, un'intera giornata di solidarietà e di approfondimento riflessione sul ruolo delle donne nelle rivolte nei paesi a sud del mediterraneo che si svolgerà al Centro Zonarelli (via Sacco, 4 - Bologna) per l'appunto l'otto marzo. In programma, a partire dalle 11 del mattino: filmati da Egitto, Algeria, Tunisia, Palestina, Iran, Libia, esposizione di foto, documenti, disegni, oggetti, libri e bibliografia al femminile sul momdo arabo curata dal Centro Amilcar Cabral, Casa di Khaoula e altre boblioteche del quartiere, un angolo per la cura e la bellezza del corpo coordinato da Hend Hamed, frammenti di letteratura araba contemporanea letti da Fouzia, Mariem, Nada, Fatima, Asmaa, Samira, Agjba, Olfa, Soumya. E poi ancora collegamenti con Al Jazeera, presentazioni di libri sul femminismo islamico, dibattiti, interventi e per finire (ma abbiamo sicuramente dimenticato qualcosa) cena con the alla menta e al cardamomo e cous cous tunisino super-piccante ...
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domenica 27 dicembre 2009
Ad un anno dall'operazione Piombo Fuso, per non dimenticare Gaza e le ragioni di un conflitto
Esattamente un anno fa, il 27 dicembre (e fino al 18 gennaio), l'operazione israeliana Piombo fuso provocò centinaia e centinaia di morti (donne, uomini, bambine/i) a Gaza. Ne avevamo scritto (poco) qui, ma ne avevamo letto giorno dopo giorno gli sviluppi in siti come Guerrilla Radio di Vittorio Arrigoni (al quale rinvio, ancora), ci eravamo indignate/i, avevamo manifestato, discusso ferocemente, tentato di trovare soluzioni e/o risposte non sempre semplici (o facili). Ad un anno esatto non potevo non ricordare la tragedia di Gaza, come in tanti/e stanno facendo (per quel poco che serve), mentre (molto più efficacemente si spera) è in corso la Gaza Freedom March
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Alcuni articoli correlati in Marginalia:
Non dimenticare Gaza. Anche per Khadija Shawani e le altre
Tecniche di bondage per resistere
Tra assordanti bla bla bla, pensando alle donne di Gaza
Per non tornare alle Crociate
Over my dead body
Gaza. Dei vivi che passano
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domenica 11 gennaio 2009
Vedi Napoli e poi muori. Ma non prima di aver visto Louise Bourgeois
Che i materiali morbidi e trasparenti e il tenero e delicato colore rosa di vagine, bocche, uteri, placente, corpi gravidi o in travaglio, mani e falli non vi ingannino: l'opera di Louise Bourgeois non è niente affatto rassicurante. E' anche sangue, carne, morte, rapporti umani ambivalenti e straziati. Il gigantesco ragno chiamato Maman che apre/chiude la mostra all'esterno del museo è li a ricordarvelo.
Come alle Tuileries il fascino della mostra è anche dovuto al contrasto ( e al dialogo) tra queste sculture contemporanee e le opere "antiche" della collezione permanente del museo: un bellissimo Caravaggio, Brueghel, Annibale Carracci ... e anche alcune tele di Artemisia Gentileschi e tra queste la celebre Giuditta e Oloferne. Guardando l'eroina biblica che sgozza il tiranno Oloferne salvando la città palestinese di Betulia, come non pensare, ancora una volta, a Gaza?
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mercoledì 7 gennaio 2009
Lontano da Gaza, tra Gomorra e CasaPound
Non posso parlare di Gaza, non ancora, o posso parlarne solo come Viktor Sklovskij ha parlato d'amore senza parlare d'amore in Zoo o lettere non d'amore ... Ma mentre scrivo gli uomini, le donne, i/le bambin* dilaniat* li ho davanti agli occhi ...
Per chi arriva in questi giorni a Napoli dalla stazione ferroviaria di Napoli Centrale non è possibile ignorare le centinaia di manifesti di CasaPound (per la casa, la giustizia sociale e la retorica strumentale di maggioranza e opposizione facce della stessa medaglia) . I manifesti sono affissi un po' ovunque, nell'adiacente piazza Garibaldi e giù per tutto corso Umberto, nonostante molti siano già stati strappati o ricoperti da altri manifesti, in specie funebri, perché da queste parti (dovrebbe essere notorio) si muore molto e i funerali solenni non si contano. Morti ammazzati a Capodanno come negli altri giorni, mort* di lavoro nei cantieri, al porto, nei laboratori ricavati nei sottoscala, donne ammazzate come nel resto d'Italia, mort* ammazzati* "apposta" o per sbaglio, per caso o fatalità, morti di camorra o di monnezza. Non la monnezza lasciata per le strade e che oramai fa tanto esotico (ho visto turist* fotografarla) ma quella tossica proveniente da tutta Italia, "intombata" per anni e anni nelle campagne qui intorno e che regala centinaia di tumori all'anno ... Un' altra manna per le agenzie funebri e non solo. Poi però girando per i vicoli, razzolando tra i libri nelle bancarelle di Porta Alba, tra una sfogliatella, una pizza da Michele, una frittatina in una friggitoria unta quanto basta di San Lorenzo (non necessariamente nell'ordine), di questi manifesti non se ne vedono affatto e mi sembra il minimo chiedersi perché. Saranno forse in poch* e il comitato accoglienza di CasaPound Napoli avrà ritenuto conveniente concentrare le forze in zona stazione ferroviaria? O piuttosto la concentrazione di manifesti in una sola zona è riconducibile alla non agibilità dei neofascisti in alcune zone e agibilità assoluta in altre? Ecco, qui mi manca tanto una bella mappatura della città, magari "incrociata" tra Gomorra (il riferimento è a Gomorra di Roberto Saviano, che aldilà del personaggio offre spunti interessanti) e CasaPound. Perché un legame tra queste "realtà", un legame quantomeno "ideale", c'è: durante i suoi numerosi arresti il boss della cosca del quartiere Sanità Giuseppe Misso - oggi pentito, autore qualche anno fa del volume I leoni di marmo e noto per essere da sempre vicino ai Nar e tra gli indagati per la strage dell’Italicus e quella della stazione di Bologna -, è sempre stato trovato in compagnia dei libri dei suoi autori preferiti, Julius Evola ed Ezra Pound ...
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Le mamme di CasaPound
CasaPound Superstar
CasaPound: il volto attraente dei nuovi fascisti
Ave Italo!
Chi è veramente CasaPound
Un Italo da rottamare
Per chi arriva in questi giorni a Napoli dalla stazione ferroviaria di Napoli Centrale non è possibile ignorare le centinaia di manifesti di CasaPound (per la casa, la giustizia sociale e la retorica strumentale di maggioranza e opposizione facce della stessa medaglia) . I manifesti sono affissi un po' ovunque, nell'adiacente piazza Garibaldi e giù per tutto corso Umberto, nonostante molti siano già stati strappati o ricoperti da altri manifesti, in specie funebri, perché da queste parti (dovrebbe essere notorio) si muore molto e i funerali solenni non si contano. Morti ammazzati a Capodanno come negli altri giorni, mort* di lavoro nei cantieri, al porto, nei laboratori ricavati nei sottoscala, donne ammazzate come nel resto d'Italia, mort* ammazzati* "apposta" o per sbaglio, per caso o fatalità, morti di camorra o di monnezza. Non la monnezza lasciata per le strade e che oramai fa tanto esotico (ho visto turist* fotografarla) ma quella tossica proveniente da tutta Italia, "intombata" per anni e anni nelle campagne qui intorno e che regala centinaia di tumori all'anno ... Un' altra manna per le agenzie funebri e non solo. Poi però girando per i vicoli, razzolando tra i libri nelle bancarelle di Porta Alba, tra una sfogliatella, una pizza da Michele, una frittatina in una friggitoria unta quanto basta di San Lorenzo (non necessariamente nell'ordine), di questi manifesti non se ne vedono affatto e mi sembra il minimo chiedersi perché. Saranno forse in poch* e il comitato accoglienza di CasaPound Napoli avrà ritenuto conveniente concentrare le forze in zona stazione ferroviaria? O piuttosto la concentrazione di manifesti in una sola zona è riconducibile alla non agibilità dei neofascisti in alcune zone e agibilità assoluta in altre? Ecco, qui mi manca tanto una bella mappatura della città, magari "incrociata" tra Gomorra (il riferimento è a Gomorra di Roberto Saviano, che aldilà del personaggio offre spunti interessanti) e CasaPound. Perché un legame tra queste "realtà", un legame quantomeno "ideale", c'è: durante i suoi numerosi arresti il boss della cosca del quartiere Sanità Giuseppe Misso - oggi pentito, autore qualche anno fa del volume I leoni di marmo e noto per essere da sempre vicino ai Nar e tra gli indagati per la strage dell’Italicus e quella della stazione di Bologna -, è sempre stato trovato in compagnia dei libri dei suoi autori preferiti, Julius Evola ed Ezra Pound ...
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