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giovedì 17 dicembre 2015

Storie in movimento ricorda Mario Dondero / Obiettivi bellici. Raccontare la guerra con le immagini

La sera del 13 dicembre se n’è andato Mario Dondero. Lo vogliamo salutare rileggendo un suo intervento pubblicato su «Zapruder», n. 2 (settembre-dicembre 2003), Obiettivi bellici. Raccontare la guerra con le immagini.L'articolo è online sul sito di Sim: http://storieinmovimento.org/2015/12/15/ciao-mario/

giovedì 21 novembre 2013

La Libia e i «costruttori di pace»

Riprendo da Il Manifesto del 19 novembre un articolo di Manlio Dinucci, Al via la nuova missione in Libia . Buona lettura // Dopo aver demolito lo stato libico con 10mila attacchi aerei e forze speciali infiltrate, Stati uniti, Italia, Francia e Gran Bretagna dichiarano la propria «preoccupazione per l’instabilità in Libia». La Farnesina informa che a Tripoli sono in corso violenti scontri tra milizie anche con armi pesanti e che sono stati danneggiati numerosi edifici, per cui la sicurezza non è garantita nemmeno nei grandi hotel della capitale. Non solo per gli stranieri, ma anche per i membri del governo: dopo il rapimento un mese fa del primo ministro Ali Zeidan dalla sua residenza in un hotel di lusso, domenica è stato rapito all’aeroporto il vicecapo dei servizi segreti Mustafa Noah. E mentre nella capitale miliziani di Misurata sparano su cittadini disarmati esasperati dalle violenze, a Bengasi prosegue senza soluzione di continuità la serie di omicidi di matrice politica. Che fare? Il presidente Obama ha chiesto al premier Letta di «dare una mano in Libia» e questi ha subito accettato. La sua affidabilità è fuori discussione: nel 2011 Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, è stato uno dei più accesi sostenitori della guerra Usa/Nato contro la Libia. Sarà ricordata sui libri di storia la sua celebre frase: «Guerrafondaio è chi è contro l'intervento internazionale in Libia e non certo noi che siamo costruttori di pace». Ora, mentre la Libia sprofonda nel caos provocato dai «costruttori di pace», è arrivato il momento di agire. L’ammiraglio William H. McRaven, capo del Comando Usa per le operazioni speciali, ha appena annunciato che sta per essere varata una nuova missione: addestrare e armare una forza libica di 5-7mila soldati e «una unità più piccola, separata, per missioni specializzate di controterrorismo». Specialisti del Pentagono e della Nato sono già in Libia per scegliere gli uomini. Ma, data la situazione interna, questi verranno addestrati fuori dal paese, quasi certamente in Italia (in particolare in Sicilia e Sardegna) e forse anche in Bulgaria, secondo un programma agli ordini del Comando Africa del Pentagono. L’ammiraglio McRaven non nasconde che «vi sono dei rischi: una parte dei partecipanti all’addestramento può non avere la fedina pulita». È molto probabile quindi che tra di loro vi siano criminali comuni o miliziani che hanno torturato e massacrato (elementi che, una volta in Italia, potranno circolare liberamente). E tra quelli addestrati in Italia vi saranno anche i guardiani dei lager libici in cui vengono rinchiusi i migranti. Per il loro addestramento e mantenimento non basteranno i fondi già stanziati per la Libia nel decreto missioni all’esame del parlamento: ne occorreranno altri molto più consistenti, sempre attinti dalle casse pubbliche. L’Italia contribuirà in tal modo alla formazione di truppe che, essendo di fatto agli ordini dei comandi Usa/Nato, saranno solo nominalmente libiche: in realtà avranno il ruolo che avevano un tempo le truppe indigene coloniali. Scopo della missione non è quello di stabilizzare la Libia perché torni ad essere una nazione indipendente, ma quello di controllare la Libia, di fatto già balcanizzata, le sue preziose risorse energetiche, il suo territorio strategicamente importante. Ci permettiamo di dare un consiglio al governo Letta: l’Expo galleggiante della Cavour, rientrando nel Mediterraneo ad aprile dopo il periplo dell’Africa, potrebbe fare tappa anche in Libia per pubblicizzare i prodotti del Made in Italy. Come il cannone a fuoco rapido Vulcano della Oto Melara che, in mano ai libici che oggi mitragliano i barconi dei migranti, potrebbe risolvere il problema dell’emigrazione clandestina // Qualche articolo correlato in Marginalia: Tripoli bel suol d'amore. La guerra in Libia e il centenario dell'invasione italiana, Muammar Gheddafi, Silvio Berlusconi e l'italietta postcoloniale, Colonialismo italiano in Libia: dal "leone del deserto" al "colonnello".

martedì 19 aprile 2011

Ladri di bellezza e strade contro la guerra

E' appena "nato", dopo una lunga gestazione,  Ladri di bellezza, un blog di resistenza all'incedere del brutto. Si apre con un post dal titolo Streets Against the War, traduzione inglese del titolo di un video, frutto del  progetto ideato dall'omonimo gruppo di attivisti/e turchi/e, Sokak Savaşa Karşı (Strade contro al guerra, appunto). Questo video è il primo furto della banda: guardatelo, infiltratevi, consigliateci prossimi colpi, dividete con noi il bottino, diventate a vostra volta ladri di bellezza. Opponiamoci all'incedere del brutto.

sabato 19 marzo 2011

Annassîm nel paese delle donne

Con un po' di ritardo (ma non potete immaginare quante cose da pubblicare abbiamo ancora nella nostra "lista d'attesa" ...) vi segnaliamo, sul sito de Il Paese delle donne, il report della giornata No hagra! No tirannia! organizzata da Annassîm. Donne native e migranti delle due sponde del mediterraneo, lo scorso otto marzo. L'urgenza di continuare a riflettere su quanto sta succedendo nei paesi a sud del mediterraneo, sul ruolo delle donne nelle rivolte in corso, così come sugli interessi e responsabilità che ha anche il nostro paese sulla situazione in Medio Oriente e Nord Africa, si fa sempre più urgente. Soprattutto allarmante è il quadro che si sta delineando in Libia, con un intervento militare che sembra imminente (rinviamo ad alcuni dei materiali/iniziative che ci sono state segnalate nelle ultime ore, dall'appello di Angelo del Boca e altri, al comunicato Nessuna complicità con l'intervento militare, alle cronache dalla Libia di Fortress Europe).

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Dal Medio Oriente al Nord Africa fino all'Italia
Voci di donne dalle rivolte, uteri per la patria e guerre umanitarie
E' l'Italia mercenaria che spara sulla folla in Libia
Muammar Gheddafi, Silvio berlusconi e l'Italietta postcoloniale
"Clandestini": licenza d'uccidere

lunedì 13 settembre 2010

Sakineh o della guerra in nome delle donne


Affidiamo a quest'immagine (un'opera dell'artista iraniana Shirin Neshat, che avevamo già avuto occasione di usare qui in Marginalia e che preferiamo alla foto di Sakineh Mohammadi Ashtiani che gira massicciamente da mesi nei media) e al titolo - ovvero Sakineh o della guerra in nome delle donne - quanto pensiamo di questa vicenda. Con la nostra immutata e piena solidarietà a tutte (tutte) la vittime della pena di morte (per lapidazione o attraverso altre forme di supplizio quali l'iniezione letale in vigore nella maggioranza degli Usa - pratica che, sia detto per inciso, non riteniamo meno "barbara") e a tutte le vittime del sistema razzismo/sessismo e del suo uso strumentale della violenza (e dei diritti) delle donne: dalle tante vittime delle guerre "preventive" o "umanitarie" (come quella in Afghanistan fatta per "liberare le donne dal burqa") a quelle del cosiddetto pacchetto sicurezza e della fortezza europa. Rifiutiamo altre "guerre" (qui o altrove) in nostro nome, come rifiutiamo la logica del lavarsi la coscienza con una "firma per Sakineh", senza muovere un dito per le tante (e i tanti) "Sakineh" respinte/i in mare verso le prigioni libiche o rinchiuse/i in un Cie, in attesa di essere deportate/i e magari mandate/i a morire in un deserto. O impiccate, come Faith.

venerdì 10 settembre 2010

Roghi made in Usa

Infine il pastore cristiano Terry Jones - che aveva annunciato un Burn a Koran Day per l'11 settembre e lanciato un ultimatum per lo spostamento della moschea lontano da Ground Zero - ha fatto marcia indietro. Sembra sia stato decisivo il discorso di Barack Obama in cui l'annunciato rogo del Corano è definito un "regalo per Al Qaida ... che metterebbe a repentaglio le truppe americane in Iraq e Afghanistan". Il reverendo deve essere stato colpito al cuore dalla retorica patriottica del presidente, indubbiamente più efficace della condanna della Cei (che ha fatto ricorso all'abusato paragone con il nazifascismo: "come i nazisti con il Talmud"). Intanto in Afghanistan si scopre che nelle truppe americane era attivo un kill team - capeggiato da un certo Calvin Gibbs che si vantava di averla fatta franca in Iraq dove aveva fatto qualcosa di simile-, gruppo che si dilettava ad uccidere civili a casaccio, per puro divertimento collezionando come trofei foto con i cadaveri e/o dita delle vittime ...



giovedì 5 agosto 2010

Fuoco sul Centro di cultura islamica

Non si tratta di uno dei tanti incendi estivi ma di un'attentato in piena regola compiuto da ignoti ai danni del Centro di cultura islamica di Bologna qualche giorno fa. Scriviamo ignoti ma sappiamo, da tempo, chi sono gli imprenditori e propagandisti dell'odio (come li definisce Annamaria Rivera), a pieno titolo mandanti morali e culturali di questo (e di altri) gravi episodi. La demonizzazione dell'Islam - di volta in volta indicato come la religione/cultura più barbara, oscurantista, violenta e sessista - è stata negli ultimi anni strumento efficace per la criminalizzazione e stigmatizzazione di donne e uomini migranti. Partiti come Forza Nuova e Lega Nord (con le loro campagne contro moschee e velo), personaggi come Daniela Santanché o Roberto Calderoli (con le loro sceneggiate a base di burqa strappati e maiale-day) e mezzi di (dis)informazione (sempre pronti a mediatizzare in chiave anti-islam (migranti) orribili femminicidi come quello di Hina Saleem), sono coloro che hanno alimentato questo clima da crociata. Clima nel quale la maggioranza dei/delle migranti viene sfruttata mentre continuano tranquillamente i respingimenti in mare, i voli Frontex e la costruzione di nuovi Cie per quelli/e che al momento non servono ... Esprimiamo tutta la nostra solidarietà al Centro di Cultura islamica, rinviando al documento della Rete dei Comunisti, che condividiamo.

giovedì 5 novembre 2009

Noi non siamo complici: mentre ieri l'Italia razzista celebrava le sue missioni di "pace", un nuovo presidio itinerante contro Cie e guerra "interna"

Mentre l’Italia razzista celebrava, con la festa delle forze ar

Mentre l’Italia razzista celebrava, con la festa delle forze armate, le infinite missioni di guerra fatte in nome della “democrazia”, il pomeriggio del 4 novembre un presidio itinerante di femministe e lesbiche partiva dal centro della città verso il Cie di via Mattei a Bologna, come già avvenuto il 13 ottobre in concomitanza con la sentenza del processo contro “le rivoltose e i rivoltosi” del Cie di via Corelli a Milano. Noi non siamo complici!”, questa è la firma con cui abbiamo indetto questo nuovo presidio itinerante per denunciare alla città le vessazioni, le violenze e gli stupri che avvengono nei lager per migranti. Sull’autobus 14A che ci portava verso il Cie, mentre alcune compagne intervenivano al microfono e altre volantinavano, una giovane immigrata con un bimbo in braccio ha raccontato la sua storia di ordinario neocolonialismo: quel bimbo è figlio di un italiano sposato che l’ha messa incinta per poi sparire – esattamente come usavano fare i nostri nonni nelle colonie italiane – e lei ora, nonostante la paura di violente ritorsioni, vuole reagire a questa ingiustizia. Nello scambio, con lei, di consigli e numeri di telefono, ha acquisito ancora più importanza la nostra azione contro la guerra interna che lo stato razzista ha dichiarato nei confronti delle/dei migranti, una guerra in cui sfruttamento lavorativo e sfruttamento sessuale trovano nei Cie l’arma principale. Le donne migranti, sfruttate e molestate nei luoghi di lavoro e nelle italiche case, vivono, infatti, sotto il ricatto costante della deportazione nei Cie e della conseguente espulsione, mentre le attuali leggi razziste – dissimulate sotto il nome di “pacchetto sicurezza” – garantiscono la legittimità e l’impunità della violenza di stato. Nelle tante iniziative, importanti e necessarie, che ieri si sono svolte in tutta Italia per dire no alla guerra e alle sue logiche – che, dietro la “lotta al terrorismo e al fondamentalismo” e ancora una volta in nome di “noi donne”, nascondono nuove forme di aggressione neocolonialiste –, il nostro presidio itinerante ha affermato con forza che le guerre non sono soltanto altrove ma anche qui, in Italia. Armate di microfono, cartelli in cui affermavamo “meno Cie = meno stupri”, slogan e interventi in più lingue, abbiamo ribadito ancora una volta la nostra volontà di non essere complici del razzismo istituzionale e la nostra attiva solidarietà con le donne migranti che si ribellano dentro e fuori dai Cie. Presto torneremo di nuovo in strada e sotto al Cie per continuare a rompere l’isolamento delle tante Joy ed Hellen che si ribellano ai ricatti sessuali e alle violenze da parte dei loro aguzzini nei Centri di identificazione ed espulsione e dare sostegno e solidarietà fattiva a tutte quelle donne migranti – come Kante, Salmata, Raya, Fatima, Vira e le tante che sono restate senza nome ... – che dentro e fuori i Cie subiscono le pesanti conseguenze di un razzismo istituzionale e diffuso sempre più violento. Sappiamo che in altre città gruppi di compagne si stanno muovendo nella stessa direzione e siamo sempre più convinte dell’urgenza di moltiplicare queste azioni in tutti i territori. Stiamo lavorando in ambito locale perché il prossimo 25 novembre – giornata mondiale contro la violenza sulle donne – diventi espressione visibile e determinata della rottura di ogni complicità con il sessismo razzista e con tutte quelle forme di suprematismo – anche “femminista” – che riducono l’altra, la “straniera”, al ruolo di vittima sottomessa senza mettere in discussione le nostre connivenze col razzismo e la violenza di stato. Invitiamo le compagne, femministe e lesbiche, a promuovere per il 25 novembre, nei luoghi e nelle città in cui viviamo, iniziative contro i Cie per abbattere il muro d’omertà e rendere pubbliche le violenze che avvengono fra quelle “quattro mura” concentrazionarie dietro la copertura della nostra “sicurezza”.

Noi non siamo complici!

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mercoledì 21 ottobre 2009

Avvistato burqa, Ufo postcoloniale?

Non seguo molto la questione ma sembra che gli avvistamenti di U.F.O (la sigla sta per Unidentified Flying Object, in italiano Oggetto volante non identificato) siano frequentissimi nel mondo, l'ultimo segnalato in Italia è avvenuto questa estate sulla spiaggia di Riccione (per le/gli appassionate/i c'è anche il video). Più rari sembrano invece gli avvistamenti di burqa made in Italy, nonostante gli allarmismi lanciati da Gelmini, Santanchè &Co per distogliere l'attenzione da questioni decisamente più preoccupanti (ma questa resta una nostra modestissima opinione). L'ultimo avvistamento di burqa c'è stato ieri a Pieve di Soligo, dove era già stato avvistato circa un mese fa. Niente video dell'inquietante apparizione, ma una foto (e articolo). In realtà non è un burqa ma un niqab, tipico velo della tradizione islamica più ortodossa, ma ovviamente parlare di niqab non avrebbe la stessa "potenza comunicativa" (e colonizzatrice): in fondo Bush andò a bombardare l'Afghanistan per liberare "le donne" dal burqa, no?

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(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Il burqa nel cervello ...
Il fondamentalismo del pelo superfluo
Burqa laptop
L'Islam fa male alle donne?
In memoria di Marwa al Sherbini, una donna che indossava la hijab
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venerdì 25 settembre 2009

Contro l'imposizione del silenzio


Siamo genitori, insegnanti, educatrici ed educatori, persone che credono nell'importanza di un'educazione contro la guerra ed abbiamo appreso con sconcerto e preoccupazione che il 21 settembre, giorno dei funerali di stato per i sei parà italiani morti nell'attentato del 17 settembre 2009 a Kabul, negli istituti scolastici (comprese le scuole materne ed elementari) è stata diramata una circolare (proveniente direttamente dal ministro Mariastella Gelmini), che invitava all'osservanza da parte degli istituti di tutta Italia di un minuto di silenzio alle ore 11.30, per sensibilizzare i più giovani sulla cosiddetta "missione di pace" del contingente italiano in Afghanistan. Riteniamo che l'imposizione di "un minuto di silenzio" (che pure è stato osservato in numerosi luoghi pubblici, sedi di associazioni e luoghi commerciali) rappresenti nelle scuole pubbliche un'inaccettabile ingerenza che viola le richieste e le aspettative di molti genitori rispetto alla formazione dei propri figli (in gran parte ancora bambini non in grado di sviluppare un proprio autonomo punto di vista su questioni fondamentali come la pace e la guerra) e calpesti violentemente la libertà e l'autonomia di insegnamento di chi nella propria pratica educativa e pedagogica ha messo in primo piano i valori della convivenza civile e il ripudio della guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti, sancito dalla Costituzione italiana. E' la prima volta che in Italia viene imposto un "minuto di silenzio" per dei militari morti ( e ci chiediamo perché non per i medici o i giornalisti morti sui fronti di guerra, armati solo di un bisturi o di un taccuino) e condividiamo i timori di chi, anche in questa imposizione, vede la ricostruzione di una scuola stile Ventennio (si veda Lettera di una mamma sul minuto di silenzio). Crediamo che sia sbagliato e ingannevole arrogare il rispetto e il dolore per delle morti all'acritica apologia di una missione che legittimamente disapproviamo. Siamo solidali con quanti hanno disertato la direttiva del Ministero, e in particolare con chi ha pubblicamente motivato questa scelta, come il corpo docente e dirigente delle scuole romane Iqbal Masih, Pietro Maffi e Marconi, celermente minacciato di sanzioni disciplinari (si veda No al minuto di silenzio nelle scuole).
Invitiamo a diffondere e firmare questo appello

Firmatarie/ri: Antonella Selva, Vincenza Perilli, Mohamed Rafia Boukhbiza, Rudy M. Leonelli, Giusi Sasdelli, Alberto Masala, Sandra Cassanelli, Leo Rambaldi, Daniela Spiga, Enrica Capussotti, Silvana Sonno, Daniela Danna, Lidiamaria Cirillo, Graziella Bertozzo, Flavia Branca, Gabriella Cappelletti, Sara Farris, Antonella Caranese, Marco Poggi, Maria Grazia Negrini, Stefania Biondi, Donatella Breveglieri, Alice Bruni, Marinella Zaniboni, Donatella Mungo, Norma Bertullacelli, Eugenio Lenardon, Rossella Cecchini, Claudio Cantù, Patrizia Ottone, Carla Govoni, Ilaria Turrini, Larissa Cioverchia, Irene Patuzzi, Alessandro Paesano, Marina Sammarchi, Mariangela Casalucci, Anna Acacci, Gaetano Apicella, Marco Trotta, Andrea Coveri, Marinella Gondoni, Lisa Prandstraller, Giovanna Garrone, Stefano Pezzoli, Grazia Bollin, Piero Cavina, Stefano Tampieri, Gerlando Argento, Andrea Martocchia, Vincenzo Zamboni, Massimiliano Garlini, Gabriele Spadacci, Cristina Tagliavini, Franco Sacchetti, ...

Per adesioni: nosilenzio chiocciola gmail.com
Adesioni in aggiornamento su Marginalia
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lunedì 21 settembre 2009

Auschwitz. Prima e oltre. Nuovi conflitti e percorsi altri tra esclusione, identità e differenza

Di seguito il call for papers per il convegno promosso dal Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell'Università degli Studi di Macerata, dall'Osservatorio di genere e dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea Mario Morbiducci, che si terranno a Macerata il 27, 28, e 29 Gennaio 2010. Quanti/e intendano partecipare ad uno dei workshop tematici sono invitati ad inviare, entro e non oltre il 30 settembre 2009, un abstract del proprio intervento (max 300 parole) a: csgeneremc@gmail.com (o via fax allo 0039 0733 258 2551). Saranno accettati soltanto gli abstract in lingua italiana e/o inglese che indicheranno: nome e cognome, indirizzo di posta elettronica, titolo dell’intervento e un breve curriculum vitae et studiorum (max 2000 battute, spazi inclusi). Ulteriori info: Dip. Scienze della Comunicazione: g.calamanti@unimc.it e/o Osservatorio di Genere: csgeneremc@gmail.com

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Attorno ad Auschwitz come evento paradigmatico del costruirsi e dello sfaldarsi di categorie tanto storiche quanto politiche si sono condensati studi eriflessioni che ne hanno indagato ampiamente origini ed effetti ben aldi là dell’orizzonte novecentesco. L’intento di queste giornate di studio è quello di proporre una rilettura di quelle circostanze (storiche, sociali, politiche, culturali, filosofiche) che, anche attraverso progressive dissipazioni del senso dei limiti, hanno avviato a regimi in cui tutto è apparso possibile. A questa analisi, che si propone di mettere a confronto discipline e approcci differenti, si vuole affiancare un tentativo di guardare alla contemporaneità, segnatamente ai nuovi conflitti che non di rado accompagnano forme di chiusura identitaria, alla luce di quelle modalità diesclusione/discriminazione che investono spesso le differenze tout court. L’intento di andare oltre Auschwitz, rivitalizzando un’idea di memoria non meramente conservativa ma che tenti di stabilire raccordi con l’oggi, induce a guardare a quelle forme di opposizione ai conflitti, dai movimenti pacifisti alla non violenza, che si sono raffinati nel corso del Novecento. All’interno di questa cornice di carattere più generale potranno essere affrontate in maniera più specifica le seguenti tematiche: Esclusione e discriminazione delle minoranze, violenza di genere: donna come soggetto e oggetto dei totalitarismi, pacifismo e movimenti per la pace, identità e politica: classe, etnia e genere, nuove forme di opposizione ai conflitti dopo Auschwitz e Hiroshima, conflitti nel mondo contemporaneo, biopolitica del campo.
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domenica 9 novembre 2008

Classer, dominer. Qui sont les "autres"? Un nuovo libro di Christine Delphy

Ho da qualche giorno ricevuto (merci ...) l'ultimo libro di Christine Delphy Classer, dominer. Qui sont les "autres"? appena pubblicato da La Fabrique Éditions. Al taglio più "teorico" (e che teoria!...) dei due volumi de L'ennemi principal (Éditions Syllepse, Economie politique du patriarcat e Penser le genre, usciti rispettivamente nel 1998 e 2001) fanno eco qui degli interventi di taglio più "militante" (e che militante!...). Da leggere (e riflettere), assolutamente.
Ricopio traducendo (ma velocemente e senza avere il tempo materiale di ricontrollare. Mi scuso) dalla quarta di copertina di Classer, dominer: "L'ideologia dominante ci ingiunge di tollerare l'Altro. In questo libro si parla di diversi Altri, gruppi oppressi e stigmatizzati: le donne, gli omosessuali, gli Arabi, i Neri ... I modi attraverso i quali questi gruppi sono oppressi hanno un punto in comune: lo statuto inferiore di questi gruppi viene spiegato attraverso la loro alterità. Se essi sono dove sono - in basso - è perchè sono differenti. L'ingiunzione umanista a tollerarli è emanata dagli Uni, coloro che hanno il potere di nominare, classificare, di collocare degli interi gruppi in una categoria ideologica e materiale, quella che ingloba tutti gli Altri. La rivolta degli Altri è considerata una minaccia contro quell'universale che gli Uni - gli uomini bianchi eterosessuali - pretendono di incarnare, fondando attraverso esso il loro potere: l'oppresso/a è tollerabile a una sola condizione: mostrarsi discreto/a. La parità, le lotte di femministe e omosessuali, Afghanistan, Guantanamo, legge sul velo, Indigeni in una società postcoloniale: altrettanti marchi della dominazione, che questo libro decripta andando contro le interpretazioni convenute".

Questo l'indice:

Les Uns derrière les autres
Pour l'égalité: action positive plutôt que parité
L'humanitarisme républicain contre les mouvements homo
Une guerre infinie?
Guantanamo et la destruction du droit
Une guerre pour les femmes afghanes?
Intervention contre une loi d'exclusion
Race, caste et genre en France
Un mouvement, quel mouvement?
Antisexisme ou antiracisme? Un faux dilemme
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