martedì 29 settembre 2009

Stranabologna: in strada per spezzare il filo nero della paura

Dove? Quando? Perché? Cliccate QUI (e accidenti! ma stamani non ho neanche il tempo per fare un banalissimo copia-incolla ...)
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Anna Paola Concia è conciata male ...

Così scriveva qualcuna/o a commento di un mio post sulla "fiaccolata" romana contro "l'intolleranza e i razzismi" della scorsa settimana. Non soddisfatta del teatrino allestito con il sindaco Alemanno e Imma Battaglia (due cuori e una celtica) nel post-fiaccolata, Anna Paola Concia ha accettato l'invito di CasaPound a partecipare ad un tavolo di confronto sui cosiddetti "diritti civili''. Cosa ne posso pensare si può dedurre da quello che ho scritto e ri-scritto qui e altrove (e non mi prendo neanche la briga di cercare tutti i link, troppi). Ma del resto non sono minimamente sorpresa. Lo "sdoganamento" di CasaPound a "sinistra" è cominciato da un po' (Italo docet). Del resto dialogare con la destra, anche quella estrema, è un vezzo (presumo giudicato trendy o trasgressivo) di parecchia gente (politicanti, artistucoli e intellettualoidi in cerca di un po' di notorietà o desiderosi di vendere qualche copia in più della loro mercanzia) e va avanti da un pezzo (anni 90?). Comunque, per tornare a Concia, non credo ci si potesse aspettare maggiore discernimento da una che mette la sua faccia (e anche qualcosa di più, come aveva celiato l'onorevole Jean Leonard Tuadì, suo compagno di avventura) in una campagna pubblicitaria che, amalgamando diversi e complessi rapporti (sociali, politici ed economici) di dominazione, discriminazione e sfruttamento, finiva per annullarne la specificità: la Lesbica (bianca) e l'Uomo di colore, vittime di un indistinto pregiudizio chiamato razzismo. Di qui al generico e vacuo rifiuto dell'intolleranza, vessillo della fiaccolata romana, il passo è stato breve. E il passo successivo, è stato facile: decidere di sedersi al tavolo di CasaPound in nome della condanna indeterminata di ogni forma di "intolleranza" e della "non-discriminazione". L'antifascismo - sconvenientemente dedémodé, se non nei proclami di circostanza - appare in quest'ottica il vero intollerante, colpevole di rifiutare quattro chiacchiere con i cosiddetti "fascisti del terzo millennio".
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domenica 27 settembre 2009

Con Simonetta Salacone, che non ha fatto silenzio

Il "minuto di silenzio" per i soldati italiani uccisi in un attentato a Kabul, imposto il 21 settembre nelle scuole italiane da una direttiva della ministra Gelmini, è parte di un più vasto complesso di rituali consensuali finalizzati a produrre identificazione collettiva nella spedizione militare in Afghanistan, presentata come "missione di pace". La marginalizzazione delle voci critiche è parte integrante di questa strategia. Molte/i insegnanti e dirigenti scolastici hanno rifiutato, ignorandola, questa imposizione, altre/i hanno scelto di manifestare e motivare pubblicamente il proprio dissenso, ed è contro queste/i che si è concentrata una campagna intimidatoria da parte di esponenti del governo che sollecitano pesanti sanzioni disciplinari. Il bersaglio privilegiato di questa sorta di linciaggio simbolico e burocratico è divenuta - evidentemente anche a causa del suo impegno contro la cosiddetta riforma Gelmini - Simonetta Salacone, dirigente scolastica della materna-elementare Iqbal Masih di Roma, scuola sotto la quale un gruppo di militanti della Giovane Italia, movimento giovanile del Pdl, ha inscenato una manifestazione non autorizzata di stampo squadrista, che ha costretto genitori e insegnanti a creare un cordone per proteggere le/i bambine/i.
E' il momento per chi condivide questo rifiuto di impedire la creazione di un capro espiatorio manifestando apertamente il proprio dissenso. L'appello Contro l'imposizione del silenzio può essere uno degli strumenti per farlo.
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venerdì 25 settembre 2009

RU 486

RU 486, dalla serie Badtime Comics di Gioraro, una mixed media artist, come si definisce. Anche un po' femminista, direi. In ogni caso la sua RU 486 giunge a proposito ...
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Gianni Alemanno e Imma Battaglia: due cuori e una celtica

da Il Messaggero:

[...] Alemanno ha poi baciato Imma Battaglia, presidente di Gay Project, e dopo averla baciata, sotto il palco collocato al Colosseo dove si è conclusa la fiaccolata contro ogni razzismo e l'omofobia, organizzata stasera a Roma, le ha detto: «Ce l'abbiamo fatta». L'assessore alla cultura del Comune di Roma Umberto Croppi, davanti a loro, ha commentato: «Solo un anno fa era impensabile, ma ci abbiamo lavorato tanto». Poi c'è stato un altro siparietto con la Battaglia che ha detto ad Alemanno: «Prima la legge contro l'omofobia e poi alla fine anche i matrimoni gay». A quel punto Alemanno ha riso di gusto e si è avvicinata alla parlamentare del Pd Paola Concia, la quale ha commentato: «Sposerà me Alemanno». E poi dandogli una pacca sulla spalla ha aggiunto: «Lascerà la moglie e sposerà me». E la risata è stata generale. «Solo Roma poteva essere capace di fare questa manifestazione - ha detto Alemanno - Trentamila persone sono un successo perché questa era una manifestazione difficile e al tempo stesso unica». «Sono molto soddisfatta perché la considero anche una vittoria della mia politica trasversale», ha detto Imma Battaglia commentando l'esito della manifestazione.
[...]

Senza commento, per carità.
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Contro l'imposizione del silenzio


Siamo genitori, insegnanti, educatrici ed educatori, persone che credono nell'importanza di un'educazione contro la guerra ed abbiamo appreso con sconcerto e preoccupazione che il 21 settembre, giorno dei funerali di stato per i sei parà italiani morti nell'attentato del 17 settembre 2009 a Kabul, negli istituti scolastici (comprese le scuole materne ed elementari) è stata diramata una circolare (proveniente direttamente dal ministro Mariastella Gelmini), che invitava all'osservanza da parte degli istituti di tutta Italia di un minuto di silenzio alle ore 11.30, per sensibilizzare i più giovani sulla cosiddetta "missione di pace" del contingente italiano in Afghanistan. Riteniamo che l'imposizione di "un minuto di silenzio" (che pure è stato osservato in numerosi luoghi pubblici, sedi di associazioni e luoghi commerciali) rappresenti nelle scuole pubbliche un'inaccettabile ingerenza che viola le richieste e le aspettative di molti genitori rispetto alla formazione dei propri figli (in gran parte ancora bambini non in grado di sviluppare un proprio autonomo punto di vista su questioni fondamentali come la pace e la guerra) e calpesti violentemente la libertà e l'autonomia di insegnamento di chi nella propria pratica educativa e pedagogica ha messo in primo piano i valori della convivenza civile e il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, sancito dalla Costituzione italiana. E' la prima volta che in Italia viene imposto un "minuto di silenzio" per dei militari morti ( e ci chiediamo perché non per i medici o i giornalisti morti sui fronti di guerra, armati solo di un bisturi o di un taccuino) e condividiamo i timori di chi, anche in questa imposizione, vede la ricostruzione di una scuola stile Ventennio (si veda Lettera di una mamma sul minuto di silenzio). Crediamo che sia sbagliato e ingannevole arrogare il rispetto e il dolore per delle morti all'acritica apologia di una missione che legittimamente disapproviamo. Siamo solidali con quanti hanno disertato la direttiva del Ministero, e in particolare con chi ha pubblicamente motivato questa scelta, come il corpo docente e dirigente delle scuole romane Iqbal Masih, Pietro Maffi e Marconi, celermente minacciato di sanzioni disciplinari (si veda No al minuto di silenzio nelle scuole).
Invitiamo a diffondere e firmare questo appello

Firmatarie/ri: Antonella Selva, Vincenza Perilli, Mohamed Rafia Boukhbiza, Rudy M. Leonelli, Giusi Sasdelli, Alberto Masala, Sandra Cassanelli, Leo Rambaldi, Daniela Spiga, Enrica Capussotti, Silvana Sonno, Daniela Danna, Lidiamaria Cirillo, Graziella Bertozzo, Flavia Branca, Gabriella Cappelletti, Sara Farris, Antonella Caranese, Marco Poggi, Maria Grazia Negrini, Stefania Biondi, Donatella Breveglieri, Alice Bruni, Marinella Zaniboni, Donatella Mungo, Norma Bertullacelli, Eugenio Lenardon, Rossella Cecchini, Claudio Cantù, Patrizia Ottone, Carla Govoni, Ilaria Turrini, Larissa Cioverchia, Irene Patuzzi, Alessandro Paesano, Marina Sammarchi, Mariangela Casalucci, Anna Acacci, Gaetano Apicella, Marco Trotta, Andrea Coveri, Marinella Gondoni, Lisa Prandstraller, Giovanna Garrone, Stefano Pezzoli, Grazia Bollin, Piero Cavina, Stefano Tampieri, Gerlando Argento, Andrea Martocchia, Vincenzo Zamboni, Massimiliano Garlini, Gabriele Spadacci, Cristina Tagliavini, Franco Sacchetti, ...

Per adesioni: nosilenzio chiocciola gmail.com
Adesioni in aggiornamento su Marginalia
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mercoledì 23 settembre 2009

Donne migranti, rivolte e tentativi di stupro nei Cie

Sono sempre più frequenti le rivolte e le sommosse nei cosiddetti Cie, quelli definiti "hotel di lusso" e "piccole bomboniere" dai burocrati del regime e che invece le terribili condizioni di vita denunciate dai migranti e dalle migranti detenuti/e (e gli scioperi della fame, gli arresti, i pestaggi, i tentativi di fuga, i suicidi), fanno apparire per quello che sono veramente: carceri, territori dove tutto è permesso a chi detiene il potere e il controllo. Ai primi di agosto, nel Cie di via Corelli a Milano, una nuova rivolta. Parte dalle camerate delle donne, e non a caso. Durante il processo che si imbastisce contro "i rivoltosi" (processo ancora in corso), una giovane detenuta nigeriana, denuncia i ripetuti tentativi di stupro da parte dell'ispettore-capo del Cie: sarebbero stati proprio i suoi ostinati rifiuti a concentrare la repressione contro di lei e contro le altre donne migranti della sezione subito dopo la sommossa: manganellata ripetutamente insieme alle sue compagne quando erano già tutte ammanettate, riceve infine un pugno in faccia dall’ispettore-capo in persona. Il messaggio è chiaro: chi detiene il potere nei Cie può disporre come e quando vuole dei corpi reclusi. Soprattutto il corpo delle donne, che deve sempre essere "a disposizione" (senza fare troppe storie ...). Quel poco che possiamo fare: solidarietà fattiva a tutte le donne migranti, dentro e fuori i Cie, denuncia continua delle innumerevoli forma di violenza che subiscono quotidianamente e soprattutto appoggio incondizionato alle loro lotte.
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Clandestino (e clandestina) Day

Venerdì 25 settembre in occasione del Clandestino Day - una giornata con e per i/le migranti - che vedrà iniziative un po' i tutta Italia (potete trovare il programma completo qui), l'associazione di donne native e migranti Le Mafalde invita (a partire dalle 18, presso Isola Art Center Office for Urban Transformation - Centro per l'arte contemporanea Luigi Pecci, V.le della Repubblica, 277, Prato) a un dibattito intorno al volume Lessico del razzismo democratico. Le parole che escludono, con (tra gli altri) Giuseppe Faso, Mercedes Frias, Mario Marcuz ed Enrica Capussotti. A seguire proiezione di Come un uomo sulla terra.
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La solitudine della Gattoparda, la società porno-tutto-il-giorno e lo spettacolo dell'autoabuso in pubblico

Mi sono imbattuta con piacere in questo articolo di Laura Corradi, docente di Studi di Genere all'Università della Calabria, con la quale - nel corso degli anni - finiamo ogni tanto per ritrovarci (in Altreragioni prima, in Donne di mondo più recentemente e nel lavoro comune per il prossimo numero dei Quaderni Viola attualmente). La solitudine della Gattoparda è stato pubblicato nel numero 76 di Leggendaria (settembre 2009), grazie all'autrice di avermi permesso di ripubblicarlo qui. Buona lettura

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Sembrerà che tutto cambi, affinché tutto resti immutato – suggeriva Tomasi di Lampedusa – risvegliatosi al Napoli Teatro Festival. Qui sembra che le sue parole risuonino caduche in una dimensione di genere dove i desideri sono ingabbiati, socialmente costruiti dal mercato divenuto linguaggio unico dell’accesso al divertimento. La Gattoparda (di Miriam Palma e Lina Prosa) osserva apparentemente immobile il pendolo delle identità femminili nei suoi viaggi interiori, a partire dalla sua tana umida e pulsante, capace di risvegliare altre tane - tane anziane, tane puttane, tane che non hanno fame, tane piccole e sane … Perché per noi non è un monte di venere da espugnare ma una città di troia su cui regnare. Ed è lo stesso pube a cui Angela Barretta - dopo aver tagliato il proprio petto: lametta e sangue - cuce pazientemente con ago e filo un fallo di lattice - circondata da sguardi curiosi e morbosi, e da stomaci in subbuglio – in Pharmacon, critica audace del corpo medicalizzato e di rapporti di genere violenti tra chi agisce la scienza e chi la subisce - tra i camici bianchi, camici sadici, e i corpi delle donne che si fidano. Con tutta la dinamica perversa del rapporto tra uomini e donne – che oggi implica la possibilità di scegliere la negazione del desiderio femminile, paradosso dell’autocontrollo – dolorosa e necessaria arma di difesa verso un potere maschile insostenibile e insopportabile: egoismo incontinente, falsità indifferente, strumentalità acquisitiva che ci rende tutte intercambiabili: ogni menzogna, ogni finzione, ogni slealtà può essere legittima nell’immaginario simbolico maschile, ogni manipolazione può essere messa in scena, in nome dell’obiettivo – fare goal, rimorchiare, la conferma di una virilità surriscaldata e stanca. Ma alla fine possono volere solo la tana che non li vuole. Profetesse senza seguito. Quale è la politica delle donne oggi? Mentre si consuma la solitudine delle teoriche femministe, mentre la Gattoparda si interroga sulle possibilità di un ‘teatro d’autrice’ come dispositivo collettivo di insubordinazione sociale – i maschi rincorrono il paradiso in terra, il desiderio malato del corpo merce – vogliono la velina e la cocaina, ci dice Massimiliano Virgilio nel suo raccontare Napoli nel testo Porno tutto il giorno - disperandosi per il rifiuto, per non poter avere quello che gli schermi promettono nel loro paese dei balocchi: un cazzo sempre duro, fighe a volontà, belle auto, vestiti firmati, le mercanzie degli shopping mall. Si vendono l’anima per così poco. Perché – in fondo in fondo, in quanto maschi - vogliono comandare-e-fottere, che siano ventenni o cinquantenni, camionisti o medici, cattolici, comunisti o anarchici. Nel sottoscrivere i modelli di maschilità dominante finiscono per assomigliare così tristemente al Berlusconi che aborrono … Mentre il mondo della Gattoparda ruota vorticosamente verso il cambiamento di polarità profetizzato da diversi popoli indigeni - fuori dalle rotte conosciute, dalle schiavitù edulcorate, dal paradigma sado/maso come unica modalità di relazione tra i generi – viene messo in scena l’autoabuso come denuncia e come piacere – ciò che la black panther Angela Davis chiamava internalized oppression - "oppressione interiorizzata". Nel silenzio che evoca l’indicibile la Gattoparda traccia le linee della libertà impossibile, l’unica che valga la pena vivere. La tana diventa quindi il luogo dell’eterno ritorno, caverna magica della forza e grotta segreta della creatività non discipli/nata: Dea senza inizio e senza fine, anfratto della clandestinità e della complicità fra donne, pratica discorsiva irriducibilmente antagonista – come durante l’incontro delle tane - tane siciliane, tane africane - nello splendido video Lampedusa Beach. La resurrezione della Gattoparda alla fine dimostra solo una cosa: che il desiderio, quello vero non muore mai, nemmeno quando gli spari un colpo in testa.
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lunedì 21 settembre 2009

Ricordando ancora Riccardo Bonavita



Rinvio qui, al frammento dell'articolo di Riccardo Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica (in La menzogna della razza, 1994) e alla bibliografia che avevo ri-pubblicato nel primo anniversario della morte.
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L’Italia finanzia le violenze contro le donne migranti

"Sono tante le testimonianze dei soprusi e delle torture subiti dalle persone detenute nei centri di concentramento libici, ma per le donne, oltre alle torture, il trattamento prevede violenze sessuali e stupri di gruppo! L'Italia, finanziando la polizia e le carceri libiche e respingendo donne e uomini verso la Libia, è complice di queste atroci violenze. Dalla frontiera meridionale libica ogni anno entrano migliaia di migranti e rifugiati sprovvisti di documenti, alcuni dei quali poi continuano il viaggio verso l’Italia. Anche se uomini e donne africani che arrivano via mare rappresentano una minima parte dei migranti senza documenti presenti in Italia, il governo italiano ha concentrato attenzione e risorse sugli sbarchi, poiché essi rappresentano il simbolo della prospettiva emergenziale costruita da anni sul tema dell’ immigrazione: sul regime di paura alimentato dalla menzogna dell’”invasione” si gioca la propaganda razzista e criminalizzante del governo, ormai istituzionalizzata nel pacchetto sicurezza. In base agli accordi tra il governo italiano e il governo libico e alle nuove politiche migratorie inaugurate dall’Italia, le donne e gli uomini provenienti dalla Libia, anche se quasi mai di nazionalità libica, vengono “respinti” senza avere la possibilità di arrivare in Italia e di presentare richiesta di diritto d’asilo, di cui la maggior parte di loro è a tutti gli effetti titolare. Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora oltre 1.200 le persone che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia. Durante la detenzione nelle carceri libiche, uomini e donne subiscono violenze inaudite e vere e proprie torture, “Abusi, vessazioni, maltrattamenti, arresti arbitrari, detenzioni senza processo in condizioni degradanti, torture, violenze fisiche e sessuali, rimpatri di rifugiati e deportazioni in pieno deserto. Crimini che l’Unione europea finge di non vedere…” queste le amare conclusioni di un rapporto curato da Fortress Europe nel 2007. Le donne in particolare subiscono, oltre alle violenze fisiche e psicologiche, stupri ripetuti e collettivi. In seguito alle violenze sessuali, molte di loro rimangono incinte e sono costrette a ricorrere ad aborti clandestini, che spesso le uccidono. E non è che le cose in “patria” vadano meglio: nei CPT (oggi CIE) viene applicato lo stesso progetto repressivo e violento. Ne è una prova laprotesta al CIE di via Corelli a Milano, soffocata dalla violenza delle Forze dell’Ordine. I processi si svolgeranno il 21 e il 23 settembre e vedono implicato anche l’ispettore capo di servizio al centro, accusato da una partecipante alla protesta di tentata violenza sessuale. Paradossalmente tutto questo viene fatto al fine di garantire la “sicurezza “ dei cittadini e delle cittadine italiane e anche in nome della violenza contro le donne. La ministra Carfagna ha sostenuto, nell’incontro con Gheddafi dello scorso giugno, di voler aiutare le donne africane, e ha presieduto in questi giorni un G8 contro la violenza alle donne escludendo i centri antiviolenza. Di fatto però l’Italia finanzia attivamente le violenze contro donne e uomini migranti con importanti stanziamenti finanziari e di mezzi alla Libia. Del corpo delle donne viene sempre fatto un uso strumentale, viene data risonanza mediatica solo agli stupri di stranieri su donne italiane, quando le violenze commesse da uomini migranti costituisce solo una minima parte delle violenze agite sulle donne nel nostro paese. La maggior parte della violenza avviene all’interno della famiglia cosiddetta “normale”, promossa e protetta e al centro di tutte le politiche sociali. Vogliamo che sulla violenza alle donne non venga fatta nessuna strumentalizzazione per avallare leggi razziali! Vogliamo la libertà di migrazione per tutte/i, sia per le persone che emigrano per necessità, in fuga da guerre, dittature e persecuzioni, sia per le/i migranti economici, e per tutte/i coloro che desiderano migrare. Vogliamo che vengano interrotti immediatamente i respingimenti, che vengano garantiti il diritto all’esistenza, alla libertà, all’autodeterminazione delle e dei migranti, no al reato di clandestinità, no al pacchetto sicurezza. Vogliamo che le donne che arrivano nel nostro paese non debbano subire ogni tipo di violenza senza potersi ribellare proprio perché una legge della nostra repubblica le rende ricattabili. Non possiamo più far finta di non vedere e di non sapere, non possiamo non riconoscere il legame tra violenza contro le donne, sessismo, razzismo, lesbo/trans/omofobia, che porta alla normalizzazione di vecchi e nuovi fascismi, auspichiamo che le voci di dissenso producano nuove forme di resistenza".

Questo il testo di convocazione del presidio promosso da Altra città - Lista civica di donne che si terrà mercoledì 23 settembre alle ore 18 in piazza Nettuno a Bologna. Adesioni finora pervenute: Centro interculturale delle donne "Trama di Terre", Associazione Armonie, Bologna Città Libera, Fuoricampo Lesbian Group-Officina di Studi Arte e Politica lesbica, Facciamo Breccia - Bo, MIT - Movimento Identità Transessuale, La Tavola delle donne sulla violenza e sulla sicurezza della città, Maria Grazia Negrini, Donne in Nero di Bologna, Marinella Manicardi, Catalina Pazmino, Antagonismogay, Laboratorio smaschieramenti, Associazione Comunicattive, Coordinamento "Quelle che non ci stanno", LAI - Lesbiche Antifasciste in Italia, Collettivo figliefemmine, Associazione Orlando, Fernanda Minuz, Anna Zoli, Coordinamento Donne Trieste, Gruppo 98' poesia, UDI - Unione Donne Italiane, Vincenza Perilli, Terre Libere, Associazione Femminile Maschile Plurale - Ravenna, Paola Patuelli, La vita al centro. Bambini e genitori - To, Donatella Faraoni, Casa delle donne per non subire violenza, SOS DONNA, Marcella Brizzi

Per adesioni:altracitta@women.it
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Auschwitz. Prima e oltre. Nuovi conflitti e percorsi altri tra esclusione, identità e differenza

Di seguito il call for papers per il convegno promosso dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell'Università degli Studi di Macerata, dall'Osservatorio di genere e dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea Mario Morbiducci, che si terranno a Macerata il 27, 28, e 29 Gennaio 2010. Quanti/e intendano partecipare ad uno dei workshop tematici sono invitati ad inviare, entro e non oltre il 30 settembre 2009, un abstract del proprio intervento (max 300 parole) a: csgeneremc@gmail.com (o via fax allo 0039 0733 258 2551). Saranno accettati soltanto gli abstract in lingua italiana e/o inglese che indicheranno: nome e cognome, indirizzo di posta elettronica, titolo dell’intervento e un breve curriculum vitae et studiorum (max 2000 battute, spazi inclusi). Ulteriori info: Dip. Scienze della Comunicazione: g.calamanti@unimc.it e/o Osservatorio di Genere: csgeneremc@gmail.com

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Attorno ad Auschwitz come evento paradigmatico del costruirsi e dello sfaldarsi di categorie tanto storiche quanto politiche si sono condensati studi eriflessioni che ne hanno indagato ampiamente origini ed effetti ben aldi là dell’orizzonte novecentesco. L’intento di queste giornate di studio è quello di proporre una rilettura di quelle circostanze (storiche, sociali, politiche, culturali, filosofiche) che, anche attraverso progressive dissipazioni del senso dei limiti, hanno avviato a regimi in cui tutto è apparso possibile. A questa analisi, che si propone di mettere a confronto discipline e approcci differenti, si vuole affiancare un tentativo di guardare alla contemporaneità, segnatamente ai nuovi conflitti che non di rado accompagnano forme di chiusura identitaria, alla luce di quelle modalità diesclusione/discriminazione che investono spesso le differenze tout court. L’intento di andare oltre Auschwitz, rivitalizzando un’idea di memoria non meramente conservativa ma che tenti di stabilire raccordi con l’oggi, induce a guardare a quelle forme di opposizione ai conflitti, dai movimenti pacifisti alla non violenza, che si sono raffinati nel corso del Novecento. All’interno di questa cornice di carattere più generale potranno essere affrontate in maniera più specifica le seguenti tematiche: Esclusione e discriminazione delle minoranze, violenza di genere: donna come soggetto e oggetto dei totalitarismi, pacifismo e movimenti per la pace, identità e politica: classe, etnia e genere, nuove forme di opposizione ai conflitti dopo Auschwitz e Hiroshima, conflitti nel mondo contemporaneo, biopolitica del campo.
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domenica 20 settembre 2009

Violenza sulle donne migranti e razzismo: Daniela Santanchè e le nuove "cerimonie di svelamento"

Nel suo La battaglia del velo, Chiara Bonfiglioli ricorda come nell'Algeria coloniale la retorica sulla condizione della "donna musulmana" era funzionale alla produzione di un apparato discorsivo volto a decretare l'inammissibilità delle popolazioni colonizzate. Nella logica dei colonizzatori il corpo della donna velata diveniva metonimia per l'intero territorio da conquistare e "strappare" il velo alle donne era anche un modo per affermare la propria superiorità, umiliare i colonizzati e distogliere l'attenzione dai massacri e dalle torture che caratterizzavano violentemente la guerra d'Algeria. Allo scopo si inscenarono anche delle vere e proprie "cerimonie di svelamento", durante le quali si strappava il velo ad alcune donne algerine al grido di "Viva l'Algeria francese". In queste cerimonie non trascurabile fu l'apporto/appoggio di una certa Madam Salam, moglie del comandante delle truppe francesi in Algeria e fondatrice del Movimento di solidarietà femminile.
So bene che i tempi e il contesto sono diversi, ma come non notare la sorprendente ( e inquietante) similitudine di queste cerimonie di svelamento coloniali con la "manifestazione contro il burqa" inscenata oggi a Milano da Daniela Santanchè? Come già annunciato a poche ore dalla morte di Sanaa Dafani, stamani Madam Santanchè, accompagnata da un manipolo di suoi accoliti, ha tentato infatti di impedire l'entrata alla Fabbrica del Vapore ad alcune donne che andavano a festeggiare la fine del Ramadan, aggredendole e tentando di strappare loro i veli (chiamati impropriamente da Santanchè&Co burqa, ma il perché è facilmente intuibile). Sembra che sia stata aggredita a sua volta, ma crediamo che questo rientri nel copione previsto e sperato. Mentre attendiamo l'inevitabile ridda di dichiarazioni di solidarietà verso Santanchè (e indignazione verso i/le fondamentalisti/e intolleranti) ci chiediamo cosa abbia gridato la leader del Movimento per l'Italia prima di gettarsi addosso alle donne velate da svelare ...

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Veli svelati. Soggettività del velo islamico nei racconti di alcune donne migranti
Protesta con veli e kefiah alla reggia dei Savoia
Musulmane rivelate. Donne, Islam, modernità
Per non tornare alle Crociate
Gaza. Dei vivi che passano
ControStorie: Razzismo_genere_classe online
Classer, dominer. Qui sont les autres?
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sabato 19 settembre 2009

Shadi Ghadirian: ironia di un'artista iraniana su donne e vita domestica


Alcune immagini tratte dalla serie Like Every Day (Domestic Life) di Shadi Ghadirian, giovane artista iraniana, nata a Tehran, dove ancora vive e lavora. Per chi legge lo spagnolo rinvio all'interessante articolo/intervista publicato nel blog di Ideadestroyingmuros.
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giovedì 17 settembre 2009

Stranieri ovunque

Stranieri ovunque è il titolo dell'ultimo numero di Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale, da poco in libreria.
Gitanos, gypsies, kalé, manouches, rom, romanichels, sinti, ma anche caminanti, travellers e viaggiatori: popolazioni, gruppi e persone diverse che in Italia (a differenza della maggioranza degli altri paesi europei) sono comunemente designate come «nomadi», anche dalla stampa progressista che lo ritiene un gesto di particolare sensibilità umana e politica rispetto al più connotato «zingari» (che invece rivela solo quello che «nomadi» cerca maldestramente di nascondere). A partire dalla questione del nome «Storie in movimento» ha aperto un cantiere di ricerca secondo le modalità di lavoro che lo contraddistinguono come laboratorio storiografico atipico. Tenendo insieme alto e basso, analisi delle fonti e registro divulgativo, attraversando entrambe i territori (spesso reciprocamente ostili) della storiografia universitaria e di pratiche di ricerca meno distanti dalla storia nel suo farsi, questo numero di «Zapruder» si propone come un’indagine – parziale, frammentaria e non sempre consensuale – di una realtà complessa quanto misconosciuta. A fronte delle grida scomposte contro il «pericolo zingaro» e allarmati dal conseguente manifestarsi di una gamma di fenomeni che va dal micro-fascismo al pogrom (pensato, declamato, desiderato e in qualche caso agito), «Storie in movimento» si è sforzata di capire, di adoperare gli strumenti che le sono propri, quelli della critica storica, per cercare di vedere le cose più da vicino (ma anche più da lontano). Si discuterà di questo percorso domani, a partire dalle 16.30, con gli abitanti di uno dei più grandi “campi rom” d’Europa, il Casilino 900 (Roma - via Casilina, 900), insieme al collettivo Stalker/Osservatorio nomade e alle/agli autrici/autori di Stranieri ovunque. E a seguire musica e cucina romanì ...

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Stranieri ovunque
L'occidente visto dagli altri
Memoria e rappresentazioni del colonialismo
Zingari d'Italia
Confini senza fine
La banda della Uno Bianca e l'assalto al campo rom di via Gobetti
L'estraneo tra noi
Femminismo nel mondo? E' più vivo che mai
Donne di mondo
Scambi di sguardi
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Per Sanaa Dafani

Apprendo ora della morte di Sanaa Dafani. Sembra che ad ucciderla, sgozzandola, sia stato il padre. Non scrivo nulla adesso. Non posso/voglio aggiungere anche la mia voce, per quanto dissonante, allo scempio che di questa morte si sta facendo sulla stampa cartacea e non. Bastano le mara carfagna, le daniela santanchè, le souad sbai a disputarsi il suo cadavere ancora caldo. Sanaa come Hina, dicono.

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia

Ricordando Hina Saleem. E le altre.
L'uomo bianco stupra, lo stato bianco assolve
Economia politică a violului
Interruzioni involontarie di gravidanza
Economia politica dello stupro
No Trespassing
Violenza sulle donne e razzismo
Sessismo e razzismo: informazione e deformazione
La "femme" e "le petit nègre"
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martedì 15 settembre 2009

Terrone sinonimo di maleducato ... Riflessioni solitarie a partire dal manuale di bon ton di un gay-friendly leghista

Credo che i fatti, dopo i tanti articoli, comunicati e prese di posizione, siano noti. Riassumo: la settimana scorsa, a Bologna, dopo una festa gay ai Giardini Margherita, un gruppo di almeno quattro persone aggredisce fisicamente un giovane omosessuale. Nel clima attuale, caratterizzato da una preoccupante escalation di aggressioni contro soggetti lgbt (pestaggi, accoltellamenti, locali dati a fuoco, bombe carta, minacce sui muri ...) l'episodio non poteva che destare legittima preoccupazione. Ma sulla stampa, dopo una dichiarazione della vittima (che avrebbe affermato di "fare fatica a definire omofobica l'aggressione, perché non sono state pronunciate parole di quel segno, ma è convinto che gli aggressori fossero eterosessuali"), l'aggressione viene presto derubricata come un banale litigio per futili motivi, sembra per una sigaretta negata. Inutile dire che nè la dichiarazione della vittima, nè il cosiddetto "futile motivo" (come dimenticare che anche Nicola Tommasoli è stato ammazzato per una sigaretta negata ?) sono parsi a molte/i motivi sufficienti per ritenere quanto accaduto "banale". Ma oggi sulla stampa mainstream la vicenda viene arricchita di un altro particolare: sembra che all'origine dell'aggressione non ci sia una sigaretta rifiutata ma un insulto che un amico dell'aggredito ha urlato agli aggressori, un gruppo di giovani napoletani. L'insulto è di quelli che ben conosco, terrone. E si da anche il caso che colui che l'ha proferito sia un militante della Lega Nord, un attivista "strutturato" del partito di Bossi e Salvini (quello di "Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”... ma ne hanno per tutti, migranti, islamici, meridionali in genere). Ci sarebbero tutti gli elementi per cogliere in questa vicenda la preoccupante e incrociata presenza di elementi sessisti e razzisti, ma la stampa riporta subito una dichiarazione del gay-friendly in camicia verde che rimette tutte le cose a posto. Giura "che quell'epiteto non è stato usato a scopo discriminatorio. Volevo solo dare del maleducato ad una persona ubriaca che mi aveva infastidito. Era solo un sinonimo, credo che nella cultura settentrionale quella parola venga usata spesso in questo modo. Nessuna discriminazione". E' alleggerisce anche le responsabilità degli aggressori: "Ho l'impressione che questa storia sia stata gonfiata ad arte. Nessuno di quei ragazzi ha pronunciato frasi anti-gay". Ma che bravi tutti, evviva! E probabilmente stupida io che sto qui a scrivere. Del resto non mi interessa (da tempo) chiedermi come si può essere gay e votare Lega o essere vittima di razzismo ed essere omofobo (ognuno si suicida come vuole), ma tornare a riflettere ancora una volta, e amaramente, sul fatto che essere "oppressi/e" non garantisce nulla, e per cominciare nessuna innocenza. Puoi essere gay ed essere razzista fino al buco del culo, essere un soggetto storicamente razzializzato (meridionale, nero, migrante ...) ed essere un omofobo o un sessista di merda. E , sia detto a scanso di equivoci, neanche essere donna preserva da simili derive. Donne lesbofobe. Donne lesbofobe e razziste nello stesso tempo. Solo razziste. Non lesbofobe, ma islamofobe . Una volta una si complimentò perché non avevo un "marcato accento meridionale" (ma questo non è razzismo! dicono). Ne ho conosciute fin troppe, molte delle quali si dichiarano anche femministe. O fanno finta di crederci. O hanno convinto qualcuna/o, non si sa bene come, di esserlo. Perché dichiararsi femministe, o antifasciste/i, antirazziste/i, antisessiste/i è un giochetto. "Esserlo" è un tantino più difficile, soprattutto è difficile essere tutte queste cose insieme. E così può accadere che sei gay ma strizzi l'occhio a CasaPound, che sei antisessista e antifascista ma poi fai il macho con la prima donna che ti capita a tiro, che sei femminista ma stigmatizzi altre donne perché portano la gonna troppo lunga e il velo (o la gonna troppo corta e le tette da fuori), che ti definisci antifascista e poi fai il quotidiano radical chic che ammicca ai fasciofuturisti ... E potrei continuare. Ma in questo modo quale mondo si spera di sovvertire?
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Per l'insubordinazione quotidiana


Il titolo (ed anche il testo che potete leggere facendo clic sul link) è dell'Assemblea Antifascista Permanente. L'immagine è invece di Banksy. Se non vi è mai capitato di imbattervi in uno dei sui graffiti per le strade di Londra, Parigi o Ramallah o anche soltanto nel suo mind the crap sui gradini della Tate Gallery, è un vero peccato. Ma potete sempre dare un'occhiata al suo sito ...
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"Colf" e "badanti": l'incerta regolarizzazione

Leggo stamattina che, a 15 giorni dalla scadenza per la presentazione delle domande, la cosiddetta sanatoria di "colf" e "badanti" si preannuncia come un colossale flop.
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domenica 13 settembre 2009

Black Power


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Relazioni di genere e processi di esclusione e razzializzazione nelle democrazie occidentali

Di seguito il call for papers di un interessante convegno dal titolo Confronting the Politics of Racialized Sexualities: On Regulating Minority Gender Relations and Sexualities. Gli abstract sono da inviare entro il primo ottobre a Sirma Bilge (sirma.bilge chiocciola unmontreal.ca). Buon lavoro ;-)
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Questions of gender and sexualities are essential to understand politics of race and nation at different levels of analysis, whether the local, the national, or the global. Drawing on what David Goldberg called the 'liberal paradox', i.e. how the commitment of modernity to idealized principles of liberty and equality goes hand in hand with a multiplication of racialized identities and the sets of exclusions they prompt and rationalize, enable and sustain (Goldberg 1993), the proposed session will tackle the ways in which ethnocultural exclusion and racialization processes in western liberal democracies currently operate through the problematization of minority/migrant gender relations and sexualities. We are particularly interested in the current mobilizations of women's rights and gay rights to construe the 'civilized' space of western freedoms and their 'enemies'. Besides the critique of these exclusionary discourses and practices, we welcome contributions engaging with questions of resistance/emancipation and counter-hegemonic practices, and providing frameworks for developing knowledge that lessen domination. Identified thematic areas for papers include but not limited to: Articulations of sexuality and nationalism: recent developments and historical legacies; The 'war on terror' and 'progressive' politics of sexuality; Regulatory controls over migrant gender norms, sexualities and bodies; Discourses on sexual freedoms/gender equality and (cultural) racism; Minority/Migrant challenges to regulatory practices and hegemonic discourses; Representing and regulating minority/migrant masculinities and femininities; The class politics of racializing sexualities; Regulating controversial practices (hijab, arranged marriage, polygamy, 'honour' crimes, excision, etc.); [Discourses on]'Human trafficking' and the control of mobility; [Discourses on] 'urban riots'; the 'war on drugs', the 'war on gangs'; Conjunctions of racism and technologies of sex. Submitting your paper proposals: We invite all submitters to make explicit in their proposals the following two points in order to facilitate the evaluation process: How does the question to be discussed in the paper relate to the general theme of the Joint Session? In which theoretical and/or methodological debates is the paper situated? Paper proposals should be approximately 350 words. Please be sure to provide the full name, institutional affiliation, phone, fax, and email address for all authors. For more information on submission procedures you can visit the website of the Congress
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venerdì 11 settembre 2009

Semiotica della lotta di classe


Grazie a Urgence, per l'immagine e per il titolo. Due post per un terzo. Nel linguaggio delle merci: paghi due prendi tre ...
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Caster Semenya, ermafrodito o nuova Venere ottentotta?

Il "caso" Caster Semenya, la splendida atleta sudafricana vincitrice della medaglia d'oro ai mondiali di atletica di Berlino, continua ad infiammare, sulla stampa e nei bar, un dibattito palesemente sessista e razzista. E' di oggi la notizia che i risultati degli ultimi test non lasciano alcun dubbio: Caster Semenya è "tecnicamente un ermafrodito ... non non ha utero e ovaie, ma testicoli maschili interni ... un elemento che spiegherebbe i livelli di testosterone tre volte superiori a quelli normali per una donna" (i corsivi sono miei). Elisa Cusma , vera donna presumo, sarà contenta. La Federazione internazionale di atletica per intanto non si pronuncia, almeno fino a quando i risultati non saranno analizzati da una nuova equipe di "esperti". Non posso che chiedermi: ermafrodito o nuova Venere Ottentotta? Non mi resta che esprimere tutta la mia solidarietà a Caster Semenya (bellissima), lasciandovi alla lettura di un articolo scritto ai primi di settembre da Jamila Mascat, Speriamo che sia femmina:

Ad accoglierla a Pretoria c'era anche il presidente Zuma, indignato e ferito nell’orgoglio sportivo per lo scandalo che ha travolto l’atleta, come la maggior parte dei suoi connazionali sudafricani. “Non le toglieranno la medaglia. L’ha vinta”, ha dichiarato Zuma perentorio, “la domanda non si pone nemmeno”. Winnie Mandela si è schierata pubblicamente dalla parte di Caster. “Siamo fieri della nostra ragazza”, ha detto, e riferendosi ai vertici dell’Associazione internazionale di atletica leggera, ha aggiunto che “i loro insulti possono metterseli dove meglio credono”, (traducendo vivacemente). Il resto del mondo nel frattempo aspetta con curiosità perversa indiscrezioni sui risultati dei cosiddetti gender test cui è stata sottoposta la golden girl, come l’hanno ribattezzata i giornali sudafricani. Che, si mormora, avrebbe in corpo il triplo del testosterone di una donna normale (?). E poco importa che la nonna continui a giurare che sua nipote è una lei. Allo stato attuale l’argomentazione più convincente circa la sua identità sessuale è “Sembra un uomo. Parla come Barry White”. Che forse è un po’ poco per gridare all’impostura. Semenya non somiglia a Brigitte Bardot, d’accordo. E nemmeno a Mick Jagger. E nemmeno a 2pac. E nemmeno a Hu Jintao. Potrei continuare all’infinito, ma cercare di dimostrare che 'sembra' una donna e non 'sembra' un uomo (perché in realtà ci sono miliardi di uomini e donne tutti diversissimi tra loro ecc.) sarebbe altrettanto ridicolo. C'è poco da dimostrare. What makes a woman? E’ stato il tormentone dei commentatori sul caso Semenya. Mettiamola retoricamnte così: donne si sceglie di essere. Oppure magari si decide di non esserlo più. Donne si transita, si sperimenta, si cambia. Che gli altri vogliano o meno. L’IAAF però non ci sta e obietta: sospettiamo con fondamento che sia un uomo. Non sono solo illazioni. Procediamo scientificamente, facciamo un test. E così sia. Adesso che ha vinto la medaglia (800 m in 1 min 55 sec 46 ) bisogna scoprire assolutamente cos'ha in mezzo alle gambe. I test di laboratorio a cui è stata sottoposta Semenya sono esami ginecologici ed endocrinologici. Difficile credere che l'identità di una persona possa essere testata in questo modo. Quello che le misurazioni ormonali possono esaminare, è tutt’al più una 'composizione' biologica. E ancora. Anche se sembra tanto più sofisticato l'insieme di questi esami non è poi molto diverso da un’operazione piuttosto rudimentale: prendere le misure. Mario ce l’ha lungo 20 cm. Maria ha la terza di reggiseno; quindi Mario è un uomo e Maria una donna. Il mondo M/F è apparentemente semplice perché basta barrare la casella corrispondente. Ma questo aut-aut della casella per molte persone è fuori luogo. Come quando da piccolo ti chiedono a chi vuoi più bene a mamma o a papà. Bisogna scegliere per forza? E se proprio è necessario tornare al biologico e alle misure, allora torniamoci fino in fondo. C’è chi nasce con cromosomi XXY. Chi presenta caratteri sessuali primari e secondari non unilateralmente definibili come maschili o femminili. Gli intersex sono naturali al cento per cento come le colture biologiche in Toscana. Eppure per barrare la casella giusta devono essere forzati fin da piccoli in una direzione o in un’altra e medicalizzati. “Naturalmente” sono non classificabili in un sistema binario esclusivo. I test psicologici mi lasciano altrettanto perplessa. Riusciranno a scrutare i moti più profondi del suo animo e scoprire quanto davvero Semenya sia una donna? Le chiederanno su preferisce i calzettoni o il reggicalze. Freddy Mercury avrebbe optato per il secondo. Se invece le piacessero le donne sarebbe per caso un prova ulteriore del fatto che è un uomo? E se le piacessero donne e uomini? Non oso immaginare cosa accadrebbe se le piacessero, che so, le coccinelle. Magari ai prossimi mondiali la farebbero gareggiare a Paperopoli in una sezione speciale con Pippo, Pollon e il Grande Puffo. Qualunque cosa accada con questi test l’unico risultato certo e barbarico è, ancora una volta, quello di assistere all’ispezione zoologica del corpo di una donna nera, trattata come una scimmia con la medaglia, da parte di osservatori sessisti. E privi di fantasia.
Era già successo clamorosamente quasi duecento anni fa con l'esposizione pubblica del corpo della giovane schiava sudafricana Sara Baartman, come ricorda questo post. La Venere ottentotta, deportata a Londra nel 1810, esibita nuda in giro per l’Europa di fronte all’occhio curioso di famelici scienziati e infine sbarcata a Parigi e diventata oggetto di studio di medici francesi ansiosi di dimostrare per mezzo dei suoi attributi l’inferiorità fisico-sessuale delle donne africane.
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giovedì 10 settembre 2009

Teoria femminista e attivismo in una prospettiva globale. Un convegno internazionale promosso dalla Feminist Review


Decisamente più interessante della Conferenza Internazionale sulla violenza contro le donne promossa dal nostro ministero per le (im)pari opportunità ... Il programma del convegno, organizzato dalla Feminist Review per i suoi trent'anni, è ricchissimo, tantissimi gli interventi previsti (Amina Mama dell'African Gender Institute, Vesna Niolic-Ristanovic dell'Università di Belgrado, Nishi Mitra, del Centre for Women's Studies di Mumbai, Rema Hamami della palestinese Birzeit University e Lidia Curti dell'Istituto Universitario Orientale di Napoli e tante altre partecipanti) e le sezioni (sulla violenza contro le donne, su femminismo, colonialismo, nazionalismo, sulle Trans/National Intersections ...). Insomma per chi può (soldi, lavoro, tempo) vale proprio la pena cominciare ad organizzarsi per un viaggetto ... Per maggiori info rinvio QUI.
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mercoledì 9 settembre 2009

Pillole di saggezza della ministra Carfagna in tema di razzismo e violenza sulle donne

Leggo qui e là dichiarazioni della ministra Carfagna in tema di razzismo e violenza sulle donne alla vigilia e durante la Conferenza Internazionale sulla violenza contro le donne promossa dal ministero per le Pari opportunità e dal ministero degli Affari esteri, conferenza inaugurata ieri alla Farnesina. Che la Conferenza fosse collegata alla campagna Respect women respect the world, il cui manifesto mostra "una rosa bianca, simbolo del candore del mondo femminile, che diventa gradualmente nera, avvelenata da quel male oscuro che è la violenza contro le donne", mi aveva già fatto correre un brivido lungo la schiena. Ma le dichiarazioni della ministra superano ogni più nera aspettativa. A suo dire i recenti episodi di razzismo "non vanno sottovalutati", certo, ma bisogna ricordare che l'Italia "è un Paese dalla forte tradizione cattolica" e dunque "non vanno confusi gli atti isolati di pochi ignoranti con il sentimento della società italiana''. Per quanto riguarda la violenza contro le donne, certo "la cultura machista in Italia c'è e va combattuta", ma pare che soprattutto vadano contrastate "quelle culture straniere che violano i diritti delle donne" e che "rischiano di far tornare l'Italia indietro". Perchè se nel mondo sono più di 140 milioni le donne vittime di violenze di ogni tipo, il dato è "sempre in crescita in Europa a causa dell’immigrazione". E la ministra ha anche ricordato, a suo modo, Hina Saleem, "punta di un iceberg".
Povera Hina. E povere noi tutte.
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Ancora sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento

Gridare al "silenzio delle donne" (o delle "femministe") è una forma discorsiva già molte volte sperimentata per soffocare il dissenso, ignorare prese di posizione scomode o non allineate, ed emarginare le pratiche di resistenza che quotidianamente le donne mettono in atto nelle strade, nei luoghi di lavoro e di "non lavoro". Ne avevamo già parlato qui a proposito delle oscene strumentalizzazioni dell'omicidio di Hina Saleem (e tante altre). Più volte abbiamo affermato che altrove andava denunciato un colpevole silenzio, quel silenzio che nell'Italia del pacchetto sicurezza, dei respingimenti, delle morti in mare e nei Cie, della progressiva clandestinizzazione, precarizzazione e criminilizzazione di strati sempre più ampi della società, non può che essere complice.
Ma gridare al silenzio delle donne è una pratica efficace, alcune se ne rendono (per quel perverso meccanismo che talvolta unisce vittime e carnefici o forse per questioni molto più pragmatiche, chissà) inspiegabilmente complici, stabilendo che è il momento, da questo silenzio, di uscire. Chi in silenzio non è mai stata (e non siamo poche) avverte, comprensibilmente, un certo fastidio tutte le volte che una tale forma discorsiva viene messa in campo. Ultimamente la strategia del "presunto silenzio delle donne" , dopo le rivelazioni estive sulle imprese sessuali del premier Berlusconi, ha rifatto capolino nel dibattito, e in grande stile. Domenica 5 settembre il quotidiano L'Unità ha ospitato un ampio resoconto del forum Il silenzio delle donne (costituito da giornaliste de L'Unità, deputate e parlamentari del Pd, femministe storiche), tutte a ribadire che è necessario "uscire dal silenzio, farsi sentire. Adesso. Perché le cose stanno già accadendo: la mortificazione, ogni giorno, di troppe donne". Qualcuna si è chiesta sgomenta leggendo: e tutto quello che ho fatto/detto/scritto (a volte anche urlato) finora, che fine ha fatto? Molto giustamente, qualche tempo fa, Floriana Lipparini (in un articolo dal significativo titolo di Non stiamo in silenzio) invitava le donne che avevano aperto il dibattito sul presunto silenzio delle donne, a non confondere "il non esserci con il non comparire", denunciando i meccanismi di potere che portano molte a non conquistare le prime pagine dei grandi quotidiani, una poltrona nei salotti televisivi o cinque minuti di celebrità nelle news dei telegiornali. Lipparini invitava anche a fare "un giro in internet", nei siti e blog gestiti da donne, a leggere quanto scrivono, fanno, propongono. Non so se Nadia Urbinati o altre del forum sul (presunto) silenzio delle donne lo abbiamo fatto. Non so quindi se hanno letto (o leggeranno) l'articolo di Adelaide Coletti, Il presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento. Ed è un vero peccato, perché illumina sulle ragioni che hanno portato tante donne, me compresa, non soltanto a provare fastidio per l'ennesima ingiunzione ad uscire da un silenzio nel quale non ci siamo mai accomodate, ma anche verso i termini nei quali il dibattito è stato costretto e gli intenti che ha rivelato. Scrive Coletti: "L’intento sembra essere quello di promuovere un mobilitazione femminile in autunno e la motivazione di fondo di questa chiamata alla piazza è l’indignazione circa le abitudini sessuali di Berlusconi, la mercificazione del corpo delle donne perpetrata dai mass media e da una politica che si sostanzia nell’intreccio sesso - denaro - potere usato come un’ arma di fascinazione e ricatto che ogni donna prima o poi incontra nel percorso volto alla sua realizzazione, considerata esclusivamente nell’accezione liberale e dunque come possibilità opportunistica di vincere la competizione con gli uomini e affermarsi nell’arena professionale. Questi argomenti sono l’unico focus di un dibattito che ne omette la connessione con le reali condizioni di vita delle donne -native e migranti- nel nostro paese, determinate da interventi etici che riportano i corpi a contenitori biologici, dalla privatizzazione dei servizi, dal doppio carico dal lavoro produttivo e riproduttivo, dalle politiche xenofobe, nonché della complicità femminile con i meccanismi di cooptazione del potere. All’omissione di questioni politiche nodali si somma l’esclusione dei soggetti della trasformazione: barricate dietro il paravento del presunto silenzio delle donne, escludono tutto ciò che si muove nella società". Poichè non sono certa che l'articolo di Adelaide Coletti sarà pubblicato sulle pagine del L'Unità (anche se pubblicarlo potrebbe essere un primo passo per rompere quel silenzio che si denuncia), ri-pubblico anche qui, come già altrove, Sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento. Buona lettura e riflessioni.

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Adelaide Coletti, Sul presunto silenzio delle donne e le politiche di disciplinamento


Sono numerosi i campi privilegiati d’osservazione della capacità dello Stato e delle sue istituzioni di esercitare attraverso le politiche di parità un’azione disciplinante in materia di relazione tra i generi. Si può ad esempio far riferimento alla gestione pubblica della violenza maschile sulle donne che si consolida assieme ai dispostivi sullo straniero, la marginalità, la psicopatologia, in una specie di esternalizzazione del problema. Si focalizza l’attenzione sulla donna che da soggetto di autodeterminazione diventa oggetto di normazione di uno Stato padre-padrone che si arroga il diritto di proteggerla con soluzioni legislative di stampo repressivo, e così procedendo recepisce e allo stesso tempo rafforza il pesante retaggio patriarcale della nostra società, salvo poi – per dirla con le parole dell’appello “maschilismo di stato, morte della democrazia”- ricoprire il ruolo di utilizzatore finale di prestazioni femminili per i propri svaghi, giocati in luoghi destinati a fini pubblici. Legittimare lo Stato nel ruolo di protettore significa dipendere dalle sue regole, le quali operano una costante divisione dei “bisognosi”. Così le donne che si comportano “ per bene” sono degne di protezione, alle altre che generalmente non sono italiane, ne bianche sono riservati i pacchetti sicurezza, la legge Carfagna, i centri di detenzione.


[continua QUI]

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lunedì 7 settembre 2009

Omofobia non è un concetto neutro

In questi tempi di inutili (se non dannosi) chiacchiericci volentieri pubblico questa importante riflessione/contributo di Azione Gay e Lesbica di Firenze, che parteciperà dopodomani, mercoledì 9 settembre, al presidio contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia sui ponti di Firenze, assieme al Comitato Gay e Lesbiche Prato e ad altre associazioni glbt del territorio (appuntamento mercoledì alle 18 e 30 presso la sede di Azione Gay e Lesbica in Via Pisana 32r, Firenze e dalle 19 su Ponte Vecchio).

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Lesbiche, gay e trans osservano il mondo da una prospettiva obliqua, e in questo modo aggiungono al mondo stesso un punto di vista altro.
Siamo imprevisti/e/* come chi arriva da lontano, come chi arriva dalla povertà. Qualcuno/a odia noi perché in noi si rispecchia e cerca di distruggere con noi il suo desiderio che ha sempre represso, negato, nascosto, magari celandosi dietro uniformi, abiti talari o monacali, maschere neonaziste. Qualcuno/a freddamente ci nega, ci cancella dalla scena pubblica, perché vuole ri/costruire una società patriarcale e familista i cui pesi ricadano sulle donne prigioniere dei ruoli della tradizione; questo/a qualcuno/a vede nei gay, nelle lesbiche e nelle persone trans ostacoli al suo progetto reazionario. Qualcuno/a ci usa come capro espiatorio, come facile bersaglio perché una società impoverita, priva di diritti, ridotta a plebe cieca, possa sfogare la propria rabbia e le proprie frustrazioni. E’ già successo, settanta anni fa, e il gioco si sta ripetendo; di nuovo ci troviamo in compagnia di minoranze, immigrate/i, diverse/i a vario titolo. Qualcuno/a finge di prevederci, ma pretende che assomigliamo alla sua idea di noi e ci chiede di rinnegare dei pezzi di noi, in nome del quieto vivere e del decoro.
Qualcuno/a/* di noi finge di non essere imprevisto/a/*, cerca di passare inosservato/a/o, di scivolare con eleganza sulla scena senza turbare, senza spostare la polvere.
Qualcuno/a/* di noi cerca di vincere la paura mettendosi dalla parte degli aggressori, stabilendo gerarchie interne fra chi è più rispettabile e chi lo è meno, cercando attivamente di smarcarsi da altre vittime dell’odio. Qualcuno/a/* di noi non si meraviglia della violenza omofobica, ha fatto della paura un’abitudine. Qualcuno/a/* di noi si meraviglia della violenza omofobica, la vede come un prodigio cattivo senza cause riconoscibili, non legge la connessione fra le Svastichelle e la banalizzazione del neofascismo, fra l’estrema destra italiana e le croci celtiche nascoste dietro la rispettabilità delle cravatte. Qualcuno/a/* per darsi un ruolo fa spettacolo, fa la pagliaccia di lusso, il clown di regime, la trasgressione da fine settimana e rinnega la sua favolosità per un biglietto di seconda classe sul Titanic. Siamo tutte/i/* sul Titanic, la nostra società è il Titanic e la nostra società è anche l’iceberg contro cui il Titanic si schianterà. Lesbiche, gay e trans dall’Europa, dalle liberate città del possibile osservando un’Italia senza orgoglio civile, senza solidarietà sociale, senza difesa della laicità, senza memoria della sua storia resistente capiscono che in questo paese sfibrato lesbiche, gay e trans nel migliore dei casi saranno imprevisti/e/* e ignorati/e/*, nel peggiore aggrediti/e/* e cancellati/e/*. Lesbiche, gay e trans dall’Italia osservano i gommoni dell’immigrazione, sanno in cuor loro che chi odia quegli uomini e quelle donne imprevisti/e prima o poi se la prenderà con gli imprevisti/e della sua “etnia”. È già successo: i triangoli rosa di Auschwitz accanto alle stelle gialle ebraiche, ai triangoli neri asociali, ai triangoli scuri zingari. C’è chi lo rimuove, fra noi, c’è chi fa finta di niente, ma in cuor nostro tutti e tutte lo sappiamo.
Qua o ci salviamo tutti/e/* o non si salva nessuno-nessuna-nessun* Noi lesbiche, gay e trans sappiamo anche che i fondamentalismi e i clericalismi sono distruttivi: cambiano i nomi degli dèi, cambiano i paramenti dei sacerdoti, ma resta costante l’odio per chi è imprevisto/a/*. Contro lesbiche, gay e trans si cimentano improbabili alleanze, fra cattolicesimo e islamismo, fra stalinismo e ortodossia, fra neonazismo e pseudo psicanalisi. L’alleanza però che ci ferisce di più è quella fra la paura lgbt e l’opportunismo del potere.
Eppure noi ci siamo, continuiamo a vivere e a cercare la felicità, come tutti/e/*, come chi scappa e come chi arriva.

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Vedi anche Queer* against racism
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Il solito messaggio ...

E' il solito messaggio, scusate la monotonia, ma sembra proprio che tra ieri e oggi tutti i/le razzisti/e, sessisti/e, fascisti/e e via discorrendo (oltre qualche provocatore/trice apparentemente sinistrorso/a che fa da sponda da altri lidi) siano definitivamente tornati dalle vacanze e si siano dati appuntamento nel mio blog ... Che noia
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Partito democratico in burkini

Avevo già commentato l'episodio della donna di religione musulmana cacciata da una piscina veronese perché in burkini. In questi mesi di caldo torrido, gossip su Berlusconi&Co, allarme influenza suina e divieti vari (insomma si è parlato tanto di tutto tranne che dell'essenziale) quanto avvenuto nella Verona del leghista Tosi non è stato un caso isolato. Il sindaco di Varallo Sesia, Gianluca Buonanno, parlamentare della Lega Nord, non è stato da meno, varando un'ordinanza che vieta l'uso del burkini (anzi "burquini" probabilmente per sottolineare l'assonanza del costume più con il burqa che con il bikini), con sanzione di 500 euro. La dichiarazione di Buonanno segue il solito schema e stile leghista: "Non ci inchiniamo rispettosi verso usanze e atteggiamenti che non sono proprie della nostra civiltà, non dobbiamo per forza essere sempre tolleranti! Proviamo ad immaginare il bagno di una donna occidentale in bikini in un paese musulmano: la conseguenza potrebbe essere la decapitazione, il carcere, l'espulsione. Noi ci limitiamo a vietarne l'uso e se questa decisione creerà qualche malumore, potranno scegliere di immergersi con il burkini nella loro vasca da bagno". Non starò a polemizzare con Buonanno, non mi chiederò retoricamente perché il metro per giudicare scelte che riteniamo compatibili con il nostro assetto "democratico" e rispettoso dei diritti delle donne debba essere quello di società che giudichiamo "non democratiche" e non rispettose dei diritti delle donne, nè tanto meno mi soffermerò a sottolineare che purtroppo, in alcuni paese musulmani, non sono solo le "donne occidentali" a correre gravi rischi nell'esercizio della propria libertà (come del resto, seppure in maniere diverse, qui in "occidente"), ma donne, gay, lesbiche, trans "non occidentali". Non starò a polemizzare perché una risposta pubblica a Buonanno l'hanno già data alcune esponenti del Pd, che insieme a compagni di partito, hanno fatto il bagno in un torrente di Varallo indossando il burkini (le donne in burkini, i maschi in mutande). Premesso che ognuno/a è libero di scegliere le maniere più opportune per manifestare il proprio dissenso, e che in altre occasioni e contesti non avevo trovato inutile la protesta con veli e kefiah come atto di solidarietà verso una donna di origine marocchina vittima di razzismo sul luogo di lavoro, direi che da un partito detto democratico e variamente coinvolto nell'attuale clima di intolleranza verso donne e uomini migranti ci si potrebbe aspettare qualcosina di più. Perlomeno rispondere a colei che firmandosi "un'elettrice" interviene nel blog del circolo Pd Barack Obama, illuminando con il suo commento il volto oscuro e confuso del popolo del partito democratico italiano. Scrive: "Premetto che mi occupo di pari opportunità – argomenti di questo genere mi stanno perciò molto a cuore. Addentrarsi qui in tematiche simili comporterebbe molti più caratteri di quelli che ho a disposizione – semplificherò. Il Burquini è un indumento che come donna non si può condividere: 1) è un’imposizione della cultura maschile tradizionalista 2) fare il bagno con una veste del genere è pericoloso. Ricordo che non molti anni fa alcune ragazzine in Turchia sono morte affogate perché ostacolate nei movimenti da indumenti ingombranti (non soccorse dai bagnanti ma lasciate letteralmente morire perché toccare una donna in quella situazione sarebbe stato peccato); ricordo anche che in Francia è stata accolta la pur contestata legge sull’identificabilità dei volti, ovvero niente velo coprente nei luoghi pubblici. Ci sono dunque varie questioni legate all’abbigliamento tradizionale su cui riflettere, e varie soluzioni, più o meno estreme e/o condivisibili, al problema della convivenza di varie culture. Non credo che indossare il burquini sia la risposta giusta per le donne cui è imposto. Forse una forza democratica renderebbe loro un miglior servizio con altri interventi che dimostrazioni strumentali in risposta all’ottusità dell’ennesimo Kapò leghista. Un’elettrice".
La gestione politica di questa performance in burkini la lascio alle/ai protagonisti, da parte mia, da modesta non-elettrice del Pd, mi limito a dare qualche risposta all'elettrice. La tesi secondo la quale indossare il burkini è una scelta che come donna non si può condividere, è insostenibile, a meno di presupporre che quelle che lo indossano non sono donne o siano una sottospece di donne. Il riferimento alle ragazzine affogate in Turchia (ma ci sono stati anche altri casi, che ora nella fretta non riesco a documentare) è terroristico (nel senso letterale: atto a incutere paura, terrore) oltre che falso. Quelle donne sono morte non perché indossavano il burkini, ma perché facevano il bagno completamente vestite dalla testa ai piedi, con abiti di tessuti che bagnati pesano come piombo. Il burkini (inventato da una donna, la stilista libanese Aheda Zanetti), è fatto invece (come i costumi recentemente indossati dalla campionessa di nuoto Federica Pellegrini) di uno speciale materiale che non si incolla alla pelle, non si inzuppa come i tessuti tradizionali e lascia una completa libertà di movimento. Anche il riferimento alla legge francese sulla "riconoscibilità del volto" è terroristica e fuorviante perché il burkini non ha nulla a che fare con il burqa, visto che lascia il volto scoperto.
Il burkini, oltre che un'abile operazione commerciale (come il pacchetto Vacanze&Ramadan proposto da un imprenditore italiano di Rimini o i cosmetici halal che alimentano un business di oltre mezzo miliardo di dollari all'anno, ma in questi casi nessuna/o grida allo scandalo), è in un certo senso una forma di secolarizzazione delle tradizioni (e tra queste della tradizione islamica) e credo che andrebbe interpretato nella sua ambivalenza: da una parte mantiene un legame con le tradizioni ma dall'altro è anche sintomo di un processo in corso che non può essere schiacciato sulla rigida osservazione dell'ortodossia. Per lo meno non da chi ha (o dovrebbe avere) a cuore la lotta ad ogni forma di integralismo.
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sabato 5 settembre 2009

Ma (donne), madri, assassine ...


L'opera che riporto qui sopra si intitola Ferror, una delle sette Madonne riviste dalle artiste Lilia Chak e Galina Bleikn per la mostra Lady, Mother, Bloody Murder…, un progetto artistico sul "terrorismo al femminile". Se in questa tela (una rivisitazione della Madonna con bambino detta anche Madonna di Alzano di Giovanni Bellini), la Madonna ha il volto coperto da un velo nero, nelle altre (di Botticelli, Raffaello, Leonardo ...) le Madonne hanno il volto di altrettante donne terroriste palestinesi, autrici di alcuni attentati degli ultimi anni in Israele. La mostra, inaugurata il 3 settembre a Tel Aviv, è stata però già bloccata, dopo veementi proteste, poiché giudicata offensiva della sensibilità dei parenti delle vittime e del Cristianesimo. Ne parlano un articolo di oggi su L'Unità e Doriana Goracci nel suo Mattine e notti da Madonne, che riportano le scarne notizie diffuse da un comunicato dell'Ansa e tra queste una dichiarazione delle artiste che respingono ogni volontà di idealizzare la figura delle terroriste palestinesi, affermando "che al contrario intendevano mettere in guardia dalla terribile metamorfosi di coloro che, come donne dovrebbero essere figure materne, in terribili macchine di morte". Sarebbe forse bastato dare un'occhiata al video Ferror di Lilia Chak (costituito da sette frammenti, immagini dei luoghi dove ci sono stati i sette attentati fatti dalle terroriste rappresentate nei quadri, luoghi in cui l'artista ha raccolto zolle di terra poi poste ai piedi delle tele durante la mostra), per aprire su questo lavoro (non facile e sicuramente problematico) un dibattito certo difficile, ma forse illuminante, sulle ragioni e i costi di un conflitto. Conflitto nel quale (ma poteva essere diversamente?) sono coinvolte anche le donne, in maniere diverse, non sempre condivisibili nè rassicuranti.
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Migranti e politica dei respingimenti su Rai 3

Domani sera su Rai 3, alle ore 21, torna il programma di Riccardo Iacona Presadiretta. Questa prima puntata sarà focalizzata su migranti e politica italiana dei respingimenti, con tra l'altro, immagini esclusive dei primi respingimenti avvenuti il 6 e 7 maggio scorso ed i conseguenti trattamenti della polizia libica ai primi uomini e donne migranti respinti.
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giovedì 3 settembre 2009

In ricordo di Egidio Monferdin

"Il primo settembre Egidio Monferdin ci ha lasciati. È morto a Bologna, circondato dall’amore di Monica e dall’affetto di molte compagne e di molti compagni. Era nato in Istria nel 1946. Poco dopo la sua nascita, la sua famiglia si ritrovò esule in campo profughi nei pressi di Cremona. E a Cremona frequentò l’alta e informale scuola politica di Danilo Montaldi, dal cui metodo di lavoro imparò la straordinaria arte di ascoltare quelle che allora si chiamavano le classi subalterne. Iscritto alla facoltà di medicina a Padova, si mise in contatto con Potere operaio, di cui divenne militante. Dopo la crisi di Potere operaio, verso la metà degli anni ’70 fu attivo nell’Assemblea autonoma di Porto Marghera e nel giornale operaio «Lavoro Zero». Intanto, a Mestre, dedicava molto del suo tempo al centro di sostegno per adolescenti mentalmente disturbati, nonostante il magro salario. Erano gli anni in cui più si concedeva un po’ di tempo per le immersioni in apnea, sovente spinte al limite della temerarietà, nel suo mare Adriatico.

Arrestato il 21 dicembre 1979 nell’ambito dell’inchiesta 7 aprile, ha trascorso più di 7 anni in varie carceri della Penisola, pagando di persona la rivolta politica di una generazione e di una classe: in prigione però economizza l’investimento nella propria difesa legale per cercare di aiutare i comuni nella loro pratiche legali e nel loro desiderio di leggere e di apprendere.

Stabilitosi a Bologna verso la metà degli anni ’90, Egidio vive la nuova e ricca stagione che inizia con la campagna No-Ocse e la «Libera Università Contropiani». Attraversa per intero il momento tumultuoso che si inaugura a Genova nel 2001 impegnandosi nel Bologna Social Forum e nello spazio pubblico di XM24 e, fino a oggi, nella militanza nel Coordinamento Migranti Bologna. Lavora però anche allo sviluppo della tipografia interna al carcere della Dozza: un progetto che parla di libertà e si chiama «Il profumo delle parole». In questo decennio Egidio mostra, ancora una volta, una chiara intelligenza dei cambiamenti e delle occasioni che il movimento offre, ma anche una notevole tensione critica verso i limiti che maturano. È stato fino in fondo convinto della novità politica rappresentata dai migranti in Italia e in Europa. Centinaia di migranti l’hanno conosciuto nelle assemblee e nelle riunioni, l’hanno ascoltato, hanno discusso con lui, hanno condiviso con lui il lavoro di organizzazione di un movimento autonomo dei migranti. Riservato e composto, Egidio Monferdin possedeva una calma suprema nelle situazioni difficili. Forse era questa la dote che molti gli invidiavano e che gli ha permesso di affrontare, sullo sfondo di un sorriso, brevi attimi fulminanti e lunghe riunioni complicate. Questo oggi ci resta di Egidio. Questo già ci manca di lui: la capacità di esserci sempre e al presente, senza nostalgie e senza retorica.

L’appuntamento per dare l’ultimo saluto a Egidio è oggi alle 12,30 alla camera mortuaria dell’ospedale Malpighi (via Pizzardi 1) e alle 14,45 davanti all’entrata principale del Cimitero della Certosa di Bologna". (Egidio Monferdin, il sorriso tenace della rivolta di classe, di Ferruccio Gambino e Maurizio Bergamaschi, Il Manifesto, 3 settembre 2009)

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