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autonoma. E' possibile pagare l'abbonamento in regalo con le seguenti modalità di
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domenica 15 dicembre 2013
venerdì 13 dicembre 2013
Studi postcoloniali dal sud europeo
Via il blog di Sonia Sabelli informo che è online postcolonialitalia.it, il sito del progetto From the European South: postcolonial studies in Italy, che si propone come scopo principale “un’analisi dell’impatto epistemologico della teoria critica postcoloniale su forme, modi e contenuti della ricerca” in diverse discipline delle scienze umane e sociali. Un sito già ricco di materiali utili, come un database con (per intanto) 327 voci di una bibliografia degli studi postcoloniali in Italia. Buona navigazione!
mercoledì 11 dicembre 2013
martedì 10 dicembre 2013
L'anatomia politica. Categorizzazioni e idiologie del sesso
Momento magico, in Francia, per il lavoro di Nicole-Claude Mathieu: mentre è in libreria il recente volume a sua cura, Une maison sans fille est une maison morte, vien ristampato anche L'anatomie politique. Catégorisations et idéologies du sexe. E in Italia? Per intanto dobbiamo accontentarci della traduzione di un suo breve articolo (Sesso e genere) nel "nostro" Non si nasce donna, l'ultimo della collana dei Quaderni Viola. Per leggerlo, visto l'impossibilità di reperirlo in libreria, ci si può rivolgere al sito dell'editore
sabato 7 dicembre 2013
Nelson Mandela / Un articolo di Achille Mbembe
Giovedì 5 dicembre Nelson Mandela è morto. Riprendo da Le Monde Diplomatique, Nelson Mandela, les chemins inattendus, articolo scritto nell'agosto scorso da Achille Mbembe, professore di storia e scienze politiche all'università di Witwatersrand a Johannesburg e autore del recentissimo Critique de la raison nègre
martedì 3 dicembre 2013
Una firma per Alaa Al Yaacoubi
Ho firmato la nuova petizione per Alaa Al Yaacoubi, pseudonimo Weld El 15, il rapper tunisino già condannato a giugno a quasi due anni di prigione per la canzone Boulicia Kleb, in cui denunciava la violenza della polizia e ora nuovamente sotto processo per un concerto tenuto a Hammamet ad agosto
domenica 1 dicembre 2013
Rosa Parks e le altre
Ripropongo un articolo scritto il primo dicembre di cinque anni fa, Un'altra Rosa Parks, perché mi sembra possa offrire ancora validi spunti di riflessioni. Del resto ora non avrei il tempo di scrivere qualcosa ex-novo ma mi sembra doveroso ricordare in questa data simbolo Rosa Parks, Claudette Colvin, Mary Louise Smith e le altre militanti afro-americane per i diritti civili attive negli anni cinquanta nel Montgomery Bus Boycott // In
molt*, quando qualche mese fa una ragazzina italiana di origini
marocchine è stata picchiata selvaggiamente da un gruppo di coetanei/e per non aver ceduto il post in autobus, abbiamo pensato (scrivevo "forse non inutilmente")
a Rosa Parks, un'icona della lotta per i diritti civili. Eppure ancor
oggi il gesto di "disobbedienza" di questa donna ci è consegnato dalla
storia come un atto "eroico", ma individuale e quasi spontaneo messo in
atto da una modesta sartina afro-americana che, un bel giorno (era il
primo dicembre del 1955), rientrando stanca dal lavoro, rifiuta di
alzarsi da un posto riservato ai/alle "bianchi/e" su un autobus della
razzista e segregazionista cittadina di Montgomery, in Alabama,
scatenando con il suo arresto il famoso Montgomery Bus Boycott. Ma
il "rifiuto" di Rosa Parks non nasce dal "nulla". Le lotte
antisegregazioniste avevano già una lunga storia: già l'anno prima, ad
esempio, la Corte Suprema aveva dovuto dichiarare non costituzionale la
segregazione scolastica (che di recente ha ispirato la proposta della
Lega Nord di "classi separate" in Italia). La stessa Rosa Parks era del resto attiva, dal 1943, nel movimento per i diritti civili: segretaria della sezione di Montgomery della National Association for the Advancement of Colored People (NAACP, fondata nel 1909) era assidua frequentatrice della Highlander Folk School,
un centro educativo per i diritti dei lavoratori e per l'uguaglianza
razziale. Del resto, quel giorno del 1955, furono arrestate con lei
altre due attiviste afroamericane, Claudette Colvin e Mary Louise Smith,
che già in precedenza erano state tratte in arresto e multate per
essersi rifiutate di cedere i posti "per bianchi". La sera stessa
dell'arresto, inoltre, fu un'altra donna (bella figura di
intellettuale/militante come oggi non esistono quasi più), Jo Ann
Robinson - docente universitaria e attivista della Women's Political Council,
un'organizzazione di donne afro-americane -, a scrivere, fotocopiare e
distribuire con altre militanti della WPC un volantino che invitava a un
giorno di boicottaggio dei mezzi pubblici . Iniziato qualche
giorno dopo l'arresto di Parks, Colvin e Smith, il boicottaggio si
estese coinvolgendo anche altre organizzazioni come il Civil Rights Movement (guidato da un allora ancora pressoché sconosciuto Martin Luther King):
in migliaia nei mesi successivi (precisamente per 381 giorni) non
salirono sugli autobus, e poiché quasi i 3/4 degli utenti degli autobus
di Montgomery erano "negroes", il boicottaggio causò anche un danno economico notevole. In seguito al protrarsi e al diffondersi della protesta, nel 1956 il caso approdò alla Corte Suprema degli Stati uniti che decretò incostituzionale la segregazione sui mezzi pubblici. Seppure
lontana nel tempo questa storia (raccontata in questa maniera) mi
sembra ancora utile e ricca di spunti per quant* intendono opporsi
(attivamente) a razzismo, sessismo e fascismo , in un contesto come quello odierno caratterizzato (qui e altrove) dal moltiplicarsi di aggressioni fasciste contro militanti, migranti e soggetti "fuori della norma", esacerbato e violento sessismo,
strapotere degli apparati polizieschi e repressivi (per i quali anche
aver protestato contro il summit di Vicky sull'immigrazione diventa
prova a carico per l'accusa di "terrorismo"). E allora se le cose non nascono dal nulla, se il gesto individuale fuori
da un contesto di lotta non basta e soprattutto se un blog è, e resta,
un blog (ma se sono - anche - qui a scrivere penso possa servire a
qualcosa finché potrò ancora farlo) ... ATTIVIAMOCI
mercoledì 27 novembre 2013
Violenza sessista: né rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità
Un articolo di Annamaria Rivera appena pubblicato sul sito di MicroMega, Violenza sessista: né rigurgito dell’arcaico, né anomalia della modernità. Buona lettura e riflessioni // Ora che il femicidio e il femminicidio hanno guadagnato l’attenzione dei mediae delle istituzioni, il rischio è che, costituendo un tema in voga, la violenza di genere sia usata per vendere, fare notizia, sollecitare il voyeurismo del pubblico maschile. Un secondo rischio, già ben visibile, è che la denuncia e l’analisi siano assorbite, quindi depotenziate e banalizzate, da un discorso pubblico – mediatico, istituzionale, ma anche ad opera di “esperti/e” –, costellato di cliché, stereotipi, luoghi comuni, più o meno grossolani. Proviamo a smontarne alcuni, adesso che, spentisi i riflettori sulla Giornata internazionale contro la violenza di genere, anche la logorrea si è un po’ smorzata. Anzitutto: la violenza di genere non è un rigurgito dell’arcaico o un’anomalia della modernità. Sebbene erediti credenze, pregiudizi, strutture, mitologie proprie di sistemi patriarcali, è un fenomeno intrinseco al nostro tempo e al nostro ordine sociale ed economico. E comunque è del tutto trasversale, presente com’è in paesi detti avanzati e in altri detti arretrati, fra classi sociali le più disparate, in ambienti colti e incolti. Del tutto infondato è il dogma secondo il quale la modernità occidentale sarebbe caratterizzata da un progresso assoluto e indiscutibile nelle relazioni tra i generi, mentre a essere immersi/e nelle tenebre del patriarcato sarebbero gli altri/le altre. Per riferire dati ben noti, nell’ultimo rapporto (2013) sul Gender Gap del World Economic Forum, su 136 paesi di tutti i continenti, le Filippine figurano al 5° posto su scala mondiale per parità tra i generi (dopo Islanda, Finlandia, Norvegia e Svezia), mentre l’Italia è solo al 71°, dopo la Cina e la Romania e in controtendenza rispetto alla maggior parte dei paesi europei. Eppure non sempre c’è un rapporto inversamente proporzionale tra la conquista della parità di genere e la violenza sessista. Esemplare è il caso della Svezia (ma anche, in diversa misura, della Danimarca, Finlandia, Norvegia). Questo paese, da sempre in prima linea nel garantire la parità fra i generi, tanto da occupare, come si è detto, il 4° posto su 136 paesi, registra un numero crescente di stupri: negli ultimi vent’anni si sono quadruplicati, al punto da interessare una donna svedese su quattro. Ciò dipende non solo dal fatto che il numero di denunce sia aumentato rapidamente quale effetto di una crescente consapevolezza femminile, ma anche da un reale incremento dei casi. Ancora a proposito dell’Europa e volendo fare un riferimento ormai storico, si può ricordare che un paese come la Jugoslavia, il quale all’epoca si distingueva per un livello alto di emancipazione femminile, di sicuro più elevato che nell’Italia di allora, ha conosciuto nel corso della guerra civile l’orrore degli stupri etnici. Il pene usato come arma per colpire i nemici attraverso i corpi femminili mostra, fra l’altro, la continuità tra l’odio e la violenza “etnici” e la violazione delle donne, finalizzata al loro annientamento: lo stupro nasconde sempre un desiderio o una volontà di colpire l’identità e l’integrità della persona-donna. Ci sono ragioni varie e complesse che possono spiegare come mai in società “avanzate”, avanzi pure il numero di stupri e femicidi. Per citarne una: non tutti gli uomini sono in grado o disposti ad accettare i cambiamenti che investono i ruoli e la condizione femminile, che anzi spesso sono vissuti come minaccia alla propria virilità o al proprio “diritto” al possesso se non al dominio. La narrazione della virilità è divenuta oggi meno credibile che in passato. E molti uomini appaiono spaventati dalle rappresentazioni e dalle immagini dell’intraprendenza, anche sessuale, delle donne (più che dalla realtà di una loro autonomia effettiva, almeno in Italia, dove è alquanto debole). Questa inadeguatezza della società (maschile) si riflette anche nelle prassi delle istituzioni rispetto alla violenza di genere, spesso tardive e/o inadeguate. Per esempio, in molti casi che hanno come esito il femicidio, le vittime avevano denunciato più volte i loro persecutori. Tutto questo per dire che il sadismo, la volontà di reificare e/o annientare le donne e gli altri sono all’opera dentro le nostre stesse società, in forme più o meno latenti, finché certe condizioni non ne rendono possibili le manifestazioni palesi. Il sistema di dominazione e appropriazione delle donne (per usare il concetto-chiave della sociologa femminista Colette Guillaumin) tende a colpire – con lo stupro o il femicidio – non solo le estranee o quelle che, come in Jugoslavia, sono state alterizzate e nemicizzate, ma anche le donne con le quali s’intrattengono relazioni d’intimità o prossimità. Basta dire che, su scala globale, il 40% delle donne uccise lo sono state da un uomo a loro vicino. E, per riferirci ancora all’Europa, secondo le Nazioni Unite la metà delle donne assassinate tra il 2008 e il 2010 lo sono state da persone cui erano legate da qualche relazione stretta (per gli uomini lo stesso dato scende al 15%). Per tutto ciò che abbiamo detto finora, conviene diffidare degli schemi evoluzionisti e dei facili ottimismi progressisti: il pregiudizio, la dominazione e/o la discriminazione in base al genere – come quelli in base alla “razza”, alla classe, all’orientamento sessuale – non sono necessariamente residuo arcaico del passato, segno di arretratezza o di modernità incompiuta, destinato a dissolversi presto. Sono piuttosto tratti che appartengono intrinsecamente e strutturalmente anche alla tarda modernità; o forse dovremmo precisare alla modernità decadente. Per dirla nei termini delle curatrici de “Il lato oscuro degli uomini”, un libro prezioso, appena pubblicato nella collana “sessismoerazzismo” dell’Ediesse, la violenza maschile contro le donne è sia “prodotto dell’ordine patriarcale”, sia “frutto delle moderne trasformazioni delle relazioni fra donne e uomini” (p. 33). Secondo un altro luogo comune corrente, per contrastare e superare la violenza di genere sarebbe sufficiente un cambiamento culturale, tale da archiviare finalmente i residui della cultura patriarcale e di tradizioni retrive. Una pia illusione: la Svezia può dirsi forse un paese dominato da cultura patriarcale? Insomma, se è vero che la violenza di genere è un fenomeno strutturale, come si ammette, essa è incardinata in dimensioni molteplici. Per dirla in modo succinto, il dominio maschile ha una matrice culturale e simbolica, certamente, ma anche assai materiale. Se ci limitiamo al caso italiano, il neoliberismo, la crisi del Welfare State, l’esaltazione del modello del libero mercato, le privatizzazioni, poi la crisi economica e le politiche di austerità hanno significato per le donne arretramento in molti campi. E arretramento significa perdita di autonomia, dunque incertezza di sé, maggiore subalternità e vulnerabilità. Certo, in Italia, un contributo rilevante alla reificazione-mercificazione dei corpi femminili lo ha dato la televisione, in particolare quella berlusconiana. Per lo più volgare, sessista, razzista, è stata ed è elemento cruciale dell’offensiva contro le donne e le loro pretese di uguaglianza, autonomia, liberazione. Essa ha finito per condizionare non solo il linguaggio dei politici, sempre più apertamente sessista, ma la stessa struttura del potere politico e delle istituzioni. Per non dire dell’uso dei corpi femminili come tangenti: merci di scambio di un sistema di corruzione ampio e profondo a tal punto da essere divenuto sistema di governo. Ed è innegabile che oggi in Italia vi sia una notevole complicità della società, delle istituzioni, dell’opinione pubblica, perfino di una parte della popolazione femminile rispetto a un tale immaginario e a un simile utilizzo dei corpi femminili. E allora non c’è niente da fare? Tutt’altro. Ma la questione va declinata anzitutto in termini politici. A salvarci non sarà il recente provvedimento – tipica misura da larghe intese – che affronta il tema della violenza maschile in termini tutti emergenziali (e accanto a misure repressive contro il “terrorismo” dei NoTav, i furti di rame e cose simili). E neppure possiamo illuderci che l’attenzione riservata a questo tema dalle istituzioni e dai media mainstream rappresenti un avanzamento certo e irreversibile. Né compete principalmente alle donne la cura (ancora una volta!) del “lato oscuro degli uomini”. A noi tutte spetta, invece, contribuire a ricostruire una soggettività collettiva libera, combattiva, consapevole della propria autonomia e determinazione. E tale da sabotare l’esercizio del dominio maschile, su qualunque scala e in qualunque ambito si manifesti
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lunedì 25 novembre 2013
Zapruder / Pellicole di storia
Venerdì 29 novembre Storie in movimento organizza a Roma un dibattito (con proiezioni) sul rapporto fra cinema e storia a partire dall'ultimo numero di Zapruder, Pellicole di storia. L'età moderna al cinema. Il programma dettagliato della serata sul sito di Sim. Ricordo che l'iniziativa di venerdì sera anticiperà l'assemblea generale di Sim che, come vi avevo già annunciato, si terrà sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre presso le Officine resistenti. Vi aspetto/ aspettiamo come sempre numerose/i!
sabato 23 novembre 2013
Africa da vip
Negli ultimi mesi quasi centomila persone hanno firmato la petizione contro Mission, un reality-show prodotto dalla Rai con la stupefacente collaborazione di organizzazioni quali Unhcr e Intersos . Il format, ambientato nei campi profughi congolesi (e altri nei territori confinanti) e con la partecipazione di vip di seconda mano (Emanuele Filiberto, Al Bano, Paola Barale ed altri/e) si preannuncia infatti come un'indegna spettacolarizzazione della sofferenza umana dei/delle rifugiati/e. Ma nonostante tutte queste firme, depositate qualche giorno fa alla Commissione di Vigilanza Rai, dal 26 novembre al 2 dicembre dovrebbero essere registrate, negli studi Rai di via Verdi a Torino, le due puntate di Mission che andranno poi in onda su Rai 1 nelle serate del 27 novembre e del 4 dicembre. Ricevo da Liliana Ellena, che ringrazio, segnalazione che oggi, per iniziativa del Centro Frantz Fanon, diverse realtà cittadine torinesi si sono incontrate per discutere ed elaborare insieme efficaci modalità di protesta da mettere in campo per fermare la registrazione delle puntate di questo reality-show. Qui il documento elaborato dalla varie realtà presenti a questo primo incontro, che si ritroveranno martedì prossimo sotto la sede Rai di via Verdi per dire no all'ennesima pornografia della sofferenza. Pubblico sperando in un effetto moltiplicatore anche altrove
Lorna Simpson
Da una mostra di Lorna Simpson di qualche anno fa al Brooklyn Museum (che non ho visto)
giovedì 21 novembre 2013
La Libia e i «costruttori di pace»
Riprendo da Il Manifesto del 19 novembre un articolo di Manlio Dinucci, Al via la nuova missione in Libia . Buona lettura // Dopo aver demolito lo stato libico con 10mila attacchi aerei e forze speciali infiltrate, Stati uniti, Italia, Francia e Gran Bretagna dichiarano la propria «preoccupazione per l’instabilità in Libia». La Farnesina informa che a Tripoli sono in corso violenti scontri tra milizie anche con armi pesanti e che sono stati danneggiati numerosi edifici, per cui la sicurezza non è garantita nemmeno nei grandi hotel della capitale. Non solo per gli stranieri, ma anche per i membri del governo: dopo il rapimento un mese fa del primo ministro Ali Zeidan dalla sua residenza in un hotel di lusso, domenica è stato rapito all’aeroporto il vicecapo dei servizi segreti Mustafa Noah. E mentre nella capitale miliziani di Misurata sparano su cittadini disarmati esasperati dalle violenze, a Bengasi prosegue senza soluzione di continuità la serie di omicidi di matrice politica.
Che fare? Il presidente Obama ha chiesto al premier Letta di «dare una mano in Libia» e questi ha subito accettato. La sua affidabilità è fuori discussione: nel 2011 Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, è stato uno dei più accesi sostenitori della guerra Usa/Nato contro la Libia. Sarà ricordata sui libri di storia la sua celebre frase: «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace». Ora, mentre la Libia sprofonda nel caos provocato dai «costruttori di pace», è arrivato il momento di agire. L’ammiraglio William H. McRaven, capo del Comando Usa per le operazioni speciali, ha appena annunciato che sta per essere varata una nuova missione: addestrare e armare una forza libica di 5-7mila soldati e «una unità più piccola, separata, per missioni specializzate di controterrorismo». Specialisti del Pentagono e della Nato sono già in Libia per scegliere gli uomini. Ma, data la situazione interna, questi verranno addestrati fuori dal paese, quasi certamente in Italia (in particolare in Sicilia e Sardegna) e forse anche in Bulgaria, secondo un programma agli ordini del Comando Africa del Pentagono. L’ammiraglio McRaven non nasconde che «vi sono dei rischi: una parte dei partecipanti all’addestramento può non avere la fedina pulita». È molto probabile quindi che tra di loro vi siano criminali comuni o miliziani che hanno torturato e massacrato (elementi che, una volta in Italia, potranno circolare liberamente). E tra quelli addestrati in Italia vi saranno anche i guardiani dei lager libici in cui vengono rinchiusi i migranti. Per il loro addestramento e mantenimento non basteranno i fondi già stanziati per la Libia nel decreto missioni all’esame del parlamento: ne occorreranno altri molto più consistenti, sempre attinti dalle casse pubbliche. L’Italia contribuirà in tal modo alla formazione di truppe che, essendo di fatto agli ordini dei comandi Usa/Nato, saranno solo nominalmente libiche: in realtà avranno il ruolo che avevano un tempo le truppe indigene coloniali. Scopo della missione non è quello di stabilizzare la Libia perché torni ad essere una nazione indipendente, ma quello di controllare la Libia, di fatto già balcanizzata, le sue preziose risorse energetiche, il suo territorio strategicamente importante. Ci permettiamo di dare un consiglio al governo Letta: l’Expo galleggiante della Cavour, rientrando nel Mediterraneo ad aprile dopo il periplo dell’Africa, potrebbe fare tappa anche in Libia per pubblicizzare i prodotti del Made in Italy. Come il cannone a fuoco rapido Vulcano della Oto Melara che, in mano ai libici che oggi mitragliano i barconi dei migranti, potrebbe risolvere il problema dell’emigrazione clandestina // Qualche articolo correlato in Marginalia: Tripoli bel suol d'amore. La guerra in Libia e il centenario dell'invasione italiana, Muammar Gheddafi, Silvio Berlusconi e l'italietta postcoloniale, Colonialismo italiano in Libia: dal "leone del deserto" al "colonnello".
mercoledì 20 novembre 2013
Il ramadan di Daniela Santanchè
Nuova puntata per La vendetta del burqa, la saga all'insegna dell'islamofobia che vede come protagonista Daniela Santanchè, ex Alleanza Nazionale, poi candidata fallita per La Destra - Fiamma Tricolore e ora fedelissima di Berlusconi nell'agonizzante Popolo della Libertà. Già rinviata a giudizio per diffamazione lo scorso anno dal gup di Milano per aver offeso "la reputazione e l'onore" (così nel decreto che ne disponeva il giudizio) di una donna italiana convertita all'Islam nel corso della trasmissione televisiva Iceberg, il 21 settembre del 2009, adesso Santanchè è a processo per un'altra vicenda che l'ha vista in primissima fila sempre nel settembre 2009. L'episodio è la cosiddetta "protesta anti-burqa" organizzata a Milano dall'allora leader del Movimento per l'Italia (da lei fondato un anno prima) durante la quale la parlamentare aveva tentato di strappare il velo ad alcune donne musulmane che si recavano ad una festa per i festeggiamenti di fine Ramadan. In seguito aveva dichiarato di essere stata vittima di un'aggressione da parte dei "fondamentalisti islamici", notizia che aveva generato titoli memorabili su molti quotidiani, come l'indimenticabile Per festeggiare il Ramadan picchiano la Santanchè (Il Giornale). Ora arriva il processo e la richiesta da parte del pm di un mese di arresto e cento euro di multa per Santanché e 2000 euro di multa per Ahmed El Badry, accusato di lesioni per aver assestato un pugno nello sterno alla parlamentare del Pdl. Per il vice procuratore onorario, a differenza di Santanché, El Badry non merita le attenuanti generiche e nemmeno quelle "della provocazione, in quanto ha colpito una persona, oltre tutto di sesso femminile, che esprimeva opinioni e non c'era motivo di colpirla". L'appuntamento (e terza puntata della saga) è ora per il 1 di dicembre, giorno in cui parleranno le difese e il giudice si dovrebbe ritirare in camera di consiglio per la sentenza.
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domenica 17 novembre 2013
Femministe a parole / Una recensione di Ottavia Nicolini
Sull'ultimo numero di DWF, Gli spazi dell'agire politico. Tra radicalità, esperienza e conflitto (2013, n. 1, vol. 97), anche una recensione di Ottavia Nicolini al "nostro" Femministe a parole. Grovigli da districare, pubblicato nellacollana «sessismoerazzismo» di Ediesse. Trovate la recensione, insieme a tutta la rassegna stampa del volume, nel sito dell' editore, buona lettura!
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lunedì 11 novembre 2013
Non si nasce donna al Mfla
Nello spazio approfondimenti della trasmissione radiofonica del martedì di Mfla, presentazione dell'ultimo dei Quaderni Viola, Non si nasce donna. Percorsi, testi e contesti del femminismo materialista in Francia(Alegre, 2013), al quale il Mfla aveva già dedicato uno spazio a maggio nella rubrica Fatti e misfatti. Palinsesto dettagliato di questa nuova puntata qui. Buon ascolto a tutte/i! // (Alcuni) articoli correlati in Marginalia: Audre Lorde e Adrienne Rich su Mfla, Non si nasce donna / Una recensione di Paola Guazzo, Le potenzialità e l'abuso di un passepartout nato per scardinare le discipline del sapere, Non si nasce donna / Una recensione su Iaph Italia, Femministe di tutto il mondo unitevi (ai microfoni del Mfla).
Berlusconi e le famiglie ebree
Da Incidenze l'ultimo capitolo della campagna revisionista di Silvio Berlusconi: «I miei figli dicono di sentirsi come dovevano sentirsi le famiglie ebree in Germania durante il regime di Hitler . Abbiamo davvero tutti addosso»
domenica 10 novembre 2013
Storie in movimento / Assemblea generale a Roma
Anche quest’anno ci diamo appuntamento per l’assemblea generale di Sim, sabato 30 novembre e domenica 1 dicembre 2013 a Roma presso Officine Resistenti L81 (via Calpurnio Fiamma, 81 - zona Don Bosco - fermata metro A Lucio Sestio). Verranno messi a tema il funzionamento dell’associazione, l’andamento della rivista, gli appuntamenti abituali, come il Simposio, e i nuovi progetti, come «Zapruder World», la rivista digitale in inglese di prossima uscita. Quest’anno però desideriamo che lo spazio per le discussioni sia più ampio e accorceremo le relazioni introduttive per lasciare più tempo al dibattito, alle proposte di numeri di «Zapruder» e «Zapruder World» e alle candidature per la/le redazione/i e il Comitato di coordinamento dell’associazione. Vi aspettiamo numeros*! Ulteriori info e programma dettagliato sul sito di Sim.
giovedì 7 novembre 2013
Approcci transdisciplinari sul genere e l'intersezionalità
Approches transdisciplinaires sur le genre et l’intersectionnalité è il bel seminario proposto per questo anno accademico dal Cedref, a cura di Azadeh Kian, Dominique Fougeyrollas e Jules Falquet. Inaugurato da Azadeh Kian e Patrick Farges con una lezione su L’intersectionnalité : Réception-récupération-détournement et renouveau, il seminario che si concluderà in maggio ospiterà tra gli altri Valeria Ribeiro Corrossacz, Fatima Ait Ben Lmadani, Nasima Moujoud, Danièle Kergoat e Sirma Bilge. Chi è a Parigi ne approfitti. Programma dettagliato qui // (Alcuni) articoli correlati in Marginalia: Pinar Selek. Devenir un homme en rampant, Femmes, genre et mobilisations collectives en Afrique, Approches post-colonialeset décoloniales en études genre et féministes e «Sexe» et «race» dans les féminismes italiens. Jalons d’une généalogie
martedì 5 novembre 2013
Paulette Nardal e la «Revue du Monde Noir»
Indice del primo numero della Revue du Monde Noir fondata nei primi anni Trenta da Paulette Nardal, sua sorella Andrée e Leo Sajous
domenica 3 novembre 2013
Barbara Sòrgoni al Centro Frantz Fanon
Grazie a Vanessa Maher per avermi segnalato l'interessante iniziativa che si terrà mercoledì prossimo al Centro Franz Fanon, organizzata dal Gruppo di studio sulla memoria e il presente delle relazioni tra l'Italia e i Paesi del Corno d'Africa Isku Xir in collaborazione con l'Associazione Fanon e il Laboratorio Crossing Borders dell'Università di Torino. Vanessa Maher e Roberto Beneduce discuteranno con Barbara Sòrgoni (autrice, tra l'altro di Parole e corpi . Antropologia, discorso giuridico e politiche sessuali interrazziali nella colonia Eritrea) sulle procedure sul riconoscimento dei richiedenti asilo in Italia, Sul sito del Centro Frantz Fanon il programma dettagliato .
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mercoledì 30 ottobre 2013
La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza
In un post dal titolo La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza, Sonia Sabelli stabilisce utilissime connessioni storiche, teoriche e politiche (rinviando anche a testi utili quali il volume di Sabrina Tosi Cambini La zingara rapitrice e l'articolo di Gaia Giuliani Maria-piena-di-grazia-e-bianchezza) per continuare la riflessione (ri)avviata dalla vicenda di Maria, la bambina rom "bianca, bionda e con gli occhi azzurri" e quindi necessariamente "rapita" di cui avevo scritto qualche giorno fa riprendendo il documento dell' Osservatorio antidiscriminazioni. Una riflessione quanto mai urgente, visto anche il caso recentissimo che ha coinvolto un'altra bambina rom in Irlanda, anche lei troppo bianca e bionda per essere "figlia di rom". Prelevata con la forza dalla polizia dal campo in cui viveva alla periferia di Dublino, la bambina è stata "restituita" ai sui genitori solo dopo alcuni giorni, quando la prova del Dna ha dimostrato che era figlia "legittima e biologica" della coppia alla quale era stata sottratta. Il ministro della Giustizia irlandese ha ovviamente difeso l'operato della polizia e dei servizi sociali perché "sono situazioni molto difficili e si devono prendere decisioni altrettanto difficili quando si tratta di questioni di protezione di minori". Ma non è chiaro, parafrasando Beatriz Preciado, chi "protegge" le bambine (e i bambini) rom. Approfitto di questo breve aggiornamento per ringraziare Il paese delle donne, Cronache di ordinario razzismo e La libera università delle donne per la ripresa di La bambina bionda e i rom e la Fondazione Romanì Italia per avermi segnalato il testo di Nazzareno Guarnieri, Rom, biondo, di carnagione chiara
martedì 29 ottobre 2013
Audre Lorde e Adrienne Rich su Mfla
Per chi l'avesse persa è online una bella conversazione tra Adrienne Rich e Audre Lorde. Nella forma dell'intervista della prima alla seconda, datata 1979, è stata trasmessa (e tradotta in italiano) in più puntate da Mfla. La trovate a questo indirizzo, buon ascolto!
venerdì 25 ottobre 2013
Non si nasce donna / Una recensione di Paola Guazzo
Dopo le recensioni a Non si nasce donna (Alegre, 2013) di Silvia Nugara per Iaph Italia e Alessandra Pigliaru per Il Manifesto, ripubblichiamo ora la recensione di Paola Guazzo (che ringraziamo infinitamente) comparsa qualche giorno fa sul suo Guazzington Post. Buona lettura! // Finalmente esce un libro di sintesi su un fenomeno consistente e relativamente poco conosciuto in Italia: il femminismo materialista francese, che va alle radici del celebre assunto di De Beauvoir ( “non si nasce donna”) per dirci che “la donnità è una costruzione storica e sociale” (p.6), mettendo in questione “le evidenze, questa forma sacralizzata dell'ideologia” (p.8).
Elaboratosi a partire dalla creazione della rivista “Qf” (“Questions Féministes”) nel 1977, il femminismo materialista francese è innanzitutto un potente strumento di indagine e messa in questione di un ordine sociale che “naturalizza” le proprie gerarchie di potere; sesso, razza e sessualità vengono considerate fatti naturali, non fatti sociali, e pertanto fissate in “evidenze” immutabili. Per contro: “Lo studiare i modi con cui i rapporti sociali diventano talmente solidi da sembrare naturali permette di iscriverli nella storia, aprendo, in tal modo, uno spazio di possibilità perché le cose possano essere altrimenti” (p.9).
Il femminismo materialista francese è stato poco seguito, o comunque sottovalutato nella sua portata euristica, in Italia. Sono pochi i testi tradotti e conosciuti nel nostro paese, dove si è passate direttamente da un femminismo della “differenza”, ispirato da Luce Irigaray – ed anche, in una prima fase, da assidui scambi con il gruppo francese di “Psyc et Po”, con il quale le femministe di Qf furono in polemica implicita ed esplicita - ad una queer theory incarnata dal costruzionismo (lacaniano) di Judith Butler e dal costruzionismo (freudiano) di Teresa de Lauretis. Un trionfo psicoanalitico, sia nella versione essenzialista che in quella costruzionista. Gli scritti delle teoriche francesi presentate dal libro di Garbagnoli e Perilli, per contro, sono quasi tutti svolti nell'ambito di ricerche antropologiche, accademiche e non (penso all'eccezione-Wittig, che è scrittrice, lavora sul linguaggio, è una sorta di “battitrice libera”, come sarà poi Michèle Causse; due lesbiche dichiarate, sia detto non en passant). Un'analisi comparata dei concetti antropologici e psicoanalitici di “cultura” utilizzati nei feminist studies di varie tendenze sarebbe utile? Lascio la questione aperta.
Non si nasce donna presenta in apertura il denso saggio di Paola Di Cori, French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak, Appunti, che chiarisce fra l'altro alcuni aspetti della diffusione del pensiero della Holy Trinity (Irigaray, Cixous, Kristeva) negli Stati Uniti fra anni 70 e 80, demistificandone la portata alternativa e anche femminista. Vengono poi presentate opere e teoria del femminismo materialista francese, seguendone le incarnazioni soggettive e presentando per ognuna un significativo essay. Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig sono sapientemente introdotte, da studiose-militanti ad esse vicine, nella loro portata epistemologica ed anche “umana” ( e qui il termine universalistico-maschile andrebbe ovviamente sostituito, in un linguaggio che non c'è ancora e che Wittig ha cercato di inventare). Non è stato insignificante, per me, questo stile di Non si nasce donna, che dice (anche) dell'ironia di Nicole-Claude Mathieu e del post-sessantotto, fra viaggi e tentativo di vita in una comune, di Paola Tabet, per citare solo le prime due tranches de vie che mi vengono in mente. Non si nasce donna è un'esperienza forte e liberatoria, come può esserlo solo l'analisi materialistica di un'oppressione che giace, profondamente radicata e difficile da estirpare, nella stessa definizione di “donna”, nonché in linguaggi, forme di vita, poteri e strutture economiche ad essa connessi. Mi ricollego, infine, alle parole delle curatrici: “ Il volume aspira ad essere uno strumento di introduzione ad un approccio che, iscrivendo nell'immanenza della politica ciò che l'ordine sociale produce come “natura”, ha contribuito a creare i germi di una vera e propria rivoluzione cognitiva, ovvero politica” (p.11)
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La bambina bionda e i rom
Ricevo dall'Osservatorio antidiscriminazioni una riflessione, dal titolo "Giù le mani da Maria!" sulla campagna mediatica e sulla psicosi anti-rom "rapitori di bambini" che si è scatenata (non solo in Italia) a partire dal caso della bambina (insistentemente definita dai media "bionda con gli occhi azzurri", "bianca", "dai tratti nordici") trovata in un campo rom in Grecia in compagnia di un uomo e di una donna poi risultati, tramite prova del dna, non suoi genitori "biologici". Nonostante le spiegazioni della coppia (la bambina era stata loro affidata piccolissima dalla "vera" madre che non poteva mantenerla e loro l'avevano cresciuta come "una figlia"), spiegazioni confermate sin dal primo momento da altri/e abitanti del campo (e nelle ultime ore dal ritrovamento della madre "biologica"), l'episodio ha riportato a galla, in tutta la sua virulenza, il razzismo verso quell'"altro da noi" di cui abbiamo parlato tante volte (vedi ad esempio qui, qui, qui e qui). Mi auguro che il testo dell'Osservatorio antidiscriminazioni (e la sua pubblicazione in Marginalia e altrove) possa contribuire ad innescare un effetto moltiplicatore dell'attenzione e della vigilanza necessaria su questa e altre vicende // "Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tanto meno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunché di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo.
Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom (Osservatorio antidiscriminazioni, Giù le mani da Maria!, ottobre 2013).
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mercoledì 23 ottobre 2013
White Feminist Fatigue Syndrome
Negli ultimi giorni si è molto discusso in rete di un articolo di Nancy Fraser pubblicato lo scorso 14 ottobre da The Guardian, How feminism became capitalism's handmaiden - and how to reclaim it, tradotto da Cristina Morini con il titolo di Come il femminismo divenne ancella del capitalismo. In questo articolo Fraser constata come "la seconda ondata del femminismo è emersa come critica al capitalismo di prima maniera, ma infine è diventata ancella del capitalismo contemporaneo", questione che solleva, come è stato da più parte rilevato, tutta una serie di interrogativi indubbiamente urgenti da mettere a tema. Ma tra i contributi alla discussione che questo articolo ha suscitato mi sembra particolarmente utile e interessante il provocatorio intervento di Brenna Bhandar e Denise Ferreira da Silva, White Feminist Fatigue Syndrome, ora tradotto in italiano da Incroci De-generi (La sindrome del fardello della donna bianca). Bhandar e Ferreira da Silva, mettono in evidenza come l'articolo di Fraser "che ad una prima occhiata sembra una ragionevole auto-riflessione, una di quelle che si assume il carico e la responsabilità di passate alleanze e celebrazioni di mosse strategiche per il miglioramento della vita delle donne, ad una seconda occhiata rivela l’innata e ripetitiva miopia del femminismo bianco nell’accettare, conversare e riflettere con le femministe nere e del terzo mondo". Denunciano con forza l'utilizzo di un "noi" e del termine "femminismo" al singolare che finiscono ancora una volta per invisibilizzare la presenza di altri percorsi femministi (come il Black Feminism) che, fin dagli anni 70 "hanno sistematicamente costruito una critica femminista non solo al capitalismo di stato, ma anche al capitalismo globalizzato radicato nell’eredità del colonialismo". Mi sembra che questo testo possa contribuire ad aprire una discussione quanto mai necessaria, quindi copio-incollo di seguito la traduzione di Incroci De-generi (che ringrazio per il gran lavoro scusandomi se per mancanza di tempo e una conoscenza piuttosto rozza dell'inglese non ho potuto contribuire a una revisione del testo come auspicato, limitandomi a piccoli interventi). Buona lettura e riflessioni // Nel suo recente articolo pubblicato sulla rubrica Comment is Free, Come il femminismo è diventato un’ancella del capitalismo – e come riprendercelo, Nancy Fraser traccia delle linee a partire dal suo lavoro di teoria politica per argomentare come, nella migliore delle ipotesi, il femminismo sia stato cooptato dal neoliberalismo e nella peggiore sia stato un elemento di compartecipazione capitalista del progetto neo-liberale. Quella che ad una prima occhiata sembra una ragionevole auto-riflessione, una di quelle che si assume il carico e la responsabilità di passate alleanze e della celebrazione delle mosse strategiche finalizzate al miglioramento della vita delle donne, ad una seconda occhiata rivela l’innata e ripetitiva miopia del femminismo bianco nell’accettare, confrontarsi e riflettere con le femministe nere e del terzo mondo. Dai primi anni 70 in poi, queste studiose ed attiviste hanno sistematicamente portato avanti una critica femminista non solo al capitalismo di stato, ma anche al capitalismo globalizzato radicato nell’eredità del colonialismo. Queste femministe non hanno dato la priorità al “sessismo culturale” sulla questione della redistribuzione della ricchezza. La letteratura è vasta, gli esempi sono miriadi ed è dunque ancora più fastidioso che le femministe bianche parlino della seconda ondata del femminismo come se fosse l’unico “femminismo” e usano il pronome “noi” mentre lamentano le sconfitte delle loro battaglie. Lasciateci almeno dire che non esiste nulla che si possa definire “femminismo” in quanto soggetto di qualsiasi proposizione che designa la singola posizione della critica al patriarcato. Per questa posizione c’è stata una frattura sin da quando Sojourner Truth disse “Non sono forse una donna anch’io?”. Tuttavia esiste una posizione femminista soggettiva, quella che Fraser lamenta, che si è seduta molto comodamente al posto del soggetto auto-determinato ed emancipato. Quella ovviamente è la posizione che lei identifica come un contributo al neoliberalismo. Ma non c’è niente di cui meravigliarsi, dal momento che sia il suo femminismo che il suo neoliberalismo condividono la stessa anima liberale che le femministe nere e del terzo mondo hanno identificato e denunciato sin dai primi passi nella traiettoria dei femminismi. Il lavoro di Angela Y. Davis, Audre Lorde, Himani Bannerji, Avtar Brah, Selma James, Maria Mies, Chandra Talpade Mohanty, Silvia Federici, Dorothy Roberts e numerose altre hanno frantumato la natura limitata ed escludente delle strutture concettuali sviluppate dalle femministe bianche nel mondo anglofono. Queste studiose ed attiviste hanno creato strutture di analisi che simultaneamente eccedono una “sfida a” e forniscono un correttivo alla narrazione di entrambe le teorie del marxismo nero e dell’anticolonialismo che fondamentalmente non sono riuscite a teorizzare il genere e la sessualità, e del pensiero femminista marxista e socialista che continua a fallire, per molti aspetti, nel dar conto della razza, della colonizzazione e delle ineguaglianze strutturali fra gli stati nazione cosiddetti sviluppati ed in via di sviluppo. E certo, Mies, Federici e James sono bianche, ma i femminismi neri e del terzo mondo aspirano ad una solidarietà politica che attraversi la linea del colore. Le studiose di cui abbiamo parlato hanno coerentemente sviluppato delle critiche alle forme capitaliste della proprietà, dello scambio, del lavoro retribuito e non, insieme alle forme culturali strutturalmente incorporate nella violenza patriarcale. Prendiamo l’esempio dello stupro e della violenza contro le donne. In quel lavoro spartiacque che è Donne, Razza e Classe, Angela Y. Davis sostiene energicamente che molte delle più attuali e pressanti battaglie politiche affrontate dalle donne nere sono radicate nel particolare tipo di oppressione che hanno sofferto da schiave. Lo stupro e la violenza sessuale riguardano donne di tutte le classi, razze e sessualità, come Davis nota, ma c’è una valenza differente per uomini e donne nere. Il mito del violentatore nero e dell’uomo nero violentemente ipersessuale ha causato migliaia di linciaggi nell’anteguerra in America. Questo persistente mito razzista fornisce un valore esplicativo per la iper-rappresentazione di uomini neri in prigione condannati per stupro ed ha spinto una parte delle donne afro-americane ad essere riluttanti nel lasciarsi coinvolgere nel primo attivismo contro lo stupro che si focalizzava su un rafforzamento della legge e del sistema giudiziario. L’espropriazione del lavoro nero fondato sulla logica della schiavitù si ripete esso stesso nella espropriazione del lavoro del detenuto nell’era post-schiavista e oggi nel lavoro schiavistico endemico nel complesso industriale carcerario. La violenza sessuale è conseguentemente considerata come qualcosa che deriva dalla schiavitù e dalla colonizzazione, che colpisce sia gli uomini che le donne. La storia dei corpi di donne nere come oggetti di utilità da usare, violare per il piacere dell’uomo bianco rimane come traccia fisica, sociale, razziale nella società americana contemporanea. Per quanto riguarda le native americane, gli stereotipi dell’epoca coloniale della “squaw” continuano ad essere presenti nell’immaginario razzializzato della contemporaneità, rendendo le indigene vulnerabili alle forme di violenza sessuale che sono sempre già razziali, richiamando schemi di violenza emersi attraverso l’esproprio delle loro terre, linguaggi, risorse e, sì, anche pratiche culturali. Recenti proposte, secondo le quali le femministe dovrebbero rivolgere lo sguardo verso il lavoro non retribuito, di cura, sono state analizzate da Patricia Hill Collins in Il pensiero del femminismo nero: sapere, potere e coscienza. Collins enfatizza il fatto che il lavoro a casa delle donne afro-americane che contribuisce al benessere delle loro famiglie, può essere inteso da loro come una forma di resistenza alle imposizioni sociali ed economiche che colludono a danneggiare i bambini e le famiglie afro-americane. Le femministe nere hanno anche condotto la campagna per la retribuzione del lavoro domestico sfidando le norme borghesi dell’economia familiare. Seguendo A.Y. Davis notiamo che le femministe bianche hanno bisogno, quando intraprendono strategie politiche, di riconoscere che le femministe nere e del terzo mondo hanno già teorizzato e praticato a questo proposito da lungo tempo. Porre fine all’oppressione, alla violenza contro le donne, alla violenza contro gli uomini, particolarmente nella variante neoliberale, significa abbracciare il pensiero storico materialista e antirazzista delle femministe nere e del terzo mondo. Le femministe bianche che continuano ad agitare la parola “razza” e “razzismo” nel loro approccio diversamente sinistro-liberale sono ostinatamente cieche/sorde? Sono incapaci di cedere il passo al femminismo nero perché significherebbe la perdita di un certo privilegio razziale? Il persistente richiamo all’universalismo, che è il nucleo del femminismo bianco, continua ripetutamente a rendere invisibile le esperienze, il pensiero e il lavoro del femminismo nero e del terzo mondo. E’ ora!
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lunedì 21 ottobre 2013
Seminario di ricerca etno-antropologica / Paola Tabet
Domani pomeriggio, all'interno del seminario di ricerca etno-antropologica dell'Università di Modena e Reggio Emilia (qui il programma completo), Valeria Ribeiro Corossacz terrà una lezione su Paola Tabet. Già docente di antropologia all'Università di Siena e all’Università della Calabria, Tabet si è occupata di tradizioni popolari – C'era una volta (1978) – e di razzismo – La pelle giusta (1997), ma tema centrale della sua ricerca è, dal 1975, la costruzione sociale dei rapporti tra i sessi. Tra i suoi volumi ricordiamo La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps (1998) e La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico (2004). Recentemente uno dei saggi contenuti in La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps è stato tradotto in Non si nasce donna, con un'introduzione di Gabriella Da Re. Una sua raccolta di saggi è in via di pubblicazione
Elsa Dorlin : Pour un féminisme révolutionnaire
Elsa Dorlin in un estratto del film Notre Monde (2013, Agat/LBP/Sister,118’) di Thomas Lacoste (per maggiori info sul film rinviamo al sito Notre Monde). Per un femminismo rivoluzionario sarà anche il titolo della lectio magistralis che Elsa terrà a Bologna il prossimo 28 ottobre nell'ambito della rassegna Soggettiva (qui il programma completo). Poiché il suo lavoro (complice la mancanza di traduzioni) è poco conosciuto in Italia mi permetto di rinviare alla mia recensione al volume La matrice de la race, pubblicata qualche anno fa in Zapruder. E qui altri articoli correlati. Buona visione e lettura
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domenica 20 ottobre 2013
Affaire Treccani: rassegna stampa
Ricorderete la lettera (che spero abbiate firmato tutte/i) che denunciava il sessismo e l'omo/transfobia di molte delle voci contenute nell'Enciclopedia Treccani scritta da un gruppo di studiose/i e attiviste/i presto definiti, insieme alle/ai tante/i firmatarie/i, come talebani del politicamente corretto da il Secolo d'Italia. Rassegna stampa in aggiornamento sul sito di Intersexioni, buona lettura
sabato 19 ottobre 2013
Introduzione agli studi di genere e queer
Scrivere e continuare a fare ricerca precariamente e ai margini (o al di fuori) dei circuiti (accademici e non) di produzione dei saperi non è facile, come ben sappiamo in molte/i. Parimenti quello che, con molta fatica, riusciamo a produrre resta spesso poco visibile, fuori dai grandi circuiti della distribuzione e quindi letto e discusso da poche/i. Anche per questo ci ha fatto un piacere enorme trovare, insieme ad altri volumi, il "nostro" Non si nasce donna (Alegre, 2013) nella bibliografia del Laboratorio di introduzione agli studi di genere e queer di Marco Pustianaz al Dipartimento di Studi Umanistici di Vercelli (qui il programma). Approfittiamo di questo post per segnalare a quante/i hanno difficoltà a reperire il libro che questo può essere acquistato direttamente dall'editore, presso il quale tra l'altro in questi giorni, e fino al 27 ottobre, è possibile usufruire dello sconto del 40%. Per info cliccare qui.
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giovedì 17 ottobre 2013
Razzismo, classismo e teorie intersezionali
Denise, che ringrazio, mi segnala un suo intervento pubblicato su Anacronismi, dal titolo Razzismo e odio di classe, con spunti e indicazioni bibliografiche sulla necessità di un'analisi intersezionale, in particolare per quanto riguarda la relazione tra classe e razzismo. Un argomento cruciale ma complesso, intorno al quale varrebbe davvero la pena avviare una discussione, anche via web. Quindi buona lettura a tutte/i e ancora grazie a Denise (anche per aver segnalato Marginalia!)
venerdì 11 ottobre 2013
Terrorist Assemblages
La copertina dell'edizione francese (Editions Amsterdam, 2012) di Terrorist Assemblages. Homonationalism in Queer Times (2007) di Jasbir K. Puar
mercoledì 9 ottobre 2013
Critique de la raison nègre
Ricevo e volentieri pubblico per chi è a Parigi: giovedì prossimo, 17 ottobre 2013, all'interno di un seminario organizzato da LabTop, presentazione del recentissimo volume di Achille Mbembe, Critique de la raison nègre. Saranno presenti con l'autore Elsa Dorlin (LabTop, Paris 8), Éric Fassin (LabTop, Paris 8) e Nacira Guénif-Souïlamas (Experice, Paris 13). Maggiori info sul sito di LabTop
lunedì 7 ottobre 2013
«Non ci sono italiani negri». Il colore legittimo nell’Italia contemporanea
Via il prezioso blog di Sonia Sabelli condivido la notizia che nel numero di settembre di «Ritagli», la rassegna bimestrale di cultura della Camera dei deputati, è stato pubblicato (ed è online), il saggio «Non ci sono italiani negri». Il colore legittimo nell’Italia contemporanea, intervento introduttivo di Gaia Giuliani alla tavola rotonda da lei curata e pubblicata in «Studi culturali», dal titolo La sottile linea bianca. Intersezioni di razza, genere e classe nell’Italia postcoloniale. Nello stesso numero di «Studi culturali» anche una bella "doppia" recensione di Cristina Demaria (al volume di Chandra Talpade Mohanty, Femminismo senza frontiere e al "nostro" Femministe a parole). Buone letture!
lunedì 30 settembre 2013
Libreria digitale femminista
Da poco attiva la libreria digitale femminista ebook@women nata da un progetto avviato per valorizzare il patrimonio storico-documentario della Biblioteca Italiana delle Donne e dell’Archivio di Storia delle Donne e sostenere studiose e ricercatrici nel processo di consultazione/diffusione di materiale documentario spesso di difficile e/o scarso reperimento. La prima rivista a disposizione nella sua intera collezione (1987 – 1996) è il periodico Lapis, diretto da Lea Melandri, a mia conoscenza una delle primissime riviste in Italia a pubblicare (tra gli altri) saggi di femministe africane-americane come bell hooks e Toni Morrison. Nell'attesa che gli scaffali della libreria si colmino di nuovi materiali e documenti buon lavoro (e grazie!) al gruppo di ebook@women
Ain't Got No, I Got Life
A chi condivide con me vite faticose ma piene di forza: via youtube, Ain't Got No, I Got Life di Nina Simone da Nuff Said! registrato quasi interamente durante un concerto al Westbury Music Fair di NY il 7 aprile 1968, tre giorni dopo l'assassinio del suo grande amico e leader dell’African-American Civil Rights Movement, Martin Luther King // Qui il testo
venerdì 27 settembre 2013
Il nemico principale / Un incontro con Christine Delphy
Per chi domani ha la fortuna di essere parigina/o incontro con Christine Delphy in occasione dell'uscita della nuova edizione dei due tomi de L'Ennemi principal (Economie politique du patriarcat e Penser le genre). Per maggiori info rinvio al blog di Christine Delphy, mentre per le/i italofoni ricordo che uno dei saggi contenuti in Penser le genre è stato recentemente tradotto in italiano nel volume Non si nasce donna (si vedano le recensioni di Silvia Nugara su Iaph Italia e di Alessandra Pigliaru su Il Manifesto)
mercoledì 25 settembre 2013
Judith Butler / Coabitazione? Solo quando finirà il dominio coloniale
Con un’intervista a Judith Butler (già pubblicata in italiano su L'Indice, maggio 2013), si apre una nuova rubrica del sito del Cirsde, Dialogues/Dialoguen/Diálogos/Dialoghi, che ospiterà interviste e dialoghi rilevanti per la storia e la teoria del genere. I dialoghi saranno presentati in varie lingue, rispettandone l’espressione originaria, con l’intento di continuare ed estendere la pratica multiculturale e multilinguistica del Cirsde. L’intervista a Judith Butler è il frutto della collaborazione di Anna Chiarloni e Luisa Passerini. Judith Butler, dalle sue prime riflessioni sulla filosofia hegeliana attraverso le sue analisi sul femminismo, il movimento e il pensiero queer e la sessualità, ha contribuito in modo determinante a costituire una teoria politica del genere e a mantenerne aperta la problematicità. L’intervista si riferisce alla recente polemica seguita alla attribuzione a Butler del premio Adorno. Per consultare la rubrica clicca sul seguente link: http://www.cirsde.unito.it/PUBBLICAZI/Dialoghi/default.aspx
lunedì 23 settembre 2013
Talebani del politicamente corretto
Una notiziola per la quale vale la pena sfidare la tenosinovite: "Talebani del politicamente corretto", così il Secolo d'Italia definisce le/i firmatarie/i della lettera scritta da un gruppo di studiose/i per denunciare "il lessico impreciso e i contenuti stigmatizzanti" di alcune delle voci (transgender, omosessualità, lesbismo, intersessualità, gender) presenti nell’Enciclopedia Treccani. Maggiori dettagli sulla vicenda e aggiornamenti sul sito di Intersexioni.
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domenica 15 settembre 2013
Desideri di bianchezza. Immagini degli Italiani in Libia
Il gruppo bolognese di Storie in Movimento / Zapruder invita ad un incontro sulle rappresentazioni pubbliche e private degli Italiani in Libia. Un viaggio tra album di famiglia, rappresentazioni ufficiali e commerciali, per esplorare diversi livelli nella costruzione di asimmetrie di genere e razza a partire dal volume di Barbara Spadaro, Una colonia italiana. Incontri, memorie rappresentazioni tra Italia e Libia (Le Monnier, 2013). Ne discuteranno con l'autrice Gaia Giuliani e Vincenza Perilli, venerdì 20 settembre 2013 ore 21.00 presso la libreria ModoInfoShop (via Mascarella 24/b - Bologna)
venerdì 13 settembre 2013
Zapruder a Firenze
Questo week-end (sabato 14 settembre e domenica 15 settembre) si terrà a Firenze, chez Roberto e Justine, la riunione redazionale di Zapruder. Nel ricordare che la riunione di redazione è aperta a tutte/i le socie e i soci di Storie in Movimento (il diritto di voto è ovviamente riservato alla sola redazione), rinvio al sito di Sim per maggiori informazioni (orari, suddivisione dei tempi di lavoro, ordine del giorno ...), à tout à l'heure!
mercoledì 11 settembre 2013
Capire le migrazioni a partire da neocolonialismo e postcolonialismo
Interventi di: Thierry A. Avi (autore del libro La Francia in Costa d'Avorio: guerra e neocolonialismo ), Vincenza Perilli (studiosa di femminismi postcoloniali), Alessandro Massacesi (autore del libro Tra cielo e sabbia: storia e cultura del popolo Tuareg), Giovanni Marchionna (Presidente Osservatorio Mediterraneo onlus). Modera: Valentina Sammartino (Le Mafalde Associazione Interculturale). Al termine dell’incontro verrà offerto un buffet a base di piatti tipici del Camerun e ci sarà uno spettacolo di percussioni e danza africana del gruppo Afro Beat. Per ulteriori informazioni Le Mafalde.org
martedì 10 settembre 2013
Sesso e genere: una corrispondenza incerta
Anche in relazione al convegno di cui parlavo nel post precedente, da Il paese delle donne segnalo la lectio magistralis di Nicla Vassallo, Sesso e genere: una corrispondenza incerta, che si terrà il 15 settembre all'interno della programmazione del Festival della filosofia. Purtroppo non potrò esserci perché già a Firenze per la riunione redazionale di Zapruder, ma spero in una registrazione ...
lunedì 9 settembre 2013
Integralisti cattolici contro le teorie del genere
Dal sito Intersexioni, che Marginalia aveva già segnalato qualche tempo fa, apprendiamo di un convegno in odor di integralismo cattolico promosso dal Movimento europeo difesa della vita e dall’associazione Famiglia Domani e patrocinato dalla Provincia e dal Comune di Verona, dal titolo significativo di La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo? Sul sito di Intersexioni anche l'appello (diffusione gradita) promosso da vari gruppi e associazioni lgbtqe, che da anni lavorano sul territorio veronese, come il Circolo Pink. Buona lettura e diffusione
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Trickster online
L'archivio di Trickster. Rivista online di studi Interculturali che era scomparso dalla rete in seguito alla soppressione del vecchio dominio della ex Facoltà' di Lettere e Filosofia dell'università' di Padova, e' disponibile per il momento a questo indirizzo: http://masterintercultura.dissgea.unipd.it/trickster/doku.php?id=generale:archivio. Grazie a Andrea Celli per la segnalazione
giovedì 5 settembre 2013
Neocolonialismo e postcolonialismo per capire le migrazioni
Capire le migrazioni dall'Africa a partire da Neocolonialismo e Postcolonialismo è il titolo del convegno organizzato da Le Mafalde in collaborazione con l'associazione A.C.S Camerun che si terrà il prossimo 14 settembre a Prato e al quale sono molto contenta di essere stata invitata a partecipare. Qui il programma dettagliato (con preghiera di diffusione!), mentre qui un video-documentario che mette in luce le pesanti responsabilità della Francia nella drammatica vicenda ivoriana, questione al centro del volume La Francia in Costa d'Avorio: guerra e neocolonialismo di Thierry A. Avi, che sarà tra i/le partecipanti all'incontro
martedì 3 settembre 2013
La violenza femminile nella letteratura italiana degli anni settanta
Dalla newsletter del CIRSDe: è stato da poco pubblicato il nuovo Quaderno di Donne e Ricerca, scritto da Elena Fammartino e con prefazione di Beatrice Manetti, dal titolo: La violenza femminile nella letteratura degli anni settanta. Dacia Maraini e Angela Carter. Il Quaderno è consultabile sul sito web del CIRSDe cliccando sul seguente link: http://www.cirsde.unito.it/PUBBLICAZI/Pubblicazione-donne-e-ricerca/2009/default.aspx
domenica 1 settembre 2013
Non si nasce donna / Una recensione su Iaph Italia
Di seguito la recensione all'ultimo volume dei Quaderni Viola sul femminismo materialista francese, Non si nasce donna, scritta da Silvia Nugara, che ringraziamo, per Iaph Italia. Buona lettura! // La nuova serie della collana Quaderni Viola edita da Alegre si propone di mettere a disposizione “delle donne che desiderano fare politica per le donne” - così in quarta - materiali per conoscere la storia e l’attualità delle riflessioni femministe attraverso dossier monotematici. Dopo aver riflettuto su lavoro (Lavorare stanca, 2008), razzismo e sessismo (La Straniera, 2009), lesbismo (Orgoglio e pregiudizio, 2010) e lotta sindacale nella crisi (Sebben che siamo donne, 2011), questo quinto volume è dedicato non a un tema ma a un filone di pensiero: il femminismo materialista francese. Con questa denominazione si fa riferimento a un gruppo di teoriche il cui lavoro, al di là dei diversi problemi esplorati e degli apparati concettuali elaborati da ciascuna, si è impegnato a restituire la dimensione culturale, storica e ideologica delle divisioni dicotomiche e gerarchiche attraverso cui sono organizzati sesso (uomo/donna), sessualità (etero/omo) e razza (bianchi/neri; noi/loro). Come testimonia il titolo del libro, tale impresa anti-essenzialista si staglia sullo sfondo dell’“affermazione più sovversiva e liberatoria dei discorsi femministi” (Introduzione, p. 6) enunciata da Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso: “non si nasce donna”. Dopo un’articolata ma sintetica sezione introduttiva, il volume è strutturato in cinque parti, ognuna dedicata a una figura di rilievo del gruppo raccoltosi attorno alla rivista Questions féministes a partire dal 1977: Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig. Le curatrici hanno scelto di dare voce alle stesse autrici pubblicando di ognuna un articolo rappresentativo (inedito in italiano) preceduto da un saggio di inquadramento teorico (di Perilli su Delphy; di Renate Siebert su Guillaumin; di Valeria Ribero Corossacz su Mathieu; di Gabriella Da Re su Tabet e di Garbagnoli su Wittig) e seguito da una breve scheda bio-bibliografica. Come spiegano Garbagnoli e Perilli nell’apertura intitolata Non si nasce (donna). La denaturalizzazione come “questione femminista (pp. 8-11), il materialismo di queste pensatrici va ben oltre l’accezione marxiana e prende a oggetto dell’analisi la compenetrazione tra rapporti materiali e di senso nelle relazioni di dominio che fa sì che la loro naturalizzazione, operante attraverso l’iscrizione nei corpi, nel linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali delle gerarchie sociali, sia tanto efficace. Il materialismo di queste femministe produce, in tal modo, la comprensione del rovesciamento da causa a effetto attraverso cui operano le diverse forme di oppressione. Ciò che è socialmente appreso come origine dell’oppressione (la forma di un sesso, il colore della pelle, e così via) ne è, in realtà, l’effetto: il “sesso” (la “razza”) non è un dato, un’essenza, una proprietà inerente ai soggetti che ne esprimerebbe la natura, ma un marchio – feticcio marxiano – socialmente pertinente ed efficace perché cristallizza, nascondendoli, presistenti [sic] rapporti di dominazione e sfruttamento (p. 9). Questo libro costituisce quindi un importante invito alla lettura di pensatrici francesi da noi ancora poco tradotte e studiate (per esempio, tra tutte solo Monique Wittig figura nell’antologia Le filosofie femministe di Cavarero e Restaino). In Italia, infatti, il ruolo di maggior rilievo è stato giocato dal femminismo della differenza e, per quanto riguarda il pensiero transalpino, tanto da Psychanalyse et Politique con cui le materialiste erano in polemica, quanto dalla triade Kristeva-Irigaray-Cixous tramite una triangolazione con gli Stati Uniti e quel French Feminism di cui Paola Di Cori ricostruisce in modo avvincente la parabola intellettuale nel saggio French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak. Appunti (pp. 13-20). La riflessione materialista si articola in modo dinamico ed evolutivo lungo tutti gli assi portanti del femminismo dagli anni Settanta a oggi: il rapporto tra lotta di classe e lotta contro il patriarcato (si pensi alle analisi di Christine Delphy ne L’ennemi principal); le relazioni tra biologia, cultura e soggettività e quindi la diade sesso-genere; le relazioni razzismo-sessismo-classismo prima che emergesse il concetto di “intersezionalità” (si vedano in particolare i lavori di Colette Guillaumin a partire da L’Idéologie raciste del 1972 e di Paola Tabet); la violenza contro le donne (Delphy e Nicole-Claude Mathieu); il lesbismo (particolarmente creativi e pugnaci sono gli scritti letterari e teorici di Monique Wittig) e l’analisi politica dell’eterosessualità (su cui la redazione di QF si divise dando luogo nel 1981 a Nouvelles Questions Féministes); la riproduzione come lavoro nell’economia capitalista globale (l’antropologia di Paola Tabet); gli aspetti problematici delle pratiche politiche identitarie e della nozione di differenza ma anche di approcci post-identitari come il queer (Nicole-Claude Mathieu). L’impresa denaturalizzatrice di queste teoriche costituisce una rottura epistemologica che ha richiesto l’elaborazione di nuove griglie concettuali attraverso cui leggere – ma soprattutto immaginare (“spensare” dice Guillaumin) – la realtà perché, come spiega Delphy nel suo saggio del 2001, qui riproposto, Pensare il genere: problemi e resistenze:
per conoscere la realtà, e dunque per eventualmente cambiarla, bisogna abbandonare le proprie certezze e accettare l’angoscia, temporanea, di una accresciuta incertezza sul mondo; […] il coraggio d’affrontare l’ignoto è la condizione dell’immaginazione e la capacità di immaginare un mondo altro è un elemento essenziale dell’approccio scientifico: essa è indispensabile all’analisi del presente (p. 29). Da ciò deriva l’elaborazione di ottiche d’analisi nuove. Per esempio, Maria Gabriella Da Re ricostruisce come Paola Tabet in Les mains, les outils, les armes, del 1979, analizzi la divisione sessuale del lavoro non domandandosi “chi fa che cosa” ma “chi fa con che cosa” mettendo perciò in luce non tanto le classiche “limitazioni naturali delle donne” quanto piuttosto il loro “sottoequipaggiamento”. Le rotture epistemologiche richiedono anche un vocabolario nuovo, ragione per cui il materialismo francese è anche una fucina di innovazioni terminologiche mai accessorie: Christine Delphy abbandona il concetto statico ed essenzialista di “condizione della donna” in favore della più esplicita nozione di “oppressione”; Colette Guillaumin elabora la distinzione tra ”razzismo autoreferenziale” e “razzismo eteroreferenziale”; Nicole-Claude Mathieu parla di “sesso sociale” e Guillaumin di “sexage”; Paola Tabet concepisce l’idea di “scambio sessuo-economico” e Monique Wittig fa del linguaggio un terreno di elezione per immaginare e costruire quell’utopia androgina per cui lavorò tutta la vita. Se la riflessione su natura e cultura, su sesso e genere, su genere e non genere attraversa tutti i testi qui raccolti, particolarmente interessante risulta la scelta delle curatrici di proporre in appendice il saggio della storica francesista americana Joan Scott intitolato Genere: usi e abusi (pp. 159-166) che insiste sulla dimensione evolutiva della nozione di genere e riprende in gran parte la lectio tenuta a Padova nel febbraio 2013 al VI congresso della Società Italiana delle Storiche. Per concludere, di questo Quaderno Viola non inganni l’agile formato: si tratta di un volume denso e ricchissimo, un compendio di cui si sentiva la necessità e forse per questo è stato tradotto un po’ troppo di corsa, corredato da una bibliografia indispensabile per l’approfondimento. I saggi introduttivi e gli articoli antologizzati lasciano infatti a chi legge la voglia di consultare analisi di più ampio respiro in cui trovi spazio non solo il pensiero ma anche l’esperienza, dimensione fondamentale proprio di quel Secondo Sesso sotto il cui segno questo lavoro si iscrive //
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venerdì 23 agosto 2013
Pausa nicotina con Lauren Bacall e Humphrey Bogart
Ci prendiamo (io e il blog) un'altra breve pausa continuando a fumare per procura. A presto! // Nella foto Lauren Bacall e Humphrey Bogart in gondola a Venezia (1951) via Soyons-suave
martedì 20 agosto 2013
Zapruder / Made in Italy. Identità in migrazione online
Come molte/i di voi sanno già, l'editoriale e gli articoli della parte monografica di Zapruder vengono inseriti sul sito di Storie in Movimento dopo un anno dalla pubblicazione della rivista. Sono quindi ora disponibili l'editoriale e gli articoli della parte monografica del numero curato da Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti e Sabrina Marchetti, Made in Italy. Identità in migrazione, uscito esattamente un anno fa. In questa pagina trovate l’indice da cui è possibile accedere alla lettura online dei seguenti testi: Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti e Sabrina Marchetti, Identità … made in Italy // Michele Colucci, Effetti collaterali. L’uso pubblico delle migrazioni e della loro storia // Gaia Giuliani, Lombroso l’australiano. Costruzione della bianchezza tra Otto e Novecento // Enrica Capussotti, «Arretrati per civiltà». L’identità italiana alla prova delle migrazioni interne. Buona lettura!
lunedì 19 agosto 2013
Skin / Matters. Gendered and Racial Economies of Skin Color
Presso la Columbia University, il 29 e 30 agosto, si terrà un simposio dal titolo Skin / Matters. Gendered and Racial Economies of Skin Color. Pur se la partecipazione è gratuita ed aperta a tutte/i, mi rendo conto che andare a New York non è, economicamente, alla portata di chiunque, ma segnalo in ogni caso il programma perché mi sembra molto interessante (tra gli altri interventi di Lahoma Thomas - In / Visibilizing Skin Color, Race, and Gender The Erasure of Colour: Examining the Practices of Skin-Bleaching - e di Dominique Grisard - Coloring Race and Gender. Who’s the Fairest of them All? Pink Princess Culture and its Imperial Legacy) e penso possa suggerire spunti di ricerca e dare idee per scambi e contatti transnazionali (Marginalia esiste anche, o forse soprattutto, per questo). Quindi qui il programma dettagliato in pdf
sabato 17 agosto 2013
Le potenzialità e l'abuso di un passepartout nato per scardinare le discipline del sapere
Nell'edizione de Il Manifesto del 14 agosto Alessandra Pigliaru, che ringraziamo ancora, ha dedicato una puntuale recensione a due saggi "sull'uso e la critica del concetto di genere". Si tratta della raccolta di scritti di Joan W. Scott recentemente pubblicata da Viella - di cui avevamo ri-parlato solo qualche giorno fa - e del nuovo Quaderno Viola curato da Sara Garbagnoli e dalla sottoscritta sul femminismo materialista francese, Non si nasce donna. Di seguto la recensione, buona lettura // «Coloro che si propongono di codificare i significati delle parole combattono una battaglia perduta, poiché le parole, così come le idee e le cose che sono chiamate a esprimere, hanno una storia». Così Joan W. Scott, nel 1985 a New York, apriva il suo intervento al convegno dell'American Historical Association. La parola a cui si riferisce viene svelata dal titolo della comunicazione: Il «genere»: un'utile categoria di analisi storica. Docente a Princeton e impegnata in prima linea nel rinnovamento delle discipline storiche e degli studi delle donne, Scott è stata poco tradotta in Italia seppure la sua ricezione sia stata fondamentale per gli studi di genere. Dobbiamo ringraziare Ida Fazio che ne ricostruisce gli interventi sul tema per comporre un volume importante e rigoroso. Si intitola Genere, politica, storia (Viella, pp. 320, euro 28) e oltre i quattro importanti scritti di Joan W. Scott - discussi e redatti dal 1985 al 2013 - raccoglie i saggi di Maria Bucur, Dyan Elliott, Gail Hershatter, Joanne Meyerowitz, Heidi Tinsman e Wang Zheng, storiche di diverse aree geografiche, intervenute nel 2008 al Forum dell'«American Historical Review». Il volume, con una generosa postfazione di Paola Di Cori, è uno strumento prezioso per avere un'idea chiara di quanto il percorso di Joan Scott sia stato rilevante e quale sia il punto nell'assimilazione del genere in capo agli studi storici. Il genere, costruzione sociale che offre interessanti possibilità analitiche ed epistemologiche, ha avuto infatti un destino e una diffusione importanti proprio grazie alle riflessioni di Scott e di altre studiose, in prevalenza storiche, che dalla metà degli anni Ottanta in poi hanno contribuito sensibilmente alla ricerca dentro e fuori l'Accademia. Le diffidenze iniziali a considerare il genere come un'efficace categoria storica e politica - in quel pericolo ravvisato dalla confusione e dal depotenziamento della storia delle donne mutata in storia di genere - è stata l'occasione di mettere a tema numerose questioni, insieme alla interlocuzione potente delle posizioni Lgbqt e della critica queer. Il punto di vista generazionale e la possibilità di dialogo con i diversi approcci, sono gli elementi che hanno portato in Italia più di una riflessione dialogante sul genere. In questo scenario, il lavoro della Società Italiana delle Storiche ha molto influito sullo stato del dibattito. Certo che le analisi risentono del contesto socio-culturale in cui attecchiscono; così negli Stati Uniti si è radicalizzata la difficoltà tra storia delle donne e storia di genere, mentre in Europa la relazione tra i due orientamenti tende ad essere meno marcata. Ciò che Scott mostra riguardo l'utilità del genere come categoria storica è la consapevolezza della sua valenza critica, ma non è tutto. Mostra infatti magistralmente la genesi del concetto e tutte le relative declinazioni; riconosce inoltre la pericolosità del suo abuso. L'attenzione al lavoro sul genere, come costruzione storico-sociale che dunque non può essere né naturalizzata né ricacciata in un antagonismo acritico e dicotomico tra donne e uomini, proviene anche dal recente volume curato da Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli dal titolo eloquente Non si nasce donna (Edizioni Alegre, pp. 187, euro 5). Il solco scandagliato non è quello di matrice statunitense bensì, come recita il sottotitolo, attiene ai percorsi, testi e contesti del femminismo materialista in Francia. Eppure non a caso, in questo intenso progetto editoriale, uno dei saggi tradotti è proprio il più recente di Scott relativo all'uso e all'abuso della categoria di genere. Inserirne la riflessione accanto a quelle di femministe materialiste quali Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig, ha una sua ragionevolezza politica. Le prime quattro, ancora viventi, sono entrate in relazione con Garbagnoli e Perilli acconsentendo non solo alla pubblicazione di alcuni loro saggi all'interno del volume ma sostenendole - seppure in lontananza - nell'intero progetto.Si parte dai punti di comunanza riguardo ai concetti di denaturalizzazione e storicizzazione: nonostante le evidenti influenze marxiste (di cui si avverte la consonanza linguistica per esempio nel concetto di classe), psicoanalitiche e quelle relative alle teorie delle rivolte anticoloniali, il materialismo che riecheggia in questo tipo di femminismo prevede un netto allontanamento dal determinismo biologico e dalla trappola della scissione tra attivismo e teoria. Così dalla fine degli anni Settanta in Francia, la riflessione femminista si intreccia con la desacralizzazione delle apparenti evidenze di genere, sesso e razza. Fino a quel momento pensate «come fossero invarianti sociali, dati di natura», vengono ripensate e ridiscusse nel contesto socio-politico della radicalità femminista francese. La fucina delle idee prende avvio nell'alveo di due riviste, prima Questions Féministes (diretta da Simone de Beauvoir) e dopo qualche anno Nouvelle Questions Féministes che radunarono attorno alle rispettive redazioni alcune tra le personalità di spicco dell'attivismo politico e teorico del femminismo materialista. I testi presenti nel volume, quasi tutti inediti in Italia e introdotti finemente dalle stesse curatrici e da Renate Siebert, Valeria Ribeiro Corossacz, Maria Gabriella Da Re e Sara R. Farris, ci consegnano le principali questioni dibattute sul contrasto circa le varie forme di oppressione e dominazione insieme allo statuto delle soggettività minoritarie e allo studio dei processi di alterizzazione. In questo senso, si introducono numerosi elementi di novità del dibattito femminista per andare a comporre la plurale cartografia in divenire degli approcci antinaturalisti - seppure con alcuni distinguo per esempio rispetto a Butler. Dare voce ad altre esperienze di lotta e teoria politica diventa così una possibilità importante di conoscenza e apertura nel presente.
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