mercoledì 8 novembre 2006

Il "qui ed ora" del patriarcato. Hina Saleem e le altre

Conosciamo il ruolo giocato dai mass media nella riproduzione dell’ordine sociale, politico ed economico esistente. L’amplificazione mediatica di fatti di cronaca nei quali, a titolo diverso, sono implicati dei/delle migranti ha anche lo scopo di consolidare un clima collettivo di paura e odio verso lo “straniero” funzionale all’ordine di cui sopra. Quest’estate abbiamo avuto più di un esempio di questa collaudata strategia, penso a come sono stati trattati fatti di cronaca quali l’omicidio di Hina Saleem, la giovane pakistana uccisa dal padre con il concorso di altri uomini della famiglia. Di lei hanno scritto, tra l’altro, che è stata seppellita nell’orto di casa con la testa rivolta verso la Mecca, come vuole la tradizione musulmana. Chissà in che direzione era rivolta la testa di quella giovane italiana, incinta di nove mesi, seppellita viva, qualche mese fa, dal suo amante, autoctono pure lui. Di lei non ricordo il nome, non ha avuto l’assordante omaggio mediatico che ha seppellito per la seconda volta Hina. Ma – ci dicono – Hina è morta perché voleva diventare “italiana” (addirittura “bresciana” dice il suo fidanzato italo-bresciano), quindi merita questo largo spazio sui giornali, anzi è stata avanzata addirittura la proposta di solenni funerali di stato. Magari una medaglia. Una medaglia che ci ricordi nei secoli futuri che siamo (“noi”, noi italiani) dalla parte del “bene”: vedete, c’è addirittura chi muore per fare parte di “noi”, della nostra “civiltà”, “cultura”, “umanità”.Il resto è barbarie. Ieri a Rimini un giovane autoctono, guardia giurata in un istituto di vigilanza, armato di pistola, martello e coltello, ha ucciso un muratore siciliano di ventisei anni e ferito quasi mortalmente un giovane albanese che era con lui, vera vittima designata dell’agguato. Sembra che quest’ultimo “insidiasse” con telefonate e simili la sua “fidanzata”. Dopo l’arresto ha dichiarato : “ho fatto il mio dovere. Se non ci fosse gente come me, questi chissà cosa continuerebbero a fare”. Razzismo, rambismo e una buona dose di sessismo, gli ingredienti di questa storia. La ricetta in fondo“funziona”, perché cambiarla? Ho trovato stupefacente che anche Dacia Maraini, in un articolo per il Corriere della Sera del 21 agosto (dove pure punta il dito contro il patriarcato e denuncia l’uso proprio di ogni fondamentalismo – sia esso musulmano o cattolico – di usare la religione come una clava contro la lotta per la libertà delle donne) chieda che lo “Stato Italiano” si faccia carico di questa morte con un funerale ufficiale “che dia dignità e onore alla ragazza uccisa” per “incoraggiare chi si integra, chi cerca di diventare italiano, punire chi pretende, venendo da noi, di continuare ad applicare leggi arcaiche e disumane”. Ho trovato invece bello e anche coraggioso l’articolo di Maria Grazia Rossilli “Il mostro è il patriarcato, nelle sue varianti cattoliche e musulmane. Piccola storia romana tanto simile a quella di Hina”, che potete leggere sul Paese delle donne on-line. Certo, bisognerà poi trovare il modo di fare dei “distinguo” (che non sono solo quelli di Giuliano Ferrara) per non rischiare di trasformare il concetto di patriarcato in qualcosa di a-storico, di immutabile o astratto, anziché qualcosa di radicato, sempre, in un “qui ed ora”. Solo la messa a fuoco e l’analisi di questo “qui ed ora” potrà aiutarci a trovare degli utili ed efficaci mezzi per combatterlo. Certo, la migrazione di molte donne è dovuta anche alla volontà di sottrarsi a forme brutali di oppressione e inferiorizzazione, ma il fatto che nessuno abbia mai proposto i funerali di stato per una delle tante donne uccise dal marito, dal fidanzato, dall’amante o dal padre italiani ( anche del "nord", non solo del barbaro "sud") dovrebbe farci riflettere.

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lunedì 30 ottobre 2006

Lobby continua alle crociate?

Un trafiletto di Marco Politi su La Repubblica di qualche giorno fa (27 ottobre 2006), annuncia il progetto di Paolo Sorbi, ex militante di Lotta Continua e attuale presidente del Movimento per la Vita ( noto in Italia in particolare per la cosiddetta "difesa dell’embrione") di Milano, di creare una "lobby di massa" che unisca cristiani e seguaci di altre fedi e filosofie per la difesa dell’Occidente dal pericolo del fondamentalismo islamico. Al seguito dell’esortazione di B16 (vedi il mio Integralismi a confronto) all’unione con tutti coloro che non vogliono "staccarsi dalle radici cristiane della nostra civiltà", Sorbi - che in un’intervista del 24 settembre 2006 al Secolo XIX (che potete leggere su Gaynews) aveva affermato, presentando il suo progetto Living Waters, che "i gay? Sono malati, noi li curiamo" (che fa eco allo slogan di Forza Nuova contro il corteo glbt di Catania dal quale è nata la manifestazione Orgoglioso antifascismo)-, sogna di importare l’attivismo e la capacità di mobilitazione del movimento Pro Life statunitense per fare pressione sulle istituzioni e contrastare una certa cultura democratica e tollerante. Allo scopo Sorbi ha creato un Ufficio socio-politico e prepara la prima sortita pubblica sulla questione Islam con l’appoggio e la partecipazione di Magdi Allam e Giorgio Israel. Cattolici, musulmani ed ebrei uniti nella lotta alla cospirazione dei radicali islamici contro l’Occidente. In Integralismi a confronto parlavo delle inquietanti assonanze tra le posizioni dell’integralismo islamico e cattolico (nella fattispecie per quanto riguarda l’attacco all’omosessualità). E le assonanze tra gli integralismi ebraico, cristiano e mussulmano erano l’oggetto di un libro di qualche anno fa (Tirs Croisés. La laicité à l’éprouve des intégrismes juif, chrètien et musulman, Calmann-Lévy, 2003)) di Caroline Fourest e Fiammetta Venner (quest’ultima tra l’altro ha lavorato lungamente sui movimenti pro-life, disgraziatamente niente è stato tradotto, ma i meno edotti sappiano almeno che in nome della "difesa della vita" i movimenti pro-life statunitensi hanno ucciso un buon numero di persone a partire dai medici abortisti). L’interesse di questa prospettiva era ed è quello di mettere in luce la prossimità delle posizioni relative alla sessualità e alla “libertà di scelta” che legano paradossalmente gli attori più “irriducibili” del cosiddetto scontro di civiltà. Nel progetto di Sorbi l’elemento “nuovo” è che il revanscismo cattolico arruola alla sua nuova crociata integralista da una parte un fautore (Israel) dell’alleanza della cultura ebraica con il cattolicesimo conservatore per la difesa della tradizione (giudeo) cristiana dell’Europa e dall’altra un curioso rappresentante (Allam) delle tendenze “razionaliste e laiche” della cultura islamica. La “nuova alleanza” tra le armate papaline ed esponenti di un’improbabile cultura razionalista e laica mira a legittimarsi proprio attraverso l’annessione del presunto elemento “laico” al fronte unico contro il comune nemico (il fondamentalismo islamico). Le vie del Signore, e della demagogia, sono infinite …

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mercoledì 11 ottobre 2006

Integralismi a confonto

La notizia della ragazzina presa a sassate a Lione da alcuni suoi compagni di scuola perché (sembra) mangiava un panino durante il Ramadan (fatto avvenuto una settimana fa ma ripreso oggi dai giornali in Italia, per esempio La Repubblica) ha avuto più risonanza mediatica (soprattutto nei siti "anti-islamici") della notizia che Hani Ramadan andrà ad insegnare nella stessa Lione in una scuola fondata dall’Unione dei giovani musulmani. Hani Ramadan è noto soprattutto per essere il fratello del più celebre Tariq e il nipote d’Hassan al Banna, fondatore dei Fratelli musulmani, ma dovrebbe esserlo molto di più per aver approvato in varie occasioni la lapidazione per adulterio (ricordo in particolare una sua intervista a Le Monde nel 2002), per considerare l’Aids una punizione divina e per aver affermato che non si può essere musulmani ed omosessuali."Dio ha voluto un ordine. E quest’ordine è l’uomo per la donna e la donna per l’uomo" , ha dichiarato in una conferenza qualche anno fa (prendo questa notizia da un volantino distribuito durante il Forum Sociale Europeo e riprodotto nella rivista ProChoix n 26-27, 2003, del Collectif Féministe pour une altermondialisation Laique). A parte la lapidazione, queste ultime affermazioni hanno un’ inquietante vicinanza con le posizioni della Chiesa cattolica, anche quella dell’attuale papa Benedetto XVI (un’amico informato mi dice che è molto più à la page chiamarlo B16, che a me fa pensare a un ibrido tra una vitamina e un bombardiere).

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mercoledì 13 settembre 2006

"Orgoglioso antifascismo": Catania 1939-2006

Mancano oramai pochi giorni alla manifestazione promossa dall’Open Mind, che si terrà a Catania il 16 settembre (potete trovare il documento di convocazione e l’indirizzo per aderire nel post "Orgoglioso antifascismo" del 27 luglio ) Ho ritenuto importante dare spazio e per questa via aderire all’iniziativa anche perché offre un terreno comune di lotta a tante soggettività diverse e mi sembra utile proporre qualche elemento di discussione in più. Il richiamo all’eliminazione di migliaia di omosessuali uccisi nei campi di sterminio nazisti presente nel documento è doveroso perché questo aspetto è spesso rimosso o sottovalutato, come pure l’uccisione di altri “non-uomini” (penso in particolare ai rom, i cosiddetti “zingari”). Certamente il richiamo ai campi di sterminio nazisti, provoca, tramite la forte carica simbolica legata a quei luoghi, una grande ed immediata adesione anche di tipo emotivo. Ma mi chiedo se non sarebbe più opportuno ( e forse anche più proficuo per trovare oggi efficaci strumenti di lotta contro l’omofobia, il sessismo e il razzismo professati da gruppi quali Forza Nuova) riflettere in questa occasione sulle modalità peculiari che assunse nell’Italia fascista la persecuzione degli omosessuali. Come argomenta Giovanni Dall’Orto nel suo “Il paradosso del razzismo fascista verso l’omosessualità” (in A. Burgio, Nel nome della razza. Il razzismo nella storia d’Italia 1870-1945, Bologna, Il Mulino 1999) in Italia, a differenza che nella Germania nazista, non ci furono delle vere e proprie leggi anti-omosessuali, e questo per delle differenze sostanziali tra le due politiche razziste nei confronti dell’omosessualità. Per il programma razziale nazista, gli omosessuali costituivano un gruppo “degenerato” (similmente ad ebrei, zingari, “ritardati” mentali eccetera), e questa tara genetica prevedeva come conseguenza la loro eliminazione fisica, unico modo per “rigenerare” la razza tedesca da tutti i presunti geni difettosi. Significativo al riguardo è che il nazismo non faceva differenze tra omosessuali “attivi” e “passivi” o tra chi metteva in pratica l’atto o, semplicemente, lo fantasticava. Del tutto diverso l’approccio del fascismo italiano, dove l’omosessuale non è un gruppo sociale “tarato” e quindi da eliminare, ma qualcuno che “devia” dalla giusta via (quella eterosessuale), un malato che può essere curato e recuperato. Il manifesto di Forza Nuova citato nel documento di Open Mind (“L’omosessualità si cura non si manifesta”) mi sembra in perfetta continuità con questo tipo di approccio e a mio modo di vedere la dice lunga sulle radici storiche mai recise degli attuali gruppi neo-fascisti italiani.
Altra differenza spesso sottolineata è che la persecuzione anti-omosessuale fascista non assunse le proporzione anche numeriche di quella nazista (in Italia tra il 1936 e il 1939 furono mandati al confino meno di 90 persone). Elemento importante non per assolvere o sminuire le colpe del fascismo contro gli omosessuali, ma perché ci offre una chiave in più per comprendere anche il presente. Una persecuzione maggiore avrebbe significato “dare pubblicità” all’omosessualità, cosa che il fascismo italiano non poteva permettersi perché questo avrebbe incrinato il mito, caro a Mussolini e ai suoi gerarchi nonché a un buon numero di italioti anche odierni, del maschio italiano talmente virile da non poter essere omosessuale (tant’è che era considerato omosessuale solo chi indulgeva nel ruolo “passivo”, negli altri casi, essendo la virilità salva, non c’erano problemi). Ma l’aspetto che più mi preme sottolineare nell’imminenza della manifestazione di Catania è che ben 42 delle 90 condanne al confino promulgate dal fascismo furono opera di un unico questore: lo zelante questore Molina di … Catania.! Sarebbe forse il caso allora di fare circolare l’articolo di F. Goretti, “Catania 1939” (in E. Venturelli (a cura di), Le parole e la storia, Bologna, Il Cassero 1991) e rendere la cosiddetta “memoria storica” qualcosa di meno simbolico (e forse retorico). E se si titolasse una piazza o via di Catania alle vittime di Molina, costrette tra l’altro a subire durante il processo una visita all’ano per stabilire se fossero “passivi” o “attivi”?

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giovedì 13 aprile 2006

Provenzano: l'autunno del patriarca, ovvero dai benefici ai costi del lavoro di cura

E’ finita ieri la latitanza – durata quasi quarant’anni - del “padrino” di Cosa Nostra, Bernardo Provenzano. Sembra che sia stato involontariamente tradito dalla consegna dell’ennesimo pacco con la biancheria lavata e stirata dalla meno celebre moglie Saveria. Stamattina, sfogliando svogliatamente il Resto del Carlino al bar sono stata colpita dalla frase di un inquirente, grosso modo : si conferma che le donne sono la rovina dei latitanti … Non ho potuto fare a meno di pensare a un ironico slogan delle femministe francesi degli anni Settanta: operai, chi lava i vostri calzini? E naturalmente a tutta la critica, anche delle femministe italiane dei bei tempi, al cosiddetto “lavoro d’amore” (l’odierno lavoro di cura, rivalutato e strombazzato da molte). Altro che donne rovina-latitanti! Qui è lo sfruttamento patriarcale del lavoro di cura che finalmente mostra di comportare, oltre a tanti benefici, qualche costo …

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