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mercoledì 1 ottobre 2014

Orizzonti migranti / Donne e guerra

All'interno della terza edizione del festival Orizzonti che, nei 100 anni dalla Grande Guerra e nei 70 anni dalla Resistenza vuole stimolare una serie di riflessioni sulle guerre di quest'ultimo secolo e sulle forme di resistenza che ogni conflitto porta con sé, questa sera, alle ore 20.30, presso il Centro Documentazione delle Donne (via del Piombo 5 - Bologna) incontro sul tema Donne e guerra. Stupro come arma di guerra / Cina Giappone Bosnia Congo. Intervengono Maria Clara Donato (storica), Maria Chiara Risoldi e Patrizia Brunori (psicoterapeute), Vincenza Perilli (InteRGRace).  A seguire reading teatrale di Judith Moleko (Cantieri Meticci).

mercoledì 17 luglio 2013

Le lacrime della leghista

Qualche settimana fa la consigliera leghista Dolores Valandro aveva scritto sulla sua bacheca Facebook, riferendosi alla ministra dell'integrazione Cécile Kyenge,"ma mai nessuno che se la stupri". Espulsa dalla Lega e denunciata per "istigazione ad atti sessuali compiuti per motivi razziali", Valandro è stata oggi condannata per direttissima a 13 mesi, all'obbligo di risarcimento per 13mila euro e all'interdizione dai pubblici uffici per tre anni. Su Globalist.it leggo che "è apparsa in lacrime e pentita davanti al giudice" e che avrebbe affermato:«Non era mia intenzione come madre e come donna insultare un'altra donna, mi è però passato davanti agli occhi un episodio capitato a mia figlia - ha detto -. È stato un attimo di impulsività perché non ho mai visto atti così violenti nei confronti delle donne perpetrati dagli italiani». Lacrime e retorica maternalista a parte, sappiamo che questa condanna - così come a suo tempo l'espulsione di Valandro dal suo partito - non servirà a cancellare quella cultura sessista e razzista che la Lega ha contribuito in questi anni a produrre/riprodurre e non sarà neanche sufficiente ad interrompere la spirale di odio potenzialmente innescata da frasi come la sua o del Calderoli di turno

sabato 15 giugno 2013

Cécile Kyenge e lo stupro

Il sindaco di Verona, Flavio Tosi, ha annunciato durante una trasmissione Rai che la leghista Dolores Valandro - che qualche giorno fa aveva scritto nel suo profilo fb, riferendosi a Cécile Kyenge: "ma mai nessuno che se la stupri… -, sarà espulsa poiché "Nei grandi numeri la persona che si comporta in maniera scorretta c’è, ma non rappresenta un gruppo o una linea di pensiero". Peccato per Tosi che, al di là delle sue dichiarazione e speranze, abbiamo perfettamente memoria della "linea di pensiero" celodurista del suo partito e del tipo di cultura sessista e razzista che questa ha contribuito a consolidare in Italia in questi anni. Sappiamo anche che per tutta una variegata galassia di destra (verso cui alcune delle sue espressioni lo stesso Tosi ha mostrato spesso "simpatia" politica) non è insolito evocare lo stupro per scopi educativi / punitivi. L'espulsione di Dolores Calandro non serve  a cancellare questa cultura e neanche è sufficiente ad interrompere la spirale di odio potenzialmente innescata dalla sua frase. Solidarietà a  Cécile Kyenge  // (Alcuni) articoli correlati : Chi ha paura della donna nera?, L'integrazione è un campo di battaglia, Igiaba Scego e le domande imbarazzanti

mercoledì 29 maggio 2013

La bellezza di Franca Rame e gli omissis del Tg2

Leggo in Globalist.it che in occasione della morte di Franca Rame, avvenuta oggi a Milano, un servizio della giornalista Carola Carulli mandato in onda nel Tg2 delle 13, la ricorda così: "Una donna bellissima Franca, amata e odiata. Chi la definiva un'attrice di talento che sapeva mettere in gioco la propria carriera teatrale per un ideale di militanza politica totalizzante, chi invece la vedeva coma la pasionaria rossa che approfittava della propria bellezza fisica per imporre attenzione. Finché il 9 marzo del 1973 fu sequestrata e stuprata. Ci vollero 25 anni per scoprire i nomi degli aggressori, ma tutto era caduto in prescrizione". In questa rievocazione lo stupro sembra quasi una conseguenza della sua bellezza - per di più "ostentata" e "utilizzata" - e si omette di dire che i mandanti del  sequestro e dello stupro furono alcuni ufficiali dei carabinieri della Divisione Pastrengo di Milano e che a compierlo furono cinque esponenti di estrema destra. Franca Rame andava punita per la sua attività politica nelle carceri con Soccorso Rosso, per essere la compagna di Dario Fo, ma soprattutto per essersi esposta pubblicamente sull'omicidio di Giuseppe Pinelli prima recitando in Morte accidentale di un anarchico e poi firmando insieme ad altri/e, nel 1971, la lettera aperta pubblicata sul settimanale L'Espresso in cui si chiedeva la destituzione di alcuni funzionari, ritenuti artefici di gravi omissioni e negligenze nell'accertamento delle responsabilità circa la morte di Pinelli, precipitato da una finestra della questura di Milano il 15 dicembre 1969, tre giorni dopo la strage di Piazza Fontana.

lunedì 20 maggio 2013

La marcia per la vita e le madri snaturate

Anche se con un certo lag (l'articolo è stato pubblicato la scorsa settimana sul blog della 27esima ora), segnaliamo questo intervento di Lea Melandri che ci sembra offra spunti interessanti di riflessione sul legame tra la violenza subita quotidianamente dalle donne in Italia (nella stragrande maggioranza da parte - diversamente da come certa retorica razzista/sessista vorrebbe farci credere - di padri, mariti, compagni, amanti ...) e quella che l'autrice definisce " la grande ossessione della cultura maschile più conservatrice" che trova nelle "marce per la vita" uno dei suoi momenti più significativi

domenica 5 maggio 2013

Cècile Kyenge / Chi ha paura della donna nera?

Chi ha paura della donna nera ? -, un articolo discusso e scritto con le compagne di Migranda a proposito di Cécile Kyenge, la nuova ministra dell'integrazione e le reazioni che ne hanno accompagnato la nomina. Ogni commento è il benvenuto, buona lettura // "Se i piccini sono stati abituati ad avere paura dell’uomo nero, oggi i grandi hanno paura di una donna nera, Cécile Kyenge, appena nominata ministra dell’integrazione. Cécile Kyenge non fa paura perché è una donna. I governi hanno sempre saputo come tenere al loro posto le donne ambiziose, e alcune al loro posto ci sono anche rimaste con piacere. Del resto, nessuno di quelli che hanno accolto l’incarico di Kyenge con insulti razzisti e maschilisti ha avuto nulla da ridire sulla nomina al Ministero della salute di Beatrice Lorenzin, che d’altra parte ha avviato la sua attività istituzionale annunciando una campagna «a favore della vita» di cui certo le donne non potevano fare a meno. Cécile Kyenge, dunque, non fa paura perché è una donna. Cécile Kyenge, però, non fa paura neppure solo per il fatto di essere nera. È vero che, per il più profondo ventre razzista italiano, ogni messa in discussione delle cosiddetta linea del colore è un’eresia da combattere. Negli ultimi anni, però, anche nelle fila di quella Lega Nord che oggi insulta la nuova ministra sono state elette donne nere come Sandy Cane, convinta sostenitrice di maggiori controlli per evitare l’ingresso di «clandestini». Cécile Kyenge, quindi, non fa paura nemmeno perché è nera. A fare paura sembrerebbe piuttosto il fatto che si tratta di una «donna-nera», come lei stessa si è orgogliosamente definita, senza possibilità di tenere questi due termini separati o distinti, e senza poterli separare neanche dal fatto che questa donna-nera sta almeno in parte mettendo in discussione la legge Bossi-Fini. Il razzismo becero del governatore del Veneto, che pochi giorni fa ha intimato alla «ministra nera» di andare a visitare la donna austriaca stuprata da due «extra-comunitari», sembra cogliere questo punto con incredibile precisione. In nome di quella presunta «cultura veneta per cui il rispetto dell’identità della donna è un pilastro fondamentale», Zaia ha cercato di togliere a Cécile Kyenge il fatto di essere donna, identificando la violenza sessuale con la «razza» e dimenticando volutamente, come peraltro Cécile Kyenge gli ha ricordato, che la violenza sulle donne non ha razza né classe, ma solo un sesso. A dimostrazione della difficoltà di guardare alla «ministra nera» come donna e come nera, Zaia ha cancellato il primo aspetto e ha usato l’equazione razza-violenza per identificarla con i neri come lei, facendone su questa base una sorta di rappresentante istituzionale di migranti che, secondo quelli come lui, per natura stuprano, rubano, ammazzano. Come sempre accade, la violenza sulle donne viene trattata dai nostri solerti ministri per fini che con le donne nulla hanno a che fare, e come sempre accade si trascura il fatto che essa in Italia continua a essere perpetrata per la maggior parte per mano di padri, fratelli, mariti, amici di famiglia e compagni. Ma la famiglia non si tocca! Quella si che è un vero pilastro della cultura veneta, e persino italiana. Con lo scopo di denigrarla, Cécile Kyenge è così chiamata a dare conto dei crimini di «quelli come lei», diventando la rappresentante di quanti alla rappresentanza non hanno alcun diritto. Si sa che sono qui, qui lavorano, qui versano contributi che non rivedranno mai, qui vivono sotto il ricatto di un permesso di soggiorno che pagano profumatamente finché lavorano, per essere poi detenuti nei Cie ed espulsi, senza contributi, quando il lavoro lo perdono. E di questi migranti molti sono donne, che stanno al servizio dei «nostri» anziani finché sono anziane anche loro, ma non hanno neppure la cittadinanza da offrire per i loro figli. Ad alcune è concesso di non lavorare, ma solo al prezzo di restare in Italia come «ricongiunte», le mogli dei mariti, senza permesso di soggiorno autonomo. Loro forse non sono donne come le venete, o come le austriache. O forse, come accade per le venete e le mitteleuropee per cui Borghezio ha un’«innegabile preferenza», anche loro possono essere calpestate in nome della famiglia, di quel ricongiungimento familiare che consente loro di restare a prezzo di una parte della loro autonomia. Il fatto è che, come donna-nera, Cécile Kyenge non è tanto la rappresentante di qualcuno, ma è colei che mostra che «quelle come lei» sono del tutto fuori posto nel luogo in cui lei si trova, proprio perché non possono essere rappresentate. Le donne «come lei» dovrebbero stare ben chiuse e nascoste nelle case dei cittadini e delle cittadine di questo paese, dovrebbero accettare di avere un destino segnato – se non come casalinghe, come pretenderebbe il degno compagno di Zaia, Borghezio – almeno come badanti, operatrici delle pulizie, prostitute, mogli, operaie. Se Cécile Kyenge raccoglie così tanti insulti è perché si trova in un posto dove «quelle come lei» non dovrebbero stare. Eppure, Cécile Kyenge si trova in quel posto, e non ci sta come una bambolina che, passivamente, con la sua sola presenza e il suo corpo nero dovrebbe risolvere il problema di un partito alla ricerca di una legittimità antirazzista perduta. Ci sta con la sua pretesa – fin troppo cauta – di inceppare l’ingranaggio del razzismo istituzionale di cui sta facendo esperienza sulla propria pelle, e che per tutti quelli «come lei» prende il nome di legge Bossi-Fini. Noi non sappiamo cosa Cécile Kyenge riuscirà a ottenere nel suo ruolo, anche se siamo certe che non avrà vita facile. Crediamo che la sua presenza fuori luogo, come dimostra la paura che suscita, segnali un cambiamento di non poco conto. Sappiamo anche, però, che non tutte «quelle come lei» hanno la stessa possibilità di essere fuori posto come lei. Che in questo paese la battaglia delle donne-nere, delle donne-migranti, per uscire dalle case, sottrarsi agli obblighi riproduttivi, al comando del salario o alla dipendenza dai loro mariti è ancora tutta da giocare e in tutti i casi, che non sono pochi, parte da loro con coraggio e determinazione. E sappiamo che questa battaglia difficilmente si giocherà tra i volti bianchi di un ministero, ma piuttosto nelle case, nelle piazze dove da tempo i migranti e le migranti stanno lottando contro la legge Bossi-Fini, in tutti quei luoghi dove essere donne, donne-nere e donne-migranti fa, può fare, deve fare la differenza"

venerdì 11 gennaio 2013

Sguardi intersezionali sul femminicidio e la violenza subita dalle donne

Da Riflessioni sull'intersezioni di sessismo e razzismo, il blog di Sonia Sabelli, un articolo di Isoke Aikpitanyi - dell'Associazione vittime ed ex-vittime della tratta -, dal titolo La percezione del femminicidio e della violenza fra le vittime della tratta. Pubblicato originariamente su Africa News, l'articolo costringe a riflettere su come cambia la percezione della violenza subita dalle donne se si è italiane o non lo si è, denunciando anche l'atteggiamento delle donne italiane che "Invece di ascoltarci [...] preferiscono fare il possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, interpretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente"

mercoledì 9 gennaio 2013

Stupri in India (e retoriche neocolonialiste in Italia)

Dopo anni trascorsi a denunciare le retoriche razziste e sessiste diffuse dai media italiani - insieme sintomo (e parte attiva nella produzione) di un pervasivo immaginario neocoloniale -, capita di essere assalite da un vero e proprio senso di nausea alla lettura di talune ricostruzioni ed elucubrazioni giornalistiche su gravi fatti di cronaca, come lo stupro di gruppo avvenuto qualche settimana fa a Delhi. Una boccata di ossigeno leggerne la puntuale de-costruzione e critica su I consigli di zia Jo, che autorizzo ufficialmente ad inviare a Marginalia tutti i commenti (OT o non OT) che desidera ...

mercoledì 13 giugno 2012

Condannato per stupro uno degli agenti / auguzzini di Bolzaneto

La Corte d' appello di Genova ha confermato ieri la condanna dell'agente Massimo Pigozzi, già noto  (e condannato) per le violenze avvenute nella caserma di Bolzaneto durante il G8 del luglio 2001. La nuova condanna riguarda lo stupro di due donne di nazionalità rumena (sul Secolo XIX "due prostitute romene") e di averne "palpeggiato" (ibidem) altre due mentre si trovavano in stato di fermo nella questura genovese. Notizie così da qualche tempo non abbiamo più lo stomaco di commentarle, ma rinviamo ad un articolo "in tema" tratto dal nostro archivio.

giovedì 7 giugno 2012

Per gli archivi di Zanele Muholi

Vi avevamo parlato da poco dell'artista/fotografa sudafricana Zanele Muholi, che a settembre sarà tra le protagoniste della nuova edizione del Same Prefer Cake. Ritorniamo su di lei con un articolo di Elisabeth Lebovici, Crime de haine contre les archives de Zanele Muholi, a proposito del furto subito da Muholi qualche mese fa, quando l'appartamento che condivide con la sua compagna Liesl Theron è stato devastato e l'intero archivio fotografico sottratto.

giovedì 15 marzo 2012

Sesso in cambio di un permesso di soggiorno : donne migranti, pornocrazia e questure

Circa tre anni fa pubblicavamo qui in Marginalia un articolo dal titolo Sorvegliare e stuprare. Vi si denunciava, e non per la prima volta, l'uso in termini di emergenza sicuritaria e di "caccia allo straniero" della violenza sulle donne (italiane). Scrivevamo che l'aspetto più dirompente della grande manifestazione femminista e lesbica del novembre 2007 a Roma contro la violenza sulle donne era stata proprio quella di aver ribadito con forza la nostra volontà di non essere strumentalizzate per fomentare il cosiddetto scontro di civiltà e giustificare pratiche razziste e sessiste: la violenza contro le donne - dicevamo - non ha confini geografici, né di cultura o religione ma è l’espressione di un violento rapporto di potere esercitato dagli uomini (intesi non come categoria “naturale”, ma “sociale”) sulle donne. Era stato cruciale allora insistere sul fatto che la violenza sulle donne (italiane e non) avviene per la maggior parte "in famiglia" o tra le cosiddette "pareti domestiche" ed è esercitata, in primis , da mariti, amanti, padri, fratelli, conoscenti (molto spesso italianissimi). In Sorvegliare e stuprare però scrivevamo anche che insistere sulla denuncia delle violenze in ambito "familiare" rischiava di mettere in ombra altri "luoghi" (ambienti di lavoro, canoniche, ospedali, questure, galere ...) in cui le donne subiscono quotidianamente stupri, molestie e ricatti sessuali e di come - tra queste diverse "quattro mura" - fossero le donne migranti ad essere i soggetti più ricattabili grazie anche al cosiddetto "pacchetto sicurezza" che creava il terreno favorevole per soprusi e ricatti di ogni tipo. Raramente, scrivevamo, "queste vicende sono (o possono essere) denunciate e quando lo sono non guadagnano l'onore della cronaca ufficiale. Non ci è dato sapere quante 'badanti' moldave o ucraine sono oggetto di pesanti molestie sessuali dai loro stagionati datori di lavoro, quante donne migranti subiscono ricatti sessuali - in cambio di un aiuto per ottenere il permesso di soggiorno -, dal prete o dal poliziotto di turno. Non ci è dato sapere soprattutto delle tante violenze subite dalle donne migranti tra le quattro mura di un Cie". E ricordavamo alcuni episodi, come il tentativo di stupro ai danni di una donna nigeriana da parte dell'ispettore-capo del Cie di via Corelli a Milano o la vicenda che proprio in quei giorni aveva coinvolto il direttore del carcere di Genova, accusato di aver ripetutamente molestato e costretto a rapporti sessuali una detenuta di origini marocchine. Oggi, a distanza di tre anni (che ci sembrano secoli) leggiamo su Zic di un poliziotto - assistente capo dell'ufficio immigrazione della questura di Bologna - che ha costretto un numero imprecisato di donne migranti a rapporti sessuali con la minaccia che, se non avessero accettato, la pratica per il loro permesso di soggiorno sarebbe rimasta "sepolta" a tempo indefinito. Ci chiediamo perché questo ed altri episodi simili non ricevano la stessa attenzione (e denuncia) di cui è stata oggetto, ad esempio, la pornocrazia berlusconiana. Forse ciò non offende la "dignità delle donne italiane"?

venerdì 25 novembre 2011

Violenza sulle donne / Appello per Adama: una storia, molte violenze

In occasione del 25 novembre le iniziative di denuncia delle violenze contro le donne si moltiplicano, ottenendo un'effimera - quanto inutile - visibilità anche su quei mezzi di informazione ordinariamente silenziosi su queste questioni (tranne, beninteso, quando la "notizia" può essere proficuamente strumentalizzata e messa al servizio di politiche razziste e sessiste, sicuritarie e di controllo). Per questo, forse, avremmo evitato in questa giornata di scriverne se non ci fosse giunto da Paola Rudan - che ringraziamo - l'invito a far circolare l'appello di Migranda / Trama di Terre per Adama, donna migrante rinchiusa da fine agosto nel CIE di Bologna: aveva chiamato i carabinieri di Forlì dopo essere stata derubata, picchiata, stuprata e ferita alla gola con un coltello dal suo ex-compagno. L’unica risposta che Adama ha ricevuto è stata la detenzione nel buco nero di un centro di identificazione e di espulsione nel quale potrebbe restare ancora per mesi. E la storia di Adama non è una storia isolata: il 13 dicembre, a Bruxelles, si svolgerà un convegno internazionale del Picum - un organismo che si occupa di migranti "senza documenti"* - sulla situazione difficilissima vissuta dalle donne migranti considerate "clandestine" in Europa. Chi mi ha inoltrato l'appello per Adama scrive qualcosa che condivido pienamente: "Non vogliamo essere le rappresentanti o le tutrici di una vittima, ma l'amplificatore di una donna che sta lottando e che non ha altro modo di far sentire la sua voce". Vi invitiamo dunque a firmare e far circolare l'appello che trovate nel sito di Migranda, affinché Adama possa "riprendere in mano la propria vita" e noi tutte la nostra.

* Che significa: senza documenti giudicati validi nella Fortezza Europa.

martedì 20 settembre 2011

Un troussage de domestique da Violette and Co

Segnalazione per chi al momento è parigina/o (o può esserlo per qualche giorno): il 23 settembre da Violette and Co (detto en pasaant, una delle nostre librerie preferite) presentazione di Un troussage de domestique, il volume (di cui vi avevamo già preannunciato l'uscita), incentrato sulla vicenda che ha visto coinvolto Dominique Strauss-Kahn, lo stupratore di classe. Edito dalle Editions Syllepse e coordinato da Christine Delphy, il volume (con saggi tra le altre di Rokhaya Diallo, Joan W. Scott, Mademoiselle e Les TumulTueuses), non è un libro sulla vicenda giudiziaria di Strauss-Khan, sulla sua innocenza o colpevolezza, ma piuttosto una spietata critica dei propositi violentemente sessisti e razzisti e dell'arroganza di classe di tutti coloro che, ergendosi a difesa dell'ex direttore del Fondo monetario internazionale, hanno difeso con denti e unghie anche i propri "privilegi".

domenica 17 luglio 2011

Lo stupro Strauss-Kahn ? Solo "un troussage de domestique"

Mentre, sostenuti da stampa ed élites politiche, gli avvocati della difesa dello stupratore di classe Dominique Strauss Kahn, tentano di distruggere la credibilità della vittima, è di imminente uscita (settembre), un libro dal titolo Un troussage de domestique. Pubblicato dalle Editions Syllepse e curato da Christine Delphy ((che ringraziamo per l'anticipazione), il volume raccoglie alcuni dei saggi scritti da femministe in Francia nelle settimane immediatamente seguenti l'annuncio dello stupro commesso da Strauss-Kahn in un albergo di New York. Il titolo, Un troussage de domestique, riprende l'espressione usata in una trasmissione radio da Jean-François Kahn, ex direttore del settimanale Marianne . Intervistato da France Culture il giorno seguente l'arresto di Strauss-Kahn negli Stati Uniti, aveva infatti affermato che non si poteva parlare di stupro ma semmai "di una piccola imprudenza", di "un troussage de domestique". L'uso di questa espressione racchiude tutta la violenza sessista, razzista e di classe espressa dalla vicenda Strauss-Kahn. Troussage de domestique fa riferimento infatti ad una pratica in uso, perlomeno fino al secolo scorso, tra le classi cosiddette "agiate": era considerato "normale" e lecito che il "padrone" abusasse sessualmente della "servitù", anche perché le "cameriere" erano considerate in quanto plebaglia donne dai cosiddetti facili costumi. Usando questa espressione come titolo, Christine Delphy, sintetizza efficacemente quello che è lo scopo del volume: non un libro sulla vicenda giudiziaria di Strauss-Khan, sulla sua innocenza o colpevolezza, ma una spietata critica dei propositi profondamente sessisti e dell'arroganza di classe di un mondo che, ergendosi a difesa dell'ex direttore del Fondo monetario internazionale, difende con denti e unghie anche i propri "privilegi".

martedì 7 giugno 2011

Interferenze sulle stupro

Approfittiamo dell'apertura a New York del processo per stupro all'ex direttore generale del Fmi Dominique Strauss-Kahn (lo "stupratore di classe", accolto fuori dal tribunale dalle proteste di centinaia di donne, in maggioranza lavoratrici nere e/o immigrate) per segnalarvi la trasmissione Interferenze condotta su Radio Blackout da alcune compagne del laboratorio Sguardi Sui Generis. La trasmissione - alla quale siamo state felici di partecipare domenica scorsa proprio a proposito del "caso DSK" - va in onda tutte le domeniche pomeriggio, dalle 16 alle 17. Scusateci ma non siamo riuscite a trovare nel sito il palinsesto della prossima puntata, comunque sintonizzatevi su Radio Blackout - 105.250 fm. Buon ascolto.

lunedì 23 maggio 2011

Stupratore di classe (e di razza)

Dieci giorni fa Dominique Strauss-Kahn, direttore generale del Fondo monetario internazionale, è stato arrestato per aver aggredito e stuprato, in un lussuoso albergo newyorkese, una giovane inserviente afro-americana. In molte, in Italia e altrove, si sono giustamente indignate di come la stampa e personaggi politici/pubblici hanno fatto sfoggio, in questa occasione, di propositi misogini e sessisti atti a "difendere" il ricco e potente stupratore a scapito della vittima. Sexisme: ils se lâchent, les femmes trinquent, si intitola, in modo significativo, l'appello/manifestazione lanciato da diversi gruppi femministi francesi. Nella strenua difesa di Strauss-Khan in Italia brilla il quotidiano La Repubblica, con alcune vere e proprie perle di sessismo, e tra queste un video, segnalato da Femminismo a Sud, in cui, definendo una "barbarie" la foto di Strauss-Khan in manette, si descrive con sofferta partecipazione "il volto di Dominique Strauss-Kahn arrestato, il pensiero costretto su quelle immagini da criminale del cinema ma con la forza dell'uomo potente che torna a sentirsi un fuoriclasse, quasi un supereroe". Insomma, uno stupratore di classe, che certo merita dalla stampa trattamento diverso dagli immigrati-stupratori per le cui foto sbattute in prima pagina La Repubblica (e tanti altri) non ha mai versato una lacrima. C'è chi (Gennaro Carotenuto nel suo sito) sul caso Strauss-Khan scrive: "Accusare il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn, di aver stuprato una cameriera in un albergo di Nuova York, corrisponde all’Al Capone arrestato per evasione fiscale o è come se Hitler fosse stato condannato dopo l’olocausto solo per aver dato uno schiaffo al bambino della foto del Ghetto di Varsavia. Francamente me ne infischio se Strauss-Kahn sia colpevole o innocente dello stupro per il quale è stato arrestato. Quello che so è che è a capo di un’organizzazione criminale, il Fondo Monetario Internazionale, che nell’ultimo mezzo secolo ha sodomizzato la vita di centinaia di milioni di persone nel sud del mondo, depredato intere nazioni ed è responsabile della carestia indotta che ha portato alla morte per fame di centinaia di migliaia di bambini in America latina, Africa, Asia.Che il capo di una tale associazione mafiosa si sentisse in diritto di stuprare anche fisicamente le sue vittime non può sorprenderci". Capiamo la "logica" di un simile commento, ma non possiamo condividerne il contenuto (e le improbabili analogie con le tasse di Al Capone o con un Hitler schiaffeggiante bambini nel ghetto di Varsavia). Il punto non è sorprendersi. Non ci sorprendiamo di quanto avvenuto,  ma certo siamo troppo avvezze a ragionare sulle relazione tra diversi sistemi di dominio per stilare fuorvianti "classifiche" dei crimini e discutibili equivalenze tra schiaffi e stupri. E non ci sfugge il legame tra certe retoriche (e politiche) neocoloniali (che continuano a vedere nei paesi del sud del mondo terre vergini da scoprire, penetrare, possedere e sfruttare) e lo stupro di una donna, per giunta nera e povera.

sabato 9 ottobre 2010

Sarah e le pari opportunità



Mentre oggi si terranno i funerali di Sarah Scazzi (la ragazzina di 15 anni strangolata e poi violentata dallo zio, il cui cadavere è stato ritrovato solo dopo più di un mese in un pozzo, ricoperto di pietre), ancora nessuna dichiarazione della ministra delle Pari Opportunità Mara Carfagna. Eppure, neanche una settimana fa, poche ore dopo la notizia dell' omicidio della migrante di origini pakistane Begm Shnez da parte del marito, aveva annunciato di volersi costituire parte civile al processo contro quest'ultimo. Notizia riportata con grande enfasi dai maggiori organi d'informazione. Sono questi i "privilegi" di cui godono i/le migranti nel nostro paese.
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L'immagine è un'opera dell'artista Jenny Holzer, qui in Marginalia via Gli occhi di Blimunda.

martedì 5 ottobre 2010

Matrimoni combinati tra sessismo e razzismo

Relegato generalmente in scarni trafiletti, il quotidiano bollettino di guerra di femminicidi e varie violenze che si consumano in Italia ai danni di donne e bambine, scatena l'attenzione dei media e i commenti del politico di turno, quando la nazionalità dell'omicida e/o stupratore si presta ad essere usata strumentalmente per legittimare la politica securitaria e xenofoba che oramai caratterizza questo paese. Nonostante la nostra scarsa propensione alla "cronaca" abbiamo denunciato tante (troppe) volte questo meccanismo negli ultimi anni (e per non crivellare queste poche righe di link rinviamo agli articoli correlati in coda), e non avremmo voluto scrivere dell'ennesimo omicidio di una donna, presto immortalata sull'altare del sistema sessismo / razzismo. Lei, come si legge in svariati quotidiani, si chiamava Begm Shnez, quarantasei anni, pakistana, viveva a Modena. E' stata uccisa a sassate dal marito, Hamad Khan Butt, mentre difendeva la figlia ventenne - presa a sprangate dal fratello - che non voleva cedere al ditakt paterno del "matrimonio combinato". Abbiamo letto ieri con sgomento un articolo di Giuliana Sgrena su questa vicenda, articolo pubblicato su il manifesto, nella sua rubrica La maschera dell'islamismo. Perché collegare questo orrendo femminicidio (frutto come tantissimi altri della violenta autorità paterna/patriarcale) a l'Islam (o con la sua versione "islamista") quando in realtà la pratica dei "matrimoni combinati" è frutto di un retaggio culturale (violentemente riattivato dal processo di sradicamento migratorio) non immediatamente riconducibile ad una religione o un'altra? Perché "etnicizzarlo" collegandolo agli omicidi di Hina Saleem e Sanaa Dafani (e solo a quelli)? Perché scrivere che anche il suicidio avvenuto qualche settimana fa in provincia di Cremona di una ragazza di origini indiane era dovuto al timore di un "matrimonio combinato", quando invece sembra che quello che questa ragazza temeva era di essere espulsa grazie alla Bossi-Fini perché senza lavoro? E perché infine la ministra delle cosiddette Pari Opportunità, Mara Carfagna, chiede di costituirsi parte civile nel processo contro Hamad Khan Butt mentre è restata muta in tante altre occasioni, quando i massacratori erano uomini di nazionalità italiana, magari mariti di donne che il "matrimonio per amore" non ha ugualmente risparmiato?

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Hina Saleem e la religione dei padri
Per Sanaa Dafani
Ricordando Hina Saleem. E le altre
L'uomo bianco stupra, lo stato bianco assolve
Economia politică a violului
Interruzioni involontarie di gravidanza
Economia politica dello stupro
No Trespassing
Sessismo e razzismo: informazione e deformazione
Violenza sulle donne e razzismo

venerdì 1 ottobre 2010

Teresa Buonocore e il silenzio sui femminicidi nostrani

Per Sakineh appelli e gigantografie con la sua foto sulle facciate di palazzi (con rappresentanti delle istituzioni davanti in posa), invece per Teresa Buonocore ( la donna uccisa il venti settembre da due sicari su ordine dell'uomo che aveva stuprato la sua bambina e che lei aveva fatto finire in galera), il solito silenzio. Addirittura in un primo tempo le avevano dato della camorrista, a lei che si era opposta a un potere oltre che patriarcale anche mafioso. Ancora una volta sono le donne a rompere questo silenzio: fiaccolata per Teresa oggi a Portici (e in contemporanea a Bologna), per dire no al femminicidio, il nostro, non solo quello d'altrove.

sabato 25 settembre 2010

Per Faith, condannata a morte dallo stato italiano

Avevamo già parlato di Faith e del silenzio che gli organi di stampa nazionali hanno contribuito a far calare intorno al suo caso, probabilmente perché la vicenda è troppo imbarazzante per una nazione che si vuole "democratica" e garante dei "diritti delle donne". Più facile lanciare appelli per Sakineh e parlare della "barbarie" degli altri piuttosto che della nostra. Ora, un nuovo appello per Faith, che riceviamo da Amazora, ci offre l'occasione per parlarne ancora una volta e raccontare i "fatti" per quante/i li ignorano. Faith fugge dal suo paese, la Nigeria, nel 2007. Durante un tentativo di stupro da parte del suo datore di lavoro - appartenente a una delle più ricche e influenti famiglie dello stato -, Faith (che all'epoca non aveva ancora vent'anni), lo uccide. Quando, su cauzione, viene rilasciata dal carcere, decide di fuggire in Italia senza attendere il processo: l'ordinamento del suo paese non prevede l'attenuante della legittima difesa e rischia dunque (anche per le pressioni della famiglia del suo datore di lavoro/stupratore) di essere sicuramente condannata a morte. In Italia Faith spera di rifarsi una vita e invece, dopo tre anni, non riesce ad ottenere neanche il permesso di soggiorno. Così questa estate, quando le sue urla durante un nuovo tentativo di stupro fanno giungere una volante nella casa di Bologna dove abita, quello che attende Faith è dapprima il Cie di via Mattei e poi, il 20 luglio, nonostante la richiesta d'asilo presentata dal suo avvocato, il rimpatrio forzato in Nigeria dove attualmente è detenuta in attesa della condanna a morte per impiccagione. Solerti funzionari/burocrati fanno notare che il rimpatrio di Faith era inevitabile poiché su di lei gravavano già due decreti di espulsione. Ma il punto (sottolineato tra le/gli altre/i da Shukri Said, in uno dei primi appelli per Faith scritto qualche giorno dopo il suo rimpatrio), è che Faith non doveva/poteva essere espulsa. L'art. 19, comma 2°, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000) dice infatti: “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti.”. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea vincola in maniera irrevocabile tutti gli stati della comunità al suo rispetto. Come se non bastasse, nel caso dell'Italia, questo vincolo è rafforzato dall'art. 2 della Costituzione, che impone la Repubblica all'osservanza dei diritti inviolabili dell'uomo e dall'art. 10 che impegna l'ordinamento a conformarsi alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. Nel caso di Faith dunque, come scrive ancora Said, "L'Italia è riuscita a violare la sua Costituzione e una Carta europea". Inoltre, come veniva sottolineato in un altro appello, il provvedimento di espulsione che ha riportato in Nigeria Faith "equivale ad una sentenza esecutiva di messa a morte". O, per dirla in altri termini, dimostra ancora una volta che il pacchetto sicurezza uccide. Come se non bastasse la vicenda di Faith apre "un pericoloso precedente", potendo divenire un deterrente a ribellarsi a violenze subite per tutte quelle donne migranti in condizione di "clandestinità" . Non male per uno stato "democratico" e difensore dei "diritti delle donne"! E' fondamentale ora, tentare di rompere il silenzio dei media nazionali/mainstream (che finora - tranne rare eccezioni - hanno taciuto a differenza di organi di informazione di altri paesi come lo spagnolo El Paìs) e non allentare la pressione sulle autorità, affinché Faith possa rientrare in Italia e ottenere l'asilo che gli spetta o comunque tutta l'assistenza e la protezione di cui avrà bisogno, poiché dopo essere sfuggita alla pena capitale dovrà sfuggire anche a probabili forme di persecuzione .