giovedì 30 luglio 2009

Strage di stato del 2 agosto. Noi sappiamo. Noi non dimentichiamo

NOI SAPPIAMO. NOI NON DIMENTICHIAMO

«Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato golpe (e che in realtà è una serie di golpes istituitasi a sistema di protezione del potere). 
 Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. 
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. 
 Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di golpes, sia i neofascisti autori materiali delle rime stragi, sia, infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.»

Così incominciava il “Romanzo delle stragi” di Pasolini (1975). Ma in anni recenti, anche e soprattutto negli appelli alla verità fatti dai palchi e dagli scranni istituzionali, assistiamo al tentativo di trasformare la memoria delle stragi in una commedia, dove vengono messi in scena personaggi improbabili e continui depistaggi. Non potendo tutto negare, le dichiarazioni di rappresentanti di governo, così come i tanti libri recenti scritti da postfascisti e le cicliche rivelazioni giornalistiche al soldo del regime, tendono ad accreditare una verità dimezzata: furono alcune “menti bacate” neofasciste a promuovere la “strategia della tensione” e la violenza stragista degli anni Settanta.
Ma noi sappiamo qual'è il loro gioco: nascondere e far dimenticare imandanti e la finalità delle stragi, la loro genesi nelle istituzioni opache dello Stato italiano, dimostrata in tanti processi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 fino a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato infatti una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati dello Stato e da neofascisti da essi personalmenteorganizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Quelle bombe contribuirono a reprimere il movimento operaio e studentesco: il loro scopo era quello di spaventare, di manipolare l’opinione pubblica, di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. E quei crimini sono effettivamente serviti per costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Oggi è importante ricordare che lo stragismo fu di Stato. Non solo contro tutti i tentativi di depistaggio e di revisionismo, ma soprattutto perché la memoria diffusa è l’unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi.

Per questo, in occasione dell’anniversario della strage di stato del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, vogliamo ribadire, con Pasolini, che noi sappiamo e non dimentichiamo. Vogliamo ribadirlo soprattutto
oggi che la repressione della diversità, delle lotte sociali, dei desideri di liberazione, dei diritti delle persone si fa sempre più violenta. E non intendiamo essere complici di chi, ancora una volta, utilizzerà l’anniversario di una strage per sdoganare il proprio criminale revisionismo e negare le complicità con il fascismo di ieri e di oggi.

Invitiamo le donne e gli uomini che considerano la memoria e l’antifascismo valori etici irrinunciabili a lasciare, dopo il suono della sirena alle 10.25, il piazzale della stazione e proseguire con noinel “corteo della memoria” verso piazza dell’Unità.

Antifasciste e antifascisti
(riunite e riuniti in assemblea il 27 luglio)
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Vedi anche il documento dell'Assemblea Antifascista Permanente
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Honduras: Feministas en Resistencia




Altri video e info sulle lotte femministe in Honduras QUI, QUI e QUI. Per un bilancio ad un mese dal golpe rinvio all'articolo di Gennaro Carotenuto.
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mercoledì 29 luglio 2009

Le menzogne del regime: i Cie "hotel di lusso" per migranti

Lo ha affermato Franco Maccari, segretario generale del Coisp (Sindacato indipendente di Polizia) dopo aver visitato i Centri di identificazione ed espulsione di Bologna e Modena. A suo dire delle "piccole bomboniere", "hotel di lusso" per migranti. Peccato per lui che quello che ci dicono gli atti di autolesionismo, le morti e i suicidi di migranti, le continue rivolte all'interno dei Cie (recentemente vedi le rivolte e gli arresti di migranti all'interno del Cie di via Mattei a Bologna) è tutt'altro ...

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Non possiamo vederli/e, ma oltre il muro del Cie, dietro quelle sbarre, ci sono ...
Nell'Italia neocoloniale ogni silenzio è oramai complice
Vivre libre ou mourir. Per Mabruka, suicida in un Cie
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lunedì 27 luglio 2009

Un gommone sul mare ... Una protesta "teatrale" contro i Cie, galere etniche per corpi senza diritti



Il "mare" è quello di piazzale Michelangelo a Firenze. Lì, sul suo pulmino, l'attore/attivista Saverio Tommasi ha piazzato un gommone. Lo scorso anno era stata una gabbia. Su quel gommone, digiunando sotto il sole, Saverio vive da mercoledì scorso e vi resterà fino a mercoledì 29 luglio. Sette giorni a simbolizzare un "viaggio immaginato ma non immaginario", come quello compiuto dai/dalle migranti attraverso il Mar Mediterraneo. A quanti/e scampano a questo "cimitero senza lapidi" come lo definiscono Tommasi e gli/le altri/e promotori/trici, si aprono - per poi rinchiudersi - le porte dei Cie: "Ingabbiati fino a sei mesi in questi campi di concentramento, identificati ed espulsi. Relegare in gabbia persone che non hanno commesso alcun reato è un abominio e una grave violazione dei più elementari diritti dell'uomo e dei principi fondamentali del diritto internazionale. 'Inventarsi' la fattispecie del reato di clandestinità - secondo cui si è 'criminali' non per il fatto di aver compiuto un atto criminale, ma per una condizione esistenziale soggettiva - è uno stavolgimento dei più elementari principi di uno stato di diritto. Chiediamo la chiusura dei Cie, chiediamo di non doverci più vergognare di noi stessi. In Italia e in Europa abbiamo prodotto campi di concentramento e leggi razziali. l'Italia ha dimenticato di essere stata un paese di emigranti, ma soprattutto ha rimosso il razzismo coloniale e le sue atrocità. Grazie a questa rimozione collettiva oggi si saldano assieme xenofobia popolare e 'razzismo istituzionale', che produce norme discriminatorie e nuove istituzioni totali come i Cie. Un razzismo istituzionale che a sua volta alimenta e legittima il razzismo popolare. Ma noi sappiamo anche che la società italiana è in grado di produrre una grande quantità di anticorpi [...]". Abbiamo scelto una protesta teatrale perché il teatro racconta storie. La storia che abbiamo preso l'impegno di narrare ha un finale da scrivere. Siamo noi ad avere in mano la penna. Possiamo scrivere una fine che sia un inizio: evitare la costruzione di una gabbia anche in Toscana, presumibilmente a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze ...".
Ogni giorno, a staffetta, donne, uomini, realtà che lottano contro l'(in)sicurezza basata sulla repressione, accompagnano Saverio Tommasi nel suo viaggio. Nella foto, che ho scattato sabato pomeriggio a Piazzale Michelangelo, Saverio sul suo gommone. Al microfono Rachelle Njanta, dell'associazione di donne native e migranti Le Mafalde.
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sabato 25 luglio 2009

Stragi di Stato. La memoria diffusa è l'unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi

Nelle piazze degli anni Settanta si denunciavano le “stragi di stato” gridando slogan come “Le bombe nelle piazze, le bombe nei vagoni, le mettono i fascisti, le pagano i padroni” oppure “Piazza della Loggia, Piazza Fontana: mano fascista, regia democristiana”. Oggi solo la prima parte di questi slogan comincia a essere una verità riconosciuta – a denti stretti – dai governanti attuali. “Alcune di quelle bombe erano di destra”, ha dichiarato Maurizio Gasparri a fine maggio. Adesso che i conti giudiziari hanno visto archiviazioni e assoluzioni degli esecutori materiali, lo stato cerca di cancellare il ricordo dei mandanti. “In quella che è stata definita la galassia neofascista”, ha dichiarato ancora Gasparri, “c’era qualche mente bacata, che immaginando chissà quale palingenesi folle, pensava che si potesse realizzarla a colpi di scure”. Non dunque una strategia delle stragi, un uso calcolato della violenza, ma solo qualche “mente bacata”... Le dichiarazioni di Gasparri, così come tanti libri recenti scritti da postfascisti (ad es. Il sangue e la celtica di Nicola Rao o Io, l’uomo nero di Pierluigi Concutelli), tendono ad accreditare una verità dimezzata: furono alcune “menti bacate” neofasciste a promuovere la “strategia della tensione” e la violenza stragista degli anni Settanta. La posta in gioco è oggi quella di nascondere e far dimenticare i mandanti e la finalità delle stragi: la loro genesi nelle istituzioni opache dello Stato italiano, dimostrata in tanti processi. Dalla strage di piazza Fontana del 1969 fino a quella di Bologna del 1980, l’Italia ha sperimentato infatti una lunga “strategia delle stragi” condotta da uomini degli apparati dello Stato e da neofascisti da essi personalmente organizzati, indirizzati, finanziati e protetti. Quelle bombe contribuirono a reprimere il movimento operaio e studentesco: il loro scopo era quello di spaventare, di manipolare l’opinione pubblica, di promuovere con la violenza un “ritorno all’ordine”. E quei crimini sono effettivamente serviti per costruire un mondo più ingiusto, ipocrita e violento. Oggi è importante ricordare che lo stragismo fu di Stato. Non solo contro tutti i tentativi di depistaggio e di revisionismo, ma soprattutto perché la memoria diffusa è l’unico antidoto contro la possibilità che certi eventi possano ripetersi. Crediamo pertanto che il 2 agosto sia importante una presenza di piazza autorganizzata e di base: o con uno spezzone nella manifestazione ufficiale, e/o con un’iniziativa autonoma il pomeriggio-sera come era stato proposto l’anno scorso. Crediamo che si tratti di ribadire la lunga storia della violenza statale soprattutto oggi che la repressione della diversità, delle lotte sociali, dei sogni di libertà, dei diritti delle persone si fa sempre più violenta. Per questo invitiamo tutt* – persone, collettivi, realtà sociali – a discutere in assemblea cosa fare il 2 agosto e come farlo. Proponiamo di trovarci lunedì 27 luglio alle ore 21 presso il Circolo Berneri di Piazza di Porta S. Stefano 1 a Bologna.

da Assemblea Antifascista Permanente
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Frantz Fanon e la rivolta dei dannati della terra

Nel giorno del suo "compleanno" (Frantz Fanon è nato il 25 luglio 1925 a Fort-de-France), pubblico un estratto (scelto non a caso) da Les Damnés de la terre (I dannati della terra, uscito nel 1961, a pochi giorni dalla morte dell'autore e che potete leggere in traduzione italiana nell'edizione Einaudi curata da Liliana Ellena):

"La violence qui a présidé à l'arrangement du monde colonial, qui a rythmé inlassablement la destruction des formes sociales indigènes, démoli sans restrictions les systèmes de références de l'économie, les modes d'apparence, d'habillement, sera revendiquée et assumée par le colonisé au moment où, décidant d'être l'histoire en actes, la masse colonisée s'engouffrera dans les villes interdites. Faire sauter le monde colonial est désormais une image d'action très claire, très compréhensible et pouvant être reprise par chacun des individus constituant le peuple colonisé ".
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L'immagine è un fotogramma del film di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri.
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giovedì 23 luglio 2009

Lapidazioni occidentali

Una donna di origini nigeriane è stata malmenata in un giardinetto a Torino da un gruppo di persone, dopo che suo figlio (un bambino autistico di sette anni) aveva colpito con una pietra un anziano. A nulla sono valse le scuse e le spiegazioni della donna: è stata aggredita, percossa con una pietra e insultata con frasi del tipo "Porta quel bastardo di tuo figlio in manicomio" e l'oramai classico "Tornatene al tuo paese". Ha riportato lesioni guaribili in dieci giorni. Molto probabilmente ora sarò sommersa dai soliti "commenti autistici" (il 97% dei quali non pubblicherò perché palesemente razzisti): mi si ricorderà che la lapidazione è ben altra cosa, che milioni di donne vengono lapidate in Africa, che il razzismo non c'entra niente ... eccetera eccetera.

PS di stamani 25/7: gli eventi (e una cara amica) mi costringono a prendere coscienza del fatto che non solo "il numero delle persone incapaci di "collegare" il cervello alla lingua o alle mani sulla tastiera è in drammatico aumento" ma anche che si è avuta una decisa involuzione culturale e politica che (insieme alla mancanza di un linguaggio, letture ed esperienze comuni), porta spesso a un dialogo "tra sordi" (e sorde). Ribadisco allora tutta la mia più ferma condanna di qualunque forma di violenza sulle donne, dalle diverse forme di femminicidio allo stupro. E i nomi di Safya Husseini, Nurjahan Begum, Amina Lawal ed altre mi sono dolorosamente noti ...
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Sono una donna, non sono una santa ...



Dell'ultima battuta di Silvio Berlusconi ("ci sono un mare di belle figliuole e imprenditori solidi ... e io non sono un santo") quello che inquieta è la reazione del pubblico. Reazione che riflette, potete scommetterci, quella di milioni di italiani (e italiane). Mi sembra inutile cercare consolazione nell'ennesimo sondaggio sul presunto calo di popolarità del premier. Piuttosto varrebbe la pena tornare a (o cominciare a) riflettere su come le dittature costruiscono il consenso. Ho tirato giù dallo scaffale Mussolini immaginario di Luisa Passerini e Fascismo e gran capitale di Daniel Guérin. Mi sembrano ancora utili. Intanto un po' d'ironia non guasta: grazie a Angelo del Fango per il video di Non sono una santa e visto che ci siete annotate anche il link di Nessuno mi può giudicare della mitica Caterina Caselli, magari torna utile per la prossima battuta ...
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martedì 21 luglio 2009

Women of Allah, Silvio Berlusconi e la violenza sulle donne

Del post che avrei voluto scrivere oggi ho solo il titolo. Poiché dubito di avere tempo nei prossimi giorni vi lascio almeno questo per eventuali riflessioni o suggestioni. E colgo anche l'occasione per scusarmi con tutte e tutti se è un po' che non rispondo ai commenti ma lo farò presto, in un modo o nell'altro.
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lunedì 20 luglio 2009

Contribute to Race Revolt 5!

Nell'autunno del 2007 avevamo già parlato, in occasione dell'uscita del primo numero, di Race Revolt, un'interessante rivista inglese autoprodotta da un gruppo di attivisti/e femmiste-queer-trangender non-bianchi/e (e al link precedente trovate anche una traduzione, seppur frettolosa, di una presentazione della rivista). Race Revolt si proponeva di aprire un dialogo nei movimenti sulle questioni legate alla "razza" a partire da un approccio femminista, queer e do it yourself (cioè autogestito) ed in particolare di mettere in discussione il privilegio della bianchezza, la whiteness. Race Revolt è oramai giunta al 5 numero, la cui uscita è prevista per l'autunno. Di seguito trovate l'invito di Humaira Saeed a contribuire a questo percorso, che da parte mia ritengo importante e soprattutto necessario.

Race Revolt Issue 5 will be out this autumn, the deadline for submissions to this issue is September 13th. Please get in touch beforehand if you'd like to talk about your ideas and submission, or just send it in!
This zine is open to submissions that focus on race and ethnicity fromqueer, feminist, activist and diy-punk (and any combinations of these) perspectives and communities. I am specifically looking for articles that respond to Issue 4, the Whiteness issue. The majority of space in Issue 5 will be given to responses. Please send them in! These responses can take the form of critique, carrying on conversations, recasting articles from a different point of view, or however else you choose.

Race Revolt
racerevolt@riseup.net
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domenica 19 luglio 2009

Se ad essere ucciso è "uno sporco negro" non è razzismo. Anzi, quasi quasi se lo meritava

A quasi un anno dall'omicidio di Abdul Salam Guibre, detto Abba, massacrato a colpi di spranga e bastone il 15 settembre scorso a Milano, arriva la sentenza: 15 anni per omicidio volontario, non essendo stata ritenuta dal pm l'aggravante dell'odio razziale. Quella notte due baristi, padre e figlio, inseguirono con spranghe e bastoni tre ragazzi che avevano rubato un pacco di biscotti urlando "negri di merda", "dove vai cioccolatino" e "sporco negro". Ma il razzismo non c'entra ... Del resto all'epoca dei fatti lo stesso vice sindaco De Corato aveva affermato che la matrice razziale non c'entrava, tesi ribadita in diretta televisiva a Porta a Porta da Silvio Berlusconi: "la questione razziale e il colore della pelle non c'entrano nulla", semmai il problema andava individuato nella "politica delle porte aperte" che "ha portato a far sentire gli italiani meno sicuri". Insicurezza in nome della quale è legittimo (per gli italiani ben inteso) difendere con ogni mezzo la propria "proprietà" (che sia un pacco di biscotti o le cosiddette "nostre donne" poco importa), soprattutto quando questa viene insidiata da uno "sporco negro" (o da un "rumeno"). In fondo, come ebbe a dire a caldo il segretario provinciale della Lega Nord Romagna, Piero Fusconi, quei tre ragazzi che avevano "violato la legge ... una lezione se la sarebbero meritata" e che questo omicidio era stato uno "spiacevole inconveniente" del quale chi come Abdul si sarebbe posto fuori dalla legge "non ha diritto di lamentarsi". I familiari di Abba invece continuano ad esercitare il loro sacrosanto diritto a lamentarsi, denunciano la pena inflitta ai due imputati come troppo bassa e soprattutto ribadiscono il peso che la componente razziale ha avuto nella ferocia dell'omicidio.
Sarò banale, ma provate ad immaginare quale sarebbe stata la pena se la vittima fosse stata un ragazzo italiano/bianco e l'omicida uno di quei commercianti migranti che gestiscono negozietti di alimentari aperti fino a tarda notte dove sembra che i furtarelli non si contino ...
Idealmente sono contro tutte le galere come recita lo slogan ma nella realtà di questo paese dove la vita di un migrante o di un rumeno vale meno che niente, dove ancora nessuno ha pagato per tante stragi di Stato, dove nessuno cercherà i veri colpevoli per i morti del terremoto in Abruzzo, per la tragedia di Viareggio, per le continue morti sul lavoro e dove chi ha il potere si cambia le leggi per non finire in galera mentre nei Cie un/una migrante può marcire fino a sei mesi senza aver fatto assolutamente nulla... beh, io di queste galere con certi personaggi dentro, butterei via le chiavi ...
E ora fucilatemi.


venerdì 17 luglio 2009

Cartoline fasciste sul Lago di Como ...



15 luglio 2009, Como - Piazza Cavour (un po' di storia spicciola: a pochi km da qui, nei pressi di Dongo, il 28 aprile 1945 fu fucilato il dittatore fuggiasco Benito Mussolini, oramai annesso, qui come altrove, al mercato dei souvenir)
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martedì 14 luglio 2009

Blogger in sciopero contro il bavaglio del ddl Alfano


Marginalia aderisce al primo sciopero dei/delle blogger promosso da Diritto alla Rete contro il ddl Alfano che imbavaglia la Internet italiana, anche perché prima di legiferare sulla rete i/le parlamentari italiani/e dovrebbero almeno imparare a spedire una mail e saper distinguere un computer da un forno a microonde ...
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lunedì 13 luglio 2009

In memoria di Marwa al Sherbini, una donna che indossava la hijab

Marwa al Sherbini, trentenne di origini egiziane, è stata uccisa con diciotto coltellate davanti agli occhi del figlioletto di tre anni e del marito lo scorso 1 luglio nel tribunale di Dresda, in Germania, dove si stava svolgendo il processo contro un giovane tedesco, suo vicino di casa, che lei aveva denunciato per pesanti minacce quali "puttana islamica" e "terrorista" e continue ingiunzioni a togliersi il velo. E' stato lui, definito dai rari giornali che hanno dato la notizia "fanatico antislamico", ad ucciderla. Quando - troppo tardi - i poliziotti sono intervenuti, hanno scambiato il marito - che cercava di difenderla - con l'assalitore, sparandogli addosso. L'aspetto "non ariano" dell'uomo è stato probabilmente motivo sufficiente: se l'idea dell'immigrato (un tempo era il "negro") come potenziale stupratore e omicida di donne (leggi: noi donne "bianche") è oramai saldamente radicata nell'immaginario collettivo occidentale, altrettanto lo è l'idea che se una donna indossa il velo è vittima di un marito (o di un padre, un fratello ...) fondamentalista e sessista alla decima potenza. Di questa storia ho saputo solo ora leggendo un articolo in Il vento e l'anima, del resto la notizia è girata pochissimo online, e quasi niente sulla stampa cartacea in Italia (ma sembra anche nella stessa Germania). Non so se Marwa al Sherbini debba (o possa) essere definita martire dell'hijab o martire del razzismo, ma so per certo che ad ucciderla è stata una cultura razzista e sessista, che ha individuato nel velo - associato di volta in volta al fondamentalismo (islamico), al patriarcato, al sessismo più becero, all'oppressione e alla violenza sulle donne - il luogo privilegiato sul quale far convergere tutti i peggiori stereotipi e pregiudizi sulle donne e gli uomini "non occidentali", stereotipi e pregiudizi funzionali a quello "scontro di civiltà" che dovrebbe giustificare pratiche discriminatorie, sessiste e razziste, alcune delle quali recentemente sancite in Italia con l'approvazione del vergognoso pacchetto sicurezza. E forse non dovrei neanche stupirmi (e denunciare ancora e ancora e ancora ... ) del colpevole silenzio dei media soprattutto mainstream (ma non solo) sulla storia di Marwa. Sappiamo dei silenzi, delle censure, delle diverse maniere di trattare casi di cronaca a seconda delle origini della vittima e dell'omicida. Ma anch'io non posso impedirmi di immaginare cosa sarebbe successo se ad uccidere (e in un'aula di tribunale!) fosse stato un musulmano ("fondamentalista" o "moderato" non importa, del resto un qualsiasi uomo migrante va bene tanto in un certo immaginario sono tutti ugualmente e violentemente sessisti e potenziali stupratori e omicidi). Ad immaginare come alcuni elementi (Marwa, uccisa davanti agli occhi del figlioletto, era incinta di pochi mesi) sarebbero stati usati per accrescere il carattere bestiale dell'omicidio e il consenso pubblico verso ulteriori probabili misure securitarie/razziste contro i/le migranti. Il problema è che l'omicidio di Marwa al Sherbini non si presta a comode (per il sistema sessismo/razzismo) strumentalizzazioni, come è stato il caso ad esempio di Hina Saleem (ma anche di Giovanna Reggiani). E non si presta neanche ad una lettura in termini di "violenza sulle donne" tout court. Non è un caso allora che a tacere siano anche tante voci femminili/femministe, che senza poter essere assimilate all'isteria antislamica di una Suad Sbai o di una Daniela Santanchè, devono certo compiere una radicale (ma quanto necessaria) rimessa in discussione dei propri discorsi per poter "guardare" il corpo martoriato di questa donna che indossava la hijab.

venerdì 10 luglio 2009

Michelle Obama, Alemanno e Isabella Rauti: liaisons dangereuses al G8

Dopo aver parlato poco (e senza grossi sensi di colpa) di Berlusconi, escort e veline (e per niente di Veronica Lario e dei suoi sfoghi di povera moglie offesa) non ho neanche firmato l'appello, circolato recentemente, con il quale un gruppo di donne invitava le cosiddette first ladies a disertare il G8 a L'Aquila, denunciando le "vicende relazionali del premier, che trascendono la sfera personale e assumono un significato pubblico" e soprattutto "le modalità di reclutamento del personale politico" e i "comportamenti e discorsi sessisti che delegittimano con perversa e ilare sistematicità la presenza femminile sulla scena sociale e istituzionale. Questi comportamenti, gravi sul piano morale, civile, culturale, minano la dignità delle donne e incidono negativamente sui percorsi di autonomia e affermazione femminili" . Rilevo en passant che, questa volta, tra le first ladies c'era anche un first husband ovvero il consorte della cancelliera tedesca Angela Merkel (ma nessun* sembra essersene accorto, e qui la pretesa diagnosi di genere resta indietro rispetto alla realtà), ma non è questo adesso il punto. Nè voglio stare a farla lunga sull'aberrazione di rivolgersi alle mogli dei capi di stato invitati al G8 sperando in una improbabile unità di genere in nome del sessimo. Con sguardo obliquo mi soffermo invece su una piccola notiziola che rischia di passare pressoché inosservata e non meditata. Eppure una delle poche che segnalano, seppur indirettamente, come certe vicende italiane siano state recepite dalle first lady. Mi riferisco all'incontro tra la consorte del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, Michelle, con i coniugi Alemanno durante le sue vacanze romane a margine del G8 (che, come tutte le altre, non ha boicottato). Sembra che la first lady statunitense abbia ammonito il sindaco di Roma a comportarsi bene con la moglie (tra parentesi: è Isabella Rauti, passata da pochi anni dalla Fiamma Tricolore del padre Pino Rauti all'Alleanza Nazionale del marito). E così al posto dell'agognata rivolta delle first lady ci è stato servito uno scialbo precetto di bon ton familiare.
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martedì 7 luglio 2009

Senza titolo (3)

Ancora un senza titolo (e quindi anche senza testo). Intanto però, tra una cosa e l'altra, continuo a leggere Ludovico Geymonat (e Foucault bien sûr). Il "problema" è quello della verità.
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domenica 5 luglio 2009

Messaggio estivo per i soliti sessisti, razzisti, fascisti, integralisti ...

Così, giusto per tenere al corrente lettori e lettrici di quel che passa in questo blog anche se non si vede (grazie all'opzione modera commenti ...). Non vi perdete nulla comunque, sono solo insulti, ingiurie e qualche ridicola minaccia. Accidenti devo proprio piacere molto a certa gente! Da parte mia ho poco tempo da perdere, ma va benissimo così, se non altro ho aggiornato il blog in giorni che non ho voglia di scrivere qui, ma fare altro. Di seguito i link dove ricostruire questa squallida guerricciola (per curiosi/e senza nulla di meglio da fare):

venerdì 3 luglio 2009

Contro il ritorno delle leggi razziali in Europa / Against the Reintroduction of Race Laws in Europe

L'appello Contro il ritorno delle leggi razziali in Europa, lo trovate QUI. I miei commenti in un altro momento. Intanto è giusto, anche se con qualche perplessità, far girare prese di posizione critiche su quanto sta avvenendo. Ieri è stato approvato il cosiddetto pacchetto sicurezza ...
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mercoledì 1 luglio 2009

Mona Hatoum - Interior Landscape

Interior Landascape è il nome della nuova mostra di Mona Hatoum, fino al 20 settembre alla Fondazione Querini Stampalia, a Venezia. Tra le opere esposte anche la nota (ma sempre belllissima) Hot Spot. Paesaggi interiori, tra macerie e ricostruzioni. E' incredibile (ma sembra così banale e scontato scriverlo) come certe opere riescano a "parlare" anche in tempi e contesti diversi da quelli in cui sono nate. Anche se probabilmente in questo momento, le cose che Hot Spot dice (anche rispetto a un certo presente "immediato") le dice solo a me, ed altre (e non mi è dato sapere quali) ad altre/i.

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Articoli correlati in Marginalia:

Tra assordanti bla bla bla bla bla bla bla, pensando alle donne di Gaza ...
Over my dead body
Gaza. Dei vivi che passano
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