domenica 20 ottobre 2013
Affaire Treccani: rassegna stampa
lunedì 23 settembre 2013
Talebani del politicamente corretto
mercoledì 15 maggio 2013
SFamily Day : oltre i modelli normativi, per altre forme di intimità e affettività
mercoledì 13 marzo 2013
Anonymous / Per farla finita con CasaPound
giovedì 15 novembre 2012
Femministe a parole / Presentazione alla Bidd
mercoledì 30 marzo 2011
R/esistenze a ... Salò
mercoledì 23 febbraio 2011
Orgoglio e pregiudizio
venerdì 10 dicembre 2010
Orgoglio e pregiudizio: il nuovo numero dei Quaderni Viola
giovedì 1 ottobre 2009
Stranabologna
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martedì 29 settembre 2009
Stranabologna: in strada per spezzare il filo nero della paura
Anna Paola Concia è conciata male ...
martedì 15 settembre 2009
Terrone sinonimo di maleducato ... Riflessioni solitarie a partire dal manuale di bon ton di un gay-friendly leghista
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lunedì 7 settembre 2009
Omofobia non è un concetto neutro
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Siamo imprevisti/e/* come chi arriva da lontano, come chi arriva dalla povertà. Qualcuno/a odia noi perché in noi si rispecchia e cerca di distruggere con noi il suo desiderio che ha sempre represso, negato, nascosto, magari celandosi dietro uniformi, abiti talari o monacali, maschere neonaziste. Qualcuno/a freddamente ci nega, ci cancella dalla scena pubblica, perché vuole ri/costruire una società patriarcale e familista i cui pesi ricadano sulle donne prigioniere dei ruoli della tradizione; questo/a qualcuno/a vede nei gay, nelle lesbiche e nelle persone trans ostacoli al suo progetto reazionario. Qualcuno/a ci usa come capro espiatorio, come facile bersaglio perché una società impoverita, priva di diritti, ridotta a plebe cieca, possa sfogare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. E’ già successo, settanta anni fa, e il gioco si sta ripetendo; di nuovo ci troviamo in compagnia di minoranze, immigrate/i, diverse/i a vario titolo. Qualcuno/a finge di prevederci, ma pretende che assomigliamo alla sua idea di noi e ci chiede di rinnegare dei pezzi di noi, in nome del quieto vivere e del decoro.
Qualcuno/a/* di noi finge di non essere imprevisto/a/*, cerca di passare inosservato/a/o, di scivolare con eleganza sulla scena senza turbare, senza spostare la polvere.
Qualcuno/a/* di noi cerca di vincere la paura mettendosi dalla parte degli aggressori, stabilendo gerarchie interne fra chi è più rispettabile e chi lo è meno, cercando attivamente di smarcarsi da altre vittime dell’odio. Qualcuno/a/* di noi non si meraviglia della violenza omofobica, ha fatto della paura un’abitudine. Qualcuno/a/* di noi si meraviglia della violenza omofobica, la vede come un prodigio cattivo senza cause riconoscibili, non legge la connessione fra le Svastichelle e la banalizzazione del neofascismo, fra l’estrema destra italiana e le croci celtiche nascoste dietro la rispettabilità delle cravatte. Qualcuno/a/* per darsi un ruolo fa spettacolo, fa la pagliaccia di lusso, il clown di regime, la trasgressione da fine settimana e rinnega la sua favolosità per un biglietto di seconda classe sul Titanic. Siamo tutte/i/* sul Titanic, la nostra società è il Titanic e la nostra società è anche l’iceberg contro cui il Titanic si schianterà. Lesbiche, gay e trans dall’Europa, dalle liberate città del possibile osservando un’Italia senza orgoglio civile, senza solidarietà sociale, senza difesa della laicità, senza memoria della sua storia resistente capiscono che in questo paese sfibrato lesbiche, gay e trans nel migliore dei casi saranno imprevisti/e/* e ignorati/e/*, nel peggiore aggrediti/e/* e cancellati/e/*. Lesbiche, gay e trans dall’Italia osservano i gommoni dell’immigrazione, sanno in cuor loro che chi odia quegli uomini e quelle donne imprevisti/e prima o poi se la prenderà con gli imprevisti/e della sua “etnia”. È già successo: i triangoli rosa di Auschwitz accanto alle stelle gialle ebraiche, ai triangoli neri asociali, ai triangoli scuri zingari. C’è chi lo rimuove, fra noi, c’è chi fa finta di niente, ma in cuor nostro tutti e tutte lo sappiamo.
Qua o ci salviamo tutti/e/* o non si salva nessuno-nessuna-nessun* Noi lesbiche, gay e trans sappiamo anche che i fondamentalismi e i clericalismi sono distruttivi: cambiano i nomi degli dèi, cambiano i paramenti dei sacerdoti, ma resta costante l’odio per chi è imprevisto/a/*. Contro lesbiche, gay e trans si cimentano improbabili alleanze, fra cattolicesimo e islamismo, fra stalinismo e ortodossia, fra neonazismo e pseudo psicanalisi. L’alleanza però che ci ferisce di più è quella fra la paura lgbt e l’opportunismo del potere.
Eppure noi ci siamo, continuiamo a vivere e a cercare la felicità, come tutti/e/*, come chi scappa e come chi arriva.
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Vedi anche Queer* against racism
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mercoledì 25 marzo 2009
Fuori della norma
Qui di seguito la mia recensione a Nerina Milletti e Luisa Passerini (a cura di), Fuori della norma. Storie lesbiche nell'Italia della prima metà del Novecento (Rosenberg&Sellier, Torino 2007), publicata nell'ultimo numero di Zapruder. Storie in movimento (Riflessi incrociati. L'Occidente visto dagli altri, gennaio-aprile 2009).
In un articolo pubblicato qualche anno fa in questa rivista (Nerina Milletti, “La storia lesbica. Una storia oscena”, n. 9, 2006), veniva sottolineata la disattenzione della storiografia italiana (accademica ma anche femminista) alla storia del lesbismo: solo quattro i libri pubblicati sull'argomento negli ultimi vent'anni, : L'amante celeste di Rosanna Fiocchetto (1987), Ladies' Almanack di Giovanna Olivieri (1992), Amiche, compagne, amanti di Daniela Danna (1994) e Lo specchio incrinato di Paola Lupo (1998), ai quali possiamo oggi aggiungere il recente volume curato da Monia Dragone, Cristina Gramolini, Paola Guazzo, Helen Ibry, Eva Manini e Ostilia Mulas, Il movimento delle lesbiche in Italia.
In questo contesto Fuori della norma (libro “ben fatto, forte e coraggioso”, per riprendere le parole di Liana Borghi su Liberazione), viene a colmare un vuoto, essendo il primo libro – come sottolinea Milletti nel saggio introduttivo – sulla storia lesbica italiana del Novecento.
Il volume è una sfida alla repressione e negazione del lesbismo esercitata anche “attraverso il controllo della produzione e della conoscenza storica” (N. Milletti, Donne “fuori della norma”, p. 23), e la dimostrazione di come la riflessione su una categoria “specifica” possa divenire un utile strumento per indagare altri assi di differenziazione come il genere, la “razza”, la classe e la sessualità.
Attraverso i sei saggi che lo costituiscono, Fuori della norma offre un vasto e variegato spaccato del lesbismo nella prima metà del secolo scorso e delle problematiche ad esso connesse, poiché questo, in quanto “sovradeterminato da diversi ordini di discorso (religioso, giuridico, letterario, medico, psicanalitico), serve [...] egregiamente ad analizzare le tecnologie di controllo e le loro incoerenze, i meccanismi di resistenza e i diversi assi di potere che concorrono a costituire il genere” (Milletti, ibidem).
Un viaggio nel “corpo lesbico” cronologico, teorico e politico: dalle vicende “amorose” della poetessa Cordula (Lina) Poletti (1885-1971), amante dapprima di Sibilla Aleramo poi di Eleonora Duse, (Cenni), alle vite di quattro lesbiche alla ricerca di identità negli anni dell'avvento del fascismo fino al dopoguerra e oltre (Romano), dalle strategie di resistenza e sopravvivenza di sette donne, “giovani lesbiche nell'Italia di Mussolini” (Biagini), ai casi di condanna al confino durante il regime marcati dalle diverse collocazioni di classe (Milletti), alle notizie sensazionali e fantastiche di “matrimoni travestiti” su alcuni quotidiani tra il 1900 e il 1950 (Schettini), alla “disciplina della sessualità femminile nell’impero fascista”, attraverso La difesa della razza (1938-1943) e altre pubblicazioni del periodo (Poidimani).
Non resta che augurarsi un proseguo delle ricerche che getti luce su quelle zone d'ombra rappresentate dalle forme di partecipazione o consenso al regime, che del resto sono state, per lungo tempo, le “grandi assenti” anche nella ricerca e riflessione storica femminista.
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martedì 7 ottobre 2008
CasaPound Superstar
Ma caso vuole che, da un bel po' di tempo, gli "esaltati" sono stati (e restano) gli appartenenti alla cosiddetta "destra radicale" nella cui galassia si colloca CasaPound e relativo sito, "esaltati" che sono passati dalle "parole ai fatti" contro migranti, rom e sinti, compagni e compagne (o semplicemente persone reputate , per il loro aspetto, "irregolari" o "di sinistra"), omosessuali, trans, donne e lesbiche vittime di "stupri punitivi" ... Ed è proprio per contrastare la disinvoltura di queste aggressioni (in diverse circostanze mortali) che l'Assemblea Antifascista Permanente ha realizzato questa mappa, che ha uno scopo puramente difensivo, uno strumento "necessario per fini di tutela collettiva", come è stato ripetutamente precisato sia in forma scritta che in occasioni pubbliche (ed anche in un recente comunicato).
E basta leggere questi documenti per rendersi conto che non soltanto non ci sono "fatti" da imputare, ma neanche "parole". Gli stessi nomi e cognomi presenti nella mappa sono nomi già noti grazie a informazioni pubblicate dagli organi di stampa.
Ad esempio il nome di Vigliani non mi era ignoto, in quanto è intervenuto qui in Marginalia con un commento al post Italo da rottamare, per precisare il suo esatto cognome che compariva in forma errata in un passaggio che avevo ricopiato da un articolo del Corriere.
Ne ho tratto l'impressione, oggi confermata, che Vignani sia assillato dalla ricerca di un po' di notorietà. Alla storia di CasaPound nel mirino non ci crede nessuno e, come riferisce l'articolo del Carlino, non ci crede nemmeno la Questura (notoriamente non sempre tenera con gli/le antifascisti/e ...) ... Perché mai dovremmo crederci noi?
E no, questa storia non ce la beviamo. Figurarsi se ce la mangiamo ...
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Non ricordo se ho segnalato già la mappa, comunque la trovate qui
Qui invece potete scaricare in pdf un utile dossier nel caso abbiate ancora qualche dubbio su chi è veramente CasaPound
... e grazie a L'Ombroso per la bella immagine che ho ripreso dal suo blog!
giovedì 29 maggio 2008
Un Italo da rottamare
Sarà, ma il camerata Italo credo proprio che vada rottamato [2], e cercherò di spiegare (dal mio punto di vista), perché. Non è semplice ovviamente, tant'è che questo post è stato in "quarantena" per giorni [3], volevo evitare un "commento a caldo", ma neanche mi sembrava eticamente corretto cavarmela con un freddo (ma sicuramente più elegante) "no comment". E purtroppo questi tempi bui ci costringono continuamente a sporcarci le mani.
A scanso di equivoci dico subito che non sono un'anima bella: ho sempre avuto ben chiaro che l' innocenza degli oppressi è poco più di una favola e che essere soggetti storicamente "dominati" e "inferiorizzati" (donne, gay/lesbiche, "neri/nere"...) non garantisce un "innato" (o "naturale" e "spontaneo") antifascismo, antirazzismo e antisessismo.
So benissimo che ci sono sempre stati gay di destra (e oggi GayLib ne è solo la faccia più presentabile), come anche gay nazisti, antisemiti, razzisti ... Per non parlare di quelli "islamofobi" [4]. Per inciso penso che questo sia vero anche per le lesbiche (e infatti non capisco, se si volevano rompere gli "stereotipi", perché Italo e non Itala ...) [5].
Quindi l'esistenza e la miseria dei gay di destra mi/ci sono note. Non è questo il punto. Le questioni sono altre. E secondo me piuttosto gravi.
In molt* [6] hanno preso le distanze da lettere e inviti di note organizzazioni lgbt ad Alemanno e ad altri esponenti della destra di governo, rifiutando l'ingiunzione "al pragmatismo, alla ricerca del dialogo, anche con rappresentanti delle istituzioni che si ispirano ad ideologie fasciste". E' questo un "problema" che non riguarda solo il movimento lgbt: sappiamo che il "superamento" di destra e sinistra è uno dei leitmotiv della nuova destra, da tempo abbracciato anche da esponenti di sinistra, istituzionali e non.
Ma se è vero che questo paese sta accelerando la corsa verso una compiuta forma di fascismo (e credo che sia vero[7]), abbiamo la responsabilità - tutti e tutte - di vigilare e prestare maggiore attenzione critica (e autocritica).
E in questo scenario che il "camerata Italo" è tutt'altro che "simpatico, sereno e tranquillizante" e non capisco quale sia, nel caso di questo puraido specifico, la capacità di "veicolare dei messaggi che, in questi giorni, trovo veramente fondamentali", come scrive qualcun*.
Per quanto mi riguarda - molto pragmaticamente -, i messaggi che veicola sono quelli che possiamo leggere di fianco alla (simpatica, beninteso) immagine: "Essere maschio significa picchiare, soprattutto i froci, meglio se in tanti contro uno, perché l'onore virile deve essere difeso. Se poi ti accorgi che il sabato sera, a CasaPound, al concerto del tuo gruppo nazirock preferito la vista del tuo camerata a torso nudo ti eccita, ti racconti che non importa, perchè tanto tu e lui siete camerati, e poi non puoi essere frocio, perché non ti senti "sensibile", non vesti alla moda, non ascolti Madonna"[8].
Effettivamente CasaPound è sbarcata a Bologna il 18 maggio con l'apertura di un "centro sociale" (CasaPound Italia Bologna) in via Toscana, alla periferia sud-est della città, in uno stabile in affitto dalla Fiamma Tricolore, tra manifesti di Iannone (creatore di CasaPound a Roma) e Radio Bandiera Nera.
Dal Corriere di Bologna: "si definiscono 'antimperialisti, anticlericali, fascisti e fieri di esserlo'. Revisionisti se - spiegano - per revisionismo si intende raccontare la verità sulle foibe [9]. 'A Bologna siamo all'inizio, nonostante sia una città a noi ostile, siamo convinti di poter fare molto', spiega Carlo Marconcini, ideatore del centro sociale e voce della radio insieme ad Alex Vignali, che aggiunge: 'CasaPound nasce anche per occupare, ma per farlo ci vogliono i numeri e noi, a Bologna, forse non siamo ancora abbastanza. Ci sono i transfughi di Azione Giovani, ragazzi che frequentano Forza Nuova, gli oramai ex Fiamma come noi, ci sono le ragazze di Donne Azione e quelli del Blocco studentesco'. In tutto, per ora, una trentina di camerati 'duri e puri', che rifiutano di avvicinarsi alla Destra di Storace, che definiscono 'amici con percorsi diversi' i militanti di Forza Nuova e che di Alleanza Nazionale sentenziano: 'sono nulli'".
Non so quant* hanno voglia di ritrovarseli vicini al Gay Pride. Dico così per dire, ovviamente. Perché - per intanto - i segnali di "dialogo" da parte di costoro mi sembrano veramente poco incoraggianti: alcuni manifesti con i puraido in bella mostra sono stati imbrattati con svastiche e scritte affatto dialoganti [10].
[4] Ho sempre avuto delle grosse perplessità circa il termine islamofobia. Lo uso per semplicità, perché oramai è entrato nel dibattito corrente e tutt* ne capiscono il senso.
[5] Tutt'al più posso immaginare che le lesbiche, pur di destra, rifiutino il ruolo di madre, moglie, angelo del focolare con scopa e ramazza rivendicato, anche pubblicamente, da altre appartenenti al genere femminile. Se è una mia pia illusione non esitate a comunicarmelo.
[8] Probabilmente chi ha schizzato questo ritratto del "camerata Italo" non ha letto George L. Mosse, Sessualità e nazionalismo (1982).
[9] Peccato che la verità sulle fobie sia già stata raccontata. E bene. Vi invito a leggere l'articolo di Claudia Cernigoi, Il pozzo artificiale, pubblicato sull'ultimo numero di Zapruder (che ho segnalato qui) e il sito La Nuova Alabarda, che trovate qui di fianco in Segnaletica.
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venerdì 19 ottobre 2007
Sessismo e razzismo: informazione e deformazione
Affrontare questi fenomeni in termini di "emergenza securitaria" - anziché esplorarne le cause reali che sono attinenti ad un rapporto di potere di tipo sociale, economico e politico, nonchè culturale - si rivela utile solo a chi questo potere lo detiene come hanno dimostrato, dolorosamente, recenti fatti dall'omicidio di una donna nell'aula di tribunale che doveva sancire il suo divorzio da un marito violento agli ultimi suicidi di migranti nei Centri di permanenza temporanea.
In questo contesto, un ruolo determinante è svolto dall'informazione che spesso - volutamente o "spontaneamente" - riproduce moduli e criteri che non intaccano ma anzi rafforzano questi rapporti. E' sullo sfondo di queste (ed altre ...) riflessioni che ieri, leggendo su un quotidiano bolognese un articolo nelle pagine di cronaca, ho deciso di scrivere una lettera che ho inviato, oltre che allo stesso quotidiano, ad altri organi di informazione, amiche ed amici impegnati nella lotta contro il sessismo e il razzismo, gruppi ed associazioni femministe ed anti-razziste, operatrici/tori della comunicazione, studiose e studiosi del razzismo e/o del sessismo.
Quella che segue è una sorta di "cronaca nella cronaca" che pubblico sperando di sollecitare ed estendere una riflessione e una maggiore attenzione critica ed autocritica.
Ringrazio quant* hanno risposto al mio mail - offrendo ulteriori spunti di riflessione che invito a riproporre anche qui - e in particolare a Cristina Papa de Il Paese delle Donne che ha ripreso la notizia. Infine un grazie anche alla redazione de Il Bologna che ha pubblicato oggi la mia lettera: spesso lettere di questo tipo, ad altri quotidiani, vengono cestinate.
Lettera via mail a Il Bologna 18 ottobre 2007
Quindi questo non è l'ennesimo stupro, è l'ennesima rapina. Nonostante (come si evince dall'articolo) i rapinatori "non hanno portato via nulla", sono rapinatori non stupratori.
Quello che preoccupa ed importa è il tentativo di rapina, l'attentato alla "proprietà" e alla "sicurezza" dei proprietari (meglio se "autoctoni"). Lo stupro in questo caso è "un incidente di percorso".
Dopo "diversi mesi di calma apparente?"
Sono anni che si parla di "emergenza stupro" , ma quando "tra le pareti domestiche" viene stuprata una colf migrante l'accento è posto sull'"emergenza rapine".
Vincenza Perilli
Lettera via mail di un redattore de Il Bologna
Distinti saluti
xy
Lettera via mail a xy, redattore de Il Bologna
Gentile xy,
io non "insinuo", mi limito a constatare che, in questo caso, l'episodio viene inserito nella serie "rapine" da cui l'accenno alla "calma apparente" che quest'atto avrebbe interrotto, e non nella serie "stupri".
L'occhiello al quale mi riferivo ( "Ritorna la paura") è a pagina 20, quella in cui, sotto il titolo di "Stuprata da banda di rapinatori colf sotto shock lancia l'allarme" vi è l'articolo annunciato in prima pagina con il titolo "Assalto in villa con stupro, ritorna l'incubo dei banditi".
Il fatto che nella pagina seguente all'articolo, vi sia un'altro articolo che ripercorre le precedenti rapine messe a segno in Emilia negli ultimi sette anni non fa che confermare la mia impressione.
Perché questa violenza diventa un capitolo della storia delle rapine e non della storia degli stupri?
Perché non cogliere l'occasione per un approfondimento sulla questione stupro? O lo stupro passa naturalmente in secondo piano rispetto ad altre "emergenze"?
Più precisamente: visto che spesso lo stupro viene mediatizzato e usato in chiave "anti-immigrati" perché non cogliere l'occasione per sottolineare che le donne migranti - non meno e forse più di altre - sono vittime di violenza, per strada, nelle proprie case ma anche sui luoghi di lavoro che molto spesso (come nel caso delle cosiddette "colf" e "badanti") sono le case di altri?
Più che il suo dispiacere e la sua indignazione io volevo provocare una riflessione (e tra l'altro avevo inviato questa lettera alla rubrica lettere sperando in una pubblicazione per sollecitare una discussione pubblica, non certo per ricevere una risposta in forma privata).
Ci tengo a sottolineare inoltre che il problema che pongo, non è specifico del vostro giornale (stamattina ho letto il vostro), ma riguarda in generale i criteri con i quali si fa informazione.
Auspicherei tra l'altro una maggiore riflessione sul linguaggio (termini quali ad esempio "banda di slavi" autori delle rapine nell'articolo a pagina 21) e sulle forme di stigmatizzazione etnica o razziale che rischia di riprodurre.
Distinti saluti
Vincenza Perilli
Lettera via mail di xy, redattore de Il Bologna
Non voglio innescare un botta e risposta infinito, ma:
1) la notizia di ieri era che tre persone, non certo per una visita di cortesia, si introducono in una casa e violentano una ragazza. Se poi non hanno trovato nulla da portar via, sempre un tentato furto o rapina rimane. Ergo: rapinatori e stupratori.
2) Se i rapinatori che hanno agito nel 2005, e arrestati poi dalle forze dell'ordine, sono di origine slava, come li dobbiamo chiamare?
Io come lei auspico che si inneschi un dibattito sulla sicurezza in generale in città, che si faccia luce sui casi di violenza domestica, violenza in strada e violenza al patrimonio
Lettera via mail a xy, redattore de Il Bologna
Le scrivo solo per dirle che mi accorgo ora che ho inviato la lettera all'indirizzo della redazione (bologna@ilbologna.com e non a quello della rubrica Lettere ovvero lettori@ilbologna.com, provvederò subito), da qui forse le sue risposte private.
Comunque visto che lei mi chiede "come li dobbiamo chiamare" a proposito della "banda di slavi", le rispondo che potreste semplicemente chiamarli "banda di rapinatori".
Ancora distinti saluti
Vincenza Perilli
Leggo sul giornale (Il Bologna) dell'ennessimo stupro avvenuto ieri in città. Una giovane migrante è stata stuprata da tre uomini che si erano introdotti per rapina in una villa dove la donna lavorava (sembra non in regola) come "colf". Rileggo più volte l'articolo, non riesco quasi a crederci. Il titolo in prima pagina è "Assalto in villa con stupro, ritorna l'incubo dei banditi". A pagina 20 l'articolo con un occhiello: "Ritorna la paura. Dopo diversi mesi di calma apparente, l'episodio di ieri mattina ha destato preoccupazione nella comunità: riecco i banditi".
Quindi questo non è l'ennesimo stupro, è l'ennesima rapina. Nonostante (come si evince dall'articolo) i rapinatori "non hanno portato via nulla", sono rapinatori non stupratori.
Quello che preoccupa ed importa è il tentativo di rapina, l'attentato alla "proprietà" e alla "sicurezza" dei proprietari (meglio se "autoctoni"). Lo stupro in questo caso è "un incidente di percorso".
Dopo "diversi mesi di calma apparente?"
Sono anni che si parla di "emergenza stupro" , ma quando "tra le pareti domestiche" viene stuprata una colf migrante l'accento è posto sull'"emergenza rapine".
Vincenza Perilli
*Solo ora, alle 23.37 e a post pubblicato scopro che la mia lettera è stata ripresa nel suo sito anche da Franco Cilenti, giornalista pubblicista, che ringrazio.
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Sessismo e razzismo: informazione e deformazione è anche in Kilombo, Indymedia, Reset, Fainformazione e diversi aggregatori di notizie quali Wikio. Grazie anche a Hamilton's Blog.
mercoledì 7 febbraio 2007
Marginalia
, alla riflessione critica su fatti di “cronaca” quali Provenzano: l’autunno del patriarca, ovvero dai benefici ai costi del lavoro di cura, Orgoglioso antifascismo
mercoledì 13 settembre 2006
"Orgoglioso antifascismo": Catania 1939-2006
Altra differenza spesso sottolineata è che la persecuzione anti-omosessuale fascista non assunse le proporzione anche numeriche di quella nazista (in Italia tra il 1936 e il 1939 furono mandati al confino meno di 90 persone). Elemento importante non per assolvere o sminuire le colpe del fascismo contro gli omosessuali, ma perché ci offre una chiave in più per comprendere anche il presente. Una persecuzione maggiore avrebbe significato “dare pubblicità” all’omosessualità, cosa che il fascismo italiano non poteva permettersi perché questo avrebbe incrinato il mito, caro a Mussolini e ai suoi gerarchi nonché a un buon numero di italioti anche odierni, del maschio italiano talmente virile da non poter essere omosessuale (tant’è che era considerato omosessuale solo chi indulgeva nel ruolo “passivo”, negli altri casi, essendo la virilità salva, non c’erano problemi). Ma l’aspetto che più mi preme sottolineare nell’imminenza della manifestazione di Catania è che ben 42 delle 90 condanne al confino promulgate dal fascismo furono opera di un unico questore: lo zelante questore Molina di … Catania.! Sarebbe forse il caso allora di fare circolare l’articolo di F. Goretti, “Catania 1939” (in E. Venturelli (a cura di), Le parole e la storia, Bologna, Il Cassero 1991) e rendere la cosiddetta “memoria storica” qualcosa di meno simbolico (e forse retorico). E se si titolasse una piazza o via di Catania alle vittime di Molina, costrette tra l’altro a subire durante il processo una visita all’ano per stabilire se fossero “passivi” o “attivi”?
(Questo articolo è stato anche pubblicato qui)