martedì 23 settembre 2008

Lavorare stanca



E' passato qualche annetto (era il "lontano" 1994) ma ricordo ancora l' ingordigia con la quale ho letteralmente divorato un libro dalla copertina viola, già dal titolo piuttosto promettente. Mi riferisco a Meglio Orfane. Per una critica femminista del pensiero della differenza, di Lidia Cirillo, primo dei famosi (penso non solo per me) Quaderni Viola [1].
Sono quindi molto contenta di fare un po' di pubblicità&propaganda al primo numero della nuova serie dedicato al "lavoro delle donne". Sarà in distribuzione tra qualche giorno, tra l'altro a un prezzo veramente "politico" (come mi sembra si dicesse una volta), 3 euro. E in cantiere ci sono già altri numeri ... (suspense)
E restando in tema "donne e lavoro", sabato prossimo a Roma si terrà un incontro nazionale su “Lavoro/Precarietà/Reddito/Sicurezza” organizzato da diverse realtà che si sono aggregate intorno al dibattito nato dal Tavolo 4 su lavoro/precarietà al Flat romano di febbraio. Trovate informazioni e materiali in questo nuovo blog.
Blog che inserirò quanto prima nel cosiddetto blogroll, insieme ad un sacco di altre cose che si sono accumulate ultimamente ( letture, appuntamenti, urgenze ... ). A giustificazione dei miei tempi elefantiaci, devo dire che non è poi tanto semplice stare dietro ai vari aggiornamenti, soprattutto se non si è una "blogger di professione" . Non tanto per difficoltà tecniche - che tutto in questo mondo si impara -, ma piuttosto per una volgarissima questione di tempo ...
E a proposito (e restando pure in argomento): fortunatamente non ho nient'altro da dire stasera perché in ogni caso dovrei chiudere qui. Ho del lavoro urgente da finire ...

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[1] Non è un caso che, più di dieci anni dopo, Meglio orfane è ancora nelle "mie" bibliografie ...
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venerdì 19 settembre 2008

"Sexe" et "race" dans les féminismes italiens. Jalons d’une généalogie (Bibliographie)

Qui di seguito sommario e bibliografia del mio saggio "« Sexe » et « race » dans les féminismes italiens. Jalons d’une généalogie" (pubblicato in J. Falquet (dir.) (Ré)articulation des rapports sociaux de sexe, classe et "race". Repères historiques et contemporains, Mémoires du séminarie du Cedref 2005-2006, Cahiers du Cedref 2006, pp. 105-143). Sperando possa tornare utile. Ne approfitto per segnalarvi che nei prossimi giorni sarà disponibile in rete il programma del seminario del Cedref 2008-2009 ... nel caso qualcun* passi da Parigi ...

Premières partie: Différence, différences, disparités: pour une généalogie du pensiero della differenza essuale
Deuxième partie: "Sexe" et "race" entre réalité et métaphore: la force et la faiblesse de la comparaison
Troisième partie: L'analogie sexe et "race": entre anciennes limites et nouvelles impasses

Bibliographie

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lunedì 15 settembre 2008

Aspettando Sistren


E' prevista per fine ottobre l'uscita di Sistren, una raccolta che attraverso scritti (tra le altre) di June Jordan, Audre Lorde, Aishah Shahidah Simmons, Staceyann Chin, Lenelle Moise, Piper Anderson, Sashinka Gourguinpour, Lauren Jade Martin, Todd Michelle Christine Gonzales, Jane Jin Kaisen, Kim Thompson, Elitrea Frye, Esohe Agathise, Groupe du 6 Novembre, Kagendo Murungi ... si propone di esplorare l'intersezione tra razza, classe, genere e sessualità. Nell'attesa è possibile leggerne alcuni stralci in rete grazie al prezioso lavoro di Veruska, che trovate qui.
E intanto vi ri-segnalo (perché continuo a credere che repetita iuvant) qualche lettura che ritengo utile per una riflessione su queste questioni. Anzitutto il citatissimo (sicuramente da me) Cahiers du Cedref curato da Jules Falquet, Emmanuelle Lada e Aude Rabaud : (Ré)articulation des rapports sociaux de sexe, classe et "race". Repères historiques et contemporains, Mémoires du séminarie du Cedref 2005-2006, che contiene (tra l'altro) un bel saggio sul Combahee River Collective (di cui viene anche tradotto in francese il famoso manifesto, che a breve - grazie alla nuova ri-edizione di Sistren - potremo ri-leggere in traduzione italiana), un mio scritto sulla cosiddetta articolazione di sessismo e razzismo e un bell'intervento di Horia Kebabza sul "sistema dei privilegi" (alcuni estratti di questo saggio li trovate sul sito del Mouvement des Indigènes de la République). Ancora in francese vi ri-segnalo l'antalogia curata da Elsa Dorlin, Black Feminism. Anthologie du féminisme africain-américain, con testi (tra le altre) di Audre Lorde, bell hooks, Combahee River Collective, Barbara Smith, Michele Wallace, Hazel Carby ... Per chi ancora non lo avesse letto ricordo che Dorlin è anche autrice di La matrice de la race, volume illuminante sull'articolazione di sessismo e razzismo nelle imprese coloniali e sulla costituzione dello stato francese moderno e che ho recensito per il numero Confini senza fine di Zapruder (recensione che posterò presto qui in Marginalia, previa autorizzazione ovviamente!)
In italiano vi ri-segnalo (in ordine cronologico) tre libri, Traiettorie di sguardi. E se gli altri fosse voi? di Geneviève Makaping (di cui non posso dimenticare il bell' intervento di qualche anno fa a Informazione migrante) , Regina di fiori e di perle di Gabriella Ghermandi e, ultimo ad essere stato pubblicato, La pelle che ci separa di Kym Ragusa.
E infine, poichè ho citato Zapruder, non posso proprio evitare di ricordarvi ancora una volta (e chissenefrega se qualcun* malignerà a proposito di pubblicità&propaganda) il "mitico" numero Donne di mondo. Percorsi transnazionali dei femminismi, curato da Liliana Ellena e Elena Petricola. Ma vabbè che è inutile, credo che questo lo abbiate letto proprio tutt*, no?

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Mentre scrivo apprendo della morte di Abdul William Guibre, 19 anni, cittadino italiano originario del Burkina Faso. Ucciso a sprangate - condite da insulti razzisti - dai gestori di un bar (padre e figlio) dove aveva rubato un pacchetto di caramelle.
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sabato 13 settembre 2008

L’analogie sexe et « race » : entre anciennes limites et nouvelles impasses



Continua da qui:


L’analogie entre la condition des femmes et celle des Noirs a été critiquée dès le début des années 70, notamment aux Etats-Unis (Décuré, 1974), en particulier par les féministes afro-américaines qui, ensuite, ont élargi leurs critiques aux féminismes nord-américains et européens qui avaient ignoré les questions relatives au racisme et au colonialisme [1]. Cependant, dès 1949 en Europe, Simone de Beauvoir dans Le deuxième sexe (seulement traduit en Italie en 1961) – avait pointé les différences entre « sexe » et « race ». Ces remarques étaient d’autant plus significatives que dans l’introduction, de Beauvoir « place d’emblée, dans une perspective sociale et historique, les femmes dans une situation analogue (ce qui n’est pas dire semblable) à celle d’autres groupes infèriorisés » (Guillaumin, 1998 : 7) : « qu’il s’agisse d’une race, d’une classe, d’un sexe réduits à une condition inférieure, les processus de justification sont les mêmes » (de Beauvoir, 1999 : 24). Pourtant,


« les femmes ne sont pas comme les Noirs d’Amérique, comme les Juifs, une minorité : il y a autant de femmes que d’hommes sur terre. Souvent aussi les deux groupes en présence ont d’abord été indépendants […] et c’est un événement historique qui a subordonné le plus faible au plus fort : la diaspora juive, l’introduction de l’esclavage en Amérique, les conquêtes coloniales sont des faits datés. Dans ces cas, pour les opprimés il y a eu un avant : ils ont en commun un passé, une tradition, parfois une religion, une culture […]. Elles [les femmes] n’ont pas de passé, d’histoire, de religion qui leur soit propre […] il n’y a pas même entre elles cette promiscuité spatiale qui fait des Noirs d’Amérique, des Juifs des ghettos, des ouvriers de Saint-Denis ou des usines Renault une communauté. Elles vivent dispersées parmi les hommes […] Bourgeoises elles sont solidaires des bourgeois et non des femmes prolétaires ; blanches des hommes blancs et non des femmes noires […] Le lien qui l’unit à ses oppresseurs n’est comparable à aucun autre » (De Beauvoir, 1999 :18-19).

Elle soulignait aussi la différence spécifique de l’antisémitisme par rapport aux autres systèmes d’infériorisation :

« L’éternel féminin » c’est l’homologue de « l’âme noire » et du « caractère juif ». Le problème juif est d’ailleurs dans son ensemble très différent des deux autres : le Juif pour l’antisémitisme n’est pas tant un inférieur qu’un ennemi et on ne lui reconnaît en ce monde aucune place qui soit sienne ; on souhaite plutôt l’anéantir [2] ».

Au début des années 80, Marie-Josèphe Dhavernas et Liliane Kandel, en s’interrogeant sur le rapport complexe entre sexisme et racisme, insistaient sur la nécessité d’examiner les divergences considérables entre ces deux phénomènes « si l’on veut faire avancer à la fois nos analyses, et les luttes des femmes contre le sexisme » (Dhavernas et Kandel, 1983 : 9). Si en France, la volonté d’analyser et d’expliciter les rapports entre les représentations de la différence des sexes et celles des différences ethniques ou de « race », a donné lieu à des expériences importantes [3], évitant en cela les impasses de l’amalgame ou de la simple juxtaposition, en Italie, ces problématisations ont eu un très faible écho. A ma connaissance, il n’y a pas de trace dans les écrits féministes italiens des années 70 d’une quelconque prise de distance avec l’amalgame sexe/race, sauf marginalement [4]. Les rares critiques qui ont émergé plus récemment (Rossi Doria, 1999 ; Perilli, 1999 ; Siebert, 2003) ne semblent pas avoir eu jusqu’à maintenant, l’effet d’une problématisation forte à ce sujet dans les mouvances féministes et post-féministes. Nonobstant, dès années 80 en Italie, on assiste à un renouveau de l’intérêt pour la question du racisme, ce qui coïncide avec nombre de traductions de textes édités aux Etats-Unis [5], ayant traité du problème du « racisme » de la théorie féministe vis-à-vis des femmes des minorités. Toutefois, ce renouveau problématique (bien qu’il ait donné lieu à de nombreuses publications et de rencontres principalement sur les questions de l’« interculturalité » et des femmes migrantes) ne semble pas avoir produit des effets majeurs sur les catégories courantes dans le féminisme italien. La manque de réflexion sur les problématiques du sexisme/racisme a donné lieu à la production de nouvelles analogies et métaphores, maintenant concentrées sur la figure du migrant (et/ou du colonisé) qui a pris le place jadis occupée par le « Noir ». La métaphore de « l’émigration », par exemple, exprimerait le sens d’extranéité et de dépaysement propre de l’être femme. Le féminin et l’émigration sont alors présentés comme deux conditions de dérive et d’exil perpétuel, deux manières d’exister à partir d’une perte fondamentale et originelle : celle de la « langue maternelle » (Masi, 1989). Mais, face à l’importance croissante accordée à la « différence » et à la montée de la xénophobie et de plusieurs formes de révisionnisme historique, qui, ces dernières années, ont fortement caractérisé la situation italienne, une réflexion critique concernant l’analogie sexisme-racisme s’impose. Il ne s’agit pas :

« de renoncer purement et simplement à ce qui fait la valeur heuristique de cette analogie, à la fonction positive qu’elle peut remplir, socialement et politiquement, en obligeant à regarder en face l’ensemble des mécanismes d’exclusion, de discrimination et de stigmatisation qui procèdent d’une dévalorisation générique » (Balibar, 1993 : 25)

Au contraire, il s’agit plutôt d’être plus attentives à ce qui, dans cette analogie, fait problème. En effet, on a assisté ces dernières années à la reproduction de l’amalgame sur des bases plus problématiques et ambiguës [6]. À un antiracisme voué à la défense des « identités culturelles» et au respect des « différences » (Taguieff, 1987) [7] – qui sous-estime l’investissement de ces mêmes thèmes opéré par la nouvelle droite – font écho certaines mouvances féministes qui ont poussé la critique de l'universalisme jusqu’à l'abandon du concept d’égalité au profit de l’invocation « rituelle et pieuse du « respect des différences » – et bien sûr au premier chef de la différence de sexe » (Kandel, 1994 : 402). Si l’antiracisme, en particulier certaines de ses formes multiculturalistes, partage des homologies embarrassantes avec l’appareil discursif et conceptuel du champ qu’il combat, ces féminismes se heurtent dans leur propre domaine spécifique à un problème analogue

Comme cela a été souligné, « Si le féminisme doit absolument régler ses comptes avec le racisme, il doit également s’atteler à rendre intelligibles l’histoire coloniale et la généalogie du racisme » (Dorlin, 2005 :104). Mais, dans le contexte italien, la difficulté intérieure aux discours féministe de se confronter à ces problématiques (ce qui nécessiterait un travail critique considérable sur les catégories que ce même discours a contribué à forger) est renforcée par le refoulement de l’histoire des racismes italiens Le poids de l’expérience coloniale italienne et de son refoulement a été souligné, dans le cadre d’un séminaire récent [8], comme le principal nœud historique et théorique nécessaire à la compréhension de l’actuelle perception – ou plutôt de la non-perception – du sexisme et du racisme (Moccagatta et Nicotra, 2005). L’un des problèmes qui émerge de la reconstruction de l’analogie sexe-race (dont l’extension au couple sexisme-racisme semblait souvent aller de soi) des années 70, réside dans la substitution de figures concrètes par des symboles : les « Noirs » ne sont pas les jeunes femmes du Cap-Vert exploitées en Italie, mais les Afro-américains en lutte aux Etats-Unis [9]. La force de l’analogie résidait aussi certainement dans cette substitution qui mettait en avant l’efficacité mobilisatrice de l’image de sujets d’une lutte centrale dans le théâtre mondial (tout comme la lutte des peuples colonisés pour la libération nationale). Cependant cette substitution n’a pas facilité la compréhension des caractères spécifiques du sexisme et du racisme et de leurs complexes et diverses formes d’articulation. De façon analogue, aujourd’hui, le recours répandu à la figure homogénéisante du « colonisé » (sous laquelle est souvent représentée la réalité des migrant-e-s), et l’attention quasi exclusive à la matrice coloniale du racisme, risque de sédimenter de nouvelles simplifications qui peuvent faire obstacle à la construction d’analyses et à la formation de stratégies de lutte adéquates. Certes, la situation des migrant-e-s – exploitation, racisme, conditions inhumaines de réclusion dans les Centres de permanence temporaire – se pose comme une question centrale pour toute perspective critique.

Mais il est également nécessaire de saisir l’épaisseur historique et la complexité des parcours racistes qui rendent possible la situation actuelle. La conscience que « l’actualité est nouée aux traces singulières du passé », rend nécessaire de toujours garder à l’esprit « qu’il n’existe pas un racisme invariant, mais des racismes formant tout un spectre ouvert de situations » (Balibar, 1997 :58-60). Le racisme italien « ne naît pas tout à coup lorsque les immigrés arrivent en Italie. Comme si eux, leurs personnes, fussent nécessaires pour faire naître des représentations racistes » (Tabet, 1997 : V). C’est au contraire un système longuement sédimenté. Il ne concerne pas seulement le colonialisme du XIXe et XXe siècle mais aussi l’anti-judaïsme catholique, le racisme (les racismes) du fascisme (Centro Furio Jesi, 1994), les préjugés anti-méridionaux (Teti, 1993) [10] et anti-Tsiganes. Ces éléments, liés à l’histoire des racismes italiens, sont toujours présents, bien que moins « éclatants » et entretiennent un rapport avec certains aspects du racisme contre les migrant-e-s, du racisme antiméridional réactivé par la Ligue Nord à la permanence de l’antisémitisme.

La recherche historique a permis de mettre en perspective le mythe du bon italien, soit pour la période coloniale (Del Boca, 1976, 1992a et b ; Rochat 1974 et 1988 ; Labanca, 1993) soit en ce qui concerne les racismes et l’antisémitisme spécifiques du fascisme italien (Centro Furio Jesi, 1994 ; Burgio, 1999). La réflexion féministe sur ces thèmes a été tardive, et s’est heurtée à diverses difficultés (Perilli, 2005), mais a produit des résultats importants soit dans l’histoire du colonialisme italien dans une perspective de genre (Sòrgoni, 1998) soit en mettant en lumière le rôle non négligeable des femmes dans la Résistance (Bruzzone et Farina, 1976 ; Bravo et Bruzzone, 1995). Malgré cela, à la différence d’autres contextes nationaux, en Italie, l’analyse des processus de nationalisation des masses mis en place par le régime fasciste, comme les formes de participation politique des femmes dans le parti et les organisations de masse, à quelque exception près (Fraddosio, 1982) sont restées les grandes absentes dans la recherche et la réflexion historique. Le silence sur l’implication des femmes dans le fascisme (Wilson, 1999) et notamment sur la militance féminine fasciste (Fraddosio, 1999) participe du refoulement collectif du passé fasciste italien qui, en dernière analyse, prend appui sur le postulat de l’extranéité du peuple au régime qui, dans le cas spécifique des femmes, a trouvé un fondement théorique dans le paradigme de l’altérité essentielle à la différence féminine. Du reste, même la prévalence dans les recherches italiennes du thème de la subjectivité « renvoie au privilège politique du thème de la différence sur celui de l’égalité » (Rossi-Doria, 1999b : 145), qui entraîne souvent la sous-estimation, voire l’effacement, des dissymétries des rapports effectifs de pouvoir entre les positions, par exemple, des « partigiane » et des « republichine » de Salò [11].

Au delà de ce domaine de recherche, les féminismes italiens de la différence sexuelle ont toujours manifesté une certaine « historiofobie » (Baeri, 1999), et à mon avis, ce n’est pas un hasard si ces mouvances ont été les plus réticentes envers une réflexion sur les problèmes posés par le racisme. En 1993, une nouvelle interrogation sur le racisme prend forme, soit dans la recherche historique, soit dans le débat féministe et plus généralement dans l’opinion publique, même suite à des faits divers, comme l’homicide du travailleur migrant Jerry Masslo. Via Dogana, revue de la Libreria delle donne de Milan, publie un article de Muraro qui s’insurge contre l’émergence en Italie de ce qu’elle définit une « mauvaise culture antiraciste » qui prétendrait appeler racisme ce qui, à son avis, est en réalité seulement « peur et mépris des pauvres de la part d’une population d’ex pauvres » (Muraro, 1993 : 6). Elle se souvient des années 50 à Vicence (sa ville natale, où aujourd’hui le nombre des électeurs de la Ligue Nord fait concurrence à la masse des catholiques intégristes) où arrivaient des militaires de la base Setaf. Un bureau fut alors mis en place pour favoriser la rencontre avec la population locale, mais celui-ci

« travailla très peu : ce furent plutôt les curés et les pavillons de maternité qui travaillèrent, les uns pour célébrer des mariages, les autres à sortir de nombreux enfants de couleurs variées. Mais à l’époque nous étions les pauvres. Maintenant nous sommes les riches et nous avons peur des pauvres » (Muraro, 1993 : 7).

Elle conclue cet article en énonçant qu’il faut cesser de parler de racisme puisque tout ces discours sur le racisme finiront par nous rendre racistes. Ce disant, Muraro refuse toute interrogation critique de la situation actuelle, en passant un coup d’éponge sur le passé raciste italien. En laissant de côté les problèmes que pose cet article en réduisant la question du racisme à une lecture économiste très schématique, j’ai pris cet épisode discursif – d’autant plus inquiétant qu’il vient d’une intellectuelle censée être l’une des expressions majeures du féminisme italien et plus en général de la philosophie [12]– comme cas limite et emblématique de la résistance de certaines catégories élaborées par la théorie-pratique féministe à penser le racisme et les problèmes posés par celui-ci. Ce qui est porteur d’un risque : la contribution féminine/féministe au refoulement de l’histoire.


Conclusion


Dans ce travail j’ai cherché à montrer qu’une conception « rigide » de la différence unie à une faible réflexion critique sur l’analogie entre le « sexe » et la « race » dans le féminisme italien, a fait fortement obstacle à la possibilité de penser la complexité des articulations entre le sexisme et le racisme. Cette complexité peut être saisie seulement par un renouvellement critique des catégories elles-mêmes du féminisme mais aussi par une réflexion sur l’épaisseur historique des racismes que nous, en tant que femmes et que féministes, ne pouvons pas ignorer car, volens nolens, il nous concerne. Ce n’est pas un hasard si le pensiero della differenza sessuale qui à fait de la différence sexuelle une catégorie originaire, ontologique, à laquelle toutes les autres différences sont subordonnées au-delà de tout accident de l’histoire, a rencontré les plus grandes difficultés justement dans ce domaine. Actuellement, le débat sur le travail atypique et plus précisément sur le lavoro di cura – qui, dans la crise du welfare state, a concerné la généralité des femmes mais qui aujourd’hui en Italie concerne massivement les femmes migrantes – est l’un des terrains privilégiés de l’actualisation critique des réflexion sur le sexisme et le racisme (Perilli, 2005). Il est, en même temps, le lieu où le rôle d’obstacle à l’analyse des différenciations et des hiérarchisations de « race » rempli par le pensiero della differnza sessuale est en train de devenir explicite. Tout d’abord, il nous permet d’observer dans une nouvelle perspective critique la fausse opposition émancipation/différence sexuelle, dès que le soutien à la flexibilité du travail constitue un point de convergence entre le représentants des politiques émancipationnistes et les tenantes du féminisme de la différence : pivot des politiques des pari opportunità, expression de liberté féminine pour Irigaray et ses homologues italiennes (Rossilli : 2000). Ensuite, c’est à l’égard du lavoro di cura – le fameux « travail d’amour » jadis analysé, critiqué et refusé par les féministes des années 70 (Dalla Costa :1978) – que les positions du féminisme de la différence sexuelle montrent leurs limites. Avec pour toile de fond les grandes questions économiques, politiques et sociales posées par les processus de réorganisation internationale de la division du travail, le rapport entre les migrantes et les natives s’est imposé comme un nœud crucial (Marchetti, 2004). Mais ce sont précisément les tenantes de la différence à refuser toute interrogation sur les asymétries entre « nous » (les autochtones) et les migrantes, cette interrogation étant taxée d’un « chronique sentiment de culpabilité » (Terragni, 2004 : 22). Dans une recension à Global Women (Ehrenreich et Russel Hochschild, 2002), Manuela Cartosio se demandait pourquoi le féminisme n’a rien produit à l’égard de la relation si particulière entre les femmes italiennes et leurs « colf » : « en réalité, nous ‘employons’ le travail servile, avec des nuances ‘quasi’-esclavagistes, fait par ‘une autre femme’ » (Cartosio, 2004). Muraro, dans une lettre à Il manifesto, a répliqué en rejetant la définition du travail ménager comme un travail servile : « c’est un langage très discutable, qui offense la dignité des travailleuses […] La contradiction véritable est entre le marché tel qu’il fonctionne et la civilisation féminine » (Muraro, 2004). Ce qui revient à postuler une très improbable extériorité de l’univers féminin aux violentes dissymétries entraînées par les processus de mondialisation. Il ne s’agit pas de nier que le lavoro di cura engage des aspects relationnels, mais plutôt de reconnaître que, comme le fait Cristina Morini [13] dans une lettre ouverte à Muraro, ce rapport renvoie à bien d’autres contradictions, et en premier lieu à « l’existence de très profondes et intolérables disparités entre égales » (Morini 2004) qui ne sauraient pas être recomposées par la « relation entre femmes » à l’intérieur de l’espace de la maison. Mais probablement, c’est trop demander à qui a fait des relations entre femmes, non comme égales mais comme inégales, et des hiérarchies des status et de pouvoir, un des piliers de sa propre théorie.



1 Ces critiques ont acquis un écho international lors de la Wellesley Conference on Women and Development en 1976.
2 Ibid., p. 24. Pour une analyse des limites et des contradictions qui traversent le discours beauvorien concernant l’oppression de genre et celle de « race » et sur sa difficulté à situer l’oppression des lesbiennes comme une oppression coexistant avec celles de sexe/« race », voir Tidd (2002).
3 Ceci a été l’un des thèmes privilégiés de la revue Sexe et race. Discours et formes d’exclusion au XIXe et XXe, née à l’initiative de Rita Thalmann en 1985 et qui a cessé ses publications en 1999. Un dossier que j’ai coordonné, consacré à la revue, a été publié par Razzismo & Modernità (Racisme et Modernité), n° 2, 2002.
4 Par exemple, Giovanna Franca Dalla Costa a analysé, dans une perspective marxiste, les différences entre la femme, « ouvrière de la maison » et l’esclave (Dalla Costa, 1978). Rossana Rossanda – dont la vaste activité politique et intellectuelle n’est pas pourtant réductible à une identité féministe au sens strict –, soulignait la différence du séparatisme féministe de celui des afro-américains dans un entretien avec la rédaction de la revue Differenze (Rossanda, 1979).
5 Par exemple, Women, Race and Class d’Angela Davis, traduit en italien avec le titre de Bianche e nere (Rome, Editori Riuniti, 1985) et les traductions des quatre essais de bell hooks parus, à partir de 1982, dans les revues L’Orsaminore, Tuttestorie, Reti e Lapis et le recueil Elogio del margine (hooks, 1998) .
6 Voir par exemple les analyses féministes du nazisme. Cf. Kandel, 1997 et mon compte-rendu, Perilli ,1999.
7 Pour une problématisation de l’armature théorique de ce texte, Leonelli, 1995.
8 « Razzismo e sessismo nelle pratiche politiche e nelle relazioni economiche e strumenti di contrasto » (racisme et sexisme dans les pratiques politiques, dans les rapports économiques et outils de lutte), organisé par l’association Punto di Partenza (Point de départ) de Florence à Castelfiorentino le 2-4 juin 2005 .
9 A l’époque le symbole (les « Noirs ») était généralement masculin ou neutre, comme nous l’avons vu dans les textes cités.
10 La persistance du racisme antiméridional est attestée par Tabet (1997). Du reste, en Italie, dans le langage courant le mot marocchino/a (marocain/marocaine) qui est utilisé pour nommer l’ensemble des migrant-e-s d’Afrique, désigne aussi les méridionaux, c’est-à-dire les habitants du Sud de l’Italie.
11 Les « republichine » étaient les femmes engagées dans la Rsi (Repubblica sociale italiana i.e République sociale italienne) di Salò (1943-1945). Après la destitution et l’arrestation de Mussolini (25 jullet) et l’armistice du 8 septembre 1943 entre le gouvernement italien et les Alliés, les fascistes fidèles à l’Allemagne nazie – qui considérèrent l’armistice comme une « trahison » – créèrent la Rsi dirigée par Mussolini libéré grâce aux des SS.
12 Parmi les tributes les plus récentes, cf. un pamphlet d’Antonio Negri (Negri, 2005) où il affirme que l’Italie a eu, au XXe siècle, trois seules grands philosophies : celle d’Antonio Gramsci (ce qui est incontestable), l’operaïsme de Mario Tronti et la pensée de la différence sexuelle de Luisa Muraro.
13 Auteure de La serva serve (2001). Le titre du livre est un jeu de mots entre serva (servante) et la troisième personne de l’indicatif présent du verbe servire, au double sens de servir quelqu'un et d’être utile à quelqu'un.

prossimamente la bibliografia ...
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martedì 9 settembre 2008

Siam tornate (eravamo a far la spesa ...)


E beh, certo. La spesa bisogna farla, come anche pagare le bollette.
Mah, dico così per dire, tanto per scrivere qualcosa e stasera mi è venuto fuori questo. Così, tanto per aggiornare il blog ... Vuoi vedere che dopo più di un anno e mezzo di Marginalia sono sulla buona strada per diventare una "vera" blogger? E magari anche femminista ...
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lunedì 1 settembre 2008

"Sexe" et "race" entre réalité et métaphore: la force et la faiblesse de la comparaison

Continua da qui:

En 1976, Dacia Maraini, écrivaine et militante féministe, tourne le documentaire Le ragazze del Capoverde [1] qui tentait une analyse de l’exploitation des femmes africaines employées comme main-d’œuvre à bas prix par les familles de la bourgeoisie romaine. C’est en effet au début des années 1970 que – souvent par l’intermédiaire d’associations catholiques –, les premières femmes migrantes, provenant des pays latino-américains, du Cap-Vert et quelques années plus tard des Philippines, arrivent en Italie pour faire les colf [2]. Parallèlement, des femmes érythréennes arrivent également, leur principal canal d’arrivée étant celui des familles des ex-colons italiens (Favaro, 1993 : 66). Ce premier processus migratoire, bien que plus récent par rapport à d’autres pays européens comme la France ou l’Allemagne, présente la particularité d’être déjà caractérisé dès cette phase initiale par une forte présence de femmes et surtout, par l’arrivée de migrantes seules qui prennent peu à peu la place jadis occupée par les femmes provenant des régions les plus pauvres d’Italie (les régions méridionales et l’aire vénitienne) [3]. En dépit de cette réalité, la question de la « race » et de son articulation avec le « sexe » est davantage évoquée dans le féminisme italien des années 1970 par l’analogie entre la situation des femmes et celle des autres groupes d’opprimés, en particulier les « Noirs », que par cette présence réelle. L’analogie femmes-Noirs n’est pas exclusive du féminisme italien des années 70. Elle a, au contraire, joué un rôle décisif dans les mouvements féministes, en particulier dès le XIXe siècle aux Etats-Unis, où les liens entre la lutte des femmes pour le vote et celle des abolitionnistes furent très forts. Ces luttes ont en effet eu une histoire quasi parallèle, bien que parfois conflictuelle (Davis, 1982 ; Dhavernas et Kandel, 1983 ; Dorlin, 2005). Le parcours de Sojourner Truth en est emblématique, elle qui, dans son fameux plaidoyer pour la libération des femmes à la convention d’Akron en 1851, fait « l’irrésistible démonstration de l’articulation entre esclavagisme, racisme, domination de classe et stéréotypes féminins » (Basch, 1997 et 1999). Convaincue que la libération des femmes allait de pair avec la libération des Noirs, cette femme – ex-esclave, militante abolitionniste et féministe – a fait l’expérience sur sa propre peau du racisme des féministes « blanches » ainsi que du sexisme des hommes, les « blanc-he-s » abolitionnistes et les frères « noirs ». Son parcours dramatique montre, dans la fragilité de la « sororité » et de la fraternité de « race », que la commune appartenance (de « sexe », de « race ») ne garantit pas la solidarité. Un siècle plus tard, avec le néo-féminisme des années 70, la comparaison entre la situation des Noirs et celle des femmes s’affirme comme une référence majeure qui va jusqu’à laisser des traces dans les pratiques et le langage des nouveaux mouvements féministes. Ainsi, la pratique de la non-mixité compte, parmi ses sources les plus significatives, la lutte des Noirs du Black Panther Party , tout comme plusieurs expressions, telles que Women Power (Black Power), Male Supremacy (White Supremacy), Aunt Thomasina (Uncle Tom) (Décuré, 1974 : 455). Même le terme de « sexisme », qui nous paraît aujourd’hui auto-évident, n’existait pas il y a quelques décennies : forgé au cours des années 60 dans le contexte du féminisme nord américain, sur le modèle du terme de « racisme » (Dhavernas et Kandel, 1983), ce concept s’est ensuite étendu au niveau international, d’abord dans les écrits militants – où il remplace des termes comme « chauvinisme mâle », « racisme contre les femmes », « sexephobie » ou « mysoginie » – et ensuite dans les dictionnaires et dans le langage courant et savant. En soulignant le parallèle entre les mécanismes de l’oppression raciale et sexuelle, les féministes (d’abord nord-américaines puis européennes) entendaient démontrer que, dans les deux cas, des arguments de type biologiques (appuyés sur des différences physiques perceptibles : la couleur de la peau, le sexe) étaient employés afin de légitimer des systèmes de discrimination, de subordination, de dévalorisation. A ce moment, les groupes féministes visaient leur légitimation, moyennant un rapprochement vers le plus solide antiracisme de la gauche. Dans les années suivantes, la comparaison entre sexisme et racisme s’intensifie, au fur et à mesure que les mouvements de lutte des Noirs acquièrent une plus grande visibilité. Plusieurs mouvements féministes révolutionnaires se réfèrent à l’expérience des mouvements de lutte afro-américains, dans laquelle Malcom X représente une figure fondamentale [4]. Nombre de textes parmi les plus importants et connus de la période, reprennent ce thème à l’intérieur et hors des Etats-Unis, à partir de « Woman’s Estate » (Mitchell, 1966) et de « The Dialectic of Sex » (Firestone, 1970) – traduits en Italie respectivement en 1972 et 1971 – jusqu’aux publications militantes. En France, par exemple, dans le très célèbre numéro de Partisans « Libération des femmes. Année zéro », les références au binôme « sexe »/ »race » sont fréquentes dès la présentation où non seulement on relève la « communauté d’oppression » existant entre les femmes et les Noirs mais aussi le lien entre la force du mouvement féministe nord-américain et la présence simultanée d’un fort mouvement de lutte des Noirs qui, par la pratique du séparatisme [5], avait forgé un outil de lutte décisif (Partisans, 1970 : 3-8). D’autre part, Christine Delphy soulignait, dans une optique anti-essentialiste, l’importance de cette comparaison dans la genèse de L’ennemi principal, un des textes clé du féminisme français des années 1970, qui connut en Italie au moins deux traductions [6] :
« J’ai, dans un premier temps, eu l’intuition que l’oppression des femmes est politique […] Je me suis mise à comparer dans ma tête la situation des femmes à la situation des Noirs, à la situation des Juifs, c’est-à-dire à des oppressions dont, à l’époque, la plupart des gens reconnaissaient qu’elles étaient des constructions sociales et ne devaient rien à la constitution physique des individus qui constituent ces groupes. Alors j’ai conçu l’oppression des femmes comme étant du même ordre » (Delphy, 1988 : 55-57).
Le féminisme italien des années 1970 reprend à son tour la référence au couple « sexe/race », comme le témoigne, de manière emblématique, la couverture de la quatrième édition d’un ouvrage d’une grande importance historique : « La coscienza di sfruttata » (Abbà et al., 1977), figurant la silhouette d’Angela Davis menottée [7]. Les thèmes de l’oppression et de l’exploitation des femmes par le système patriarcal, développés dans ce livre – traduit en français par Des femmes en 1974 avec le titre Etre exploitée –, sont ainsi symbolisés par la superposition de « femme » et « Noire » (Perilli, 1999). La première référence au binôme « sexe/ race » dans un texte féministe italien date de 1970 : elle est mentionnée dans « Sputiamo su Hegel », un des textes les plus célèbres du groupe Rivolta femminile. Dans ce texte, en développant à l’extrême le thème, fondamental pour la quasi-totalité des féminismes de la période, de l’oppression commune des femmes par le patriarcat (les femmes constituent une classe – ou une caste – par delà les classes sociales, en raison de leur fonction commune de reproductrices, d’éleveuses d’enfants et de travailleuses ménagères), Lonzi affirmait : « l’homme noir est égal à l’homme blanc, la femme noire est égale à la femme blanche" (Lonzi, 1970 : 21). Ici, l’analogie entre sexe et « race » figure dans la forme limite d’une dénégation qui permet d’assurer le caractère fondamental de la différence sexuelle [8]. L’association entre « sexe » et « race » est à l’époque systématique, même si elle est hétérogène. On la retrouve depuis le titre de la revue du groupe Anabasi, Donne è bello – titre évidemment emprunté au slogan du Black Power « Black is Beautiful » [9]–, jusqu’au nom de l’un des groupes féministes actifs à Bologne au milieu des années 1970, les Pantere Rosa, nom qui, même par sa prise de distance ironique, signale la persistance du modèle révolutionnaire des Black Panthers. Ce sont donc des « contaminations sémantiques et politiques » (Baeri, 1997 : 16) qui, comme dans le cas du manifeste pour la liberté d’avortement Donne è bellum [10] du collectif Zizzania, marquent aussi le passage entre la phase de revendication des droits civils à la lutte révolutionnaire par le choix même d’un langage belliqueux comme dans le dernier exemple mentionné. Il serait tout à fait nécessaire de reconstruire plus en détail les canaux d’arrivée de cette thématique en Italie et, notamment, les rapports internationaux du mouvement féministe italien – principalement avec les Etats-Unis et la France au début des années 70 – ainsi que les traductions et la circulation des matériaux concernant ce thème. Si l’un de ces canaux a été le Parti radical [11], des féministes ont aussi joué un rôle majeur et notamment Maria Teresa Fenoglio et Serena Castaldi. La première, militante féministe à Turin, collabore avec des autres femmes à la rédaction de Comunicazioni rivoluzionarie (Cr)[12]. Celui-ci était un groupe – avec des sièges à Turin, Milan, Rome et plus tard à Boston – qui offrait un service de ronéotype aux autres organisations de la nouvelle gauche. Il se proposait également de diffuser en Italie des informations sur les luttes révolutionnaires aux Etats-Unis et vice-versa (Zumaglino, 1996). Les femmes du collectif traduisaient des textes tirés des journaux de l’underground nord-américain en particulier sur les luttes des Black Panthers [13] et des luttes contre la guerre du Vietnam qui étaient publiées dans le Note de Cr. A partir de septembre 1970, Fenoglio – qui peu après va à Boston pour travailler dans le siège local du groupe– et les autres femmes de la rédaction publient un supplemento donne [14], supplément bimensuel où seront traduits articles et notices du mouvement féministe nord-américain, parmi lesquels des manifestes des Black Panthers sur les droits des enfants et les luttes des femmes noires dans les hôpitaux. La deuxième, Serena Castaldi, militante de Anabasi a certainement joué un rôle important en introduisant en Italie à son retour des États-Unis les premiers textes sur la pratique de consciousness-raisin. Anabasi, en 1972, publie le déjà cité Donne è bello où les références à cette analogie sont nombreuses et hétérogènes. Cette publication, qui a eu une large diffusion militante, contenait de nombreuses traductions : L’ennemi principal, un article de Monique Wittig (« Lotta per la liberazione della donna ») qui établissait l’analogie femmes-Noirs, ainsi que plusieurs articles du féminisme nord-américain, en grande partie tirés du recueil des Radical Feminists, « Notes from the First, Second, Third Year ». L’unique voix des militantes noires dans Donne è bello est la fameuse réponse des Sœurs à l’appel lancé des Frères du Black Unity Party de Peekskil [15]. Mais cette voix était sans « contexte de signification » (Passerini, 2005 : 192) puisque la partie dédiée au Black Feminism de « Notes from the Third Year » n’eut pas de traduction italienne. Parmi les contributions italiennes, la comparaison entre femmes et Noirs est reprise – sur le modèle de « A kind of memo », l’un des textes précurseurs du féminisme nord américain des années 60 (King et Casey, 1964) [16] – dans « Non c’è rivoluzione senza liberazione della donna »[17], daté de décembre 1970 et dejà publié par le Supplemento donne de Cr [18] – du groupe Cerchio spezzato. Quelques-unes des militantes de ce groupe – en particulier Luisa Abbà et Elena Medi – seront très proches du Demau, et ont ensuite joué un rôle important dans les rapports entres les féministes italiennes et Psychanalyse et politique ainsi que dans la constitution de la Libreria delle donne et l’élaboration de Più donne che uomini (Cigarini, 1995 ; Schiavo, 2002) Le paragraphe intitulé Le donne e i Neri – il sesso e il colore19 fonde l’analogie sur le fait biologique du « sexe » et de la « race » :

« Le processus de libération du peuple noir nous a fait de plus en plus prendre conscience de notre situation réelle et des analogies très strictes existant entre eux et nous. Etre femme tout comme être Noir est un fait biologique, une condition fondamentale […]. Comme les Noirs d’Amérique, qui se reconnaissent exploités non seulement à cause de leur appartenance de classe mais aussi à cause de la couleur de leur peau et donc, pour sortir de leur condition de subordination, luttent contre une société capitaliste mais aussi blanche, de la même façon les femmes pourront trouver une réelle voie de libération en luttant contre une société que n’est pas seulement capitaliste, mais aussi mâle » (Cerchio Spezzato, 1972 :127).

Si la force de la comparaison résidait dans sa valeur de contestation de toute forme de naturalisme (cf. notamment à L’ennemi principal), elle est maintenant pliée à un rôle inversé de fondation : la comparaison femmes/Noirs est ici basée précisément sur leur caractéristiques physiques (le sexe, la peau) ce qui est l’exact contraire des considérations de Delphy qui, comme nous l’avons vu, établit l’analogie entre les femmes et d’autres groupes opprimés afin d’affirmer que même l’oppression des femmes est une construction sociale qui ne doit rien à leur constitution physique. La même année paraît le déjà cité La coscienza di sfruttata dont la rédaction remonte vraisemblablement à quelques années auparavant. Il s’agit de la publication d’un mémoire de maîtrise en sociologie soutenue à l’université de Trente par le premier noyau du Cerchio Spezzato (Luisa Abbà, Gabriella Ferri, Giorgio Lazzaretto, Elena Medi et Silvia Motta). Le paragraphe Razzismo e sessofobia [20] propose une version intensifiée et étendue de l’analogie, par une série de comparaisons et de glissements métaphoriques :

« Le racisme et la sexophobie forment un binôme inséparable. Le racisme ne vit, ne prend corps, matière et signification, que s’il est mis en équation avec ce qui est 'différent' : différent qui devient pour lui immédiatement inférieur (la femme, le Juif, le Noir). […] L’unique expérience de masse comparable d’une certaine manière à l’esclavage des Noirs que l’Occident ait connue est l’enfer nazi. Les camps de concentrations n’ont pas seulement été un système d’esclavage pervers, ils ont été aussi un patriarcat pervers, ce qui est moins évident mais plus précis. […] de nombreux prisonniers des camps de concentrations nazis ont été transformés en enfants pleurnichards, serviles et dépendants. […] La situation de dépendance absolue de l’esclave, du prisonnier, les oblige à considérer la figure de l’autorité comme étant réellement bonne. Pour les femmes, le camp de concentration c’est la maison : leur position subordonnée et dépendante à l’égard des hommes les conduit à s’identifier à eux » (Un collectif italien, 1974 : 63-66).

« L’originalité » de ce discours tient au fait qu’il introduit le « Juif » à côté du « Noir » qui, à l’époque, est le symbole privilégié incarnant la « race » dans les mouvements révolutionnaires, comme du reste dans tout mouvement anti-impérialiste de l’après-guerre. Le stéréotype unissant les Juifs et les femmes, fondé sur leur identification avec la sexualité, s’enracine dans une très ancienne tradition, du christianisme originel jusqu’à Weininger (Rossi-Doria, 1999). Mais sa reprise en termes critiques débouche ici sur un amalgame entre le sexisme et l’antisémitisme qui élude la spécificité de la condition et du sort réservé aux Juifs et aux Juives, (dont le traitement nazi n’est pas celui réservé aux autres femmes], par le système génocidiaire nazi. Une certaine banalisation de l’antisémitisme est en plus ici confortée par la reprise a-critique du cliché des Juifs comme « enfants pleurnichards » qui réactive le préjugé de la passivité des Juifs. Du reste, l’utilisation métaphorique du nazisme dans la lutte contre certaines formes d’oppression et d’exploitation a souvent été un lieu commun récurrent dans les mouvements de contestation de l’époque (il suffit ici de rappeler le fameux « CRS-SS » – en italien PS-SS) [21] et les mouvements féministes n’ont pas échappé à ce piège (Lesselier, 1997). Même Lotta femminista, l’un des groupes les plus connus et actifs des années 70 n’échappe pas à certaines simplifications, en dépit de son attention à éviter les comparaisons génériques et de ses analyses mieux articulées et plus attentives aux disparités de pouvoir entre les diverses fractions de classe : ouvriers indigènes versus migrants - non seulement les Noirs mais aussi les immigrés « intérieurs », c’est-à-dire les Italiens qui émigraient du Sud de l’Italie pour travailler dans les grandes usines du Nord-, ouvrier salarié et femme sans salaire, double infériorisation des femmes immigrées. Ainsi, en parlant de l’exclusion des femmes allemandes du marché du travail par le nazisme, le groupe affirme que « les lois de fer sur l’occupation féminine […] enfermèrent la femme allemande dans le « Lager » des trois « K » (Kinder, Kirche, Kuche) » (Lotta Femminista, 1972 : 83), oubliant que des autres femmes – juives, lesbiennes, tziganes –, furent enfermées dans bien d’autres « Lager ». Au-delà du cas limite du nazisme, il est indubitable que la comparaison opérée par les féministes entre leur propre situation et celle des autres groupes opprimés « fut un moment, peut-être incontournable, dans l’émergence d’un mouvement, la recherche d’une identité, et l’analyse d’un système d’exploitation et d’oppression complexe, et irréductible à tout autre» (Dhavernas et Kandel, 1983 :15). Les analogies et les métaphores – comme celles de l’esclavage et de l’affranchissement – employées pour décrire et définir le sexisme, ont été souvent utiles et fécondes (Dorlin, 2002) Toutefois, une reconstruction critique des avatars du binôme « sexe »/« race » dans les parcours du féminisme italien peut contribuer à faire émerger une réflexion sur les risques entraînés par ces analogies. Relativement efficace sur le plan stratégique, l’amalgame sexisme/racisme – et de certaines formes spécifiques de racisme, comme l’antisémitisme – tout comme la présomption de l’identité immédiate des respectifs « anti », montre de fortes limites du point de vue théorique et politique (Balibar, 1989-1990 ; Dhavernas, 1993 ; Perilli, 1999).

1 Les filles du Cap Vert. Maraini, Dacia, Le ragazze del Capo Verde, 16 mm, BN, 50’, 1976. Cf. Miscuglio et Daopoulo, 1980 : 208. Le film figurait aussi – sous le titre de Le ragazze di Capo Verde – , dans la liste des films féministes publiée dans L’almanacco (Fraire et al. 1978 :143).
2 Le terme de collaboratrice familiare (colf), euphémisme italien pour dire « bonnes », a été forgé par les ACLI (Associazioni cattoliche lavoratori italiani, i.e Associations catholiques des travailleurs italiens), qui avaient créé un secteur spécifique ACLI-colf, au début des années 70 (Turrini, 1977).
3 Dans les années suivantes, on assiste à la suite des guerres à l’arrivée de familles entières de Somalie (autre ex-colonie italienne) et des pays de l’Europe orientale. Enfin, avec la loi dite Turco-Napolitano sur le « ricongiungimento familiare » (regroupement familial) arrivent en Italie les Nord-Africaines (Campani, 2000 et 2002).
4 Même bell hooks, l’une des intellectuelles contemporaines qui a placé au cœur de son travail les questions du sexisme et du racisme, reconnaît Malcom X comme une référence théorique et politique centrale dans son propre parcours de politisation ( Nadotti, 1998 : 45).
5 Paradoxalement, le féminisme nord-américain et ensuite européen, emprunte la pratique du séparatisme des mouvements des Noirs, lorsque certains groupes féministes afro-américains rejettent le séparatisme justement au nom de la solidarité avec la communauté noire, solidarité basée sur la commune expérience du racisme. Par exemple le Combahee River Collective, voir. Dorlin, 2005 ainsi que la traduction de ce texte et l’article de J. Falquet contenus dans ce numéro.
6 Le texte de Delphy, originairement signé Christine Dupont (rééd. in Delphy, 1998) a été traduit avec le titre « Il nemico numero uno » in Anabasi, 1972: 40-66 et avec le titre « Il nemico principale », in Menapace, 1972 : 257-279.
7 Comme on le sait, une vaste campagne internationale pour la libération d’Angela Davis avait eu lieu : enseignante à l’université de San Diego en 1970, Davis avait été exclue de l’université et emprisonnée pendant deux ans à New York, à la suite d’une tentative d’enlèvement d’un juge et d’un procureur qui s’était soldée par un carnage , tentative dans laquelle elle avait été mise en cause à tort.
8 À la même époque, aux Etats-Unis notamment, on commence à dénoncer le racisme implicite de l’analogie femmes-Noirs (et femmes blanches/femmes noires), tout comme l’affirmation « Nous aussi, nous sommes opprimées » (Décuré, 1974 : 456).
9 Le fait que le titre de la revue soit souvent cité comme « Donna è bello », par une sorte de remplacement spontané du pluriel « donne » par le singulier semble témoigner la force du modèle face à ses transformations. Voir par exemple Ergas, 1992 : 520, mais aussi Fraire et al., 1978 :113, où, en dépit de la reproduction dans la même page de la couverture de la revue où ressort le titre exact, la revue est mentionnée comme : « Donna è bello »).
10 Heureux jeux de mot où la transformation féministe italienne du slogan « Black is beautiful » – « Donne è bello » – est détournée en remplaçant l’italien « bello » (beau) par le latin « bellum » (guerre).
11 Déjà, à partir de 1968, la comparaison entre la lutte des femmes et celle des Noirs est affirmé par l’éditorial (Tassinari, 1968) du premier numéro de « La via femminile » (La voie féminine), revue liée au Parti radical qui, dans les numéros suivants, développera largement ce thème.
12 Communication révolutionnaire.
13 Une autre femme du collectif, Vicky Franzinetti, qui avait traduit plusieurs documents des Black Panthers, fut leur interprète pendant leur voyage à Turin, Cf. Zumaglino 1996.
14 Supplément femmes.
15 Ce texte était aussi traduit dans Partisans, avec le titre de « Pauvres femmes noires ».
16 Voir aussi Guerra, 2004 et 2005. 17 Pas de révolution sans libération des femmes.
18 Et notamment dans le n° du 30 janvier 1971 (Zumaglino, 1996).
19 Les femmes et les Noirs – Le sexe et la couleur.
20 Racisme et sexophobie.
21 Ce sera seulement plus tard qu’une conscience critique des dangers de la comparaison et de l’amalgame commencera à s’affirmer, en s’intensifiant pendant les dernières années du fait de la nécessité de combattre les formes diverses de « révisionnisme » historique qui ont poussé le comparatisme jusqu’à la banalisation, voire la négation, de la pratique d’extermination nazie.
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