Qualche giorno prima della Giornata della memoria qualcuno [1] nella rete ha chiesto ad altri/e bloggers di indicare un libro sulla Shoah. A loro volta coloro che sono stati/e interpellati/e hanno posto la medesima domanda ad altri/e bloggers, in una sorta di "catena della (o per) la memoria". Sono stata coinvolta anch'io da Falecius, ma mi sono presa il tempo di "pensarci", senza farmi mettere fretta dalla scadenza imminente. In un commento a caldo indicavo, anziché un libro, un film: è Shoah di Claude Lanzmann.
Finalmente stasera un po' di tempo per Marginalia. Con il post "già scritto nella testa", mi sono collegata per digitarlo e postarlo. Cercando un link ho cominciato a seguire a ritroso la "catena della memoria" : da un blog/sito all'altro, attraverso libri, immagini, nomi. Ho deciso, infine, di buttare via quello che avevo pensato di scrivere. Tento invece di compilare (aggregando insieme alcune delle risposte che altri/e hanno dato alla domanda iniziale, cose pubblicate in rete in occasione di questa ed altre Giornate della memoria e alcuni dei volumi che mi circondano mentre scrivo) una sorta di "biblioteca della memoria". Non è una "bibliografia", ma per ora solo un insieme disordinato di titoli e suggestioni (talora discordanti e/o non condivisibili), che potrà forse (da qui a un anno) essere ordinato, ampliato, discusso. Per intanto, anche se la mia ricerca in rete non è stata esaustiva (non ne ho proprio il tempo), mi è sembrato comunque interessante cominciare a vedere cosa (e come) si legge intorno alla "memoria, le riflessioni che questi testi suscitano, e quelle che (eventualmente) questo post susciterà.
Il primo libro che voglio citare è Se questo è un uomo di Primo Levi. Sembrerà sicuramente "banale" come scelta. E' un libro, infatti, citatissimo e così noto che sembra quasi superfluo ricordarlo, eppure a volte ho il sospetto che sia citato senza essere neanche letto, almeno a leggerne certi usi [2]. E invece, è proprio partendo da una frase di Primo Levi: "E' successo, vuol dire che può succedere ancora", che chi mi ha passato il "testimone" ribadisce l'importanza di ricordare "l'orrore della Sho'ah", poiché "il Male Assoluto è sempre una possibilità dell'umano, e contro questo orrore occorre essere vigili"[3].
Ma il libro che propone infine Falecius è Il settimo milione di Tom Segev, giornalista e storico israeliano. Non un libro sul genocidio nazista ma un libro che "fa la storia della memoria della Sho'ah in Israele, e mostra come questa memoria abbia condizionato in maniera decisiva la storia d'Israele, e la percezione che gli israeliani hanno del proprio stato, ma in modi diversi e complessi, che forse non sospetteremmo".
In molti/e avvertono il pericolo che porre troppa "enfasi" "sulla memoria della Shoah [...] possa diventare un modo per renderla il più possibile inoffensiva", come scrive The Rat Race. Se non vogliamo "tradirla" questa memoria "deve restare *intollerabile*. Dev'essere qualcosa a cui si vorrebbe sfuggire — che si vorrebbe non aver presente — e che ci si costringe a tenere davanti agli occhi. Percio' niente letture confortanti, niente biblioteche virtuose, che ci facciano sentire meglio perche' assolviamo al compito nobile di non dimenticare. Eppure — abbiamo soltanto le parole — per non lasciare che la Shoah venga cancellata. E allora propongo gli autori forse piu' inconciliati con la realta' — quelli che meno di tutti hanno cercato di estrarre un qualche *senso* dalla Shoah". E sono due poeti, Paul Celan e Dan Pagis.
Nel sito Ribat al mujahid, ritrovo ancora Shoah di Lanzmann insieme a due libri, Israele e la Shoah di Idith Zertal e Uomini comuni di Christopher R. Browning, una trilogia che dovrebbe contribuire al difficile compito di "agire" la conservazione della memoria: "Il trauma della tragedia deve invocare un'autocritica incessante, essendo qualcosa che incessantemente ci riguarda. Il senso della memoria è la sua attualità, la responsabilità che quotidianamente ci delega, c'addossa, c'affida".
Anche Khadija, nel denunciare la "retorica della memoria" che ci vede tutti/e pronti a "piangere sul latte versato e a promettere 'mai più', ma assolutamente ciechi di fronte a quello che sta succedendo ancora, e ancora e ancora", ci riporta a questa responsabilità verso il presente. Il libro che propone è Terrore e miseria del Terzo Reich di Bertolt Brecht, invitando insieme a firmare la petizione [4] per Abou Elkassim Britel :"Io preferisco denunciare quello che mi succede sotto il naso e non posso tollerare che ci si sgoli così tanto tutti insieme per 'ricordare', mentre di fronte agli orrori reali ci comportiamo esattamente come i personaggi di Brecht. Meno di mille adesioni per una campagna a sostegno dei diritti umani che ha fatto, ormai, il giro del web. E questo succede oggi e succede oggi perché oggi come allora la gente ha paura di mettersi dalla parte degli ebrei, degli zingari, degli omosessuali e degli oppositori politici del Terzo Reich".
Rosa propone invece Intellettuale ad Auschwitz di Jean Amery: "Hans Mayer, austriaco di padre ebreo e madre cristiana, nato e vissuto senza alcun rapporto con la sua origine ebraica, viene deportato ad Auschwitz e diventa ebreo suo malgrado. Un ebreo - come si definisce - senza Dio, senza storia, e senza speranza messianica nazionale. Tradito e abbandonato dalla cultura che lo ha nutrito e gli ha dato una identità, a guerra finita rinuncia al suo nome tedesco, diventa Jean Amery e descrive la sua esperienza di deprivazione identitaria in Intellettuale ad Auschwitz [...] Ma la perdita di se' non è recuperabile, e Jean Amery muore suicida. Scelgo questa esperienza estrema e disperata perché Amery è mio fratello, perchè io stessa mi sento ebrea per condizione più che per scelta e nel contempo, grazie anche a lui, sono persuasa che sia non solo possibile ma necessario coltivare una identità ebraica pur essendo lontani dalla religione e dalla tradizione. E scelgo Amery perchè mi pare spazzi via a suo modo qualsiasi tentativo di "normalizzare" il crimine ideologico nazista, qualsiasi tentativo di dare senso. Quel crimine - ne sono convinta - è peculiare, speciale e diverso dai molti crimini che hanno fatto la storia e continuano a plasmarla".
Per finire propongo qualche testo in ordine sparso:
Nessuno/a mi sembra abbia accennato alla questione del negazionismo/revisionismo. Lo faccio io con Nadine Fresco, Fabrication d'un antisémite, un libro sul padre fondatore del negazionismo, Paul Rassinier. Nessuna traduzione italiana, ma rinvio a questa recensione in Incidenze.
Ancora un film di Claude Lanzmann, Un vivant qui passe. Auschwitz 1943-Theresienstadt 1944. E' possibile leggerne il testo, in italiano, in un volumetto (con una postfazione di Federica Sossi) di Cronopio, 2003. Una riflessione sulla "cecità", sul "non vedere" (ieri, oggi).
Non poteva mancare un libro che affronti la questione in una prospettiva di "genere". Non è l'ennesimo volume su "le donne e l'olocausto", ma un testo che interroga criticamente le analisi femministe del nazismo: Liliane Kandel (a cura di), Féminismes et nazisme. Anche in questo caso nessuna traduzione italiana, ma rinvio alla mia recensione qui.
Nell'imminenza di No Vat, mi sembra il caso di ricordare il ruolo del Vaticano nel genocidio nazista. Lo faccio con L'arcivescovo del genocidio di Marco Aurelio Rivelli. Questo libro ripercorre le vicende dello Stato indipendente di Croazia, voluto dai nazifascisti negli anni 1941-1945. Qui gli ustascia di Ante Pavelic, sostenuti da Hitler e da Mussolini, sterminarono centinaia di migliaia di serbo-ortodossi, ebrei e rom, in nome di una "soluzione finale" etnico-religiosa perseguita anche attraverso l'imposizione di "conversioni" di massa al cattolicesimo. In questo sterminio un ruolo decisivo lo ebbe l'arcivescovo di Zagabria, Alojzije Stepinac con l'avvallo decisivo del Vaticano. Nell'ottobre del 1998, Stepinac (definito dal dittatore Franjo Tudjman "martire del regime comunista) viene beatificato dal papa Giovanni Paolo II.
Sullo sterminio nazista di omosessuali e lesbiche rinvio al dossier pubblicato in Fuoricampo Lesbian Group.
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[2] Ad esempio ai tempi dello "scandalo" delle torture inflitte ai prigionieri di Abu Ghraib da parte (anche) di alcune soldatesse Usa, sono stati pubblicati ben due articoli intitolati "Se questa è una donna" che richiamavano il titolo del libro di Levi ma "rovesciandolo": non solo introducendo una connotazione di genere, ma ribaltando il soggetto, non più la vittima ma il carnefice. I due articoli possono essere letti nel dossier Dibattito sulle donne kapò (Qui dovrei aprire una lunga riflessione sull'uso di metafore che rinviano al nazismo, ma per intanto rinvio ai cenni alla questione nella mia recensione a Féminismes et nazisme ricordata in questo post).
[3] Sovente, nei brani che cito da altri blog/siti vengono usati (spesso indifferentemente) i termini "Olocausto" e "Shoah". In realtà non sono equivalenti o intercambiabili, mancando nel secondo termine il significato di punizione divina presente nel primo. Storicamente l'uso di Shoah ha preso forza a partire dal titolo del film di Lanzmann uscito nel 1985, che si proponeva esplicitamente di contestare il termine "olocausto" e la retorica che gli è associata. Personalmente, comunque, ricorro sovente al termine di genocidio o sterminio nazista ( di ebrei, "zingari" - rom e sinti -, omosessuali e lesbiche e altri esseri umani considerati "inferiori").
[4] Ho già da tempo firmato e segnalato nella rubrica Urgenze la raccolta firme per Kassim. In effetti, il numero relativamente basso delle firme, colpisce. E se provassimo a chiederci perché?
4 commenti:
Ottimo post. Grazie.
Preciso che non sono sicuro dell'esattezza della mia citazione di Levi, anche se sono sicuro del senso.
Dopo la tua mail ho fatto un post per la petizione per Kassim che ho postato in Ok notizie. Solo sette voti e quindi nel migliore dei casi sette firme. Oggi ho rilanciato ma mi sembra che la cosa passi nell'indifferenza quasi generale. Io ho sempre sostenuto che le petizioni lasciano il tempo che trovano, però questa cosa, come dici tu, colpisce,
Franci
Per Falecius:
grazie a te. In un certo senso ho interrotto la "catena", poiché non ho "rilanciato" a nessuno/a. Ma l'invito a discutere (continuare a discutere) intorno a queste questioni (in maniera meno "estemporanea") a partire da quanto circolato in rete, è rivolto a tutti/e.
Per Luna:
grazie a voi del grande e bel lavoro che avete fatto! Spero di riuscire a rivederlo presto su grande (grandissimo) schermo :-)))
Per Franci:
Non è indifferenza. Forse peggio. Ma il risultato è lo stesso.
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