Di seguito la recensione all'ultimo volume dei Quaderni Viola sul femminismo materialista francese, Non si nasce donna, scritta da Silvia Nugara, che ringraziamo, per Iaph Italia. Buona lettura! // La nuova serie della collana Quaderni Viola edita da Alegre si propone di mettere a disposizione “delle donne che desiderano fare politica per le donne” - così in quarta - materiali per conoscere la storia e l’attualità delle riflessioni femministe attraverso dossier monotematici. Dopo aver riflettuto su lavoro (Lavorare stanca, 2008), razzismo e sessismo (La Straniera, 2009), lesbismo (Orgoglio e pregiudizio, 2010) e lotta sindacale nella crisi (Sebben che siamo donne, 2011), questo quinto volume è dedicato non a un tema ma a un filone di pensiero: il femminismo materialista francese. Con questa denominazione si fa riferimento a un gruppo di teoriche il cui lavoro, al di là dei diversi problemi esplorati e degli apparati concettuali elaborati da ciascuna, si è impegnato a restituire la dimensione culturale, storica e ideologica delle divisioni dicotomiche e gerarchiche attraverso cui sono organizzati sesso (uomo/donna), sessualità (etero/omo) e razza (bianchi/neri; noi/loro). Come testimonia il titolo del libro, tale impresa anti-essenzialista si staglia sullo sfondo dell’“affermazione più sovversiva e liberatoria dei discorsi femministi” (Introduzione, p. 6) enunciata da Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso: “non si nasce donna”. Dopo un’articolata ma sintetica sezione introduttiva, il volume è strutturato in cinque parti, ognuna dedicata a una figura di rilievo del gruppo raccoltosi attorno alla rivista Questions féministes a partire dal 1977: Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig. Le curatrici hanno scelto di dare voce alle stesse autrici pubblicando di ognuna un articolo rappresentativo (inedito in italiano) preceduto da un saggio di inquadramento teorico (di Perilli su Delphy; di Renate Siebert su Guillaumin; di Valeria Ribero Corossacz su Mathieu; di Gabriella Da Re su Tabet e di Garbagnoli su Wittig) e seguito da una breve scheda bio-bibliografica. Come spiegano Garbagnoli e Perilli nell’apertura intitolata Non si nasce (donna). La denaturalizzazione come “questione femminista (pp. 8-11), il materialismo di queste pensatrici va ben oltre l’accezione marxiana e prende a oggetto dell’analisi la compenetrazione tra rapporti materiali e di senso nelle relazioni di dominio che fa sì che la loro naturalizzazione, operante attraverso l’iscrizione nei corpi, nel linguaggio, nelle categorie mentali e istituzionali delle gerarchie sociali, sia tanto efficace. Il materialismo di queste femministe produce, in tal modo, la comprensione del rovesciamento da causa a effetto attraverso cui operano le diverse forme di oppressione. Ciò che è socialmente appreso come origine dell’oppressione (la forma di un sesso, il colore della pelle, e così via) ne è, in realtà, l’effetto: il “sesso” (la “razza”) non è un dato, un’essenza, una proprietà inerente ai soggetti che ne esprimerebbe la natura, ma un marchio – feticcio marxiano – socialmente pertinente ed efficace perché cristallizza, nascondendoli, presistenti [sic] rapporti di dominazione e sfruttamento (p. 9). Questo libro costituisce quindi un importante invito alla lettura di pensatrici francesi da noi ancora poco tradotte e studiate (per esempio, tra tutte solo Monique Wittig figura nell’antologia Le filosofie femministe di Cavarero e Restaino). In Italia, infatti, il ruolo di maggior rilievo è stato giocato dal femminismo della differenza e, per quanto riguarda il pensiero transalpino, tanto da Psychanalyse et Politique con cui le materialiste erano in polemica, quanto dalla triade Kristeva-Irigaray-Cixous tramite una triangolazione con gli Stati Uniti e quel French Feminism di cui Paola Di Cori ricostruisce in modo avvincente la parabola intellettuale nel saggio French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak. Appunti (pp. 13-20). La riflessione materialista si articola in modo dinamico ed evolutivo lungo tutti gli assi portanti del femminismo dagli anni Settanta a oggi: il rapporto tra lotta di classe e lotta contro il patriarcato (si pensi alle analisi di Christine Delphy ne L’ennemi principal); le relazioni tra biologia, cultura e soggettività e quindi la diade sesso-genere; le relazioni razzismo-sessismo-classismo prima che emergesse il concetto di “intersezionalità” (si vedano in particolare i lavori di Colette Guillaumin a partire da L’Idéologie raciste del 1972 e di Paola Tabet); la violenza contro le donne (Delphy e Nicole-Claude Mathieu); il lesbismo (particolarmente creativi e pugnaci sono gli scritti letterari e teorici di Monique Wittig) e l’analisi politica dell’eterosessualità (su cui la redazione di QF si divise dando luogo nel 1981 a Nouvelles Questions Féministes); la riproduzione come lavoro nell’economia capitalista globale (l’antropologia di Paola Tabet); gli aspetti problematici delle pratiche politiche identitarie e della nozione di differenza ma anche di approcci post-identitari come il queer (Nicole-Claude Mathieu). L’impresa denaturalizzatrice di queste teoriche costituisce una rottura epistemologica che ha richiesto l’elaborazione di nuove griglie concettuali attraverso cui leggere – ma soprattutto immaginare (“spensare” dice Guillaumin) – la realtà perché, come spiega Delphy nel suo saggio del 2001, qui riproposto, Pensare il genere: problemi e resistenze:
per conoscere la realtà, e dunque per eventualmente cambiarla, bisogna abbandonare le proprie certezze e accettare l’angoscia, temporanea, di una accresciuta incertezza sul mondo; […] il coraggio d’affrontare l’ignoto è la condizione dell’immaginazione e la capacità di immaginare un mondo altro è un elemento essenziale dell’approccio scientifico: essa è indispensabile all’analisi del presente (p. 29). Da ciò deriva l’elaborazione di ottiche d’analisi nuove. Per esempio, Maria Gabriella Da Re ricostruisce come Paola Tabet in Les mains, les outils, les armes, del 1979, analizzi la divisione sessuale del lavoro non domandandosi “chi fa che cosa” ma “chi fa con che cosa” mettendo perciò in luce non tanto le classiche “limitazioni naturali delle donne” quanto piuttosto il loro “sottoequipaggiamento”. Le rotture epistemologiche richiedono anche un vocabolario nuovo, ragione per cui il materialismo francese è anche una fucina di innovazioni terminologiche mai accessorie: Christine Delphy abbandona il concetto statico ed essenzialista di “condizione della donna” in favore della più esplicita nozione di “oppressione”; Colette Guillaumin elabora la distinzione tra ”razzismo autoreferenziale” e “razzismo eteroreferenziale”; Nicole-Claude Mathieu parla di “sesso sociale” e Guillaumin di “sexage”; Paola Tabet concepisce l’idea di “scambio sessuo-economico” e Monique Wittig fa del linguaggio un terreno di elezione per immaginare e costruire quell’utopia androgina per cui lavorò tutta la vita. Se la riflessione su natura e cultura, su sesso e genere, su genere e non genere attraversa tutti i testi qui raccolti, particolarmente interessante risulta la scelta delle curatrici di proporre in appendice il saggio della storica francesista americana Joan Scott intitolato Genere: usi e abusi (pp. 159-166) che insiste sulla dimensione evolutiva della nozione di genere e riprende in gran parte la lectio tenuta a Padova nel febbraio 2013 al VI congresso della Società Italiana delle Storiche. Per concludere, di questo Quaderno Viola non inganni l’agile formato: si tratta di un volume denso e ricchissimo, un compendio di cui si sentiva la necessità e forse per questo è stato tradotto un po’ troppo di corsa, corredato da una bibliografia indispensabile per l’approfondimento. I saggi introduttivi e gli articoli antologizzati lasciano infatti a chi legge la voglia di consultare analisi di più ampio respiro in cui trovi spazio non solo il pensiero ma anche l’esperienza, dimensione fondamentale proprio di quel Secondo Sesso sotto il cui segno questo lavoro si iscrive //
1 commento:
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