sabato 29 dicembre 2012

Cie / Il Serraino Vulpitta esiste ancora

Non ci meravigliamo (è una delle lezioni di Benjamin) che il Serraino Vulpitta - qualcuno lo ha definito la madre di tutti i Cie - esista ancora, nonostante la terribile strage del dicembre 1999, quando i Cie si chiamavano ancora Cpt. Altri ne hanno costruito dopo e altri ne costruiranno. No, non ci meravigliamo, però c'è tanta rabbia e ci ostiniamo a ricordare

venerdì 21 dicembre 2012

Marginalia Off

Per un po' saremo off line, non allarmatevi come altre volte, tutto più o meno bene, solo un po' tanta stanchezza, la voglia di chiudere un po' la baracca e fare un piccolo viaggio durante il quale avrò credo poche possibilità (ma anche voglia) di connettermi. Profezia Maya permettendo ci risentiamo - credo - nel 2013

La Cosa Queer

Questa sera all'interno del ciclo Queer it yourself organizzato da Kespazio! Per una ricerca queer e postcoloniale presso il Caffé Letterario della Casa Internazionale delle Donne (via della Lungara, 19 - Roma), incontro con Elisa A.G. Arfini e Cristian Lo Iacono a partire dal volume Canone inverso. Antologia di teoria queer (a cura di Elisa A.G. Arfini e Cristian Lo Iacono, ETS, 2012). Una di quelle serate alle quali mi dispiace proprio non poterci essere ...

giovedì 20 dicembre 2012

Il concetto di intersezionalità / Femminismo, addio ai comparti stagni

Nell'attesa di aggiornarvi sulle nuove date del tour di Femministe a parole, segnaliamo intanto un articolo di Stefania Prandi, pubblicato qualche giorno fa su Il Fatto Quotidiano. A partire dal concetto di intersezionalità e da una panoramica sulla sua recente diffusione in Italia, l'articolo si sofferma anche su Femminismo a parole intervistando Sabrina Marchetti co-curatrice del volume. Potete leggere l'articolo nella rassegna stampa della casa editrice: Femminismo, addio ai comparti stagni

Zapruder / Una rivista sotto l'albero

Come già con Autoportrait di Carla Lonzi - ma potrei estendere a tante delle cose segnalate qui negli ultimi mesi, ad esempio 1, 2, 3 ... -, rilancio una sorta di rubrica dei buoni consigli per utili regali di Natale/fine anno (sempre che ovviamente siate di quelle/i che non riescono per un motivo o per l'altro a rinunciarci e che abbiate ancora qualche euro superstite per farlo ...). Un'idea carina, diversa dal solito ed anche economica potrebbe essere quella di regalare un abbonamento a Zapruder, la rivista di storia della conflittualità sociale edita dall'associazione Storie in movimento. Su richiesta è possibile anche allegare, alla prima copia spedita, un biglietto d'auguri fornito da chi regala. Oppure potete farvi un auto-regalo diventando socia/o di Sim, contribuendo in questo modo a sostenere  un progetto interamente autofinanziato dal quale  coloro che ci lavorano non traggono alcun profitto se non uno spazio di espressione autonoma. Per ulteriori info potete visitare il sito di Sim /Zapruder o scrivere a info at storieinmovimento.org (dove "at" sta ovviamente per "@", che dovete sostituire nell'indirizzo quando inviate. Usiamo la formula con "at" quando pubblichiamo un indirizzo mail qui nel blog, onde rendere la vita più difficile a chi invia spam in automatico. Ci scusiamo con chi ritiene questa spiegazione superflua ma ci è capitato spesso di ricevere mail da parte di "utenti" che lamentavano che indirizzi mail segnalati in Marginalia non funzionavano ... )

mercoledì 19 dicembre 2012

Colonialismo / Guerra, deportazione e campi durante l’impero fascista in Etiopia

Stavo cercando le corna e la coda, ma non le avevano, è il titolo del documentario di Roman Herzog prodotto da Audiodoc all'interno di un più ampio progetto di ricerca, I campi fascisti dalle guerre in Africa alla Repubblica di Salò, avviato nel novembre 2011 e che intende realizzare un centro di documentazione con la mappatura completa delle centinaia di diversi campi e luoghi di internamento fascisti attraverso la raccolta delle testimonianze di superstiti ex internati, di documenti storici e di fotografie. In questo contesto Stavo cercando le corna e la coda, ma non le avevano è la prima ricostruzione storica dei crimini commessi da civili, militari e squadristi italiani in Etiopia durante il fascismo in formato di documentario. Registrato in Etiopia, Germania e Italia, il documentario ricostruisce con testimonianze orali e documenti la storia della guerra e dell'occupazione italiana dell' Etiopia ed è diviso in tre parti: la prima affronta il tema della guerra e dei crimini commessi, la seconda l'internamento degli etiopi in Africa Orientale e la terza la deportazione degli intellettuali etiopi in Italia e gli avvenimenti del dopoguerra. A parlare sono soprattutto gli ex-deportati etiopi Yeweinshet Beshah-Woured e Imru Zelleke, e storici da cinque diversi paesi, fra di loro Angelo Del Boca, Aram Mattioli, Richard Pankhurst e Wolfgang Schieder. Ne esce un discorso corale e drammatico, fedele ai fatti storici indagati, asciutto nella narrazione, di 210 minuti. Con l'attacco all'Etiopia, il 3 ottobre 1935, il regime fascista italiano diede inizio alla prima guerra fascista d'aggressione da parte di un paese europeo. Dopo sette mesi di ostilità e la proclamazione dell'Impero, ebbero inizio cinque anni di una sistematica politica di terrore e di pulizia etnica, nel tentativo di creare nel paese occupato uno spazio vitale per gli italiani. Il bilancio dell'occupazione è pesantissimo, con un numero complessivo di oltre 400.000 vittime. Nessuno dei 911 italiani accusati di crimini contro l'umanità ha mai risposto davanti a un tribunale

Donne in movimento / Il femminismo a Genova negli anni 70

Oramai quasi un anno fa avevo segnalato il video-documentario Donne in movimento. Il femminismo degli anni 70 a Genova, girato da Gianfranco Pancrazio e sceneggiato a partire dalle ricerche storiche di Anna Frisone. Solo qualche settimana dopo la mia segnalazione avevo ricevuto copia del video da Paola De Ferrari di Archivagando (grazie ancora!) e mi ero dunque ripromessa di tornare a parlarne, dopo averlo visto. Lo faccio solo ora, dopo mesi (non tento giustificazioni, posso solo dire che il tempo per me passa sempre troppo velocemente per riuscire a farci stare tutto quello che vorrei ...) e lo faccio con qualche riflessione sparsa e un (grande) punto interrogativo finale. Sicuramente di questo video - costruito alternando materiali d'epoca con interviste ad alcune delle femministe attive nel movimento genovese degli anni 70 -, c'era bisogno, in un contesto come quello italiano dove il femminismo di quegli anni è ancora "un tema marginale della ricerca storica, il luogo di un vuoto storiografico", come ricordavano qualche anno fa Teresa Bertilotti e Anna Scattigno nel volume Il femminismo degli anni 70. Dunque Donne in movimento è un documento prezioso, poiché racconta qualcosa di quegli anni attraverso la viva voce di alcune delle sue protagoniste che, come si legge nella quarta di copertina del dvd, "raccontano, in testimonianze individuali e di gruppo, idee, scoperte, conflitti, conquiste, discontinuità e legami con il passato e con il presente". Certo una storia parziale, che non può essere (e non mira ad essere) rappresentativa di tutte le espressioni (e passioni) femministe che si sono espresse a Genova in quegli anni. Ma piuttosto l'aspetto che mi pone qualche problema (o dove mi sembra di intravedere un grosso, e pericoloso, limite) è laddove si tenta di mettere in luce quelle "discontinuità e legami con il passato e con il presente", evocate più in alto. Tentativo a mio avviso non riuscito. Ad esempio la scelta di inserire nel finale del documentario alcune immagini della manifestazione del 13 febbraio 2011 promossa dal comitato Se non ora quando - come a suggerire una "continuità" ideale - mi sembra (quanto meno) una forzatura. Anche ignorando il fatto che la manifestazione del 13 febbraio 2011 è stata variamente (e decisamente) contestata - personalmente ho già espresso all'epoca, come tante altre, la mia lontananza da un appello che invitava le "donne italiane" a mobilitarsi in nome della loro "dignità", della "decenza", della "religione" e della "nazione" - chiudere un video sul femminismo degli anni 70 con immagini della manifestazione di Snoq, suggerisce implicitamente che "nel mezzo" non c'è stato nulla, facendo tabula rasa di esperienze importanti della pratica femminista italiana degli ultimi anni, come la grande manifestazione del novembre 2007, che ha posto nodi centrali. Perché dunque questo salto a piè pari?

lunedì 17 dicembre 2012

Carla Lonzi / Autoportrait

Di imminente uscita per JRP / Ringier, la traduzione francese di Autoritratto di Carla Lonzi (1969), con un'introduzione di Giovanna Zapperi di cui potete leggere un estratto qui: Entre critique d'art et féminisme radical. Se siete di quelle/i che non riescono a rinunciare ai regali natalizi questa può essere un'idea ...

Frequenze di genere / Se vi dico femminismo

Ho conosciuto da poco alcune delle wonder-donne che animano Frequenze di genere, una trasmissione radio che va in onda tutti i sabato dalle 13 alle 14 su Radio Città Fujiko e dove, tra l'altro, in una delle puntate di fine gennaio 2013 sarà trasmessa un'intervista/chiacchierata su Femministe a parole (grazie!) Nell'attesa vi segnalo la rubrica Se vi dico femminismo, che riporta le risposte di ascoltatrici/tori alla domanda: “Se vi dico femminismo, cosa vi viene in mente?”. Da non perdere ...

sabato 15 dicembre 2012

Il corpo delle donne non esiste

Il corpo delle donne non esiste è il titolo della recensione di Cristina Morini al volume di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi, Lo schermo del potere (edito da Ombre Corte), di cui vi abbiamo parlato già in diverse circostanze negli ultimi mesi (1, 2, 3 ...). Buona lettura e riflessioni //  " Gilles Deleuze in una delle lezioni tenute a Vincennes, nel 1975, si sofferma a parlare del rapporto tra viso e potere, ovvero del ruolo e della funzione del viso all’interno degli apparati di potere. Un rapporto che, dice Deleuze, può essere letteralmente redditizio e pagante cosicché si farà in modo che vi sia “una produzione di viso” [Gilles Deleuze à Vincennes, n. 10 (sub. Ita), qui]. I poteri, ognuno a proprio modo, necessitano di produrre del viso. Il viso è manifesto, ritratto del potere nelle sue varie espressioni, molteplici e dinamiche: il viso del capo, il viso della diva, il viso della madre, compiutamente “pezzi nell’apparato di potere politico”. Stato, media e pubblicità, famiglia: ciascuno di questi poteri ha bisogno di produrre immagini, “pura ridondanza formale del significante che non potrebbe neppure venire pensata senza una sostanza di espressione particolare per la quale bisogna trovare un nome: viseità” (Gilles Deleuze e Felix Guattari, Millepiani, Capitalismo e schizofrenia, a cura di Massimiliano Guareschi, Castelvecchi, Roma, 2003, pag. 189). Così, il libro di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi,  Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità (ombre corte, Verona, 2012, pp. 123, € 13) ci butta proprio in mezzo, et voilà!. Catapultate nel cuore di uno dei problemi più appariscenti, interessanti e complessi della contemporaneità: immagini di corpi e visi di donna occhieggiano da tutte le parti, dalle pagine delle riviste o affisse sulle metropolitane e sui muri della città. Immagini che si rincorrono e si confondono sullo schermo televisivo, con ritmo assillante, simulacro degli inventati corpi a cui si ispirano. Nudi graficamente vuoti, neutri, piatti, imprecisati, e che fungono da substrato per le più diverse determinazioni. Iscrizione, nella cultura, del “corpo in quanto tale”, con i suoi volumi, i suoi muscoli, le sue curve, le sue durezze e le sue morbidezze. Derealizzazione che tuttavia esiste, che crea e impone “realtà” e si fa strada e giganteggia attraverso la progressiva dissociazione della nostra vita precaria da ogni corporeità sociale collettiva. Penetra attraverso la solitudine e le molteplici patologie da prestazione o da depressione generate dal nostro lavoro-vita, disperatamente frammentato dai nostri contratti “atipici”, sganciato da ogni obiettivo di sovversione, di lotta comune. Più la lotta scompare, più l’immagine si mostra e si anima. Il segno conclamato della forza contemporanea del biopotere e delle sue bandiere. Produzione di femminilità seriale.La rappresentazione mediatica produce la donna in una ripetizione stereotipata: «I media hanno svolto un ruolo determinate in questo processo, con la produzione di un femminile reificato che si intreccia con la fabbricazione di una posizione spettatoriale chiamata a identificarsi con quell’immagine di sé attraverso ambivalenti processi di oggettivazione e soggettivazione in cui le donne possono proiettare il proprio desiderio» (pag. 25). Stiamo parlando, con un certo corretto distacco, di quel corpo che dovremmo essere noi, che ci raccontano essere noi, imprigionato nel ruolo classico di oggetto erotico, espressione tipica del sessismo della televisione italiana e dell’apparato mediatico. Visuale essenzialmente pornografico, incentrato su un femminile ipersessualizzato che corrisponde perfettamente al fatto che da sempre, storicamente, «la donna è una figura essenzialmente visiva (…) Cioè la donna, come merce e immagine riproducibile, sta al centro (…) dell’economia capitalistica» (pag. 25). E così, è proprio nel compiersi dell’era bioeconomica che ci siamo ritrovate martellate non solo dal dover essere perenne dell’impostura meritocratica dell’era precaria ma contemporaneamente anche dalla proiezione immaginifica di questo nostro dover essere. Staremo bene e saremo belle, calandoci nel personaggio di una mistress del desiderio altrui. Non saremo mai vecchie e perciò saremo anche felici, pulite dentro e belle fuori, espellendo ogni traccia eversiva, con un piccolo suono argentino. Fuori le devianze sessuali, pigrizia (anche intestinale), obesità e punti neri. Fuori le differenze, anche intra-genere, aderiremo sempre più a un’ideologia uniformante, totalitaria e totalizzante che ci vuole donne tutte intere e tutte insieme, intese come un solo corpo che si muove massiccio, un’enorme Cosa rocciosa, con gli stessi identici bisogni, gli stessi desideri, pensieri, dubbi, indeformabile anche perché prova i medesimi brividi, le medesime “indignazioni”. Così si posiziona perfettamente il femminile all’interno dell’economia dei consumi. E così viene messo al lavoro davvero tutto di noi, corpo reale e immaginario, forza vitale e bios, il respiro e il sangue dell’esistenza biologica insieme alla cura di sé che cerca di rispondere alla sua proiezione immaginifica (un dover essere che diventa un voler essere). Aderire perciò, a 360 gradi, alla logica richiesta dall’«economia mercantile e desiderante, con immagini di corpi seriali e serializzati, intercambiabili come quelli prodotti nelle fabbriche« (pag. 25).Effettivamente, tale omogeneità del pensare-agire del corpo-mente delle donne non viene postulata per la categoria degli uomini, almeno non con la medesima intensità e convinzione: la libertà dell'individuo in quanto uomo ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione teorica dello stato civile, della vita civile, ne costituisce uno dei principi a priori. Viceversa, quando si parla di donne, le operazioni come quella di Lorella Zanardo, con il suo documentario Il corpo delle donne o di movimenti come Se non ora quando rischiano di fabbricare per le cittadine di sesso femminile un reale altrettanto uniformante, artificiale e tipico, ossessivo, oltre che inevitabilmente “esclusivo” - bianco, eterosessuale, borghese, sobrio, integrato, addomesticato (pag. 28). È anche in questo modo che si estende la complicanza ingombrante e singolare dell’immagine e della sua materialità, che vive vita propria in quanto “processo di significazione”, che Gribaldo e Zapperi affrontano con grande acutezza. Sottolineano infatti come la questione della rappresentazione deformata delle donne dei programmi televisivi bastati sul voyeurismo e feticizzazione, non possa essere risolta inventando il gruppo contrapposto delle donne vere (le lavoratrici, le madri, le casalinghe) che si battono con campagne, movimenti e partiti contro la “mercificazione del corpo femminile”, a difesa della propria dignità. Non è questa, evidentemente, la lotta comune della quale sentiamo il bisogno nell’oggi. Essa è, semmai, un debole fraintendimento, uno spettro o un’illusione di lotta. Ancora una volta, un’immagine. È un diversivo che si ritrova anch’esso iscritto nel medesimo dispositivo reazionario del quale stiamo parlando, un’altra volta, da capo. Una lotta condizionata, preconfezionata, stucchevole, che non dà fastidio alle strutture profonde del potere poiché di fatto ricade nell’indicazione di un’altra immagine, opposta e «supposta salvifica che tuttavia imprigiona anche essa la donna in un empasse dal quale sembra non esserci possibilità di fuga» (pag. 29). Altrettanto artificiale e non scelta, neutra, estranea, completamente codificata e “segnata” nell’universo delle norme sociali e dei rapporti di potere: il fantasma delle donne reali che riesuma il fantasma delle madri della patria che rievoca il fantasma di una battaglia. Incoerente con le contraddizioni tangibili, che pretende di fondere le donne dentro un’altrettanto umiliante nozione di «autenticità e di unità» (pag. 29). Così si normalizza il femminismo facendone un’opzione fondamentalmente culturale, priva di asperità eversive, di ruvidità antagoniste. Ecco che allora le autrici ci suggeriscono di sottrarci a questa logica binaria e dunque di chiederci: «che cosa vogliono quelle immagini da me?» (pag. 29). Perché in effetti, contrapporre immagini positive e negative «impedisce di formulare il problema in termini politicamente rilevanti, sui modi in cui la “donna” è investita di significato all’interno di discorsi ideologici o di pratiche di dominio prodotte attraverso le immagini» (pag. 30). Il punto è insomma innanzitutto capire che si tratta sempre di un immaginario dove si proietta il desiderio dell’altro ovvero «ciò che immaginiamo di essere per uno sguardo esterno introiettato. Ed è proprio attraverso quello sguardo che i desideri e gli affetti si intrecciano con le norme sociali e i rapporti di potere, in modi che sono spesso conflittuali per il soggetto stesso» (pag. 29). Il corpo e il viso delle donne come territorio di un regime significante, ovvero come riterritorializzazione interna di un sistema. Significante che è pura astrazione e che è puro principio e dunque in realtà non è né buono né cattivo, perché non è proprio nulla. Non esiste, o meglio, esiste la sua immagine che vive di vita propria e si autoalimenta e diventa tutto benché, a bene vedere, non sia proprio niente. Effetto Berlusconi.Per anni questo paese si è cimentato in una prova facile: combattere contro l’immagine del nemico attraverso l’immagine delle donne del nemico, quindi confermando l’idea della femmina-immagine-simbolo del sistema. Il ventennio di Arcore «è stato un laboratorio particolarmente efficace di produzione di immagini che si radicano in una concezione del rapporto tra i sessi come segno primitivo e originario dell’istanza del potere e dunque di ogni rapporto sociale» (pag. 36). Anche questo ci spiega qualcosa della virtualizzazione del conflitto. E, se vogliamo, dell’assenza di contenuti delle anemiche socialdemocrazie contemporanee, incapaci e balbuzienti di fronte al vero padrone finanziario, nel ruolo difettoso dell’opposizione parlamentare. Una specie di game del conflitto, ancora una volta immagine dello scontro, evocazione di una lotta svuotata, che vira sul precetto morale, dentro una presunta divisione valoriale “largamente condivisa” tra bene e male, tra salvezza e perdizione, tra decenza e oscenità. Uno scontro sulle “regole” che se ne frega delle guerre di classe, delle ingiustizie sociali, delle rivendicazioni di mobilità sociale che sottendono il farsi avanti di figure come quella della ragazza-immagine in un moltiplicarsi di organizzazioni sclerotizzate sulle sue caste, di destra e di sinistra. In questo orizzonte anche l’autocoscienza può trasformarsi in una pratica ombelicale. Ovviamente, la rappresentazione delle donne di Arcore, che dallo scoppio del caso verranno definite dalla stampa con un nome collettivo “le Olgettine”, deve essere in linea con il mestiere disgustoso che fanno dunque vanno sottolineati i borsoni, i jeans attillati e tagliati e i tacchi immensi. Viceversa le lacrime sul viso della escort pentita che si confessa in televisione, prostituta per realizzare un sogno del padre, sono la forma visibile di un intimo pudore. Ologrammi ostili per interposta persona, con diverse sfumature, più vicine se ravvedute, più lontane se convinte del proprio ruolo. Tutte identicamente incarnazione del ruolo della viseità che rassicura e conferma il potere e di conseguenza assicura anche il ruolo dei suoi avversari. Ancora oggi, Nicole Minetti e “tutte le altre ritoccate di Arcore” sono l’esempio di questa operazione, descritte come una specie di circo le cui foto puoi guardare per derisione estrema del potente decaduto [qui]. Di fatto la descrizione di «labbra gonfie all’inverosimile, come dopo un cazzotto in piena faccia; zigomi puntuti tipo quadro del Picasso più cubista; decolleté iperprosperoso costretto in camicie monacali, magari sperando di passare per una timida educanda», ci introducono proprio nel contesto ricordato da Beatrice Preciado (Pornotopia. Playboy: architettura e sessualità, Fandango, Roma, 2011), citata nel testo di Gribaldo e Zapperi: «i circhi, i teatri popolari, freak show, music halls, cafè concerts e cabaret (…) esposizioni zoologiche di esseri umani da cui nascono le pratiche del french cancan, della danza esotica, del burlesque americano, della stravaganza, della lap dancing» (pag. 42). Nessuna di queste donne messe alla berlina, sia chiaro, si sottrae alla parte assegnata, ovvero a contribuire alla «costruzione per nulla originale del maschio italiano che acquista nuova legittimità in quanto veicola in mondo non problematico (..) la norma e legge naturale e di genere» (pag. 37). È lui, il maschio dominante, il maschi alfa, virile, che penetra, evocato dalle serate del Bunga Bunga. Ovviamente lo scambio sessuo-economico può avvenire purché ciascuno degli attori, per prime le ragazze, sostenga la propria funzione, complice.Ma lo zoo è comunque una «tecnologia della visione dove lo spazio dell’esposizione è uno spazio che rende impossibile l’incontro, che tiene gli altri al proprio posto». Così, mi pare, questa costruzione rende ancora una volta esplicita, essa funziona per definire precisamente lo stilema normante nel quale ci tengono immerse da ogni lato, nessuno escluso. Evidentemente la norma, al contempo legge naturale e di genere, è stata più che mai rilanciata dal personaggio Berlusconi che separa le sue notti dal discorso istituzionale sulla famiglia «come spazio della naturalità, normale addomesticamento dei sensi (…) dove lo svelamento di un retroscena osceno è paradossalmente funzionale a una sessualità iperconformista. Si tratta di una sessualità ricollocata nella sfera del potere, affermata come antidoto contro ciò che le sfugge: la libertà sessuale delle donne, una sessualità differente (gay, lesbica, queer), una parentela esterna alla famiglia eterosessuale» (pag. 40). Così, guardare le foto, le immagini, l’esempio “evidente” della consigliere Nicole Minetti suggerito dal Fatto Quotidiano cioè dall’organo-manifesto dell’antiberlusconismo («la consigliera regionale della Lombardia ha subito una metamorfosi fisica che è sotto gli occhi di tutti, con risultati tutt’altro che lusinghieri»), ci mantiene esattamente nello stesso schema. Evidente, visibile, osservabile: il viso di Minetti è deforme, è immediatamente esibizionista e alieno, rimanda al capo, all’uomo da disconoscere, dove «la visione è un dispositivo centrale che autentica e convalida le modalità di rappresentazione e le ipotesi teoriche» (pag. 41). All’interno di questo paradigma visualista è ovvio anche che ogni tipo di alterità venga posta come “esotica”, con la conseguente tentazione di catalogare il mondo sulla base di caratteristiche etnico-raziali e dove la differenza è concepita solo come etnicizzazione, con la separazione «tra il selvaggio da una parte e il pubblico civilizzato dall’altra» (pag. 42). Dunque, evidentemente la riflessione sul genere «non può essere sganciata da una critica di produzione di differenza e da una problematicizzazione di questo concetto» (pag. 43). Nel contesto razzista, misogino e omofobo italiano si ripropone sempre questa logica binaria: erotizzazione della differenza oppure la sua inclusione in termini di minoranza, dove la sfera del rappresentabile coincide con l’ammissibile. Cioè, «le differenze sono accettate nella misura in cui sono ricondotte all’alveo a loro assegnato da precisi rapporti di potere» (pag. 43). Affrontare il tema dell’immagine del genere femminile nel presente, tra tv, politica, media e celebrity rappresenta dunque l’occasione per affrontare la questione delle differenze «in un sistema che permette la loro rappresentazione solo nella misura in cui queste sono addomesticate, collezionate e rese produttive» (pag. 44). Ma detto questo, forse andrà aggiunto e sottolineato come il meccanismo si sia talmente portato in avanti da indurre, recentemente, alcuni uomini politici a indossare maschere da maiali durante una festa in Campidoglio. A dire ancora di più della mancanza di presa sul serio del mandato simbolico nel clima post-ideologico dell’epoca berlusconiana, incarnata dalle televisioni commerciali: «Fascismo autoironico, innocua barzelletta, dove nulla può venire riconosciuto e dunque disconosciuto» (pag. 48). Così abbiamo subìto allegramente anche la nostra fase-pop della politica, tra storielle e maiali, elemento carnevalesco esasperato e parossismo grottesco che ha segnato un’epoca. Poi è arrivato Mario Monti a personificare lo spirito dolente, spietato e punitivo, dell’etica del capitalismo di Weber e a rimettere a posto le cose.La merce umana. Ci confrontiamo continuamente con i più svariati tentativi di traduzione della vita in una misura per la sua scambiabilità. Abbiamo più volte citato facebook e i social network come il terreno dove diviene evidente la trasformazione della relazione in commodities (merce fisica) con tutte le ansie psicotiche che questa trasformazione comporta e dove il merchandising di noi stessi passa spesse volte anche e proprio dall’immagine. Nel momento stesso in cui a un’immagine – entità intangibile – viene accordato e corrisposto un valore economico reale (per esempio, per una campagna di advertising su fb un “mi piace” viene valutato un euro circa) essa viene a essere equiparato a una caratteristica fisica del prodotto, a una sostanza tangibile. Ed è così che l’immagine acquista autonomia, mercatizzandosi, con ciò diventando funzionale al potere e violando il principio di realtà, come ricorda Jean Baudrillard (Il sistema degli oggetti, Bompiani, 2003). L’accesso a questo immaginario è interessante per cogliere gli aspetti e i significati di cui l’essere umano tende a vestire il proprio sé di questi tempi, modelli di simulazione a cui cerca di fornire il calore del reale, reinventando il reale come finzione, allucinandolo, derealizzandolo o forse iperrealizzandolo. In questo quadro, è ovvio che possiamo sostenere che l’immagine del corpo delle donne è immagine biopolitica per eccellenza, oggetto d’investimento di consumo e pubblicità, il supporto visivo primario del desiderio mercantile. L’ambito pubblico, il lavoro produttivo, nel biocapitalismo cognitivo valorizza il "femminile" - a patto che questo non sia d'intralcio alla logica del profitto. Tutto ciò che rallenta, ostacola l'ottimizzazione dei tempi e dei costi, tutto ciò che non permette il massimo profitto nel minor tempo possibile, viene negato. Quindi, per cogliere a fondo questo complessivo impero della merce, ovvero la tensione e insostenibilità sempre più drammatica delle vite attuali, è necessario partire proprio dall’esperienza dell’uso dei corpi femminili e dalla crescente difficoltà di rappresentare, nello spazio pubblico, i conflitti di sesso, classe e senso del produrre e riprodurre, che segnano storicamente le vite tutti. Questo tema viene trattato nel capitolo terzo del libro, “Linee di frattura” perché «le trasformazioni delle condizioni lavorative degli ultimi anni intervengono direttamente nelle aspirazioni e nei comportamenti delle giovani donne» (pag. 51). E questi comportamenti sono oggetto della medesima attenzione ideologica, anche qui attraverso una serie di immagini o di stereotipi o di retoriche della normalità femminile che si traducono in un lavoro onesto contrapposto al mestiere della velina, oppure richiami a «metafore materne e nazionali». Ancora una volta, la centralità dell’immagine delle “donne italiane” diviene l’obiettivo essenziale della rappresentanza politica, categoria universale e immutabile (pag. 55) ma senza che si possa approfittare del contesto per fare una serie riflessione su come “la categoria delle donne venga prodotta e frenata proprio dalle stesse strutture di potere mediante le quali dovrebbe ottenere l’emancipazione” (J. Butler, Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Sansoni, Firenze, 2004, pag. 5). Si potrebbe a questo punto ricordare il proverbio popolare citato da Dolores Ibarruri (Memorie di una rivoluzionaria, Editori Riuniti, Roma, 1963): «Madre che cos’è sposarsi? Filare, partorire e piangere». Un modo di dire di un destino, di un sistema di cattura, di una prigionia, che veniva tramandato tra donne, di generazione in generazione. Oggi noi viviamo i tempi dei “Master in Gender Equality and Diversity Management”. Noi viviamo nel mondo dei convegni su “Donne, banche e sviluppo”: «Il mondo cambia? Le donne sono pronte». La costruzione mediatica spinge a puntare sul fattore D. Così, se in passato le donne hanno sostenuto la famiglia e il privato, hanno fatto figli, filato e pianto, oggi il compito loro assegnato è di reggere l’impresa, la banca, lo sviluppo economico del proprio Paese. E i contorni di questa costruzione sono esattamente quelli di cui parlavamo prima: «Alla finzione di un femminile erotizzato e asservito si oppone ora la realtà di donne serie, professioniste e madri di famiglia». Nel pieno del dispiegarsi dell’era precaria e della crisi che prova a lasciarci disadorne di parole e di conflitti, non va negato invece che l’esperienza del lavoro ha intaccato nella carne intere generazioni di donne, e di uomini. E che lo spendersi dei corpi dentro la macelleria della visione sin qui descritta si spiega anche così, con la cattura dell’economico e il prevalere del lavoro su tutto e a cui tutto deve soggiacere. Ricordarlo non è vittimismo, tutt’altro. Facciamo di questo dato la leva da cui partire oggi, una consapevolezza per ribadire la forza della nostra instancabile ricerca di un modo di stare, diversamente, nel mondo. Per una certa parte del femminismo italiano non solo il tema della flessibilità del lavoro è stato lungamente interpretato come un’opportunità, ma sopra ogni cosa si è ritenuto che il lavoro sarebbe stato orientato, reso più gradevole e armonico dalle donne, evitando «forme di alienazione tra lavoro e vita». Lo ricordo perché è importante osservare, viceversa, la progressiva miseria materiale e di senso (la completa alienazione) a cui ci sta costringendo il lavoro precario contemporaneo. E dunque perché ritengo che donne debbano essere le più interessate a sottoporre a un cosciente esame critico radicale la funzione dell’ideologia del lavoro, alla cui costruzione non hanno partecipato, la quale risulta essere uno dei più potenti dispositivi disciplinari e di comando sugli esseri umani tutti. Contro il pensiero unico.E così più che mai, ieri ma anche adesso, “che cosa è una donna”? Questa domanda che risuona tra le pagine di questo libro e che alla fine di questo lungo percorso ci costringe a concentrarci sul «processo di normalizzazione del dissenso e di appiattimento delle differenze» (pag. 95) ovvero a confrontarci con il tema della colonizzazione del nostro desiderio, oltre che della nostra immagine, o meglio a partire dall’occupazione della nostra immagine. Ieri come oggi, nel privato come nel pubblico. Da questo punto di vista è necessario affrontare la problematizzazione della nozione di donna. Dal neo-femminismo noi possiamo trarre la critica a un soggetto unitario e dunque la forza di contrastare le immagini della nostra oppressione. Immagini che sono espressione di ruoli, di incarichi e di compiti che snaturano i nostri discorsi e che rendono impossibili i processi di soggettivazione. E dunque la prostituta e la precaria, la migrante e la trans, la lesbica, la disoccupata, tutte le figure periferiche, pescate dai bassifondi della vittimizzazione femminile, quelle segnalate da Beatriz Preciado nel suo Texto Junke del 2008, secondo le autrici possono, inaspettatamente, mettere più fortemente a critica le tentazioni normative interne al femminismo stesso: donne senza successo, donne tutte diverse che rifiutano un nome e un ruolo, figure dei margini che non soggiacciano agli immaginari imposti, figure che rompono con l’ordine del discorso e che di conseguenza affrontano la necessità di riarticolarlo: il cambiamento può partire proprio dai soggetti che si trovano in una posizione di rifiuto, da una marginalità consapevolmente agìta? Figure impermalenti, che non hanno e neppure cercano l’impossibile stabilizzazione: se l’intera società sembra destinata a fallire, ebbene proprio queste figure sembrano le più attrezzate a reggere l’urto e a superare gli ostacoli. In questa situazione di frammentazione e rifrazione del soggetto e della sua immagine, nonché di spogliazione dell’Io e virtualizzazione delle lotte che cosa fare? Qual è il progetto? Qual è il noi che abbiamo bisogno di costruire e come si fa? Quali i processi di soggettivazione che la pratica femminista può suggerire? Quali le rotture da operare? Sono perplessa, sono sincera, rispetto alla creazione di grandi cartelli e/o fantomatiche alleanze trasversali tra gruppi completamente diversi che danno l’idea, anche qui, di un pensiero unico omnicomprensivo dal quale non si può uscire perché dentro c’è già tutto. In realtà, questi esperimenti mettono solo in fila una serie di singole, piccole e grandi, fragilità e cercano di valorizzare le gerarchie (Vincenza Perilli, La différence sexuelle et les autres, in L’homme et la société, vol. 4, 158, 2005). E concordo perciò con la sintesi proposta da Gribaldo e Zapperi: non si supera la difficoltà del pensiero e della prassi con l’appiattimento «su figure autorevoli e autoritarie, mentre la radicalità di altri femminismi appare stigmatizzata, in forma di caricatura, Queste nuove costellazioni femministe in ci si confrontano posizioni queer, antirazziste e antifasciste esprimono conflittualità e desideri che non sono riconducibili alla retorica di un femminile unificato» (pag. 70). Usare, invece, per orientarci, “la mappa di un femminismo in divenire”, dicono ancora. Il cuore del quale, continuo a pensare, sia la ricerca di autonomia e di spazi per l’autodeterminazione. Autonomia di pensiero, di gestione, di stili, di gusti, di scelte, di governo del tempo. Occupy yourself, fuori dal lavoro, fuori dal capitale. Un femminismo 2.0, mobile e nomade, da riarticolare contro ogni cappa, cosiddetta reale o immaginaria, per costruire contro-discorso. Dunque, in sostanza, fare appello al divenire minore di Deleuze e Guattari: i soggetti che si trovano ai margini si appropriano degli strumenti e delle strategie visive elaborate dalla cultura dominante e le ribaltano. Da un punto di vista minoritario si può immaginare e inventare meglio le forme di resistenza possibili contro la captazione di corpi, immagini, vita. Il punto di vista minoritario rappresenta una posizione chiave per poter rompere il meccanismo con una certa leggerezza, senza rimpianti. Je ne regrette rien. La riduzione progressiva di margini di autonomia e creatività a cui ci sottopone il sistema bioeconomico nella sua folle ingordigia suicida in un crescendo rintronante, la generalizzazione esplicita della precarietà, l’assenza di passione – sentimento che per anni ha corrotto le capacità di reazione, potenziando il meccanismo di dipendenza connesso allo sfruttamento - per quello che siamo costrette a fare in cambio di un salario che non ci ripaga dello sforzo: ecco ciò che ci spingerà a prendere la rincorsa e a fare, finalmente, un grande salto. A questo punto si aprirà il nuovo capitolo della nostra storia. «Nella tensione tra soggettività e immaginario è possibile infatti inventare delle forme discordanti e critiche di identificazione che resistano alla normalizzazione. Un programma di questo tipo dovrebbe partire dal presupposto che i processi che riguardano il genere sono complessi e quindi per natura conflittuali, dolorosi, ma potenzialmente trasformativi» (pag. 110) (Cristina Morini, Il corpo delle donne non esiste, Carmilla on line, dicembre 2012)"//

giovedì 13 dicembre 2012

Per la figlia senza nome di Samb Modou

Nell'anniversario della strage di piazza Dalmazia a Firenze pubblichiamo una poesia, Per la figlia senza nome di Samb Modou, che ci è stata inviata da Pina Piccolo, che ringraziamo:
Per la figlia senza nome di Samb Modou // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA* // Puoi smettere di aspettarlo // tredicenne dagli occhi ridenti // e col vestitino buono color di lillà comprato // per la foto da mandare a papà // con i soldi della rimessa // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // Il padre che anelavi // di carne e ossa e respiro // per 13 anni trafelato // a correre con borsoni // nella palestra dello stato italiano // destra e sinistra ne hanno allenati // polpacci, bicipiti e polmoni // ma non torna più sulle sue gambe // Ora dopo tredici anni // ti rimandano “la salma” // non in barcone // ma con l’aereo pagato // da lacrime di coccodrillo // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // Te lo rispediscono dal pulpito dolente politici malfattori e conniventi // abituati a lanciare il sasso // nascondendo la mano inguantata // di odio e superiore ingordigia // mentre dalla bocca cascano // perle d’ipocrisia // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // E nel rimestare le sue carni nere // potremmo trovare il virus // della Sindrome Italiana che stavolta // si abbatte su padri scuri // recisi da mogli e figlie mai viste // in terre assolate // di deserti, foreste e bianche spiagge ridenti // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // Città questa della sua morte // di cupole superbe // di fasti, amori, pittori, letterati alteri // lanaioli e banchieri // Non sviene soavemente //come turista colto dalla sindrome // del romanziere francese // alla vista delle sue bellezze // Modou Samb, questo padre straniero e cortese // un attimo dietro il banco // stramazza sull’asfalto // accanto a Diop Mor, // anche lui abile mercante senegalese // Accanto agli altri tre // nell’altro mercato // non quello operaio, quello di spensierati turisti // Colpiti tutti dallo stesso proiettile // che cova in tanti italici animi // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // Partito dalla canna di un uomo // all’apparenza mite // (“aveva l’aria di un buono” dice uno dei sopravvissuti) // che scriveva adagiato //nel molle ventre del fascismo // sdoganato da un’artritica democrazia //rispettosa di case dedicate a cantori di distruzione // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // E’ la pallottola rivestita del piombo che cola // dalle penne, dagli schermi // dagli arrotini della parola // che a lettere di fuoco squadrano // “quel che siamo e quel che vogliamo” // Parole aguzze come proiettili // tredicenne studentessa // nutrita dai versi di giustizia e libertà // di Leopold Senghor // vostro primo presidente poeta // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // E forse pentita l’ombra di Oriana Fallaci // adesso ci accompagna // in questo mesto corteo //per le vie di Firenze // non per intervistare // i Grandi della Storia // ma per chiedere scusa a te // triste ragazzina dal vestito lillà // che non le rilascerai interviste // se non per dirle // che non potrai mai sederti // sulle ginocchia di tuo padre // bersaglio del suo scontro di civiltà // nutrito dal suo orgoglio e dalla sua rabbia // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // Se per le strade di Firenze oggi s’intona un canto // che sia un richiamo di amore e di giustizia // che costringa l’UMANO a tornare nel suo alveolo // e che come tortora riprenda a tubare // silenziando lo stridio di drone e di Magnum. // DIEREDIEF SERIGNE TOUBA // (Pina Piccolo, 18 dicembre 2011) // *Canto funebre intonato per l’intera durata della manifestazione dallo spezzone dei senegalesi romani della confraternita islamica di Mourides dell’Africa occidentale che chiudevano il corteo per onorare Modou e Mor il 18 decembre a Firenze. Le parole significano,"Grazie guida di Touba" che è la capitale religiosa del mouridismo

martedì 11 dicembre 2012

Françoise Gilot al mare

Non ho la più pallida idea di chi abbia scattato la foto, però la trovo proprio carina

Homonationalism, Sex, and Disability: Pinkwashing and Biopolitics in the Middle East

Segnaliamo, da NextGenderation, questa conferenza di Jasbir Puar che si terrà il 17 gennaio 2013 al Dipartimento di Gender Studies della Queen's University, che in effetti - vista da qua - è quasi dall'altra parte del globo, ma in ogni caso ecco un abstract: // This presentation will survey recent debates on what has been termed pinkwashing: the use of gay rights by the Israeli government to deflect attention from its occupation of Palestine. Instead of reproducing a queer exceptionalism – homonationalism – that singles out homosexuality as a particular facet of state control, Jasbir Puar argues that the practice of pinkwashing should be situated within a broader biopolitics of state control that invests in a range of bodies and bodily habits. The focus will be specifically on the use of disability as part of a biopolitical assemblage of control that instrumentalizes a spectrum of capacities and debilities for the use of the Israeli occupation of Palestine //

Strage di piazza Dalmazia / Ricordando Mor Diop e Samb Modou

Il 13 dicembre di un anno fa, in piazza Dalmazia a Firenze, il militante di estrema destra vicino a CasaPound Gianluca Casseri, sparava contro alcuni lavoratori senegalesi, uccidendone due - Mior Diop e Samb Modou - e ferendone gravemente altri tre - Moustapha Dieng, Sougou Mor e Mbenghe Cheike -. Casseri - che si spara in un parcheggio poco dopo - viene subito descritto dalla stampa e dalla polizia come un "folle isolato" e le indagini vengono chiuse dopo appena un mese. Ma ad un anno di distanza troppe sono ancora le domande senza risposta. Rinviamo all'articolo pubblicato da Staffetta in occasione dell'anniversario della strage e della manifestazione che si terrà  giovedì 13 dicembre a Firenze

lunedì 10 dicembre 2012

Eastern Mediterranean Feminism / CfP

Call for Papers for an upcoming conference at Bogazici University, Istanbul Turkey June 7-9, 2013. The conference is entitled: Changing Feminist Paradigms and Cultural Encounters: Women’s Experiencesin Eastern Mediterranean History in the Nineteenth and Twentieth Centuries. Changing feminist paradigms refers to a shift from a Turkish-oriented historiography of women’s experiences to an emphasis on diversity in both the late Ottoman Empire and the modern Middle East. Scholarship has come a long way in producing “women’s histories,” but feminist critiques of national historiography and challenges to the conventional periodization of Ottoman-Turkish historical narrative are tasks yet to be undertaken. With this conference, we encourage scholars to tackle these tasks and, in the process, to reconsider and reformulate key terms and concepts introduced by feminist scholars in North America. In addition, we hope this conference will rethink interactions between feminist activism and scholarship with the purpose of bringing new perspectives to women’s and gender history in the Middle East and around the world. We welcome papers on such topics as: efforts to canonize the field // challenges to existing chronologies of nationalist historiographies // links between and legacies of the Ottoman and post-Ottoman worlds // sources for researching women’s and gender history //the impact of emergent nation-states on diverse women’s // experiences in the region // binaries between public and private, state and society, tradition and modern, etc., and the ways these binaries are reproduced or challenged by "emancipatory projects" // the interaction between women’s activism and scholarship on women’s history // historical patterns of women’s activism in the region // the potential of activism to bring new perspectives to women’s studies and vice versa // different forms of feminism in the history of the modern Middle East // rethinking women's “agency” in the realms of crime, health, sexuality, and urban life// . Because we are planning for discussions on the relationship between scholarship and activism, we also look forward to submissions from feminist activists in the wider region of the Middle East. If you would like to present at this conference, we ask that you submit a short summary of your proposed paper, or contribution, of around 1,000 words, along with an updated curriculum vitae by January 15, 2013. Submissions should be sent to the conference coordinator, Professor Gulhan Balsoy, via email at gerkaya@gmail.com.We will be able to defray some travel and hotel expenses for conference participants but ask that each person chosen to participate seek other funding. Scholars with college or university appointments should, for example, request funds from their home institutions. We hope to publish select papers in a special issue of the Journal of Women’s History. Both the conference and the potential special issue represent a unique and pioneering collaboration between an American-based journal (one devoted to publishing the best work in the international field of women's history) and women's historians in the Middle East. //Gulhan Balsoy, Independent Scholar // Elisa Camiscioli, Binghamton University, New York, Book Review Editor, JWH // Arzu Ozturkmen, Boğaziçi University // Jean Quataert, Binghamton University, New York, co-editor, JWH // Benita Roth, Binghamton University, New York, Associate Editor, JWH // Basak Tug, Istanbul Bilgi University //Leigh Ann Wheeler, Binghamton University, New York, co-editor, JWH //

domenica 9 dicembre 2012

Il nome della cosa: classificare, schedare, discriminare

La (bellissima) copertina dell'ultimo (bellissimo) numero di Zapruder, curato da Fiammetta Balestracci e Ferruccio Ricciardi. Per l'indice, info su abbonamenti e appuntamenti alla/della rivista rinvio al sito di Storie in Movimento. Approfitto di questo post domenicale per fare i miei auguri di buon lavoro alla nuova redazione e comitato di coordinamento di Zapruder/Sim (ad multos annos).

venerdì 7 dicembre 2012

Le domeniche di Migranda

Dopo la festa/assemblea del maggio scorso, Migranda ritorna con un nuovo appuntamento: una domenica al mese per continuare a discutere, a partire dalle nostre esperienze, in un momento in cui la crisi economica e la legge Bossi-Fini hanno effetti profondi anche su noi donne, migranti e non. Molte, soprattutto coloro che non lavorano, sono “rimandate” nei paesi di provenienza, spesso coi propri figli nati o cresciuti qui, per risparmiare sui costi della riproduzione. Altre si ritrovano a portare a casa l’unico salario, perché – da sempre più ricattabili alla luce del doppio carico di lavoro – le donne offrono una forza lavoro più “utile” in tempi di crisi, in quanto più disponibile. E intanto sempre più, proprio a causa della crisi economica, il lavoro domestico a pagamento sembra essere l’unica via d’uscita dalla disoccupazione anche per le donne italiane che, proprio “grazie” alle migranti, sembravano essersene liberate. Con Migranda vogliamo stabilire le condizioni per una comunicazione continua, per una presa di parola delle donne che rompa l’isolamento vissuto da molte, affinché l’esperienza di ognuna diventi un’esperienza condivisa. Per questo, a partire dal 9 dicembre, ci incontreremo una domenica al mese, alle ore 15, presso il Centro Sociale Montanari (via Saliceto, 3 - Bologna). Prossimi appuntamenti: 27 gennaio, 24 febbraio e 24 marzo 2013. Vi aspettiamo!

mercoledì 5 dicembre 2012

Jasmina Metwaly e il collettivo Mosireen

Un incontro con Jasmina Metwaly - artista polacco-egiziana, tra le fondatrici del collettivo di media-attivisti Mosireen nato nel febbraio 2011 come canale di informazione alternativo alla stampa ufficiale collusa con il potere - si terrà stasera a Torino al Centro Studi Sereno Regis. Grazie a Liliana Ellena e Vesna Scepanovic per la segnalazione! Che peccato non avere il dono dell'ubiquità ...

La pace dell'Unione Europea non è la nostra / سلام الاتحاد الأوروبي ليس السلام الذي نؤمن به / The European Union Peace Is Not Ours

Il 10 dicembre alcuni rappresentati dell’Unione Europea saranno ad Oslo per ritirare il Nobel per la pace che, come si legge nel testo delle motivazioni, si è deciso quest'anno di assegnarle per la sua “vittoriosa lotta per la pace e la riconciliazione, per la democrazia e i diritti umani”. Una decisione assolutamente inaccettabile. Tra le tante voci che si sono alzate per rifiutare questa strana (e cieca) idea di pace rinviamo a La pace dell' Unione Europea non è la nostra, delle Venticinqueundici che con le madri dei dispersi continuano la campagna Da una sponda all'altra: vite che contano

lunedì 3 dicembre 2012

Aleksandr Michajlovič Rodčenko e Varvara Fedorovna Stepanova

Varvara Fedorovna Stepanova (Kovno, 9 novembre 1894 - Mosca, 20 maggio 1958) fotografata da Aleksandr Michajlovič Rodčenko (San Pietroburgo, 23 novembre 1891 – Mosca, 3 dicembre 1956)

Whiteness / Bianchezza

Sarà centrato su di un concetto cruciale, quello di whiteness / bianchezza, il prossimo incontro del seminario Dal femminismo agli "altri femminismi" a cura del Laboratorio di autoformazione Bartleby. Con Gaia Giuliani e Valeria Ribeiro Corrosacz // Incontri precedenti: Intersezionalità, Black Feminism, Femminismo post-coloniale e Femminismo senza frontiere

venerdì 30 novembre 2012

Balibar e l' "intersezionalità"

In occasione dell'uscita del suo ultimo volume Citoyen-sujet et autres essais d’anthropologie philosophique (Puf, 2012), Étienne Balibar ha concesso una lunga intervista a Nicolas Duvoux e Pascal Sévérac, in cui si accenna anche alla questione dell' "intersezionalità" a partire dalla domanda "Peut-on concilier l’analyse de l’antagonisme de classe et la visibilité des différences anthropologiques?". La video-intervista è nel sito La vie des idées. Grazie ad Incidenze  della segnalazione

giovedì 29 novembre 2012

Donne del Mali: diciamo no alla guerra per procura!

Grazie a Il Paese delle donne che - con la capacità di "fare rete" che lo contraddistingue - ha ripreso l'appello lanciato da Aminata Traoré ed altre femministe maliane e lo ha reso disponibile nella traduzione italiana di Giovanna Romualdi nel proprio sito: Donne del Mali: diciamo no alla guerra per procura!. Continuiamo a far girare ...

martedì 27 novembre 2012

Lo schermo del potere al Torino Film Festival

In collaborazione con il Torino Film Festival, il Museo Nazionale del Cinema ospita, mercoledì 28 novembre, alle ore 17.00, nella sala eventi della Bibliomediateca, la presentazione del volume Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi. Ne discuteranno con le autrici Liliana Ellena e Alina Marazzi // L'immagine, tratta dalla copertina del libro, è - come avevamo già avuto modo di segnalarvi - un'opera di Birgit Jürgenssen, Gladiatorin, 1980

Mali: no alla strumentalizzazione della violenza contro le donne per giustificare l'intervento militare

Grazie a Susi Monzali per averci segnalato questo appello di Aminata Traoré ed altre femministe maliane, contro la strumentalizzazione della violenza contro le donne da parte della comunità internazionale per giustificare l'intervento armato in Mali. Trovate l'appello - che vi chiediamo di far girare -, Disons "no" à la guerre par procuration, a questo link

domenica 25 novembre 2012

Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne / Smaschieriamoci contro la violenza (del) maschile

Pubblichiamo, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza maschile sulle donne, un documento del Laboratorio Smaschieramenti con il quale ci sentiamo particolarmente in sintonia, anche per la capacità - che ci sembra ancor oggi così rara - di riflettere a partire dal proprio posizionamento e fare la "storia" del proprio percorso politico, rifuggendo da comode e consolanti "soluzioni". // 25 Novembre 2012 - Giornata internazionale contro la violenza maschile: Smaschieriamoci contro la violenza (del) maschile // Quando parliamo di violenza maschile contro le donne non ci riferiamo solo alle forme di violenza comunemente riconosciute come tali - assassini, stupri, violenza domestica - che pure sono fenomeni molto più diffusi di quanto si pensi, in tutti gli ambienti sociali e in tutte le fasce d'età. Parlare di violenza maschile significa individuare un meccanismo che determina e condiziona /continuamente/ le nostre esistenze. Non si tratta di un fenomeno isolabile dal resto, di un incidente di percorso, o soltanto di un cattivo comportamento da cui prendere le distanze: la violenza maschile sulle donne è parte integrante della nostra società e della nostra cultura, che vogliono tenere ben distinti due sessi e due generi per mantenere la supremazia, più o meno velata, di uno dei due sull'altro.In questo senso,la violenza contro le persone transessuali e transgender, della quale abbiamo ricordato le vittime il 20 novembre, è in stretta relazione con la violenza di cui sono oggetto le donne e le lesbiche.Dobbiamo essere capaci di vedere la continuità che esiste fra tutta una serie di esperienze ben presenti nella vita di ognuna/o/u di noi: la divisione asimmetrica del lavoro di cura nelle famiglie, l'imposizione, diretta o indiretta, di rapporti sessuali non desiderati all'interno delle relazioni di coppia, la forma stessa delle relazioni amorose con il loro portato di aspettative e pretese, la colpevolizzazione della donna che "abbandona" il partner e tutte le piccole e grandi vendette conseguenti; gli sguardi, le parole, gli atteggiamenti arroganti, la scarsa considerazione ed il paternalismo di cui spesso siamo oggetto in quanto donne; la cultura perbenista e misogina che ci pone come unica alternativa quella fra moglie e puttana, o fra /brava-ragazza-che-studia-e-lavora/ e velina; l'educazione che bambini e bambine ricevono fin da piccoli/e affinché si conformino a precisi ruoli di genere; lo sfruttamento, subdolo ma intensissimo, delle nostre presunte attitudini "femminili" o "maschili" sul lavoro; il ricatto economico che, con la crisi, costringe sempre più donne a rimanere docilmente nell'ambito familiare o di coppia; i mille ostacoli che ci impediscono di esercitare liberamente il diritto di decidere /se/, /quando/ e /come/ diventare madri (si pensi solo a quanto è difficile procurarsi la pillola del giorno dopo, alla colpevolizzazione che circonda le donne che abortiscono, ai medici obiettori, alla deresponsabilizzazione dei maschi rispetto alla contraccezione, o al fatto che l'educazione sessuale delle/degli adolescenti nel nostro paese è affidata di fatto soltanto ai mass media, al sentito dire e all'industria pornografica mainstream). Agli estremi di questo /continuum/ ci sono la violenza fisica, lo stupro, l'uccisione. Ma questo vuol dire anche che, *essendo tutte/i/ implicat@, tutte/i/ abbiamo la possibilità di fare qualcosa per smontare un piccolo pezzo di quel grande sistema culturale che sostiene la violenza maschile contro le donne e contro chi trasgredisce i confini dei generi sessuali. Il Laboratorio Smaschieramenti è nato proprio a seguito della grande manifestazione contro la violenza maschile contro le donne del 24 novembre 2007 a Roma: una manifestazione alla quale gli uomini non erano stati invitati. Piuttosto che criticarla, abbiamo deciso di lasciarci interpellare da questa decisione: per questo abbiamo costituito un gruppo misto, formato da soggettività codificate come "donne" e soggettività codificate come "uomini", con relazioni omosessuali, lesbiche e/o eterosessuali, che riflettessero a partire dai propri diversi posizionamenti sul privilegio maschile, sulla sua costruzione sociale e culturale e su come sabotarla. In questi cinque anni di lavoro, abbiamo capito che, da parte di chi vive in abiti maschili in una società come questa, non è sufficiente proclamare di essere un maschio "diverso", sensibile, solidale, magari gay per poter stare credibilmente in piazza il 25 novembre e in tutte le lotte contro la violenza maschile sulle donne. Un discorso contro la violenza maschile sulle donne pronunciato da "uomini" è credibile solo se parte dal riconoscimento del /privilegio/ che viene loro accordato in ogni più piccolo aspetto della vita, anche a dispetto degli sforzi e dell'eventuale scelta di essere maschio "diverso" o "dissidente". Un privilegio che li rende comunque in qualche modo /strumento/ della violenza contro le donne. È necessario allora mettere in atto *pratiche concrete* di smarcamento dal maschile dominante, che di volta in volta, nelle varie situazioni pubbliche e private, nella vita di relazione come nelle pratiche politiche, spezzino la nostra potenziale complicità con esso.Non si tratta solo di non picchiare e non stuprare. La cultura machista che alimenta e sostiene la violenza contro le donne è fatta anche di tutta quella lunga serie di battutine, risate, commenti pesanti, luoghi comuni sulla sessualità che affollano le conversazioni. Allora si tratta, per esempio, di rifiutare la propria complicità, spezzare il "cameratismo" (o il quieto vivere) e non restare in silenzio in queste situazioni. Parte di questa lotta è anche la produzione consapevole di maschilità non egemoniche - froce, butch, drag king... - che contribuiscano a denaturalizzare il binarismo dei sessi e dei generi, e con esso il maschile e i suoi privilegi. La violenza contro le donne non può essere ridotta a una questione di ordine pubblico, e il compito di contrastarla non può essere semplicemente delegato a un impianto legislativo, ma deve essere il punto di partenza per ripensare il binarismo dei sessi e dei generi e tutte le dinamiche di potere che pesano sulle nostre vite //.

venerdì 23 novembre 2012

Chiudere CasaPound / Reminder

L'appuntamento per la manifestazione antifascista contro l'agibilità politica di formazioni neo-fasciste come CasaPound è per domani pomeriggio. Noi ci saremo, speriamo che altri/e facciano altrettanto. Tra l'altro il tempo promette anche bello, niente di meglio per una bella passeggiata insieme // Chiudiamo CasaPound // CasaPound: facciamola finita // Dalla parte dei migranti e delle migranti, per la chiusura di CasaPound //

Femministe a parole / Un'intervista di Bella Queer su Radio UniNomade

Mentre si lavora alla messa a punto delle  nuove date del tour, mercoledì scorso a Radio UniNomade, il collettivo Bella Queer di Perugia ha dibattuto di femminismi, queer e parole a partire dal volume Femministe a parole, insieme ad una delle curatrici e Renato Busarello che con il Laboratorio Smaschieramenti ha firmato la voce "Uomo". Potete ascoltare la trasmissione qui (l'audio non è il massimo, ma non facciamo le difficili, eh!)

Dalla parte dei migranti e delle migranti, per la chiusura di CasaPound

Da qualche mese, a Bologna, viene concessa una larga agibilità politica a una associazione neo-fascista denominata CasaPound. A distanza di quasi un anno non abbiamo certo dimenticato quanto accaduto a Firenze quando un militante di Casa Pound ha ferito tre migranti uccidendone altri due. Di qualche giorno fa sono poi le notizie delle “ronde anti-immigrati” in Abruzzo e la costituzione della prima cellula italiana di “Alba Dorata”, partito neonazista greco. Non abbiamo dimenticato, ed è per questo che non permetteremo che tutto ciò accada ancora e non abbasseremo la guardia contro i fascisti di ieri e di oggi. Ormai in diverse parti d’Italia gruppi neo-fascisti perseguitano i migranti con atti violenti. Noi, migranti e italiani, non possiamo permettere che il fascismo continui a ottenere spazi di visibilità. Noi sappiamo inoltre che una legge, la Bossi-Fini, quotidianamente ricatta milioni di migranti legando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Le leggi dello Stato trattano i migranti come uomini e donne che possono essere espulsi anche dopo anni di lavoro in Italia. Uomini e donne che possono essere rinchiusi nei Cie e privati della loro libertà. Da anni diciamo che la Bossi-Fini va abolita e anche in questa occasione di rifiuto di tutti i fascismi lo ribadiamo ad alta voce. Sappiamo anche che con la crisi economica i migranti pagano il prezzo più alto a causa del razzismo istituzionale. Nella crisi, le leggi vedono nei migranti i lavoratori che possono essere sacrificati per primi, sempre messi alla prova,come corpi estranei. Ovunque i datori di lavoro si sentono in diritto di trattare i migranti come oggetti, tanto più se ci si ribella contro lo sfruttamento: è successo a Rosarno come a Mantova. Mentre molti migranti perdono il permesso di soggiorno e vedono le proprie famiglie dividersi a causa della crisi, gruppi apertamente razzisti si sentono tutelati, liberi di muoversi, e ottengono sedi per riunirsi e agibilità politica. Noi pensiamo che il razzismo istituzionale e il razzismo di Casa Pound non possono trovare spazio in questa città . Noi, migranti e italiani, rifiutiamo i gruppi fascisti e lottiamo contro il razzismo istituzionale e la legge Bossi-Fini. A Bologna, città che tanto ha dato alla lotta antifascista e che tutt’oggi è attraversata da molte pratiche, gruppi e associazioni politiche e culturali uniti nel nome dell’antifascismo e dell’antirazzismo, la presenza di uno spazio politico affidato a Casa Pound è inaccettabile. Per queste ragioni sosteniamo la manifestazione del 24 novembre per l’immediata chiusura di Casa Pound. Perché saremo noi, migranti e italiani, a togliere il permesso a tutte le forme di razzismo e fascismo. Per la libertà dei e delle migranti, contro ogni fascismo! // Coordinamento Migranti Bologna // S.I.M. XM24 // Connessioni Precarie // Sportello medico giuridico Al-Sirat // Migranda //

mercoledì 21 novembre 2012

Il fuoco della rivolta

Il fuoco della rivolta. Torce umane dal Maghreb all’Europa, è l'ultimo libro di Annamaria Rivera che analizza il fenomeno delle auto-immolazioni pubbliche e di protesta, riconducendolo nell’ambito del conflitto sociale,senza fare "un elogio del suicidio tra le fiamme”, ma bensì augurandosi che questo serva infine a “rendere esplicito il conflitto” e “organizzarlo in forme tali che esso possa fare a meno di corpi che ardono nelle piazze” (pag. 180). Su questo auspicio si chiude anche la recensione del volume di Gianluca Paciucci alla quale rinviamo per una puntuale lettura del testo

martedì 20 novembre 2012

Femminismo senza frontiere. Riflessioni intorno al testo di Chandra Talpade Mohanty

Il volume Femminismo senza frontiere. Teorie, differenze, conflitti, recentemente pubblicato da Ombre Corte (e che raccoglie i saggi più significativi di Chandra Talpade Mohanty - attivista e teorica femminista indiana -, a partire dal celebre saggio del 1986, Under Western Eyes: Feminist Scholarship and Colonial Discourses), sarà domani pomeriggio al centro della lezione di Raffaella Baritono, curatrice del volume, all'interno del seminario Dal femminismo agli "altri femminismi" (21 novembre, ore 15-17, aula XI, via Zamboni, 38 - Bologna)

Sandy Smith / Ad memoriam

Sandy Smith (25 dicembre 1950 - 3 novembre 1979), assassinata insieme a James Waller, Bill Sampson, Cesar Cauce e Michael Nathan - come lei militanti del Communist Workers Party - durante una manifestazione a Greensboro (North Carolina) il 3 novembre del 1979 da membri del Ku Klux Klan e dell' American Nazi Party

Intersezionalità / Mappe e problemi

Condividiamo la bibliografia essenziale relativa all'incontro del 19 ottobre sul concetto di intersezionalità all'interno del seminario di autoformazione Dal femminismo agli “altri femminismi” // Liliana Ellena e Vincenza Perilli: Il concetto di intersezionalità: mappe e problemi // Alcuni testi fondamentali della genealogia del dibattito sull’intersezionalità all’interno dei movimenti statunitensi delle femministe nere: Davis, Angela (1971), «Reflections on the Black woman's role in the community of slaves», Black Scholar, vol. III, n. 4, pp. 3-15. Trad. italiana: «Riflessioni sul ruolo della donna nera nella comunità degli schiavi», in Ann Gordon et al., Donne bianche e nere nell’America dell’uomo bianco, La Salamandra, Milano, 1975 // Combahee River Collective, The (1977), The combahee river collective statement in Zillah Eisenstein (a cura di), Capitalist patriarchy and the case for socialist feminism (pp. 362-372), Monthly Review Press, 1979.Trad. Italiana: «Una dichiarazione di intenti di femministe nere», in Veruska Bellistri (a cura di), Sistren. Testi di femministe e lesbiche provenienti da migrazione forzata e schiavitù, autoproduzione, Roma 2005, pp. 9-14 // hooks, bell (1981), Ain't I a woman? Black women and feminism, South End Press, Boston.// Moraga, Cherríe e Anzaldúa, Gloria (a cura di) (1981), This bridge called my back: Writings by radical women of color, Persephone Press, Watertown // Davis, Angela (1981), Women, race and class, Random House, New York. Trad. italiana: Ead., Bianche e nere, Editori Riuniti, Roma, 1985 // Hull Gloria, Bell Scott Patricia e Smith Barbara (a cura di) (1982), All the women are White, all the Blacks are men but some of us are brave: Black women’s studies, Feminist Press, New York   // Mohanty, Chandra (1988), «Under western eyes: feminist scholarship and colonial discourses», Feminist review, n. 30, pp. 61-88 .Trad. italiana: «Sotto gli occhi dell'Occidente. Ricerca femminsita e discorsi coloniali», in Ead., Femminismo senza frontiere. Teoria, differenze, conflitti, Ombre Corte, Verona, 2012 // Testi principali in cui Kimberlé Crenshaw ha enucleato la sua proposta sull’intersezionalità: Crenshaw, Kimberlé Williams (1989), «Demarginalizing the intersection of race and sex: a Black feminist critique to antidiscrimination doctrine, feminist theory and antiracist politics», University of Chicago Legal Forum, 1989, pp. 139- 167 // Crenshaw, Kimberlé Williams (1991), «Mapping the Margins: Intersectionality, Identity Politics, and Violence against Women of Color», Stanford Law Review, vol. 43, n. 6, pp. 1241-1299. // Alcuni testi sul dibattito critico sull’intersezionalità: Dorlin, Elsa (2009), (a cura di), Sexe, race, classe, pour une épistémolgie de la domination, Puf, Parigi // Bilge, Sirma (2010), «De l'analogie à l'articulation», L'Homme et la Société, n. 176-177, pp. 43-64 //  Helma Lutz, Maria Teresa Herrera Vivar and Linda Supik (2011), (a cura di) Framing Intersectionality. Debates on a Multi-Faceted Concept in Gender Studies, Ashgate, Farnham. // Perilli, Vincenza e Ellena Liliana (2012), Intersezionalità. La difficile articolazione in Sabrina Marchetti, Jamila M.H. Mascat e Vincenza Perilli (a cura di), Femministe a parole. Grovigli da districare, Ediesse, Roma // Sabrina Marchetti (in corso di pubblicazione) , Intersezionalità. Per pensare la differenza, in Caterina Botti (Ed.), Etiche della diversità culturale, Le Lettere, Firenze // Infine, alcuni testi sul contesto italiano: Perilli, Vincenza (2007), «L'analogia imperfetta. Sessismo, razzismi e femminismi tra Italia, Francia e Stati Uniti», Zapruder, n. 13, pp. 9-25 // Bonfiglioli Chiara, Lidia Cirillo, Laura Corradi, Barbara De Vivo, Sara Farris R. e Vincenza Perilli (a cura di) (2009), La straniera. Informazioni, sito-bibliografie e ragionamenti su razzismo e sessismo, Alegre, Roma  // Chiara Bonfiglioli (2010), Intersections of Racism and Sexism in Contemporary Italy: A Critical Cartography of Recent Feminist Debates, in «DarkMatter», n. 6   // Ellena, Liliana (2011), «L’invisibile linea del colore nel femminismo italiano: viaggi, traduzioni, slittamenti», Genesis, vol.10, n. 2, pp. 9-31

lunedì 19 novembre 2012

CasaPound / Facciamola finita

Chi frequenta Marginalia sa chi è CasaPound e soprattutto cosa ne pensiamo, quindi non la facciamo troppo lunga. In coda comunque qualche link, per memoria. Per questo ed altro ancora abbiamo aderito (e parteciperemo) alla manifestazione Chiudere Casa Pound promossa dal Coordinamento Antifascista Murri che si terrà sabato prossimo a Bologna (concentramento ore 15, piazza Carducci). Perché è ora di farla finita con i sedicenti "fascisti del terzo millennio" (come si autodefiniscono): bisogna loro togliere qualsiasi agibilità politica, e ogni silenzio è complice // Le mamme di CasaPound // CasaPound Superstar // CasaPound: il volto attraente dei nuovi fascisti // Ave Italo! // Chi è veramente Casa Pound // Per Mor Diop e Samb Modou //.

Una testimonianza da Gaza

Da Le Mafalde l'email inviata ieri da Adriana, una compagna italiana attualmente a Gaza insieme ad altre/i cooperanti e internazionali, e che al suo messaggio allega anche un resoconto con immagini di una visita all'ospedale di Al Shifa, dove molti dei morti sono bambini/e. Con preghiera di diffusione: "Qui a Gaza si vive ancora una situazione molto tesa, i bombardamenti israeliani continuano incessantemente e stanotte non ci hanno fatto chiudere occhio. Stanno continuando a colpire su tutta la striscia e finora hanno compiuto più di seicento bombardamenti, un'operazione che sta terrorizzando l'intera popolazione di Gaza sotto assedio. Finora 29 persone sono state uccise, e più di 250 quelle ferite di cui 100 bambini e 30 casi gravi. Oggi le milizie palestinesi hanno colpito con un razzo un campo aperto fuori Gerusalemme, oltre ad aver già raggiunto Tel Aviv. Dalle otto di stasera gli israeliani hanno detto che avrebbero incrementato l'attacco ... lo stiamo sentendo. Ci attende un'altra notte di bombe e boati che risuonano intorno, droni ed F16 che ronzano con il loro carico di distruzione in cielo. I bombardamenti avvengono in prossimità e dentro aree densamente popolate mettendo a rischio la vita dei civili. Ogni bombardamento causa la vibrazione delle abitazioni, creando un effetto terremoto che scuote le case. Un'amica vive vicino a un campo di addestramento che stanotte hanno colpito ripetutamente. La sua casa è stata scossa così forte e il boato è stato cosi assordante che pensava stessero attaccando casa sua. Stamattina mi ha scritto: 'E' da stamattina che tremo e ho paura. Pensavo che ci sarebbe caduta la casa addosso verso le sei, non so cosa usino ma è terrificante'. Fa rabbia leggere le versione dei principali media e giornali, che enfatizzano i lanci di razzi senza raccontare del disastro umanitario di Gaza, dell'illegalità del blocco israeliano, e dei bombardamenti indiscriminati su una popolazione imprigionata. Stanno terrorizzando l'intera popolazione, per fare la loro campagna elettorale. Penso che la maggior parte della gente per 8-10 ore al giorno non ha elettricità nelle case (come da tre anni a questa parte) e molti la sera sentono gli aerei e gli attacchi stando nel buio delle loro case. Penso alla paura dei bambini (a Gaza il 50% della popolazione ha meno di 14 anni). Munir, un amico, mi ha raccontato che suo figlio di 3 anni grida spaventato per i botti e la bimba di 8 anni non vuole mangiare né bere niente. Vi giro anche un comunicato con le interviste raccolte ieri all'ospedale Al Shifa di Gaza City, con la preghiera di diffusione. Un abbraccio, Adriana

sabato 17 novembre 2012

Plastiche / Interventi sul corpo tra violenza e libera scelta

Purtroppo io non potrò esserci perché già altrove, ma segnalo il seminario Interventi sul corpo tra violenza e libera scelta a partire dal numero della rivista Genesis curato da Alessandra Gissi e Vinzia Fiorino, Plastiche. Se poi qualcuna vuol essere così carina da lasciarci qui un messaggio e raccontarci qualcosa dell'incontro a fine anno riceverà uno dei premi Marginalia ;-)

giovedì 15 novembre 2012

Zapruder / Made in Italy. Identità in migrazione

L'ideazione di Made in Italy. Identità in migrazione, l'ultimo numero pubblicato da  Zapruder, ha coinciso con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ricorrenza che ha offerto alle/ai curatrici/curatori- Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti e Sabrina Marchetti -, che volevano parlare di migrazioni e identità italiane "la conferma della complessità dei processi di costruzione identitaria, ma anche della loro centralità nel vissuto individuale e collettivo, della loro funzione strategica, resa evidente dall’insorgere di nazionalismi o regionalismi spesso attivati proprio dalla questione della migrazione, o meglio dalla “minaccia” che la migrazione costituirebbe". In Made in Italy la questione è tuttavia ribaltata: "Innanzitutto non si parlerà di identità come qualcosa di fisso, che precede gli individui, da erigere come un muro o una bandiera per preservare intatta la “comunità”. Tanto più che per il nostro paese è necessario distinguere fra la dimensione statuale, costruita dall’alto, dell' «identità nazionale» e quella antropologica, a maglie larghe, dell'«identità italiana». Guarderemo quindi all'identità come a qualcosa di fluido, costitutivamente in movimento, superficie porosa a contatto con identità altre, le identità di un altrove in cui si arriva. In sostanza, la prospettiva non sarà quella di chi “sta”, ma di chi è in movimento e, in questo movimento, modifica le costruzioni identitarie che porta con sé e quelle che incontra. Un´identità in migrazione, quindi". Made in Italy sarà presentato domani sera - venerdì 16 novembre - alle ore 18.30 presso la libreria Linea 451 (via Santa Giulia 40 - Torino). Ne discuteranno con Andrea Brazzoduro ed Enrica Capussotti, Cristina Rowinski, Caterina Giovannetti e Manuela Cencetti, a partire dalla proiezione delle video-inchieste realizzate da Cinemainstrada. A seguire aperitivo. Ricordiamo che, sempre a Torino,sabato e domenica saremo all'XI assemblea generale di Sim/ Zapruder. Vi aspettiamo ;-).

Femministe a parole / Presentazione alla Bidd

Femministe a parole è un volume sulle questioni controverse che hanno attraversato il dibattito femminista nel corso degli ultimi anni: il multiculturalismo e i diritti delle donne, l’Islam in Europa e l’affaire du voile, la condizione postcoloniale e l’impatto delle migrazioni, il rapporto tra universalismo e relativismo culturale, il ruolo dei corpi e la performance dei generi. Intorno a questi temi, e molti altri ancora, nasce un dizionario ragionato delle contraddizioni, degli ossimori e delle domande complicate: un dizionario di «grovigli» redatto da 44 autrici, tutte femministe con percorsi ed esperienze diverse, che si cimentano nell’impresa non facile di fare i conti con le parole. La scrittrice afroamericana bell hooks ci ricorda che il linguaggio è «anche un luogo di lotta». Molto prima di lei Virginia Woolf si rammaricava del fatto che alle donne mancasse il tempo di coniare parole nuove, sebbene il linguaggio ne avesse veramente bisogno. Una delle più importanti lezioni che il femminismo ci ha trasmesso, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione. E visto che le parole sono sempre state imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste, le femministe hanno costantemente sentito il bisogno di condurre delle battaglie contro e dentro il linguaggio.Per le femministe di oggi, però, prendere la parola sul mondo è diventato sempre più complicato. Che dire del velo, delle veline, delle modificazioni genitali e della chirurgia estetica? Della famiglia, del sex work, del postporno? Che dire di Dio, della poligamia, del welfare e della globalizzazione? Le identità sono un bene o un male? E le culture sono solo quelle «degli altri»? Le risposte non sono a portata di mano, ma grazie a questi interrogativi il pensiero delle donne è chiamato a riattivare la capacità di convivere con le contraddizioni, riscoprendo così la sua vocazione eterogenea e plurale. Ne discuteremo giovedì 15 dicembre alle ore 18, presso la Biblioteca Italiana delle Donne (via del Piombo 5 - Bologna). Oltre alle curatrici del volume - Sabrina Marchetti, Jamila M.H. Mascat e Vincenza Perilli -, saranno presenti alcune delle autrici delle singole voci: Elisa A.G. Arfini (Lesbica), Beatrice Busi (Modificazioni), Silvia Cristofori (Integrazione), Giulia Garofalo (Prostituzione), Gaia Giuliani (Bianchezza - Famiglie), Alessandra Gribaldo (Riproduzione assistita - Veline), Laboratorio Smaschieramenti (Uomo), Isabella Peretti (Donne di destra - Madre-patrie). Coordina Elda Guerra

martedì 13 novembre 2012

De-costruzioni di genere / Reminder

Per chi oggi è a Trento o dintorni ricordiamo che questo pomeriggio (ore 18, aula 20 - Facoltà di Sociologia), all'interno del ciclo De-Costruzioni del genere. parole che contano, silenzi che parlano, organizzato dal Centro Studi interdisciplinari di Genere, presentazione del volume Femministe a parole. Vi aspettiamo ;-)

domenica 11 novembre 2012

Femminismo postcoloniale


Giovedì 15 novembre dalle ore 15 alle 17 si terrà il terzo incontro del seminario di autoformazione Dal femminismo agli "altri" femminismi. Tema dell'incontro Il femminismo postcoloniale, con Angela D'Ottavio e Jamila Mascat. Da segnare in agenda

Historical Materialism Conference

Oggi tra l'altro si conclude a Londra la nona Historical Materialism Conference, in cui ci sono stati diversi panel dedicati alla questione femminismo / marxismo. Come altre volte - che purtroppo spostarsi è diventato un lusso sotto svariati punti di vista - possiamo solo sperare negli atti e in qualche racconto di chi ci è stata ...

Signore di destra

Anche Isabella Rauti indagata per concorso in abuso d'ufficio nell'ambito delle indagini sul cosiddetto Laziogate. Era forse questa la parità sostanziale a cui la signora Alemanno alludeva in una intervista con Marta Ajò in cui si blaterava di femminismo, futura classe dirigente femminile e "grandezza e civiltà nazionale"?

sabato 10 novembre 2012

Storie in movimento / XI assemblea generale

Come avevamo già segnalato qualche settimana fa, sabato 17 e domenica 18 novembre si terrà a Torino l'XI assemblea generale di Storie in movimento, assemblea che non si terrà più al Verdi 15 (a causa dello sgombero del 30 ottobre), ma presso il Fuoriluogo Arci Club (C.so Brescia 14/C - Torino). L'assemblea ( qui il programma) è, come sempre,  aperta a tutti/e coloro che sono curiosi/e o vogliono far parte del progetto Storie in movimento, progetto nato nei primi mesi del 2002, da un appello per una rivista per lo studio dei movimenti e dei conflitti sociali. Sono trascorsi dieci anni da allora. In questo periodo il progetto si è sviluppato, è nata la rivista Zapruder, arrivata ora al ventinovesimo numero. Abbiamo realizzato, in numerose città, presentazioni della rivista, dibattiti e seminari. Abbiamo realizzato un sito internet che abbiamo cercato man mano di arricchire di nuovi contenuti. Abbiamo realizzato alcune newsletter, che forse avrai ricevuto. Abbiamo realizzato, ogni estate negli ultimi otto anni, il SIMposio di storia della conflittualità sociale: tre giorni di dibattiti su temi legati alla storia della conflittualità sociale, che hanno visto la partecipazione di decine di persone. Insomma, il progetto Storie in movimento,  ha raccolto l'entusiasmo e la voglia di fare, di studiare e di discutere di decine di persone. Tutte le attività del progetto Storie in movimento vengono realizzate solo grazie all'impegno volontario degli aderenti. Il momento centrale di confronto e di discussione tra tutti gli aderenti a Storie in movimento è l'assemblea generale annuale. Come per gli altri anni si tratta di un appuntamento importante per fare il bilancio della nostra esperienza e discutere le linee progettuali del prossimo anno. Insieme agli aspetti organizzativi (elezione della redazione di Zapruder e del comitato di coordinamento di Storie in movimento), verranno discusse le proposte per i prossimi numeri della rivista e per il prossimo SIMposio estivo, così come i progetti in corso e futuri. Invitiamo inoltre socie e soci di a vincere la timidezza e prendere in considerazione la propria candidatura per la redazione e per il comitato di coordinamento. Storie in movimento ha bisogno di nuove energie e di nuove idee! L'assemblea è aperta a tutti/e. Le proposte per la parte monografica dei prossimi numeri di Zapruder, nonché le candidature per la redazione di e per il comitato di coordinamento di sono invece riservate ai/alle soci/e di Storie in movimento, così come ovviamente le votazioni. È possibile aderire all'associazione entro l'inizio dell'assemblea. Vi aspettiamo!

venerdì 9 novembre 2012

Femministe a parole in tournée

Dopo le presentazioni che ne hanno accompagnato l'uscita (1, 2, 3 ...), per i prossimi mesi sono in programma nuove occasioni di incontro e discussione a partire dal volume Femministe a parole, pubblicato nella collana sessismoerazzismo dalla casa editrice Ediesse (a cura di Jamila M.H. Mascat, Sabrina Marchetti e Vincenza Perilli). Segnaliamo qui le prime date del tour, che a partire da questo (caldo) autunno si protrarrà fino ai primi mesi del 2013 (e speriamo anche oltre). Martedì 13 novembre Femminsite a parole sarà presentato a Trento, all'interno del ciclo di incontri De-costruzioni di genere: parole che contano, silenzi che parlano, a cura del Centro Studi interdisciplinari di Genere dell'Università di Trento. Ne discuteranno con una delle curatrici del volume Maria Coppola e Giulia Selmi. Il 15 novembre invece, alle ore 18, Femministe a parole sarà alla Biblioteca italiana delle donne di Bologna, per una presentazione corale. Oltre alle tre curatrici del volume saranno infatti presenti alcune delle autrici delle singole voci: Elisa Arfini (Lesbica), Gaia Giuliani (Bianchezza), Isabella Peretti (Madre-patrie), Beatrice Busi (Modificazioni), Giulia Garofalo (Prostituzione), Alessandra Gribaldo (Riproduzione assistita), Laboratorio Smaschieramenti (Uomo). Vi aspettiamo ;-)