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giovedì 8 marzo 2012

Otto marzo : femministe di tutto il mondo unitevi!

La "puntualità" non è il nostro forte: siamo fuori tempo massimo per segnalarvi la maratona-radio femminista del Mfla in onda oggi (perdono! ... ma riusciamo a riconnetterci per qualche minuto solo adesso). Comunque vi avevamo pre-annunciato l'iniziativa Femministe di tutto il mondo unitevi un mesetto fa e confidiamo sulla vostra memoria o su altri siti/blog che sono stati sicuramente più puntuali di Marginalia nel ricordarvelo. Comunque sul sito del Mfla trovate il palinsesto (la giornata non è ancora finita!) e in ogni caso "femministe di tutto il mondo unitevi" è un invito che non si esaurisce con questa giornata ;-)

Nella foto, per chi non l'avesse riconosciuta, Clara Zetkin

sabato 19 marzo 2011

Clara Zetkin e l'otto marzo

Promettiamo che questo è l'ultimo post che dedichiamo a l'otto marzo nel 2011, ma un omaggio a Zektin ci sembra doveroso. Perché non c'è verso. Anche quest'anno, con qualche aggiustamento, è la versione dell'origine della "festa della donna" come commemorazione dell'incendio di una fabbrica in cui morirono un centinaio di operaie, che ha prevalso. Insomma, in un modo o nell'altro sembra che la storia dell'otto marzo debba essere necessariamente associata a delle donne "vittime" e non ad un gruppo di donne in lotta. Tra queste appunto la rivoluzionaria socialista Clara Zetkin -, che durante la Conferenza Internazionale del lavoro delle donne a Copenaghen nel 1910 propone di indire per l'anno successivo, una Giornata internazionale della donna. Siamo tornate così tante volte, negli anni scorsi, su questa storia (rinviamo agli "articoli correlati" in coda a questo post), che ci poniamo seriamente il problema se valga la pena di continuare a dannarsi per trovare il tempo di scrivere (a sonno perso) in un blog. Blog che, a quanto pare, ci leggiamo "entre nous". Un grazie quindi alla Biblioteca Franco Serantini che quest'anno ha ripreso la nostra traduzione di 8 marzo: il mito delle origini.

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Clara Zetkin e il lavoro di cura
Otto marzo: la festa di chi?
Clara Zetkin e il denaro
Guerrilla Girl's Pop Quiz
8 marzo: il mito delle origini (e del centenario)
Un otto marzo oltre il mito (e senza mimose)
8 marzo: il mito delle origini

domenica 9 gennaio 2011

Clara Zetkin e il lavoro di cura

In un' altra lettera a Karl Kautsky (22 marzo 1886) Clara Zetkin scriveva:" Faccio la sarta, la cuoca, la lavandaia, insomma la domestica tuttofare. Ci sono poi i due marmocchietti che non mi lasciano un attimo di respiro. Avevo appena cominciato a immergermi nello studio del carattere di Louise Michel che ho dovuto soffiare il naso al n. 1 e mi ero appena messa a sedere per scrivere che ho dovuto imboccare il n. 2 ...".

lunedì 13 dicembre 2010

Clara Zetkin e il denaro

Da una lettera di Clara Zetkin a Karl Kautsky del 1887: " Il denaro è merda, ma purtroppo la merda non è denaro".[Citato in G. Badia, Clara Zetkin. Femminista senza frontiere, Erre emme edizioni, 1994]

lunedì 21 luglio 2008

Ave Italo!


Sono riemersa a Bologna ieri sera, con poca voglia devo dire. E con altrettanta poca voglia sono stata costretta (per una volgarissima questione lavorativa) a riconnettermi, appena in tempo per essere sommersa da una valanga spropositata di posta inevasa (chiedo venia a quant* attendono risposta ma avevo proprio bisogno di staccare un po' la spina) e da una altrettanto spropositata valanga di "notizie" e "aggiornamenti" vari.
Tra questi la vicenda dell'Italo qui di fianco, assurto alla ribalta dopo il Pride nazionale grazie - sembra - ad un intervento critico di Sabina Guzzanti e ad un articolo del Corriere di Bologna sul presunto linciaggio con "toni da fatwa e minacce" contro il grafico bolognese inventore di Italo (spero di poter definire fazioso questo articolo senza temere di essere stigmatizzata come una "dura e pura". Del resto non me ne stupirei, è notorio che nelle fasi di recrudescenza fascista in senso lato c'è sempre chi è pronto a dare una mano quando si tratta di criminalizzare chi in un modo o nell'altro non si adegua ad una certa "norma". E disgraziatamente sappiamo qual è la norma che va per la maggiore da un bel po').
All'articolo del Corriere ha risposto il coordinamento Facciamo Breccia (trovate il comunicato in coda a questo post), che ha indetto per dopodomani sera un'assemblea cittadina, Quel che resta del Pride. Quindi evito di dilungarmi e mi limito a qualche precisazione e ad una piccola notarella finale.
Le precisazioni le ritengo necessarie visti i tempi e perché nel comunicato della Breccia il mio articolo Un Italo da rottamare viene indicato come quello che ha dato il via alla "campagna" per la cosiddetta rottamazione di Italo. In un certo senso è vero, poiché ho scritto questo post in tempi decisamente preistorici rispetto all'esplosione del "caso Italo", ovvero il 29 maggio, dunque quasi un mese prima del Pride. Ma la "campagna" non c'è stata: nonostante avessi inviato - in forma rigorosamente non anonima - il mio articolo a svariate liste di discussione, siti e quotidiani cartacei e online (compreso GayNews di Franco Grillini), i problemi che sollevavo sono caduti sotto una spessa coltre di silenzio, ad esclusione del sito dell'AAP (che in Ricordare Stonewall ha ripreso il mio post), del blog Paesanini Land, del link nella rubrica Posizioni di Incidenze e del vago accenno ad Italo (ma non al mio post) nel comunicato di "adesione critica" al Pride di Facciamo Breccia. Un po' pochino, mi pare.
E stendo un pietoso velo, anzi una trapunta, su chi ha liquidato la faccenda con la storiella (oramai vecchia) che Italo fosse solo una simpatica o ironica trovata. E, sia detto per inciso, non mi riferisco soltanto ad Arcigay (e zone limitrofe). Il comitato promotore/organizzatore del Pride, restato su questa questione muto per un po' troppo tempo, non era solo l'Arcigay ...
In ogni caso visto che oramai sono balzata agli onori della cronaca e già vengo indicata da qualcun* come "cattiva maestra" ci tengo a precisare che la presunta (e fallita) "campagna" era per rottamare Italo e non certo il suo inventore, Lorenzo "Q" Griffi. Che comunque, e va detto, mi sembra molto meno "innocuo" di come i suoi difensori del Corriere e dintorni vorrebbero far credere. Per lo meno a prestar fede a quanto scrive nel forum di destra (vicino a CasaPound) di Vivamafarka. Non ho avuto tempo (e non penso che ne avrò) per leggere le presunte minacce e insulti di cui è stato vittima nel web. Ma sfido chiunque a trovare ombra di insulti e minacce nelle prese di posizione di quant* hanno "aderito" (in maniera molto poco anonima) alla cosiddetta campagna "lanciata" da Un Italo da rottamare. Ma condivido anch'io il desiderio (che mi auguro sia ancora legittimo) espresso da molt* di non avere rapporti di sorta, politici e non, con questo ennesimo signor "Q" ( e qui sono costretta come Debord a non dire tutto. Ma chi ha memoria lunga non ha bisogno che io scriva di più).
E con le precisazioni ho finito.
Per quanto riguarda la notarella: era stato pubblicato in maggio, sempre sul Corriere (che coincidenza!), l'articolo che annunciava l'apertura della sede bolognese di CasaPound. Con toni che oserei definire fin troppo sobri visto che i personaggi che ruotano intorno a questo "centro sociale di destra" non sono precisamente delle mammolette. Eppure, quando vuole, il Corriere sa usare ben altri toni ... Fate pure due più due.
E con questo chiudo, anche perché ho fretta. Devo mettermi a lavorare: disgraziatamente come ebbe a scrivere Clara Zetkin all'amico Karl Kautsky "il denaro è merda, ma purtroppo la merda non è denaro".

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Risposta di Facciamo Breccia all'articolo del Corriere di Bologna:

Facciamo Breccia intende chiarire alcune “imprecisioni” pubblicate nell’articolo “Gay radicali contro il grafico del pride Bologna: «quel manifesto l'ha fatto un fascista»” apparso sul Corriere di Bologna in data 20 luglio 2008.

Facciamo Breccia, che si dichiara dalla sua nascita antifascista, in questo momento storico ritiene che l’antifascismo debba essere al centro della riflessione e dell’azione del movimento lgbt e di tutti i movimenti. Proprio su questa base era stata mossa una critica al Bologna Pride, a nostro avviso eccessivamente “neutro”, e alla campagna di comunicazione ideata per il pride bolognese stesso da Lorenzo Q Griffi, membro del Direttivo Bologna Pride: “Sabato 28 giugno saremo anche a Bologna, per dare visibilità a i valori etici che Facciamo Breccia promuove e rilancia ogni giorno: autodeterminazione, laicità, antifascismo, liberazione. Parteciperemo con uno spezzone di Facciamo Breccia perché i nostri corpi e le nostre pratiche abbiano la meglio, senza alcuna ambiguità, su marionette e pupari, specie quelli che, come "Italo" non rappresentano né orgoglio né gioia né liberazione”, si può leggere nel documento di partecipazione di Facciamo Breccia.

Questo è il nostro posizionamento politico a cui altri danno l’etichetta di “radicale” o “duro”.

L’uso dell’immagine di un neofascista per promuovere il pride (la figurina di Italo che “odia i froci ma ama il suo camerata” a cui si riferisce l’articolo del Corriere) non è stata criticata solo da Facciamo Breccia ma anche, ad esempio, dal blog http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/ che ha lanciato la campagna “Un Italo da rottamare”. Proprio in seguito a questa campagna sono divenute note, (pubbliche lo erano già) le posizioni di Lorenzo Q Griffi che sul forum Vivamafarka – destra radicale e dintorni, affermava: “Verosimilmente il fatto che è stata proprio l'interazione col comitato pride che mi ha reso "fascista”".

Facciamo Breccia ricorda anche di non avere mai usato la parola “fascista” né per definire il Comitato Bologna Pride né Arcigay - al contrario di quanto invece ha fatto il presidente di questa associazione, Aurelio Mancuso, nei confronti di Facciamo Breccia in un comunicato pubblico - proprio perché sappiamo cos’è il fascismo e non lo confondiamo né con il qualunquismo né con l’incapacità di accettare il dissenso politico.

Rigettiamo fortemente il tentativo messo in atto da Arcigay e Comitato Pride Bologna di criminalizzare Facciamo Breccia e diffonderne una visione violenta: ovviamente noi non abbiamo minacciato nessuno e Lorenzo Q Griffi può fare e andare dove vuole, noi vogliamo solo non dover fare politica con lui. Invece utilizzare frasette anonime che sarebbero apparse sul web per attaccare Facciamo Breccia ci sembra davvero una miseria politica a cui non vogliamo prendere parte.

Facciamo Breccia è un coordinamento che basa la propria analisi e il proprio agire sull’autodeterminazione, l’antifascismo e l’autorganizzazione, che utilizza pratiche di movimento mai violente e che, nonostante i tentativi di ridurci alla mera difesa di noi stesse/i in tribunale e sui media, continuerà il proprio percorso. A partire da martedì 22 luglio quando proprio a Bologna Facciamo Breccia ha indetto, insieme a Antagonismo gay, Fuoricampo e Coordinamento trans Sylvia Rivera Bologna, l’assemblea “Quel che resta del pride” (ore 21, 30, Vag 61, via Paolo Fabbri). La nostra unica arma sono le parole, chi vuole può ascoltarle e dire la propria, chi non vuole la smetta di indicarci ridicolamente come “soggetto pericoloso”.

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Feedback a questo post: Paesanini Land,
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venerdì 29 febbraio 2008

8 marzo: il mito delle origini (e del centenario)

Esprimiamo un forte e chiaro no alle strumentalizzazioni ai fini elettorali dell'8 marzo da parte di cgil, cisl e uil, organizzazioni che sostengono politiche familiste e di controllo sui corpi e a cui non deleghiamo l'espressione del nostro pensiero e delle nostre pratiche politiche”.

Queste le poche righe del documento conclusivo della due giorni romana Flat, che, prendendo le distanze dalla manifestazione promossa per “la festa della donna” dai sindacati confederali, proponeva un 8 marzo autorganizzato a livello territoriale “che rilanci la lotta per l'autodeterminazione, manifestando con lo striscione comune: Tra la festa, il rito e il silenzio noi scegliamo la lotta!”.

Le reazioni non si fanno attendere: una “lettera aperta” all'assemblea di Susanna Camusso – segretario generale della CGIL Lombardia -, viene pubblicata su Liberazione, inviata e discussa nella lista Sommosse e ripresa e commentata in altri siti.

In “Ricominciare ogni volta da zero?”, Camusso sostiene e difende la scelta della CGIL, rivendicando anzitutto la partecipazione di molte militanti e iscritte a questo sindacato al percorso che, dalla manifestazione del 24 novembre, ha portato alla due giorni “perché, può piacere o no, il movimento sindacale è grandemente permeato dal pensiero e dalla pratica femminista”. E continua (scusate la lunga citazione): “[...] non si può certo dire che il movimento sindacale strumentalizzi l'8 marzo [...], quella data è nelle nostre radici e solo un 'bisogno' esasperato di antagonismo – incomprensibile se non in una logica di negazione della pluralità – può giustificare l'atteggiamento di duro contrasto espresso nel documento dell'assemblea nazionale del 24 febbraio a Roma. Inutile ogni commento anche sulla questione della presunta strumentalizzazione elettorale: che genere di valutazione può portare a considerare come tale una manifestazione che si sta preparando ormai da molti mesi per commemorare il centenario dell'8 marzo? [...] Non si ha l'impressione di un confronto politico ma dell'affermarsi dell'idea che liquidare storie ed esperienze delle altre renda forte il proprio pensiero: si chiama settarismo, è una modalità antica, che indebolisce il pensiero, esclude e, permettetemi di dirlo, invecchia. [...] E' questo il segno che si vuol dare all'8 marzo? Vogliamo davvero che prevalga una logica minoritaria e di divisione tra donne? [...] Non credo che ricominciare ogni volta da zero sia un risultato, così come non è un risultato negare tutte quelle donne che hanno popolato le piazze di questi anni, il 14 gennaio come il 24 novembre, e l'impegno delle tante che ogni giorno provano a parlare con le migranti e le lavoratrici [...]. L'amarezza è che non ci si divide su idee e proposte ma sulla volontà di negare il percorso e l'impegno di altre”.

Poiché l'articolo di Camusso è stato, nella sua interezza, già commentato e criticamente contestato da altre, mi limiterò ad un particolare che può sembrare marginale, cioè la confutazione del cosiddetto “centenario dell'8 marzo”. Infatti, seppure nell'ultimo periodo – anche grazie a materiali girati nel web - qualche dubbio si è fatto strada permettendo a gruppi e collettivi di rimettere nel cassetto per anni futuri slogan del tipo L'otto da cent'anni [1], non mi sembra che tutte le implicazioni del mito (mito delle origini e del centenario) siano divenute patrimonio comune e condiviso. Cosa a mio avviso gravissima, perché è proprio la rimessa in discussione di questo mito che offre una risposta – per certi versi inaspettata - a tutte le discussioni intorno alle “strumentalizzazioni” dell'8 marzo, strumentalizzazioni che, come vedremo, non sono cominciate oggi.


8 marzo: il mito delle origini (e del centenario)


Una certa confusione regna da decenni intorno alle origini dell'8 marzo: se in Francia la data “simbolo” è l'8 marzo 1857 (in ricordo dello sciopero di centinaia operaie tessili a New York duramente represso dalla polizia) in Italia il mito ruota intorno al 1908 quando, ci viene raccontato, un incendio divampò in un opificio degli Stati Uniti causando la morte di un centinaio di operaie. Queste date (e gli avvenimenti ai quali si riferiscono) si sono rivelati però ad un attento studio delle fonti drammaticamente false e l'unica certezza sembra essere il fatto che questa confusione è stata da sempre adoperata sia in termini “strumentali” che per delegittimare il movimento femminista e la sua storia.

Emblematico mi sembra lo scambio di lettere pubblicate lo scorso anno (precisamente il 17 e il 31 marzo 2007) su Tuttolibri, supplemento de La Stampa, nella rubrica La posta di Carlo Fruttero, scambio che vede coinvolti alcuni lettori, lo stesso Fruttero ed infine Tilde Capomazza, co-autrice con Marisa Ombra del libro “8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna” (1987, ristampa ed. Utopia, 1991).

Il 17 marzo sotto il titolo di “L'8 marzo un falso storico?”, viene pubblicata la lettera di un lettore di Genova che chiede a Fruttero conferma del tragico incendio avvenuto in un opificio di Chicago nel 1908 e in cui morirono 127 operaie, evento considerato da molt*, (almeno in Italia) all' origine della “festa delle donne” e messo in dubbio, durante una cena, da un amico. Fruttero risponde “ ... Ho anch'io un vago ricordo di aver letto su una rivista o in un libro qualcosa di 'negazionistico' in merito a quell'incendio, ma non saprei rimandarla a una fonte sicura. Ho addirittura il sospetto che della cosa, cioé del falso storico, siano ben coscienti i circoli femministi più spregiudicati, cui poco importa della verità, immagino: se l'incendio e le 127 torce umane 'funzionano' per la causa, lasciamole tranquillamente bruciare nella leggenda ...”.

Il sabato successivo la discussione continua. Sotto il titolo generale di “Fiction femminista” quattro lettere, ognuna con un titoletto. Nella prima “L'allibito (un lettore di Brescia) rimprovera a Fruttero “ ... la noia e fastidio con cui lei risponde (anzi, non risponde) alla richiesta del lettore [...] Un minimo di umiltà e di rispetto (e perché no, anche di professionalità) le avrebbe consentito di leggere in Wikipedia i documenti che le allego, nei quali c'è la fotografia dell'edificio bruciato a New York il 25 marzo 1911, che causò la morte di 146 persone, per la maggior parte giovani operaie ...[2].

Il buon samaritano(un lettore di Brescia) segnala il libro di Vittorio Messori (Pensare la storia. Una lettura cattolica dell'avventura umana, ed. Paoline, 1992) che al paragrafo Una 'festa' inventata (p. 55) afferma che “la storia, pur commovente, è falsa[3].

La terza lettera con il titoletto di “La storica inviperita” è quella di Tilde Capomazza che ricordando il volume da lei scritto con Marisa Ombra scrive che “ ... E' un libro di ben 167 pagine ... che scatenò “scandalo” sulla stampa di tutte le correnti per aver corretto la versione accreditata delle origini la quale recitava: 'Nel 1910 Clara Zetkin istituì la giornata internazionale della donna per ricordare la morte di 129 persone in un incendio a Chicago nel 1908 '...Il libro è da tempo esaurito altrimenti lo manderei al suo lettore (Palumbo), il quale da uomo sensibile si pone almeno delle domande ... Non lo manderei a lei perché sono certa che non lo leggerebbe. Peccato però che un uomo di cultura e di successo come lei abbia dato quella risposta”.

Nell'ultima lettera L'Insensibile (lo stesso Fruttero) conclude: “...sarò anche insensibile ma resto comunque confuso. Ci fu davvero l'incendio? E dove? A New York o a Chicago? Nel 1908 o nel 1911? E quante furono le vittime, 129 o 146?”.

A differenza dell'insensibile (e paternalista) Fruttero, la CGIL sembra non avere dubbi. Nella pagina dedicata alla Festa internazionale della donna del loro sito possiamo leggere testualmente: “L'8 marzo ha radici lontane. Nasce dal movimento internazionale socialista delle donne. Era il 1907: Clara Zetkin [...] organizza con Rosa Luxemburg [...] la prima conferenza internazionale della donna. Ma la data simbolo è legata all'incendio divampato in un opificio (Cottons) di Chicago nel 1908, occupato nel corso di uno sciopero da 129 operai tessili che morirono bruciate vive. Nel 1910 a Copenaghen, in occasione di un nuovo incontro internazionale della donna si propone l'istituzione di una Giornata internazionale della donna, anche in ricordo dei fatti di Chicago”, affermazione che accredita in pieno la falsa versione dell'evento contestata da Capomazza ed Ombra nel loro già citato “8 marzo. Storie, miti, riti della giornata internazionale della donna”.

Ed è sulla scorta di questo libro e di quello di Mirco Volpedo “8 marzo” (ed. Erga, 2006) che Donne e Rivoluzione fornisce - in Viva l'8 marzo di lotta femminile, proletaria e rivoluzionaria! -, una ricostruzione delle origini dell'8 marzo dove si afferma che la “vera e propria ricorrenza dell’8 marzo nasce ufficialmente per ricordare la prima manifestazione delle operaie di Vyborg (Pietrogrado) dell’8 marzo 1917 [23 febbraio del calendario russo, NdC] che diede l’avvio alla rivoluzione di febbraio: nel giugno del 1921 la Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste, che si tenne a Mosca nell’ambito della Terza Internazionale, adottò formalmente quella data come “Giornata Internazionale dell’Operaia”.

Viva l'8 marzo” tenta però anche di tenere insieme le varie date “simbolo”: lo sciopero duramente represso dalla polizia delle operaie tessili nel 1857 a New York; la prima Giornata nazionale delle donne celebrata negli Stati Uniti il 28 febbraio del 1909 [4]; il lungo sciopero portato avanti nello stesso anno a New York dalle operaie tessili della Triangle Shirtwaist Company; la proposta delle delegate tedesche (Zetkin in testa) in occasione della Seconda conferenza delle donne dell'Internazionale (tenutasi a Copenaghen il 29 agosto del 1910) di istituire una Giornata Internazionale della donna che fu di fatto celebrata per la prima volta in Europa l'anno successivo, il 19 marzo 1911; la decisione delle americane, a partire dal 1913, di far coincidere la loro Giornata nazionale delle donne con quella europea.

In questa ricostruzione vi è anche spazio per il famoso incendio a New York, che viene posticipato di qualche anno (troppo tardi quindi per essere all'origine della “Festa della donna” sia negli Stati Uniti che in Europa). Nell'incendio ( scoppiato, pare, nella stessa Triangle Shirtwaist Company, teatro dello sciopero del 1909) “più di 100 operaie (a seconda delle fonti 129 0 146) [...] (di cui molte italiane), rimangono uccise [...]. I proprietari della fabbrica, che al momento dell’incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne [...]. Quell’incendio segna una data importante, anche se non è da esso, come erroneamente riportato da alcune fonti, che trae origine la Giornata della donna. Migliaia di persone presero parte ai funerali delle operaie uccise dal fuoco. Fu quel fatto tragico comunque che portò alla riforma della legislazione del lavoro negli Stati Uniti e che rafforzò nel tempo la Giornata della Donna istituita l’anno prima.(Narra la leggenda che sulla tomba delle operaie morte fossero fiorite poco dopo la loro sepoltura delle mimose)”.

Ma credo sia importante chiedersi il perché della “confusione” fiorita intorno all'8 marzo (confusione fatta di tante parziali “certezze” oltre di date e cifre diverse), per capire le ragioni di questa “confusione” e gettare nuova luce sulle “strumentalizzazioni” che sempre hanno accompagnato (e accompagnano) questa giornata.

Lo scorso anno avevo pubblicato qui in Marginalia in occasione dell'8 marzo la (parziale) traduzione di un articolo del 1982 di Liliane Kandel e Françoise Picq, Le mythe des origines. À propos de la journée internationale des femmes. Qui veniva dimostrata (consultando fonti primarie quali la stampa americana dell'epoca e fonti secondarie quali pubblicazioni sulla storia del movimento operaio e femminista del periodo) l'invenzione bella e buona del famoso sciopero del 1857, che diviene la data simbolo nel contesto francese a partire dagli anni 50 (negli stessi anni cioè in cui in Italia, come vedremo, fa la sua comparsa il mito delle povere operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica.

Kandel e Picq ripercorrono le tappe dell'istituzione della Giornata internazionale delle donne: la proposta di Zetkin – che riprendeva l'iniziativa delle donne socialiste americane che dal 1909 celebravano una giornata nazionale per l'uguaglianza dei diritti civili – alla Seconda conferenza internazionale delle donne socialiste nel 1910; la data del 19 marzo 1911 come prima Giornata internazionale della donna svoltasi in Europa e precisamente in Germania e in Austria; la prima manifestazione francese nel 1914, a Parigi; l'interruzione delle celebrazioni in Europa non solo a causa della guerra ma per i contrasti e le divisioni interne al campo socialista internazionale; il rilancio della giornata internazionale delle donna grazie al nuovo impulso dato dalla grande manifestazione delle operaie di Pietrogrado il 23 febbraio – 8 marzo del nostro calendario – 1917. E quindi sotto questa nuova data (e sotto l'auspicio del partito bolscevico e della Terza Internazionale) che viene a collocarsi la cosiddetta festa della donna. Scrive Alexandra Kollontai: “La giornata delle operaie è divenuta memorabile nella storia. Quel giorno, le donne russe hanno innalzato la fiaccola della Rivoluzione proletaria e messo a fuoco il mondo; la Rivoluzione di febbraio ha fissato il suo inizio quel giorno [5].

La Giornata internazionale delle donne diviene tra le due guerre oggetto di aspre dispute tra la Seconda e la Terza Internazionale, tra il Partito comunista francese e la Sfio (la sezione francese dell'internazionale operaia) che, come ricordano Kandel e Picq non la celebrano nella stessa data. A partire dalla seconda guerra mondiale è celebrata in tutti i paesi socialisti e altrove. Se, tra le due guerre, era raro il riferimento a un qualsiasi avvenimento originario (talvolta lo sciopero delle operaie russe del 1917, talvolta la proposta di Zetkin del 1910) a partire dal dopoguerra comincia ad essere elaborato il mito. L'origine “sovietica” della giornata della donna sparisce: in Francia ci si riferisce inizialmente ad una decisione presa dal Partito socialista americano nel 1908 per giungere, a partire dal 1955, alla collocazione dell'origine dell'8 marzo nello sciopero newyorkese del 1857.

Anche in Italia (dove a partire dal dopoguerra l'8 marzo acquista nuovo impulso a partire dalla manifestazione indetta dall'Udi - che almeno a quanto scrive la CGIL nel suo sito sceglie come simbolo la mimosa -, nel 1946) inizialmente l'avvenimento originario (per lo meno nella tradizione socialista) sembra essere quello dello sciopero del 1857 ma, a partire dagli anni 50, (e dunque in piena guerra fredda) si afferma la versione delle operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica: il 7 marzo 1952 il settimanale bolognese La lotta, scrive che la data della Giornata della Donna vuole commemorare l’incendio scoppiato in una fabbrica tessile di New York l’8 marzo del 1929, in cui sarebbero morte (rinchiuse all’interno dello stabilimento dal padrone perché minacciavano di scioperare) 129 giovani operaie in gran parte di origine italiana ed ebraica. In seguito, il tema dell’incendio e delle operaie arse vive nel rogo del loro posto di lavoro viene ripreso, ma con diverse varianti. Nel 1978, il Secolo XIX di Genova colloca l’episodio a Chicago, in una filanda. Nel 1980, La Repubblica parla di un incendio a Boston, datato 1898. Nel 1981 Stampa sera situa l’incendio ai primi del ‘900, in un luogo imprecisato degli Stati Uniti, le operaie vittime sarebbero state 146. Lo stesso anno, L’Avvenire parla di 19 operaie morte. Nel 1982, Noi Donne , afferma che l’incendio sarebbe avvenuto a Boston nel 1908 e le operaie morte sarebbero state 19 [6]. Nonostante l'infondatezza della notizia (non risulta nessun incendio nè nel già citato volume di Capomazza e Ombra nè nel libro di Renée Còté, Verità storica della misteriosa origine dell'8 marzo) la leggenda delle operaie bruciate vive continua ad imperversare anche in tempi recenti: tralasciando le varie occorrenze reperibili in diversi volantini e documenti (tra i quali innumerevoli siti e blog), veramente troppi per essere elencati, ricordo qui il quotidiano Liberazione che il 7 marzo dello scorso anno ha pubblicato una lettera/appello di Elisabetta Piccolotti (portavoce nazionale Giovani Comunisti/e), indirizzata a Giorgia Meloni, vicepresidente della Camera, nonché presidente di Azione Giovani. Nella lettera (“sul volgare machismo” della sezione di Biella di Azione giovani che aveva organizzato un “eteropride” con spettacolo di lap-dance publicizzato da un manifesto con lo slogan “Questione di pelo”), Piccoletti scrive: “L'8 marzo in tutto il mondo - come ogni anno dal 1908 quando 129 donne persero la vita durante un incendio in una industria tessile di New York - ricorre la festa delle donne”.

Ma il testo di Kandel e Picq non ci aiuta soltanto a fare chiarezza intorno all'origine dell'8 marzo, ma mostra anche i conflitti e le strumentalizzazioni che hanno contrassegnato questo evento fin dalla nascita. L'8 marzo, nato per decisione "delle donne socialiste di tutti i paesi" riunite a Copenaghen "in accordo con le organizzazioni politiche e sindacali del proletariato" (Kandel e Picq, p. 74), viene anche adoperata per marcare la differenza tra le donne socialiste e le femministe "borghesi", situandosi in una tradizione che nega "il diritto delle donne ad organizzarsi in maniera autonoma, al di fuori di organizzazioni e partiti politici"(p. 75).

Questa giornata benché ripresa dal movimento femminista negli anni 70 - che spesso però ne ignorava la storia - è stata spesso adoperata da partiti e sindacati (in Italia in primis la CGIL) per riscuotere consenso presso le "masse femminili" subendo, tra l'altro, uno svuotamento progressivo: la festa della donna (mimose, cene, serate danzanti ...).


Ma la carica "simbolica" dell'8 marzo non è del tutto esaurita. Mentre la CGIL allestisce la celebrazione di un centenario storicamente infondato, in varie città d'Italia non mancano tentativi di appropriazione/strumentalizzazione e ulteriore svuotamento di questa giornata ... ma questo è un altro discorso, che andrebbe probabilmente ripreso e sviluppato [7] .


Per intanto mi chiedo se non è giunto forse il momento di dare vita a un movimento delle F.A.M (Femministe allergiche alla mimosa) ...




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* L'immagine è un poster B. Dejkin del 1932: L'8 marzo, il giorno della rivolta delle donne lavoratrici contro la schiavitù casalinga. La fonte è il bel sito del Mau - Museum df Russian Poster.

[1] Solo ora (ore 10.01) a post già pubblicato e finito mi accorgo che la Rete delle donne di Bologna ha publicizzato la propria manifestazione con un manifesto/banner che unisce in una sintesi improbabile lo slogan L'8 da cent'anni (in una ripresa implicita dello strumentale centenario della CGIL ... ) con lo slogan uscito da Flat Tra la festa, il rito e il silenzio noi scegliamo la lotta ...

[2] Qui la pagina di Wikipedia sull'8 marzo alla quale si riferisce il lettore.

[3] Il volume di Messori è citato nella voce di Wikipedia già menzionata a proposito dell'ipotesi che sia stata la stampa comunista italiana a diffondere il mito dell'incendio del 1908.

[4] Ma celebrata fino al 1913 nell'ultima domenica di febbraio per non farla coincidere con una giornata lavorativa.

[5] A. Kollontai, International Women's day, International socialist pamphlet.

[6] Ho tratto la maggior parte di questi dati da A-infos.

[7] Vedi nota 1 ...




giovedì 8 marzo 2007

8 marzo: il mito delle origini



Liliane Kandel e Françoise Picq, Il mito delle origini. A proposito della giornata internazionale delle donne, in La revue d'en face, n°12, 1982, pp. 67-80*


Qual è l’origine della giornata internazionale delle donne? Cosa si commemora l’8 marzo di ogni anno?

Una risposta chiara e precisa si trova in tutta la stampa militante; quella de Pcf e della Cgt[1] (Antoinette, Heures Claires), così come quella dei gruppi di donne (Les Pétroleuses, Des Femmes en mouvement, Mignonnes allons voir sous la rose), e che la grande stampa riproduce (Le Matin, France-soir, Le Quotidien, gennaio 82).


8 marzo 1857?

“Sono le americane che hanno incominciato, si legge in Antoinette (n. 1, marzo 1964), era l’8 marzo 1857 … Per reclamare la giornata di 10 ore, hanno invaso le vie di New York”. E quali che siano le varianti dell’avvenimento descritto – sciopero delle cucitrici o manifestazione di strada -, quali che siano le rivendicazioni avanzate – giornata di 10 ore, a lavoro uguale salario uguale, asili o rispetto della loro dignità –, quali che siano i dettagli – giornata primaverile o processione nella nebbia – … tutti sono d’accordo, da Mignonnes allons voir sous la rose a Des femmes en mouvement hebdo tanto sulla data originaria che sulle linee principali della storia della giornata internazionale delle donne.

Qualche divergenza appare: “la polizia carica quel giorno un corteo vestito miserabilmente” (Antoinette, marzo 1968), per Les Pétroleuses (marzo 1975) questo primo sciopero di donne oppone 2le operaie tessili alla polizia di New York che carica, spara e uccide”. Altrove (o in altri momenti) non viene menzionata alcuna repressione, ma si parla del giuramento che quel giorno fecero le operaie “ di ritrovarsi ogni anno alla stessa data” (G. Suret-Canale, Antoinette, marzo 1973).

Ma questo non sembra attentare all’evidenza dell’avvenimento originario. Non più che la scelta fatta qui o là per questo o quel ricordo di 8 marzo memorabili: 8 marzo 1917 le donne di Pietrogrado scendono nelle strade ed è l’inizio della Rivoluzione russa (di febbraio, o la preparazione di quella d’Ottobre), 8 marzo 1945 a Ravensbruck…

Tuttavia, la data del 1857 non si trova nelle fonti americane dell’epoca. I giornali americani del marzo 1857 non menzionano alcuna manifestazione o sciopero di donne l’8 marzo, che del resto era una domenica. Nessun riferimento a questo avvenimento, del resto, nelle storie del movimento operaio negli Stati Uniti (che segnalano altri scioperi o manifestazioni di donne[2]), o nelle storie del femminismo. Ci chiediamo dove quelle che, mezzo secolo più tardi, hanno “adottato l’idea di onorare la memoria di queste coraggiose americane” (Heures Claires, marzo 1976, tra le altre), ne hanno trovato traccia.

A dire il vero, questa data del 1857 non è menzionata neppure dalle dirigenti del movimento femminile socialista internazionale che hanno preso l’iniziativa di questa celebrazione. Non la si vede comparire nella stampa comunista francese che negli anni Cinquanta.

Una sola cosa è sicura: è durante la seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, a Copenaghen, nell’agosto 1910, che fu presa, per iniziativa di Clara Zetkin, la decisione – avvallata dal successivo congresso dell’Internazionale – di celebrare ogni anno una giornata internazionale delle donne. Esse riprendevano l’iniziativa delle donne socialiste americane che avevano deciso, a partire dal 1909, di organizzare ogni anno, l’ultima domenica di febbraio, una giornata nazionale per l’uguaglianza dei diritti civili.

Le donne socialiste non avevano fissato il 1857 come avvenimento primitivo da commemorare, né tanto meno si erano pronunciate per la data dell’8 marzo, ma soltanto sul principio d’una celebrazione. Nella sua risoluzione di Copenaghen, Zetkin proponeva del resto di fissarla tutti gli anni, durante le feste del Maggio.

E’ la direzione del partito socialdemocratico tedesco che ha fissato il primo giorno delle donne il 19 marzo 1911, data non scelta per caso. Da tempo, la socialdemocrazia tedesca commemorava in questa data due avvenimenti: la rivoluzione tedesca del 1848 a Berlino e la Comune di Parigi – e tutti gli anni in marzo, molto prima del 1911, die Gleichheit[3] chiamava tutte le donne ad unirsi alle manifestazioni previste.

E’ dunque sotto il segno di due date importanti del movimento operaio internazionale che fu posta, sin dalla nascita, la giornata internazionale delle donne. Eccoci lontano da New York, dal 1857, dalle operaie tessili … Perché no, dopo tutto? Ma perché allora, non dirlo chiaramente? Perché, settant’anni più tardi, raccontarci che è una lotta di donne quella che commemoriamo, che è questa e non un’altra che avevano scelto Zetkin e le congressiste di Copenaghen?

La prima giornata internazionale delle donne festeggiata nel 1911 ottenne, segnatamente in

Germania e Austria, un successo immenso. Soltanto a Berlino, ebbero luogo simultaneamente quarantadue meeting, e più di 30.000 donne sfilarono nelle strade di Vienna, in Austria.

Al quel tempo non c’era in Francia un gruppo di donne socialiste capace di riprendere questa iniziativa, e non vi furono manifestazioni a Parigi prima del 1914[4].


La giornata internazionale delle donne nella tormenta

Instaurata nel 1910, la tradizione socialista della giornata internazionale delle donne ha subito i contraccolpi della guerra poi della scissione del movimento operaio.

Essa fu, di primo acchito, per un piccolissimo numero di donne socialiste l’occasione per significare, nonostante la guerra, l’internazionalismo proletario. Non avendolo seguito nella sua azione anti-guerra il gruppo delle donne socialiste (creato nel 1913), Louise Saumonneau diffuse in Francia l”Appello” di Clara Zetkin e creò con due altre donne (bolsceviche) un Comitato d’azione femminili socialista per la pace contro lo sciovinismo di cui sarà rappresentante a Berna, nel marzo 1915, alla Conferenza internazionale delle donne socialiste, preludio alla Conferenza socialista internazionale di Zimmerwald (settembre 1915). Nel 1916 e 1917, il Comitato d’azione femminili socialista per la pace contro lo sciovinismo, celebrò la giornata internazionale delle donne con l’invio di lettere di solidarietà e la tenuta (difficile) di riunioni private, prima di dissolversi nell’autunno del 1917.

Le donne socialiste allora dovettero prendere partito, individualmente, nel grande scisma internazionale del movimento operaio. Louise Saumonneau, che aveva lottato per l‘internazionalismo rivoluzionario e l’adesione del Partito francese alla Terza Internazionale, indietreggiò di fronte alle “21 condizioni” di Lenin e prese “la ferma risoluzione di non aderire al partito della proscrizione e delle ‘epurazioni periodiche”[5]. Clara Zetkin, al contrario, aderirà alla Terza internazionale, ma era minoritaria nel partito socialdemocratico tedesco ed aveva già perso nel 1917 la direzione del giornale Die Geithheit che aveva creato e fatto vivere per 23 anni. Zetkin tentò nel 1919 di rilanciare l’idea di una conferenza internazionale delle donne socialiste, malgrado la “divisione nel campo socialista internazionale”[6].


L’alba della rivoluzione

Tuttavia la giornata internazionale delle donne trovò, a partire dalla Russia, un nuovo inizio. Le donne socialiste vi avevano nel 1913 e 1914 celebrato la giornata internazionale delle operaie. L’8 marzo 1917 (23 febbraio del calendario russo) ebbero luogo a Pietrogrado delle manifestazioni che i bolscevichi designano come il primo giorno della rivoluzione (di febbraio). “Senza tener conto delle nostre istruzioni, scrive Trockij (Storia della Rivoluzione russa), le operaie di molte tessiture si sono messe in sciopero e hanno inviato delle delegazioni ai metallurgici per chiederne il sostegno … Non è venuto in mente a un solo lavoratore che questo potesse essere il primo giorno della Rivoluzione”.

La storia bolscevica ufficiale non tarderà, del resto, ad attribuirsi la paternità di questa manifestazione.” Il 23 febbraio (8 marzo), all’appello del comitato bolscevico di Pietrogrado, le operaie scesero in strada per manifestare contro la fame, la guerra, lo zarismo. Questa manifestazione fu sostenuta dall’azione di sciopero degli operai di Pietrogrado” (Storia de Partito bolscevico, citato da V. Michaut, Cahiers du Communisme, 1950).

Spontanee o no, femminili o no, quel giorno ebbero luogo delle manifestazioni per la pace e contro la fame di cui l’Humanité del 11-3-17 rende conto a partire da un dispaccio del Times del 9 marzo. “Nel 1917, scrive Alessandra Kollontai[7], la giornata delle operaie è divenuta memorabile nella storia. Quel giorno, le donne russe hanno innalzato la fiaccola della Rivoluzione proletaria e messo a fuoco il mondo; la rivoluzione di febbraio ha fissato il suo inizio quel giorno”.

Si è dunque instaurata una nuova tradizione, sotto gli auspici del Partito bolscevico e della Terza internazionale; ogni anno, la Russia dei soviet festeggia degnamente le sue operaie mentre, negli altri paesi, le donne sono chiamate a commemorare “l’azione energica delle operaie di Pietrogrado”(L’Humanité, 6-3-22). “La giornata internazionale delle operaie, conclude Alessandra Kollontai, è diventata giornata internazionale di lotta per la liberazione completa e assoluta delle donne, che significa lotta per la vittoria dei soviet e del comunismo”.

L’8 marzo (o una data vicina) sarà oramai ‘occasione per i partiti comunisti di mobilitare le donne, di “richiamarle alla lotta sotto la bandiera comunista” (L’Ouvrière, 4-3-24), e, al tempo stesso, di sviluppare in direzione delle donne la propaganda del Partito o l’azione del Sindacato. E’ questa data che viene scelta per lanciare L’Ouvrière “organo di propaganda tra le donne” (n. 1, 11-3-22) secondo le direttive dell’Internazionale.

La giornata internazionale delle donne è diventata, tra le due guerre, l’oggetto d’aspre dispute tra la Seconda e la Terza Internazionale, in Francia tra il Pcf e la Sfio[8] che non la celebrano nella stessa data. Dalla fine della Seconda guerra, essa è ufficiamente celebrata in tutti i paesi socialisti; in Francia il Pcf (relayé dalla Cgt) non ha mai cessato di manifestare in questa occasione (talvolta l’unica) l’interesse che rivolge alle donne (Traduzione in corso di Vincenza Perilli, continua...).

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*Questo articolo, il cui titolo originale è “Le mythe des origines. À propos de la journée internazionale des femmes”, è rapportato fondamentalmente al contesto francese, notevolmente diverso da quello italiano. In Italia, infatti, il “mito” assume declinazioni specifiche. Se la tradizione socialista afferma che la scelta dell’8 di marzo fu fatta per richiamare il grande sciopero dell’8 marzo del 1848, più recentemente si è affermata in Italia la versione delle operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica. Versione che sembra relativamente recente: il 7 marzo 1952 il settimanale bolognese La Lotta, scrive che la data della Giornata della Donna vuole ricordare l’incendio scoppiato in una fabbrica tessile di New York l’8 marzo del 1929, in cui sarebbero morte (rinchiuse all’interno dello stabilimento dal padrone perché minacciavano di scioperare) 129 giovani operaie in gran parte di origine italiana ed ebraica. In seguito, il tema dell’incendio e delle operaie arse vive nel rogo del loro posto di lavoro viene ripreso, ma con diverse varianti. Nel 1978, il Secolo XIX di Genova colloca l’episodio a Chicago, in una filanda. Nel 1980, La Repubblica parla di un incendio a Boston, datato 1898. Nel 1981, Stampa Sera situa l’incendio ai primi del ‘900, in un luogo imprecisato degli Stati Uniti, le operaie vittime sarebbero state 146. Lo stesso anno, L’Avvenire parla di 19 operaie morte. Nel 1982, Noi Donne, afferma che l’incendio sarebbe avvenuto a Boston nel 1908 e le operaie morte sarebbero state 19. Ma non risulta nessun incendio sia nel libro di Renée Còté, Verità storica della misteriosa origine dell’8 marzo, che in quello di Tilde Capomazza e Marisa Ombra, 8 marzo, storie, miti e riti della Giornata Internazionale della Donna (per queste informazioni vedi A-infos all’indirizzo http://www.ainfos.ca/04/mar/ainfos00509.html).
Ma nonostante queste ed altre informazioni siano da tempo note, la leggenda delle operaie morte ha rifatto capolino anche quest’anno alla vigilia dell’ 8 marzo. Tralasciando le varie occorrenze in diversi volantini e documenti (tra i quali innumerevoli siti e blog), veramente troppi per essere elencati, ricordo qui il quotidiano Liberazione che il 7 marzo 2007 ha pubblicato una lettera/appello di Elisabetta Piccolotti (portavoce nazionale Giovani Comunisti/e), indirizzata a Giorgia Meloni, vicepresidente della Camera, nonché presidente di Azione Giovani. Nella lettera (“sul volgare machismo” della sezione di Biella di Azione giovani), Piccoletti scrive: “L’8 marzo in tutto il mondo – come ogni anno dal 1908 quando 129 donne persero la vita durante un incendio in una industria tessile di New York – ricorre la festa delle donne”.



[1] Parti Comuniste Français e Confédération Générale du Travail, rispettivamente il Partito comunista francese e uno dei maggiori sindacati francesi (N. d. T.).

[2] In particolare: dicembre 1828 nelle filande a Cochen Mill, 1834 le cucitrici di New York, il 7 marzo 1860 manifestazione delle donne durante lo sciopero – misto – nell’industria calzaturiera a Lynn (Mass) (Ph. Foner, Women and the American Labor, N.W, 1979).

[3] L’uguaglianza, rivista fondata e lungamente diretta da Zetkin (N. d. T.).

[4] Checché ne dica Des femmes en mouvements hebdo (11.12.81), per il quale “Alessandra Kollontai organizza una manifestazione di donne a Parigi”. Sarebbe particolarmente lungo e fastidioso rilevare le falsificazioni storiche nello schema presentato, in questo numero, così come nei successivi.

[5] Citato da Charles Sowerwine, Les femmes et le socialisme, Presses de la Fondation Nationale des Sciences Politiques, Paris, 1978, p. 214.

[6] La Suffragiste, n. 47, settembre 1919, Clara Zetkin “Aux femmes socialises de tous les pays”.

[7] Alessandra Kollontai, Internatonal Women’s day, pamphlet Internationa Socialist.

[8] Parti socialiste, Section française de l’Internationale ouvrière detto Sfio, fondato nell’aprile del 1905 a Parigi (N. d. T).

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