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giovedì 13 ottobre 2011

Black Power : i pugni alzati di Tommie Smith e John Carlos


Ottobre 1968: Tommie Smith e John Carlos con i pugni alzati sul podio olimpico di Città del Messico. La foto è, mi sembra, molto celebre, ma forse non tutte/i ne conoscono la storia. Riprendiamo dunque un articolo dal sito InStoria, Tommie Smith. Un nero con il pugno alzato, che di questo avvenimento fa una breve ma insieme ricca sintesi. Pur se forse troppo centrato sul "mito" Tommie Smith, comunque offre elementi invogliando a letture e approfondimenti: "Appena la bandiera a stelle e strisce cominciò a oscillare nel vento di quell’estate messicana, Tommie Smith e John Carlos rimasero in piedi sul podio, con le loro medaglie al petto (per la cronaca, una era fatta d’oro e una di bronzo); abbassarono la testa e alzarono un pugno. Il destro Smith, il sinistro Carlos. Pugni evidenziati dai loro guanti di cuoio nero.Thomas Smith, meglio conosciuto come Tommie, era nato il 5 giugno del 1944, settimo di dodici figli. Da piccolo, dopo essersi salvato da un terribile attacco di polmonite, lavorò nei campi di cotone; ma presto, visto che il ragazzo era determinato e amava lo studio, si iscrisse all’università, dove ottenne due lauree. Oltre a ciò, visto che il ragazzo era determinato e amava correre... si portò a casa tredici record universitari nell’atletica leggera.Iniziò così la storia di uno dei più grandi sprinter dell’atletica leggera, Tommie Smith, tra i più forti di sempre nei 200 metri, specialità con cui trionfò nelle olimpiadi di Mexico City, nel 1968, con il tempo record di 19.83 secondi. Ma a questo punto, poco dopo il record, la storia di Tommie esce dai confini dell'attività sportiva.La sua premiazione divenne uno dei più grandi simboli per immagini di tutto il XX secolo, e si trattò senza dubbio della cerimonia di medaglia più popolare di tutti i tempi, nonché di un momento fondamentale per movimento di diritti civili. Ad accompagnare Tommie Smith nella Storia, il suo collega e amico John Carlos, medaglia di bronzo nella stessa gara.Smith disse più tardi a chi lo intervistò che il suo pugno destro, dritto nell’aria, rappresentava il potere nero in America, mentre il pugno sinistro di Carlos rappresentava l’unità dell’America nera. Con i loro pugni alzati, lì sul podio olimpico, Tommie Smith e John Carlos comunicarono al mondo intero la loro solidarietà con il movimento del black power, che in quegli anni lottava aspramente per i diritti dei neri negli Stati Uniti. In maniera non violenta i due stavano attuando quella disobbedienza civile che era stata auspicata da Martin Luther King, morto poco prima delle Olimpiadi. I loro occhi rivolti verso il basso (e non verso la bandiera americana), insieme al loro pugni foderati di cuoio nero, suscitarono enorme scalpore e polemiche.Un gesto silenzioso che scavò dentro molte coscienze. Questo gesto di portata mondiale spinse Tommie Smith nella ribalta come portavoce dei diritti umani, attivista, e simbolo dell'orgoglio afro-americano, a casa e all'estero. Nel frattempo Smith ha vissuto anche una discreta carriera come allenatore, educatore e direttore sportivo... Ma torniamo a quelle olimpiadi del '68. Il movimento dei diritti civili non aveva fatto molta strada nel tentativo di eliminare le ingiustizie subite dai neri d’America, e per attirare l'attenzione pubblica sulla questione, verso la fine del 1967, alcuni atleti neri avevano dato vita all’Olympic Project for Human Rights, OPHR, con il fine di organizzare un boicottaggio delle olimpiadi che si sarebbero tenute l’anno seguente a Città del Messico. Il leader del progetto era il dottor Harry Edwards. Edwards, pur appoggiato da Smith e da altri, non riuscì però a convincere gli atleti neri della nazionale olimpica a partecipare al boicottaggio. I due atleti sfruttarono quindi il palcoscenico offerto dalla premiazione per rovinare la festa ai connazionali e al mondo. Almeno un po'. Anche il terzo atleta, quello bianco con la medaglia d’argento, prese a suo modo parte all’evento: portava infatti sul petto un piccolo distintivo dove c’era scritto OPHR.La provocazione era completa. Il nome di quell’atleta è Pietro Norman, la nazionalità australiana. Un temporale di oltraggi fu quello che investì i ribelli Tommie e John: per vilipendio alla bandiera e ai Giochi Olimpici furono espulsi dalla squadra nazionale e addirittura banditi dal villaggio olimpico. Ma la loro leggenda era già iniziata, visceralmente legata, come molti fatti del '900, a un'immagine... una fotografia.

lunedì 11 luglio 2011

Saartjie Baartman, la Venus Noire


Sembra sia uscito (finalmente) anche nelle sale italiane Venus Noire, il film di Abdellatif Kechiche che ricostruisce la storia di Saartjie Baartman, la cosiddetta Venere ottentotta. Scrivo "sembra" perché qui (si legga: il luogo dove ci troviamo attualmente) il film non è ancora in programmazione e non avendolo ancora visto come le Dumbles, dobbiamo limitarci a qualche segnalazione / riflessione, sperando che esca al più presto, visto che lo aspettiamo (con molta curiosità) da quasi un anno, quando fu presentato a Venezia. All'epoca erano uscite recensioni contrastanti: si passava dall'entusiasmo incondizionato (per molti Kechiche è, dai tempi di L’esquive e poi con il successo di La Graine et le mulet - in Italia Cous Cous - un mito), alle "accuse" di compiacimento o voyeurismo e/o alla denuncia della "spiacevolezza" (quasi insostenibile e intollerabile) del film. Su quest'ultimo punto lo stesso regista ha affermato in un'intervista che la Venere nera "ne devait pas etre un film agreable" (e del resto, aggiungiamo noi, non poteva essere diversamente con una storia di questo tipo). Per le altre questioni aspettiamo di vederlo, anche se pensiamo che affrontare cinematograficamente la vicenda di Saartjie Baartman si presti a più di un rischio, compreso quello di appiattire la denuncia dei violenti rapporti di potere (di "razza"/"sesso"/classe) alla base del colonialismo, sulla storia di una "vittima", per quanto emblematica. Nell'attesa condividiamo per intanto una recensione (in francese) pubblicata sul sito di Rue89.

L'immagine è un'opera di Wangechi Mutu, Uterine Catarrh (2004)

giovedì 9 giugno 2011

Harriet Tubman sul fiume Combahee

Di Harriet Tubman - donna, nera, schiava fuggitiva, liberatrice di altri/e schiavi/e e femminista - abbiamo già scritto tante altre volte su queste pagine. Ma non temiamo le ripetizioni e ci piace continuare a seminare frammenti di storia che prima o poi, l'abbiamo già sperimentato, germogliano (anche se pochi/e si ricordano infine dell'ortolano/a). Così non possiamo non ricordare (amiamo tanto anche gli anniversari) quel giugno di quasi centocinquanta anni fa (era il 1863) in cui Tubman, con un'azione di vera e propria guerriglia, riuscì a liberare, attraversando il fiume Combahee, oltre 700 schiavi/e della Carolina del Sud. Ed è a questo avvenimento storico - la lotta di una donna nera contro il razzismo schiavista - che pensavano Barbara Smith e le altre donne del suo piccolo gruppo quando nei primi anni 70 fondarono il Combahee River Collective. Di queste lotta rivendicavano l'eredità. Consigliamo, prima di fare nanna,  il loro manifesto, A Black Feminist Statement.

mercoledì 11 maggio 2011

Il ruolo della donna nell'ideologia colonialista italiana

Questa sera (mercoledì 11 maggio, ore 21), all'interno del ciclo Contro-corsi sulla storia d'Italia, organizzati dal Circolo Anarchico Berneri, presso XM24, incontro dedicato a Il ruolo della donna nell'ideologia colonialista italiana,con interventi di Nicoletta Poidimani (Una prospettiva di genere sul colonialismo italiano) e Vincenza Perilli (Corpi coloniali e corpi per la nazione).

lunedì 13 ottobre 2008

ControStorie: Razzismo, genere, classe



Editoriale

Alex Gaudillière, La nuova destra
Leila Soula, Scioperi per documenti
Nina Ferrante, Contro l'essenzialismo culturale
A. G, Angela Davis: la forza, l'intelligenza, l'energia che trasmette
Chris Harman, Schiavitù e razzismo (traduzione dall'inglese di Stefano Gioffrè)
Vincenza Perilli, Miti e smemoratezze del passato coloniale italiano
Valentina Quaresima, Laicità o persecuzione religiosa?
Barbara De Vivo, Velare, svelare: il razzismo nella Franca coloniale e postcoloniale

Altre storie

Mouvement des Indigènes de la République, Siamo gli indigeni della Repubblica (traduzione dal francese di Barbara De Vivo)
Elsa Dorlin, Performa il tuo genere, performa la tua razza! (traduzione dal francese di Brune Seban)

Impaginazione: Brune Seban; Grafica: Lorenzo De Vivo; Illustrazioni: Linda Vignato

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E mentre scrivo ( forse scriviamo decisamente troppo) apprendo che a Varese una ragazzina è stata vittima , tra l'indifferenza generale, di un violento pestaggio da parte di una trentina di compagn* di scuola, pestaggio (come oramai è regola) condito da insulti razzisti quali "marocchina di merda". Sembra che l'aggressione sia l'atto conclusivo di un "alterco" scoppiato in autobus il giorno prima quando lei si era rifiutata di cedere il posto a sedere. Pensare a Rosa Parks è troppo facile, ma forse utile.
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giovedì 31 maggio 2007

Disimparare il razzismo


Vincenza Perilli, Contro ogni razzismo, Portici, n. 1/2, aprile 2006, p. 26*


Il razzismo non è una tendenza naturale e spontanea, ma un complesso rapporto sociale articolato a una certa “cultura” trasmessa e appresa, appunto, come “naturale”. Per questo conoscerlo – capire come si forma, come agisce e come si trasmette – può essere un modo per combatterlo, criticarlo e disimpararlo.

Di qui l’importanza di attività come quella del Centro Furio Jesi una delle associazioni che operano presso la Scuola di pace di via Lombardia 36 a Bologna – al quale si deve la costituzione dell’omonimo Centro di documentazione che, nato nel 1989, raccoglie oggi circa diecimila volumi che offrono un vasto panorama documentario relativo al razzismo.

Ad un primo nucleo che, partendo dalle opere di Furio Jesi, si concentrava in particolare sul mito e le sue manipolazioni da parte di regimi totalitari quali il nazismo, si sono aggiunte, a partire dalla mostra La Menzogna della razza (1994), sezioni incentrate sul razzismo: dal colonialismo italiano al razzismo fascista, dall’eugenetica alla biopolitica, dallo schiavismo alle migrazioni contemporanee, dall’antisemitismo alla Shoah fino ai genocidi spesso dimenticati (zigano, armeno, ruandese), dai testi razzisti contemporanei alle pubblicazioni dei cattolici integralisti.

Tra i volumi spiccano vere e proprie rarità quali Il sangue cristiano nei riti ebraici della moderna sinagoga, testo apocrifo del 1883, o Italiani del Nord, italiani del sud di Alfredo Niceforo (1901), testo chiave nella genesi del pregiudizio antimeridionale. Notevole il fondo concernente i famigerati Protocolli dei Savi di Sion che comprende oltre ad una vasta letteratura critica tutte le edizioni italiane e molte di quelle straniere.

Il settore riviste, oltre a “classici” quali La difesa della razza o i primi numeri de La Civiltà Cattolica (di metà Ottocento), comprende Il Giornalissimo, rivista fortemente antisemita del 1938 di cui il Centro – unico in Italia – possiede l’annata completa.

Il catalogo dei volumi della biblioteca, non ancora incluso nell’Opac, è consultabile on-line nel sito della Scuola di pace: www.scuoladipace.org .

Aperto al pubblico per ricerca e consultazione dalle 15 alle 19 dal lunedì al venerdì, il Centro è anche un luogo di elaborazione e realizzazione di iniziative, tra le quali il corso per insegnati “Disimparare il razzismo” tenuto da Mauro Raspanti che, non a caso, riprende il titolo di un libro di Paola Tabet e Silvana Di Bella: Io non sono razzista ma… Strumenti per disimparare il razzismo (Anicia, 1999).


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* Questo testo è scaricabile in formato Pdf dall'archivio di Portici