venerdì 27 giugno 2008

Tutto quel che rimane ...

Mi capita spesso di chiudermi (per qualche giorno, talvolta più) in una sorta di esilio volontario dai vari canali d'informazione, perdo (volutamente) le notizie "del giorno". Immancabilmente poi le recupero, le rimugino, le archivio. Talvolta questo isolamento mediatico è impossibile, pur evitando la lettura di quotidiani, i telegiornali, i quotidiani online e quant'altro, sono bombardata da mail, comunicati, sms ... La notizia del giorno rimbalza da una parte all'altra ... E' il caso del Pride di domani in quel di Bologna. Sarò altrove, ma dovrei parlarne (ancora), presumo. E potrei, magari ricordando Stonewall, riprendere la rottamazione di Italo - ad esempio. E invece vi parlo di Ustica. Della strage, intendo. Perché con Ustica "l'esilo" aveva funzionato, nonostante questa data sia una di quelle scritte in rosso nel mio "calendario mentale". L'anno scorso poi avevo scritto anche un articolo (che incollerò in coda a questo post, uno dei miei articoli "per pagare le bollette"), in occasione dell'inaugurazione - a 27 anni dalla strage - del Museo della memoria ...
Eppure oggi avevo la testa da un'altra parte, concentrata sulla stesura di un articolo sul colonialismo italiano (questo non per pagare bollette ...) con più di 30 gradi all'ombra.
E Ustica è arrivata. E' arrivata rileggendo Angelo Del Boca. La rappresaglia italiana dopo la sconfitta subita da parte dei ribelli libici a Sciara Sciat: la caccia "all'arabo traditore" per le vie di Tripoli (circa 4000 morti), le impiccagioni collettive nella piazza del Pane (e forche fiorirono in seguito ovunque in Libia) e poi le deportazioni verso l'Italia. Donne, uomini, bambini ammassati come bestie su piroscafi. Scarsa l'acqua e il cibo nei quattro giorni di navigazione. Sporcizia. Malattie: tifo, vaiolo, colera. I morti venivano gettati in mare. Corpi galleggianti sull'acqua. Le destinazioni erano Gaeta, Favignana, Ponza.
E Ustica.
Lì , dal 29 ottobre al 31 dicembre 1911 morirono 69 internati (su circa 800). Ma le deportazioni continuarono per anni, con punte notevoli nel 1915 in seguito alla grande rivolta araba. Nella sola Ustica , nel marzo 1916, i libici confinati erano 1300. Molti non sono mai tornati. E ancora oggi, scrive Del Boca, "a quasi cent'anni da Sciara Sciat, ci sono famiglie in Libia che vorrebbero almeno sapere dove sono sepolti i loro cari" (A. Del Boca, Italiani, brava gente?, 2005).
E nessuno dei responsabili di questi (ed altri ) crimini ha mai pagato.
Come meravigliarsi se altr*, in Italia, dopo 28 anni, aspettano ancora la verità sull'abbattimento dell'Itavia nei cieli di Ustica?

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Vincenza Perilli, Tutto quel che rimane
Portici, n. 3, settembre 2007.


Di famiglia ebrea, segnato dal genocidio nazista, l’artista francese Christian Boltanski si è da sempre confrontato con il tema ossessivo del tempo, della memoria e degli aspetti effimeri dell’esistenza umana. Tutte le opere di Boltanski – dalle prime, dichiaratamente autobiografiche come Trois Tiroirs, alle ultime installazioni – ci espongono il/al passato, quello reale o fittizio dell’artista stesso, ma anche, più estesamente, il passato dell’intera umanità, dall’infanzia perduta alla morte.

Le scatole di metallo e le vetrine colme di oggetti – spesso sottratti alla vista – , testimoniano l’urgenza di conservare, attraverso l’archiviazione, ciò che altrimenti andrebbe perduto, così come la stanza colma di abiti usati di Réserve riporta alla memoria i magazzini in cui i nazisti ammassavano gli oggetti sottratti ai deportati, frammenti di storia, tracce di esistenze cancellate, altrimenti destinati all’oblio.

Scatole, riquadri neri specchianti e voci sussurrate in sottofondo come in Les images noires, lampadine che pulsano al ritmo del respiro o del battito cardiaco dell’artista come Le coeur , sono elementi ricorrenti (ma che acquistano il loro senso solo all’interno degli spazi in cui vengono inseriti) della poetica di questo artista, teso a dare forma concreta e tangibile all’immaterialità del ricordo, che spesso lapidi e monumenti non sono capaci di preservare.

Ed è a Boltanski che Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, ha chiesto di creare un’installazione per il Museo della Memoria di Bologna, dedicato alle 81 vittime della strage.

Circa 500 persone hanno visitato il Museo il giorno della sua inaugurazione, il 27 giugno di quest’anno, precisamente a ventisette anni dall’abbattimento del volo Itavia “in una guerra di fatto non dichiarata” come dice la sentenza del 1999 del giudice Priore.

Progettato dall’architetto Gian Paolo Mazzuccato (che, morto nell’aprile 2007, non ha potuto vederlo concluso), il Museo nasce sotto l’impulso e grazie alla determinazione dell’Associazione dei parenti delle vittime. Nel maggio 2001 un protocollo impegna Comune, Provincia, Regione e i ministeri di Grazia e giustizia e Beni culturali; nel maggio 2006 la custodia del relitto passa al sindaco di Bologna; un mese dopo, i resti dell’aereo vengono trasportati – con un lungo viaggio che impegna 15 tir – dal deposito di Pratica di Mare dove per anni erano rimasti, ai capannoni dismessi di via Saliceto 5, dove oggi sorge il Museo.

Luogo non statico, che raccoglie – e continuerà a raccogliere – la documentazione (cartacea, ma anche televisiva e cinematografica) relativa alla tragedia; consultabile dai visitatori – finora circa un centinaio al giorno – in una saletta attrezzata, mentre presso l’istituto della Resistenza Parri è consultabile la parte archivistica e storica, comprese le carte del lungo iter processuale che, nel 1999, vide il rinvio a giudizio di due generali, poi assolti.

Ma il punto focale del Museo è la grande sala in cui è stato pazientemente ricostruito ciò che resta del Dc9, “corpo smembrato” che, come dice in Ultimo volo Pippo Pollina, è “tutto quello che rimane” delle 81 vittime. Intorno a questa “carcassa” che “ora si chiama memoria”, adagiata al centro della sala, in una zona col pavimento ribassato, Boltanski ha disposto scatole nere di diversa grandezza, che celano allo sguardo gli effetti personali dei passeggeri, inventariati in un piccolo opuscolo con foto, un po’ sfocate, in bianco e nero.

Il relitto, illuminato da 81 lampadine pulsanti come al ritmo di un respiro, è circondato da una sorta di ballatoio, lungo il quale 81 specchi neri riflettono l’immagine dei visitatori. 81 altoparlanti diffondono un mormorio, frammenti di frasi, pensieri comuni di donne, uomini, bambini in viaggio: a rendere vivo e pulsante il ricordo, nella consapevolezza e nel sentimento della casualità con cui la strage ha scelto le sue vittime e ha ridotto l’astratto “chiunque fosse là” a 81 esistenze reali. Un’opera che ci apre alla dolorosa memoria di qualcuno, che … “potevamo essere noi”.



giovedì 19 giugno 2008

Santa Madre Chiesa e le sue Ma(donne)

In questo santino un bell'esemplare (ma qui ne trovate tutta una galleria) della Madonna del Soccorso, che probabilmente ha fornito la base iconografica per la Madonna del Manganello.

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Della serie pubblicità&propaganda: domani cominciano le Giornate anticlericali a Ponticelli, all'interno delle quali, domenica pomeriggio, ci sarà una tavola rotonda dal titolo Eva colse la mela. Solo lei poteva farlo. Con Michela Zucca (Streghe e comunità rurali contro il potere nel Medioevo), Giusi Di Rienzo (Danzando tra le rovine: la trasmissione dei saperi femminili), Vincenza Perilli (Santa Madre Chiesa e le sue Ma(donne)).
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martedì 17 giugno 2008

La Madonna del Manganello

Sembra che anche gli Itali (e le Itale) abbiano una madonna a cui votarsi (sarà questo uno dei motivi che ne hanno evitato la rottamazione ?), precisamente La Madonna del Manganello (vago ricordo in Fascisti su Marte) che da quel che leggo in La Nuova Towanda (che rinvia a sua volta a Wikipedia) sembra essere una Madonna senza riconoscimento ecclesiastico ufficiale, ma che rientrò ugualmente in un insieme di rappresentazioni diffuse negli anni trenta, in sintonia con un certo spirito clerico-fascista che già aveva visto il prodursi di alcune "aberrazioni" quali San Francesco proclamato "precursore del Duce" nel 1926 ( sembra che Mussolini definì San Francesco "il più italiano dei santi, il più santo degli italiani", anche se altri attribuiscono la frase a Pio XII che lo proclamò patrono d'Italia nel 1939), o l'icona di santa Chiara in trionfo sui fasci littori. Una quasi omologa alla Madonna del Manganello sembra essere la Madonna del buon ritorno, immagine sacra creata da tal Don Gabriele Virgilio nel 1942 per i soldati in guerra (proclamata in seguito patrona dei dispersi e dei reduci). Sempre in questa corrente si inseriscono le numerose "preghiere per il Duce" composte in quegli anni, e che venivano divulgate proprio tramite il retro di questi santini.
La statua della Madonna del Manganello fu realizzata dallo scultore leccese Giuseppe Malecore come arredo sacro per una chiesa non parrocchiale di Monteleone, attuale Vibo Valentia, sembra su richiesta di un gerarca fascista locale, tal Luigi Razza (ma le mie ricerche sono ancora in corso...). La statua è stata poi distrutta verso la fine della seconda guerra mondiale (la data non è certa, c'è chi dice intorno al 1943). Leggo che "con essa svanì la sua venerazione", ma ci credo poco ... La statua, realizzata in cartapesta colorata, rappresentava una Madonna con bambino, nella tipica iconografia della Madonna del Soccorso (patrona di varie cittadine da Sciacca a Nicastro e che spesso viene confusa con la Madonna del Manganello vera e propria) che nella mano sinistra sorreggeva il figlio Gesù mentre con la destra sollevava un manganello nodoso. Ai piedi della donna un secondo bambino in piedi (mentre nella Madonna del Soccorso c'è un demone). Da questa rappresentazione furono in seguito realizzati dei santini, come quello riprodotto qui di fianco. L'immagine fu ripresa dagli organi del partito, che la elessero dapprima a "patrona degli squadristi", poi a "protettrice dei fascisti". Asvero Gravelli, giornalista del regime, fascista intransigente e direttore della rivista Antieuropa, compose anche uno stornello come preghiera per il retro dell'immagine. Ecco il testo:

« O tu santo Manganello
tu patrono saggio e austero,
più che bomba e che coltello
coi nemici sei severo
O tu santo Manganello
Di nodosa quercia figlio
ver miracolo opri ognor,
se nell'ora del periglio
batti i vivi e gli impostor.
Manganello, Manganello,
che rischiari ogni cervello,
sempre tu sarai sol quello
che il fascista adorerà. »


La Madonna del manganello sarà sicuramente una delle figure al centro dell'intervento - titolo: Santa Madre Chiesa e le sue Ma(donne) - che sto preparando (tentando di) preparare per un incontro previsto domenica prossima (Eva colse la mela. Solo lei poteva farlo con Michela Zucca e Giusi Di Rienzo) all'interno delle Giornate anticlericali.
Qui, sommersa da santini e varie epistole apostoliche (Mulieris Dignitatem in primis), so di deludere profondamente quante (via mail e telefonicamente) mi hanno chiesto di scrivere qualcosa sul Flat bolognese di quest'ultimo fine settimana ... Purtroppo non potrei parlare delle tante belle connessioni e tacere delle dis-connessioni (e delle miserie), quindi avendo attualmente poco tempo (e soprattutto voglia) rinvio a non so quando. Intanto il dossier si ingrossa.
In ogni caso presto saremo inondate dai report delle varie addette stampa e strateghe della comunicazione ...
E non ho nessuna ma(donna) a cui votarmi ...
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martedì 10 giugno 2008

NO TRESPASSING: the (endlessly) continuance

Continuo dopo un'interruzione (forzata) di qualche giorno No trespassing. Del resto tempo o non tempo, lavoro o non lavoro (per tacere delle tante altre cose che possono impedirmi di stare qui a scrivere) l'ho detto tante volte: Marginalia è un blog "anomalo", non ha nulla del "diario" nè tanto meno della testata giornalistica seppur "alternativa" (quella per intenderci che ti rifila le stesse identiche notizie girate sui "grandi" media con un cosiddetto "taglio critico"). Raramente sto "sulla notizia" (come si dice in gergo): non ho detto nulla sul Pride romano (e forse avrei dovuto dopo il mio Italo da rottamare), nulla delle piccole miserie di "movimento" - anche "femminista", purtroppo - degli ultimi mesi, nonostante il mio archivio privato si sia ingrossato a dismisura (ma presto ne scriverò), nulla della bella manifestazione auto organizzata di Rom e Sinti che si è tenuta ieri a Roma ( e neanche della giovane rom incinta presa a calci da un cittadino italiano), niente della mia rabbia nel leggere i giornali dopo l'ennesima tragedia generata dalla "fortezza Europa": quei corpi senza vita che riemergono lungo le coste della Sicilia, sono "cadaveri di "immigrati clandestini". Neanche da morti sono uomini, donne, bambini/e ... Esseri umani. E qui vorrei già interrompere la scrittura, ma avevo concluso No trespassing con un To be continued e allora ve lo devo.
Già la mattina dopo - il 6 giugno, dunque -, come sempre in ritardo e di corsa, avevo visto di sfuggita il "richiamo" de Il Resto del Carlino in edicola, con la notizia dello stupro in caratteri cubitali, "bambina marocchina stuprata da italiano", o qualcosa del genere. Perché infine lo storico quotidiano bolognese - che ha tra l'altro attivato un ignobile sondaggio razzista - sarà uno dei pochi che non riuscirò a leggere (in genere, quando ho tempo, lo recupero nel baretto sotto casa ... ). Ma ne leggerò molti altri. E tutti (anche quelli "più corretti") mi danno la conferma di come oramai l'informazione è impastata (in alcuni casi anche "inconsapevolmente" o in "buona fede") di beceri e consunti stereotipi sessisti e razzisti.
Da Il Bologna (Tredicenne marocchina violentata da un italiano, p. 14) apprendo che "la bambina era ancora vergine" e che la madre è "di fede musulmana". Senza soffermarmi sul fatto che ovviamente a nessuno è venuto in mente di sottolineare che lo stupratore è di "religione cattolica" e che "vergine" o "non vergine" resta uno stupro, l'accenno alla "verginità" e alla confessione religiosa della madre (e quindi della "famiglia", elemento ripreso in quasi tutti gli articoli che ho letto), è funzionale alla "razzializzazione" della vittima che cessa di essere una bambina che ha subito uno stupro per divenire una "marocchina di religione musulmana che ha perso la verginità". L'Unità riporta le dichiarazioni del capo della squadra mobile di Milano dove questo processo di razzializzazione emerge con una violenza (per me estrema) nei toni paternalistici permeati di sottile, ma non per questo meno pericoloso, razzismo: "voglio sottolineare la grande cultura e l'attenzione di questa donna, la sua capacità di capire ed essere vicina alla figlia. Parliamo di una donna di formazione culturale islamica, molto religiosa, ma ben integrata in Italia. Spesso ci possono essere dei problemi in famiglie di questo tipo ad affrontare la violenza sessuale. Invece ci siamo trovati di fronte ad una donna forte e molto "moderna"...". La Stampa invece relega la notizia nelle "brevi" delle pagine di cronaca (p. 22) poiché la "prima" è tutta dedicata all'appoggio europeo al "pacchetto sicurezza" e alla nuova proposta del Pdl, un emendamento contro le prostitute, soggetti "socialmente e moralmente pericolosi". Ma c'è anche spazio per l'"aggressione" subita da Augusta Montarulli, dirigente torinese di An- Azione Giovani alla quale una protesta per i fatti della Sapienza organizzata all'Università impedisce di sostenere un'esame ... Nell'intervista ci illumina sul fatto che lei non è fascista, oggi sarebbe ridicolo. E' di destra. E ovviamente ha tanti amici di sinistra (non "estremisti", eh!). La storia si ripete: ogni antisemita ha il suo amico ebreo, ogni razzista il suo zio Tom e ogni maschio una donna al suo fianco ... (ma forse quest'ultima è un'altra storia).
Anche La Padania dedica la prima al benestare europeo al pacchetto sicurezza: "Non passa il clandestino" è il titolo trionfale. E poi c'è spazio per tutto: dall'invito della Lega a scendere in piazza a Mestre contro "il campo nomadi", all'appello "dei milanesi" a chiudere la moschea di viale Jenner. La notizia dello stupro è a p. 21, il titolo mi fa sobbalzare: "Adesca, stupra e ingravida una 13enne". Ingravida. Inutile dire che se la vittima fosse stata una bambina (o donna) italiana (le "nostre" donne) gli inviti ad organizzate fiaccolate e cacce al "mostro"si sarebbero sprecate. Qui invece è il caso di sottolineare che è : "Una vicenda tutta da raccontare che insegna come le adolescenti, non solo i bambini, meritino più attenzione quando sono fuori dalla scuola".
A questa frase sembra quasi fare eco l'articolo di Gaia Passi su Libero (a p. 18) che parlando della bambina vittima dello stupro scrive: "Era rimasta affascinata da quel trentenne conosciuto fuori da scuola. Per questo, nell'incoscienza dei suoi tredici anni, si è fidata di lui e l'ha seguito fino a casa". Devo (dobbiamo) dedurne che meglio sarebbe stato per questa madre "musulmana" essere meno "moderna" e tenere più a bada la figlia adolescente/incosciente, tanto più che era ancora "vergine" ... Nella stessa pagina un breve commento dal titolo "Linea dura contro i nostri orchi", dove si afferma tra l'altro: "Tolleranza zero invochiamo quando sono i delinquenti stranieri ad abusare di donne italiane, tolleranza zero pretendiamo verso quegli italiani che abusano delle straniere". Veramente "democratico". Peccato che non si faccia cenno al fatto che oramai in Italia tutti gli stranieri sono delinquenti, e questi delinquenti sono - per legge - più delinquenti di altri ...
Ma l'articolo che letteralmente mi manda in bestia su Libero è quello sulla vicenda del neonato di due mesi morto il giorno prima, che di fatto diviene il luogo dove far emerge tutto il razzismo che non aveva potuto trovare sfogo nell'altra notizia (in fondo si tratta "pur sempre" dello stupro di una bambina) . Nonostante il motivo della morte non sia ancora chiaro (è stata disposta l'autopsia), quasi tutti i quotidiani collegano il decesso alla circoncisione subita dal bimbo (figlio di una coppia di nazionalità nigeriana) qualche giorno prima. Ma Libero va oltre. Nell'articolo di Daniele Pajar "Circonciso in casa, bimbo di due mesi muore (p. 19) si parla della morte del bambino "i cui genitori seguono le tradizioni dell'Africa nera". Nella stessa pagina un "approfondimento" (La pratica nella storia) a firma Andrea Morigi : "Una tradizione imposta dalla religione ebraica. Ma diventa un rito tribale": "... quel che si è evoluto, da cinque millenni o giù di lì, tra gli ebrei, sono le tecniche [...]. In circa 1.400 anni, anche nel mondo islamico, le precauzioni sono andate di pari passo con lo sviluppo culturale e scientifico delle popolazioni che seguono il Corano. Cioè con tutte le disparità che dividono i musulmani dai correligionari meno progrediti. Per entrambe le categorie si tratta di evitare di presentarsi "impuri", cioè sporchi, al momento della preghiera. Poiché non sempre è a disposizione un bidet, nemmeno nei pressi dei luoghi di culto, e comunque non se ne fa largo uso tra i musulmani, si risolve il problema alla radice [...] I fedeli andrebbero informati che non si trovano più nel deserto". Credo che sia un articolo che più che una lettera di protesta meriti una denuncia all'Ordine dei giornalisti o qualcosa del genere. Ci penserò. Avevamo auspicato - proponendo un gruppo di lavoro sul razzismo allo scorso Flat romano di febbraio -, un lavoro di monitoraggio sui media, uno degli elementi centrali per una pratica femminista interessata a scardinare i meccanismi di produzione/riproduzione del sessismo e del razzismo (non mi stancherò mai di ripeterlo: nelle sue diverse e molteplici forme). Continuo ad auspicarlo.
Liberazione è stata l'unico quotidiano (tra quelli che ho letto quel giorno) a dire qualcosa di perlomeno corretto su questa vicenda, sottolineando come "questa drammatica storia ha qualcosa di diverso dai fatti di cronaca che quotidianamente leggiamo sui giornali [...]. Casi del genere non sono isolati. Italiani che stuprano ed uccidono donne immigrate. Come qualche settimana fa a Roma quando una giovane donna romena è stata aggredita e stuprata da un 39enne italiano [...] o quando il 6 maggio scorso a La Spezia un italiano di 32 anni, incensurato e sposato, è stato arrestato dai carabinieri mentre tentava di violentare, per la seconda volta, una prostituta straniera". Ma anche qui emerge l'inadeguatezza del linguaggio usato per trattare vicende simili, una spia di quanto ancora poco abbiamo "pensato" ed "elaborato" (anche "a sinistra") su queste questioni.
Sull'altra vicenda che segnalavo in No Trespassing (ovvero il prete che pretendeva "favori sessuali" da due donne migranti in cambio di un "aiutino" per ottenere il permesso di soggiorno) non ne ho trovato nessuna traccia sui giornali letti quel giorno. Allora forse si rivelerà molto vicino al vero quanto scrivevo: "La notizia del prete che ha preteso "favori sessuali" da due donne migranti "clandestine" in cambio di un aiuto per ottenere il permesso di soggiorno, probabilmente sarà sepolta con ancora maggiore cura. O, se salta fuori, sarà per dirci in seguito che il povero prete è un santo ..."

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giovedì 5 giugno 2008

NO TRESPASSING


Mi chiedo come i cosiddetti mass media - che hanno contribuito in maniera determinante al consolidarsi negli ultimi anni della sciagurata equazione immigrato=stupratore - gestiranno nei giorni a venire lo stupro di una ragazzina marocchina quattordicenne da parte di un italiano. Probabilmente seppellendola in un trafiletto verso le ultime pagine ... [1]
La notizia del prete che ha preteso "favori sessuali" da due donne migranti "clandestine" in cambio di un aiuto per ottenere il permesso di soggiorno [2], probabilmente sarà sepolta con ancora maggiore cura. O, se salta fuori, sarà per dirci in seguito che il povero prete è un santo ... [3]. Dovrò decidermi a scrivere un giorno più diffusamente su quella che potremmo definire economia politica dello stupro.

NOTE:

[1]
La notizia è passata anche sul Tg3 Lombardia. Inutile dire che se lo stupratore fosse stato un "immigrato" e la bambina una "bambina italiana", la notizia sarebbe passata con grande enfasi su tutti i Tg nazionali e avrebbe fatto la "prima" dei quotidiani... Ma - in ogni caso - non viene centrato (ancora una volta) il problema "vero", che non è la "nazionalità" dello stupratore ma è: "uomo violenta bambina" . E non è mai banale ricordarlo.
[2]
La notizia è stata pubblicata oggi dalla Gazzetta di Mantova a pagina 14 ... ho letto l'articolo pochi minuti fa nella lista di Facciamo Breccia., prezioso luogo di scambio e circolazione.
[3] E' già successo un mucchio di volte ...

To be continued...

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martedì 3 giugno 2008

Christine Delphy: Race, caste et genre

Caste, race et genre en France è il titolo della conferenza tenuta da Christine Delphy al congresso Marx International del 2004 Guerre impériale, guerre sociale, all'interno del quale Nouvelles Questions Féministes aveva coordinato due ateliers nella sezione rapporti sociali e genere, e precisamente Du crime d'honneur à la violence masculine en passant par le crime passionnel e Racisme, sexisme et discrimination: la référence islamique chez les Françaises et Français d'origine immigrée.
Il video dell'intervento di Delphy è ora disponibile qui.
Grazie a
Mauvaiseherbe per la segnalazione.

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Gender (and Race) Trouble
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