giovedì 20 settembre 2007

Settembre 2005- 2007: un frammento per ricordare Riccardo

Riccardo Bonavita, Lo sguardo dall'alto. Le forme della razzizzazione nei romanzi coloniali e nella narrativa esotica, in Centro Furio Jesi (a cura di), La menzogna della razza. Documenti e immagini del razzismo e dell'antisemitismo fascista, Grafis, Bologna 1994, pp. 53-64*


[...] Dal momento che al vertice della gerarchia viene sempre, incontestabilmente, posto l'uomo bianco, in una prospettiva che associa maschilismo e razzismo eurocentrico, le "razze" esterne all'occidente stanno qui tanto più in alto quanto più sono assimilabili all'aspetto fisico ed alla cultura dei colonizzatori. La costante tematica del genere, l'amore, non resta estranea a questo principio non scritto, e lega nella reciprocità soltanto gli uomini bianchi e le uniche donne di diversa etnia che l'immaginario della società fascista poteva reputare "degne" di sedurli: le arabe. Ma in queste figure femminili rimane comunque manifesta la duplice inferiorità, di genere e di "razza", che conduce le loro relazioni coi bianchi ad esiti naturalmente negativi. La sola eccezione si trova ne La reclusa di Giarabub [1], che si conclude coll'unione dell'eroe fascista Marcello De Fabritis e della donna araba da lui amata; tuttavia se qui viene trasgredita una consuetudine narrativa, non viene però violato l'implicito principio gerarchico che resta fondamentale: la protagonista femminile, Meriem, unica donna orientale di questi romanzi a non venir reificata, è in fondo un'occidentale nel corpo di un'araba [...]. In quest'opera superare le barriere religiose e "razziali" significa in ultima analisi eliminare le caratteristiche della propria etnia, inferiore perchè non occidentale: infatti Meriem giunge a rinnegare la propria "razza" e la vita "bestiale" a cui la costringe [2]. Mitrano Sani, con il proprio strumentale sostegno ad un'emancipazione femminile che il fascismo certo non incoraggiò né in patria né in colonia, legittima l'intervento coloniale italiano gettando sottilmente nel discredito la società araba. Egli pone con il personaggio di Meriem, evoluta ma condannata alla tradizionale servitù dall'arretratezza musulmana, uno sguardo occidentale nel seno del mondo dei colonizzati, perché lo additi al disprezzo dall'interno, ad opera di una sorta di autocoscienza critica: si reinserisce così lo sguardo del bianco colonizzatore che giudica dall'alto della propria compiaciuta superiorità, ovunque riaffermata nelle forme e nei testi più diversi [...].
L'araba resta una tabula rasa su cui l'immaginazione del bianco, prima "depravata" dalla degenerazione post-bellica poi "purificata"dall'ascesi guerriera può proiettare i propri fantasmi amorosi. Come oggetto che stimola e ricambia l'affettività si qualifica come colonizzata ed amante "ideale". Quale colonizzata in quanto è questa la forma di relazione coll'altro tipica dell'imperialismo coloniale: conquista d'un mondo senza alcuna intenzione di riconoscergli una soggettività, una dignità propria, spazio vuoto ed aperto ad una progettualità estranea di cui deve mostrarsi riconoscente. Quale amante perchè all'ideologia razzista si sovrappone l'immaginario maschilista e reificante, che configura la donna come passività assoluta ma "calda", colma di desiderio, in grado di gratificare chi la possiede manifestandogli muto, incondizionato amore.
Le donne arabe sono le figure con cui termina l'àmbito "concesso" agli amori dei bianchi ed anche il novero dei personaggi la cui appartenenza all'umanità viene riconosciuta, per quanto siano dipinti come decisamente inferiori: nell'universo romanzesco della narrativa, coloniale e non, di quegli anni, non abbiamo mai trovato un bianco che ami una donna "negra" o meticcia, categorie che nell'immaginario della società fascista vengono in diverso grado associate più o meno metaforicamente al regno animale [...].
A considerare la rete di metafore messe in opera per caratterizzare Elo, la "madama" di Femina somala [3] [...], l'animalizzazione è sistematica, per quanto congiunta ad una speciosa "affettuosità"; non a caso l'animale più costantemente chiamato in causa a paragone della "femina" è il cane, ad elogio della sua remissiva ed incondizionata "fedeltà" all'uomo bianco [...].
Nella rappresentazione del rapporto tra Elo e l'ufficiale italiano troviamo un'immagine del madamato - comune ad altri romanzieri reduci delle colonie -, che documenta tra l'altro la condizione reale delle "Veneri nere" e la loro percezione erotico-immaginativa da parte dei conquistatori bianchi.

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* Questo saggio di Riccardo Bonavita è stato ripubblicato in Studi Culturali, n. 1, 2006. Rinvio inoltre alla bibliografia (ancora non esaustiva) di Ricccardo pubblicata nel primo anniversario della morte.

NOTE:

[1] Mitrano Sani, La reclusa di Giarabub, Milano, Alpes 1931.
[2] Ivi, p. 150, 208, 259.
[3] Mitrano Sani, Femina somala, Napoli, Detken e Rocholl 1933.

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3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi sono permesso di rubarti questo bellissimo articolo:

http://kelebek.splinder.com/post/14249662/La+reclusa+di+Giarabub#14249662

Anonimo ha detto...

Puoi "rubare" tutto quello che vuoi! E mi sembra un modo carino per conoscerti (sei già nei miei Feedback).
In particolare sono contenta che questo frammento d'articolo di Riccardo venga letto e che circoli, è l'unica maniera per me di ricordarlo.

il Russo ha detto...

Circola, circola, come tanti tuoi altri post ai quali spesso non lascio commenti ma scippo come un disperato perchè ricchissimi di spunti!