Visualizzazione post con etichetta pinkwashing. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta pinkwashing. Mostra tutti i post

giovedì 31 luglio 2014

Face à l'impunité israélienne : pour un féminisme décolonial

All'appello delle attiviste di Aswat, Take Action Against the Bombing of Gaza's Civilians, fa eco quello della rete francofona di ricercatrici/ricercatori in studi di genere/femministi Efigies , Face à l'impunité israélienne : pour un féminisme décolonial, che pubblico di seguito // Par le présent appel, l’association EFIGIES (association de jeunes chercheur-e-s en Études Féministes, Genre et Sexualités) fait acte de sa solidarité avec les Gazaoui-e-s assiégé-e-s, assassiné-e-s, et plus généralement avec les Palestiniennes et les Palestiniens dont l’assujettissement colonial perdure.À l’heure actuelle, l’islamophobie, le racisme, les représentations coloniales persistantes dévaluent les vies palestiniennes, criminalisent et déshumanisent les manifestant-e-s pro-palestiniennes. Étant donné notre engagement dans le champ académique en France, nous ne pouvons rester indifférent-e-s à l’implication de certains discours universitaires et féministes dans la production de l’islamophobie et du racisme, ou du moins leur désengagement au regard des réflexions postcoloniales. Ces représentations coloniales, qui imprègnent le soutien inconditionnel de la France à la politique de l’État israélien, doivent urgemment être déconstruites dans le cadre d’une épistémologie rigoureuse et non ethnocentrique, incluant les outils des études postcoloniales, notamment dans leur intrication aux formations genrées et aux catégories sexuelles. Le Pinkwashing et l’homonationalisme d’Israël commencent à être internationalement déconstruits et dénoncés. Mais en France, les féminismes hégémoniques, de par certains de leurs positionnements notamment face au port du voile et à la religion musulmane, entretiennent l’islamophobie et participent à la minimisation des crimes commis envers les Palestinien-ne-s. Alors que l’Université de Tel Aviv accorde aux étudiants qui servent dans l’attaque contre Gaza la gratuité des inscriptions pour un an, et qu’un avis diffusé à l’Université Hébraïque de Jérusalem annonce une collecte de produits pour les soldats au front, nous invitons les étudiant.e.s et chercheur.e.s en genre, féminisme et sexualité à participer personnellement au boycott académique d’Israël et à signer la pétition contre l’interdiction du soutien à la Palestine de l’association des Universitaires pour le Respect du Droit International en Palestine (AURDIP: http://www.aurdip.fr/Petition-contre-l-interdiction-du.html). Le site de l’AURDIP ayant été hacké, vous pouvez signer la pétition en suivant le lien suivant . Le colonialisme ne crée pas seulement de tels produits « symboliques », qui en retour l’étayent. Ses enjeux sont géopolitiques et économiques, et parce que nous ne distinguons pas notre engagement dans la recherche et nos positionnements pratiques, nous relayons également et vous invitons à diffuser l’appel de la campagne Boycott, Désinvestissement, Sanctions, réponse citoyenne et non-violente à l’impunité d’Israël (http://www.bdsfrance.org/). Pour signer l’appel: Pour un féminisme décolonial. En solidarité, Le bureau d’EFIGIES // Articoli correlati in Marginalia: Pinkwashing // Gaza. Dei vivi che passano // Over my dead body

martedì 25 giugno 2013

Pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione

Pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione. Le contraddizioni dei Pride è un testo pubblicato qualche giorno fa su Un altro genere di comunicazione, e che, a partire dal Pride palermitano, offre ulteriori spunti di riflessione sull'attualità di temi quali pinkwashing, omonazionalismo e normalizzazione. Prima di lasciarvi alla lettura vi segnaliamo, oltre ai materiali di approfondimento già segnalati in coda all'articolo di Un altro genere di comunicazione, l' intervento di Jamila Mascat  pubblicato qui (e violentemente contestato) in occasione della manifestazione organizzata a Parigi dall'Inter-lgbt il 27 gennaio scorso. Buona lettura e riflessioni!  // "Oggi è il giorno del Pride di Palermo, il Pride nazionale. Questo Pride e tutti gli altri che si sono svolti e si svolgeranno nelle diverse città italiane sono carichi di contraddizioni politiche. Contraddizioni tra le legittime richieste di diritti, tra cui matrimonio e adozioni, e la necessaria istituzionalizzazione attraverso la quale si dovrebbe passare per veder riconosciuti tali diritti. Contraddizioni tra la partecipazione della segretaria Boldrini e della Ministra delle Pari Opportunità e dello Sport Idem, il patrocinio di comuni e regioni, e pure degli Stati Uniti, e la necessità di non farsi inglobare in un processo di normalizzazione, che il riconoscimento e i diritti te li fa pagare cari. Molti collettivi e associazioni Gltbiq si sono dissociati o hanno previsto la presenza di spezzoni alternativi per la partecipazione ai Pride. È successo a Torino dove, un Pride fortemente incentrato sul tema della famiglia, è stato messo in discussione da diverse associazioni che hanno dato vita al Famolo-Pride proprio per la paura che, con il rapporto matrimoniale diventato norma, continuerebbero a essere escluse tutte quelle “marginalità” che non si riconoscono in quella istituzione. Che scenario per loro? I gay, le lesbiche, i/le trans single, i non monogami, coloro che non si vogliono sposare, quali diritti per loro? Il riconoscimento dei diritti non può passare solo attraverso il riconoscimento dell’istituzione matrimoniale. Appiattite le contraddizioni, fatte rientrare le “marginalità” nella norma, inglobate nel sistema di produzione e ri-produzione. Questo è il prezzo da pagare. Dentro se ti normalizzi, fuori se non ti sottoponi a questo processo di istituzionalizzazione della tua differenza che, inglobata nella massa, non sarà più tale. Il Palermo Pride, oltre a questa, vive anche un’altra contraddizione, alla prima comunque collegata. Il patrocinio degli Stati Uniti d’America ha portato molti collettivi e associazioni locali a declinare l’invito al Pride nazionale perché il patrocinio americano è stato avvertito, su un territorio che sta combattendo contro il Muos e altre devastazioni del territorio per scopi militari, come una delegittimazione delle lotte. Confindustria, Croce Rossa, Stati Uniti d’America finanziano il Pride per ripulirsi faccia e coscienza, in quell’operazione che prende il nome di pinkwashing. Il termine Pinkwashing è nato per definire il comportamento dello stato di Israele nei confronti delle comunità Gltbq. Tel Aviv capitale del turismo gay, spot e campagne genderfriendly, finanziamenti a festival gay/lesbo/queer internazionali, tutto questo per ripulirsi la faccia e nascondere sotto il lenzuolo gltbiq friendly i crimini di guerra nei confronti dei palestinesi. Palestinesi e mondo arabo che verranno fatti apparire come omofobi e incivili da un governo nazionalista che ha strumentalizzato le conquiste delle comunità gltbiq locali trasformandole in omonazionalismo razzista. Il termine pinkwashing si è poi allargato a comprendere tutte quelle operazioni che con una “spruzzata di rosa” intendono lavare via i propri “crimini” usando in maniera strumentale le rivendicazioni e le richieste dei soggetti gltbiq. A questo proposito lo spot del Palermo Pride mi sembra abbastanza evocativo. Riporto la parte conclusiva di questo articolo del collettivo Le Ribellule, perché questo post ne condivide gli scopi. Pur riconoscendo l’importanza e la necessità di manifestazioni come i gaypride è necessario far emergere e far conoscere tutte le contraddizioni. Abbiamo deciso di informare chi sta attraversando il Pride su quali sono i processi che si stanno verificando sui nostri corpi e di ripulire il Pride dal Pink Market che controlla i corpi e omologa i desideri e per spazzare via l’immagine gay-friendly che Confindustria, Ambasciata USA e anche la Croce Rossa utilizzano per distrarre dalle violazioni, violenze e i crimini che compiono" //Link per approfondire su pinkwashing e omonazionalismo: Pinkwashing: un incontro-dibattito, Omonazionalismo, Il pinkwashing del governo israeliano ai tempi dell'omonazionalismo,

mercoledì 13 marzo 2013

Femonazionalismo / Femonationalism


Nell' articolo che vi abbiamo segnalato ieri  - Comprendre l’instrumentalisation du féminisme à des fins racistes pour résister (Comprendere la strumentalizzazione del femminismo a fini razzisti per resistere) -, si citavano una serie di ricerche che negli ultimi anni hanno contribuito a decostruire / denunciare la strumentalizzazione dei movimenti femministi e lgbtq da parte dei governi occidentali a fini razzisti e xenofobi. In questo quadro, sulla scorta del termine homonationalism ( omonazionalismo), coniato da Jasbir K. Puar per definire le forme di sostegno e identificazione dei movimenti lgbtq agli interessi e alle retoriche nazionaliste, Sara R. Farris introduce il termine di femonationalism (femonazionalismo) per descrivere "l'alleanza contemporanea tra i discorsi delle femministe occidentali e i movimenti nazionalisti e xenofobi sotto la bandiera della guerra contro il velo e del patriarcato musulmano". Ed è proprio sul femonazionalismo che Sara R. Farris terrà venerdì 15 marzo un workshop all’Amsterdam Research Center for Gender and Sexuality , workshop di cui Sonia Sabelli, che ringraziamo per il gran lavoro che continua a fare (nel web e fuori dal web), traduce l'abstract. Buona lettura e riflessioni! // L'immagine di questo post la "rubiamo" al Circolo Maurice, che l'aveva adoperata lo scorso anno per lanciare una serie di incontri seminariali su omonazionalismo, pinkwashing, gay di destra e xenofobia

mercoledì 9 gennaio 2013

Atlantide non si affonda!

Un veloce tweet per invitare tutte/i a sostenere Atlantide, lo spazio che con le sue iniziative e le diverse soggettività che lo animano ha fatto tante volte capolino anche qui (ad esempio 1, 2, 3 ...). Potete firmare la petizione e, se stasera siete a Bologna, partecipare all' assemblea pubblica in difesa di Atlantide.

martedì 11 dicembre 2012

Homonationalism, Sex, and Disability: Pinkwashing and Biopolitics in the Middle East

Segnaliamo, da NextGenderation, questa conferenza di Jasbir Puar che si terrà il 17 gennaio 2013 al Dipartimento di Gender Studies della Queen's University, che in effetti - vista da qua - è quasi dall'altra parte del globo, ma in ogni caso ecco un abstract: // This presentation will survey recent debates on what has been termed pinkwashing: the use of gay rights by the Israeli government to deflect attention from its occupation of Palestine. Instead of reproducing a queer exceptionalism – homonationalism – that singles out homosexuality as a particular facet of state control, Jasbir Puar argues that the practice of pinkwashing should be situated within a broader biopolitics of state control that invests in a range of bodies and bodily habits. The focus will be specifically on the use of disability as part of a biopolitical assemblage of control that instrumentalizes a spectrum of capacities and debilities for the use of the Israeli occupation of Palestine //

mercoledì 7 novembre 2012

Pinkwashing / Un incontro-dibattito non solo per chi non ne ha mai sentito parlare

Si apre con una serie di domande quanto mai urgenti (Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa?) il documento di Smaschieramenti /Antagonismogay che invita tutt* ad un incontro-dibattito sul pinkwashing sabato prossimo, 10 novembre, alle ore 17.30 ad Atlantide (Piazza di Porta Santo Stefano 6 - Bologna). Condividiamo gli spunti di riflessione e l'urgenza di aprire un dibattito su questioni restate ancora troppo ai margini, ripubblicando anche qui il documento e auspicando non solo una larga partecipazione all'incontro ma che questo sia l'inizio di un percorso condiviso. Buona lettura e riflessioni // Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa? Con una precisa strategia di politica culturale, Israele si promuove come paese lgbtiq friendly per ripulire la propria immagine internazionale, macchiata da sessant’anni di occupazione militare dei territori palestinesi e da gravissime violazioni dei diritti umani contro le/i palestinesi. Come evitare che la nostra identità e le nostre lotte vengano strumentalizzate, in Israele come in Europa? Il finanziamento e il sostegno da parte dello stato di Israele ai festival lesbo-gay-trans-queer in Europa e in Nord America fa parte di una strategia di marketing globale lanciata su larga scala dai ministeri del turismo e dell’interno israeliani a partire dal 2005. (cfr. Sara Schulzmann in un editoriale apparso sul New Yok Times nel 2011). Solo nel 2010 lo stato di Israele ha investito 90 milioni di dollari per promuovere film filo israeliani nei maggiori festival queer internazionali e per realizzare campagne pubblicitarie destinate a coppie gay occidentali dai 18 ai 35 anni, con lo scopo di promuovere il 'brand Israel' e trasformare il paese in una meta del turismo gay internazionale. I movimenti queer transnazionalii hanno chiamato questa strategia pinkwashing (=lavarsi nel rosa), in analogia con il 'greenwashing', operazione di copertura attuata da aziende altamente inquinanti per ripulire la propria immagine attraverso una qualche azione ambientalista. Lo scopo dichiarato di queste politiche, infatti, non è tanto accaparrarsi una fetta del turismo LGBT, ma piuttosto 'ripulire' l’immagine dello stato israeliano. Magnificando la 'pulsante vita gay di Tel Aviv, degna delle grandi capitali occidentali', il governo cerca di dare un’immagine democratica del paese, con lo scopo di contrastare lo sdegno crescente dell’opinione pubblica internazionale per la sistematica violazione dei più elementari diritti umani de* palestines* da parte di questo stato. Da più di sessant’anni, infatti, Israele occupa illegittimamente i territori palestinesi e mette in atto una strategia di segregazione della popolazione e di distruzione sistematica dell’economia e della società palestinese attraverso il muro dell’apartheid, la vessazione quotidiana dei controlli e dei checkpoint, l’impoverimento, gli omicidi 'mirati', i bombardamenti di civili e le ripetute invasioni militari. Il pinkwashing strumentalizza le conquiste e le lotte del movimento lgbtiq israeliano e proietta sui palestinesi un’immagine di sessisti/omofobi/incivili, negando l’esistenza stessa de* queer palestines* e delle loro associazioni; in questo modo il governo di Israele cerca di indebolire il sostegno alla causa palestinese sia a livello internazionale che fra gli/le cittadin* israelian*. In realtà, il pinkwashing finisce per rappresentare tutto il mondo arabo come omofobo, antidemocratico, barbaro e incivile. Questa rappresentazione, nei paesi occidentali, è servita a costruire il consenso intono alla 'Guerra al terrore', agli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, e intorno a politiche razziste contro i/le migranti (il cosiddetto 'omonazionalismo'). Jasbir Puar, in Terrorist assemblage. Homonationalism in queer times (2007), mostra come avviene l’assemblaggio del nemico, che dopo l’11 settembre e lo scatenarsi della 'guerra al terrore' ha preso le sembianze dell’arabo / musulmano / terrorista. Puar sottolinea come le politiche di pinkwashing si siano globalizzate e come il caso israeliano sia diventato un modello per l’emergere dell’omonazionalismo in Occidente. La lotta all’omofobia e per i diritti lgbitq viene così strumentalizzata e cooptata nella guerra antislamica, nelle politiche militariste e imperialiste, e nel razzismo interno generato da questo clima. In un recente articolo, Puar ci fa vedere come il pinkwashing e l’omonazionalismo non siano sostenuti solo dagli stati o dagli apparati di stato, ma anche da gruppi indipendenti, aziende o dalle stesse associazioni lgbtqi occidentali. In Italia, un caso emblematico è stato, nel 2005, l’appello contro la repressione dell’omosessualità in Iran, che ha portato a un presidio a Roma in cui esponenti gay nazionali affermavano che Israele andava difesa come baluardo di democrazia contro la barbarie islamista. In Gran Bretagna Peter Tatchell, storico esponente del gruppo Outrage!, ha più volte promosso appelli per porre fine alla persecuzione dei queer palestinesi, senza alcun contatto con le numerose realtà lgbitq palestinesi. Nel saggio Gay Imperialism Tatchell viene duramente criticato in quanto bianco occidentale gay che parla per conto de* queer migranti o colonizzati, vittimizzandol* e impedendo loro di prendere parola se non in quanto vittime dell’omofobia delle loro comunità d’origine. In un appello contro il pinkwashing i gruppi lgbtiq palestinesi Aswat, Helem, Al Quds, Palestinian Queer for BDS denunciano che l’omofobia esiste nella società palestinese come in tutte le altre società, e che non accettano di essere usati per screditare le ragioni del popolo palestinese, sottolineando che assieme all’omofobia subiscono anche l’embargo, l’apartheid, la distruzione sistematica e quotidiana portati avanti dal governo israeliano con la complicità della comunità internazionale. L’omonazionalismo e il pinkwashing ci chiamano in causa. L’idea che la vivibilità lgbitq di un paese si misuri solo in base ai diritti di cui godono gli/le omosessuali nativi moralmente ed economicamente rispettabili, o in base al grado di sviluppo raggiunto dai circuiti commerciali in cui ci è concesso di spendere i nostri soldi apre la strada alle strumentalizzazioni di Israele così come di qualunque altro stato, soggetto o partito. Bisogna allora rifiutare una visione spoliticizzata e isolata dei diritti lgbtiq. Siamo lesbiche, gay, trans, itersex, queer, e siamo allo stesso tempo lavoratrici, precarie, disoccupate, migranti… I nostri bisogni e i nostri desideri non si riducono al poter sposare una persona dello stesso sesso o al poter ballare – portafogli permettendo – in una discoteca ma si articolano con le altre dimensioni della nostra vita, si intrecciano con le lotte contro il machismo, contro lo sfruttamento e la precarietà del reddito, contro il razzismo, l’imperialismo e ogni altra forma di oppressione"// Alcuni articoli e link utili: Pinkwatching Istrael // Madonna for palestinians // Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra // Politiche di pinkwashing e pratiche di resistenza// Sulla censura di Gay Imperialism e Out the Place //

sabato 1 settembre 2012

Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe

Per chi attualmente è londinese - o lo sarà intorno al 19 ottobre - segnalo questa interessante giornata di studi alla London South Bank University,Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe. L'iniziativa E qui la fine del post. Over the last few years, debates about nationalism and racism have received renewed critical attention within queer/sexuality studies. Just as the boundaries of ‘Europe’ are being redefined through economic and political integration, the protection of sexual citizenship rights is increasingly celebrated as a core ‘European’ value. However, this discourse has been deployed to produce new exclusions, in a context marked by the rise of defensive and inward-looking nationalisms, by the lingering ‘war on terror’, by increased mobilities within Europe and by initiatives aimed at limiting migration towards ‘Fortress Europe’. As the secular liberalism that inspired both feminism and gay liberation is increasingly becoming conflated with ‘Europeannes’ and ‘whiteness’, important questions are raised about the relationship between sexual citizenship and national belonging in different European contexts; about the ability of LGBTIQ and feminist movements to sustain meaningful solidarities across cultural and geographic boundaries; and about LGBTIQ and feminist communities’ ability to embrace difference along racial, ethnic and faith lines.

mercoledì 23 novembre 2011

Politiche di pinkwashing e strategie di resistenza

Facciamo Breccia pubblica la traduzione di un appello di Palestinian Queers for Boycott, Divestment & Sanctions, in cui si chiede all'IGLYO - uno dei principali network di associazioni GLBT internazionali - di non essere complice delle politiche di pinkwashing israeliane svolgendo - senza prendere in questo modo posizione - la propria assemblea generale, prevista per dicembre, a Tel Aviv. L'invito, sempre sottinteso quando si pubblicano appelli di questo tipo, è di far circolare il più largamente possibile.

Articoli correlati in Marginalia alla query Omonazionalismo

sabato 10 settembre 2011

Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra, xenofobia : un incontro al Circolo Maurice



Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra, xenofobia, sono le parole-chiave intorno alle quali si discuterà la settimana prossima al Circolo Maurice di Torino (al cui sito rinviamo per più dettagliate info sull'incontro),per tentare insieme di individuare nuove forme di agire politico e di contrasto all'avanzare,anche nelle comunità lgbtq, di culture e pratiche di destra.

Alcuni link / materiali utili alla discussione:

http://www.facciamobreccia.org/content/view/503/1/
http://nohomonationalism.blogspot.com/
http://marginaliavincenzaperilli.blogspot.com/search/label/omonazionalismo
http://www.infoaut.org/blog/femminismoagenders/item/1683-pinkwashing-assad
http://www.ondarossa.info/category/tags/omonazionalismo

lunedì 13 giugno 2011

Amina Abdallah ieri a Radio Blackout

Il titolo del post è volutamente spiazzante e provocatorio. Che l'attivista femminista queer di  A Gay Girl in Damascus possa aver partecipato ieri ad una trasmissione radio è ovviamente impossibile. Impossibile perché è stata rapita/sequestrata da tre uomini armati una settimana fa a Damasco. Anzi no, impossibile perché Amina Abdallah non esiste e il suo rapimento è una bufala, come da qualche giorno si vociferava in rete. Ancora meglio: impossibile perché dietro al blog A Gay Girl in Damascus c'è in effetti un certo Tom MacMaster (nome che se è vero sembra inventato), che scrive da Istanbul Turchia. Non sappiamo (e non ci interessa in questo specifico contesto), sapere qual'è la "verità". Come era già stato sottolineato da qualcuna e come è stato ribadito ieri pomeriggio nella trasmissione Interferenze di Radio Blackout, se questa è una  maniera inventata ad arte per portare attenzione (in "occidente") su certe questioni,  ben venga. Perché del resto, come si può leggere stamani in Apology to readers , se la voce narrante è una finzione, i fatti narrati sono veri.

martedì 7 giugno 2011

Chi ha interesse a far tacere Amina Abdallah?

Abbiamo appena appreso del rapimento/sequestro dell'attivista femminista queer Amina Abdallah, che dalle pagine del suo blog A Gay Girl in Damascus, aveva portato avanti da una parte una dura critica del regime di Assad e dall'altra del pinkwashing (e Pinkwashing Assad? è in titolo di un suo articolo da poco tradotto in italiano) ovvero la strumentalizzazione dei diritti glbtq e delle donne da parte delle “democrazie occidentali” per legittimare le proprie politiche imperialiste e neocoloniali. Rinviamo all'appello della cugina di Amina, Rania, tradotto a cura della redazione di Infoaut, sperando nell'avvio di tutte le possibili forme di mobilitazione. 

mercoledì 27 aprile 2011

Tra politiche dei diritti e pratiche omo-nazionaliste. Movimenti lgbtiq, supremazia occidentale e pratiche razziste

Nel ricordarvi che si avvicina la data ultima per l'invio di proposte per il convegno Fuori & Dentro la democrazie sessuali, pubblichiamo l'abstract dell'intervento Tra politiche dei diritti e pratiche omo-nazionaliste. Movimenti lgbtiq, supremazia occidentale e pratiche razziste, presentato nel panel Dai margini al centro. Femminismo, teoria queer e critica postcoloniale, al recente convegno internazionale Www.world wide woman. In coda all'abstract (già pubblicato, insieme ad altri, nel Libro degli abstract del Cirdse), trovate una serie di documenti, via via pubblicati negli ultimi anni in Marginalia, che crediamo utili per una riflessione sull'argomento. Buona lettura. "Il recente rifiuto (giugno 2010) di Judith Butler di non accettare il Zivilcourage Prize assegnatole dagli organizzatori del Pride di Berlino – la filosofa ha esplicitamente dichiarato che intendeva così “prendere le distanze dalla complicità con il razzismo, compreso il razzismo islamofobico”- ha reso noto ad un pubblico più vasto un tema fondamentale per i movimenti omosessuali e queer contemporanei: quello del razzismo. Non è una problematica nuova per i militanti dei movimenti queer antirazzisti; in Inghilterra, in Olanda, in Germania, in Francia gli attivisti hanno in più occasioni denunciato la sovrapposizione tra discorsi e politiche del movimento omossessuale ufficiale e discorsi e politiche volte ad affermare la supremazia di una presunta cultura occidentale uniformata nel segno del liberalismo e dei diritti ‘anche’ degli omosessuali. Nel passaggio al nuovo millennio, non più solo i ‘diritti delle donne’ sono diventati armi nella presunta guerra tra civiltà (caso esemplare è quello della guerra in Afganistan) ma anche i diritti di gay e lesbiche. E nel contesto europeo contemporaneo, l’omonazionalismo e il razzismo hanno un nemico ben preciso: quei migranti, soprattutto di religione islamica, che sarebbero naturali portatori di un atteggiamento omofobico e transfobico. Per quanto il contesto italiano sia segnato da importanti differenze rispetto al nord Europa, pratiche omonazionalistiche si sono riconfigurate nella specificità italiana. Il conflitto in occasione dell’organizzazione del Pride italiano 2010 tra gruppi diversi della galassia lgbtiq può essere letta alla luce di questa chiave interpretativa: la rottura è infatti avvenuta intorno a nodi fondamentali del linguaggio e delle pratiche politiche (trasversalità, politicizzazione, identità, diritti, sicurezza). L’opposizione all’omonazionalismo costituisce inoltre un incontro inedito tra culture e politiche centrali per i movimenti di genere contemporanei: quella queer e quella postcoloniale. Gli attivisti queer e migranti, i ‘queer of colour’ antirazzisti e i loro alleati stanno elaborando una visione radicalmente alternativa dell’agenda politica dei movimenti gay e lesbici ufficiali, proponendo, sul piano del dibattito e delle politiche, intrecci inediti tra identificazioni, teorie e pratiche.In concreto, la comunicazione intende presentare la nascita e lo sviluppo del dibattito sull’omonazionalismo in alcuni paesi europei; nel fare ciò, si confronterà con le principali teorizzazioni della critica queer e postcoloniale nel contesto del movimento lgbtiq in Europa, valutando il peso dei processi migratori e delle politiche anti-immigrazione nei contesti descritti. In seguito, la comunicazione intende esplorare le ricadute, in termini di continuità e differenze, dell’omonazionalismo e della sua opposizione nel contesto politico e teorico italiano.

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Racialization, Neoliberalism and Queer Public Spheres
Fuori e dentro le democrazie sessuali / In and Out of Sexual Democracies
Repertori della sessualità e politiche razziste
Judith Butler: prendere le distanze dalla complicità con il razzismo
Sulla censura di Gay Imperialism e Out of Place
Queer arabi contro le strumentalizzazioni
Concia e L'altro
Genere e processi di razzializzazione nelle democrazie occidentali

mercoledì 13 aprile 2011

Racialization, Neoliberalism and Queer Public Spheres

Per chi è da quelle parti (San Diego, California) segnaliamo un interessante convegno organizzato dal Transnational Queer and Transgender Studies Working Group. Tra i/le relatori/trici Jasbir Puar, Paul Amar, Paola Bacchetta, Chandan Reddy, Jin Haritaworn e Eng-beng Lim. Per info più dettagliate rinviamo al sito del B.A.N.G Lab (tra l'altro ricco di tante altre utilissime informazioni per chi si occupa di queste tematiche. Buona esplorazione).

martedì 29 marzo 2011

In and Out of Sexual Democracies / Fuori e dentro le democrazie sessuali

Il 28 e 29 maggio prossimi, si terrà a Roma il convegno Fuori e dentro le democrazie sessuali, convegno promosso da Facciamo Breccia in collaborazione con Orgogliosamente Lgbtiq. Il convegno intende dare voce alle politiche femministe e Lgbtiq che si confrontano criticamente con il tentativo neoliberista di assimilare le istanze relative a genere e sessualità in chiave razzista e neocolonialista / The conference aims at giving voice to those feminist and Lgbtiq politics that deal critically with neo-liberalist attempts to assimilate the issues of gender and sexuality for racist, nationalist and neo-colonialist purposes. Rinviamo al sito di Facciamo Breccia per il testo integrale di presentazione e il call for paper del convegno, le diverse sezioni e tutte le info utili per partecipare.

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Femminismi: un convegno internazionale a Torino
Repertori della sessualità e politiche razziste
Judith Butler: prendere le distanze dalla complicità con il razzismo
Sulla censura di Gay Imperialism e Out of Place
Queer arabi contro le strumentalizzazioni
Concia e L'altro
Genere e processi di razzializzazione nelle democrazie occidentali

lunedì 23 agosto 2010

Angela Davis sul "rifiuto" di Judith Butler

Un intervento di Angela Davis a proposito del rifiuto di Judith Butler del Zivilcourage Prize (il premio al "coraggio civile" che le era stato assegnato in giugno dal pride di Berlino), rifiuto motivato da Butler dalla necessità "di prendere le distanze dalla complicità con il razzismo". Davis parte da questo episodio per sottolineare la necessità, nella lotta teorica/politica, di un approccio di tipo intersezionale dei diversi sistemi di dominio (classe, "sesso", "razza") ... Trovate il video di questo intervento (con relativa traduzione in italiano) nel sito de Ilmegafonoquotidiano. Buona visione/lettura

sabato 10 luglio 2010

Queer arabi contro le strumentalizzazioni

Say no to pinkwashing at the Ussf! è un interessante documento di alcune organizzazioni queer arabe nel quale - ribadendo la necessaria interconnessione delle lotte queer con le lotte di altri soggetti e popoli oppressi - si denuncia la strumentalizzazione del discorso sui diritti Lgbtq in chiave anti palestinese/araba da parte di gruppi come Stand With Us. Nel sito Globalestrovate l'articolo originale e la sua traduzione. Da condividere.

(Alcuni) articoli correlati in Marginalia:

Judith Butler: prendere le distanze dalla complicità con il razzismo
Reportori della sessualità e politiche razziste
Sulla censura di Gay Imperialism e Out of Place
Gay Imperialism: a proposito della censura di Out of place
Anna Paola Concia è conciata male

venerdì 30 ottobre 2009

Sulla censura di Gay Imperialism e Out of Place

Come già preannunciato ecco finalmente la traduzione di On the censorship of 'Gay Imperialism' and Out of place, presa di posizione di X:talk sulla censura che si è abbattuta sul volume Out of Place, ed in particolare sull'articolo Gay Imperialism e sui suoi autori , presa di posizione che avevo già pubblicato nella versione inglese e che ora potete leggere in italiano grazie al lavoro di un altro gruppo di mitiche&infaticabili traduttrici militanti, (la traduzione è un'arma). Questa volta il thanks! va tutto alle traduttrici italianofone del progetto X.talk .E' veramente urgente far circolare questa ed altre prese di posizione, per esprimere il nostro fermo rifiuto della censura che ha colpito Out the Place: potete "solidarizzare" facendo girare questa traduzione, leggendo e diffondendo l'articolo Gay Imperialism (che potete scaricare in pdf QUI) e scrivendo a Jin Haritaworn (The Gender Institute, The London School of Economics and Political Science, Houghton Street, London WC2A 2AE, UK). E' importante anche aprire (o ri-aprire magari a partire da episodi recenti e meno recenti) una seria riflessione non solo sulla presenza, in discorsi e pratiche che si vorrebbero antisessiste e antirazziste, di elementi di sessismo e razzismo (nelle loro varie e molteplici forme) ma anche sulla modalità - non degna di un dibattito politico - di rispondere alle critiche muovendo accuse di "personalismi". Disgraziatamente conosco benissimo questo meccanismo (visto che ne sono stata vittima in diverse occasioni per aver criticato discorsi e pratiche provenienti da ambiti di "movimento": femministi, antifascisti, antisessisti e/o antirazzisti), ne conosco i nefasti effetti e "il prezzo da pagare". Tutta la mia solidarietà (politica, umana, personale) a Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir and Esra Erdem e, ovviamente, buona lettura (e riflessioni) a tutti/e.
___________________

Abbiamo recentemente assistito all'ennesimo tentativo di mettere a tacere le voci che denunciavano politiche paternalistiche e neo-imperialiste battendosi contro posizioni islamofobiche e di attivismo omonazionalista. Il 7 settembre il libro Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality (2008), a cura di Adi Kunstman e Esperanza Miyake, è stato dichiarato fuori stampa dal suo editore Raw Nerve. Il testo, primo volume accademico che si interroga sulla connessione tra queer e etnicità in Gran Bretagna, contiene un importante articolo - scritto da Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir and Esra Erdem - , dal titolo "Imperialismo gay: discorso su genere e sessualità nella guerra del terrore", che spiega come discorsi sui diritti gay vengano strumentalmente utilizzati per giustificare politiche neo-imperialiste, "anti-migranti" e islamofobiche. Gli autori appartenenti ad etnie diverse da quella bianca, islamici queer e femministe migranti, partendo da posizioni Trans/queer, sottolineano come l'equazione di "Islam" con "omofobia" (tanto quanto sessista) ha contribuito al restringimento dei margini, alla ri-costruzione dell'occidente come campione di civilizzazione e modernità e alla vittimizzazione di queer islamici. In Germania, ai/alle migranti provenienti da "paesi islamici" che chiedono la nazionalità, viene richiesto di passare un "Test islamico", nel quale vengono poste domande del tipo: “Cosa faresti se tuo figlio fosse gay?” In Olanda, viene chiesto ai/alle richiedenti di reagire ad un video che mostra due uomini che si baciano. Prendendo spunto da Chandra Talpade Mohanty (1991) e Jasbir Puar (2007) l'articolo mostra la non casualità dell'attenzione puntata sui regimi non occidentali e sulla questione di genere e sessualità all'interno della comunità islamica, da cui deriva - allo stesso tempo, come nel caso della "Guerra del terrore" – l'aumento delle restrizioni delle politiche migratorie e, più in generale, l'accrescimento dell'islamofobia. Gli autori mettono in rilievo come i diritti gay e l'uguaglianza di genere, anche se sono stati raggiunti molto recentemente e non in modo esaustivo, sono divenuti nei paesi occidentali simbolo di civilizzazione e modernità. Pur se l'importanza (anche se limitata) di questi diritti e dell'uguaglianza non è messa in discussione, gli autori mettono in guardia dalla politica emancipatoria di matrice bianca e occidentale che si richiama all'universalità appropriandosi di donne e queer non bianch* e islamici non-occidentali e servendosi di discorsi razzisti e neo-imperialistici. Sembra piuttosto ovvio tracciare una linea parallela con le femministe abolizioniste occidentali che nutrono le leggi sulla sicurezza - criminalizzando migranti, lavoratori e sex worker - alimentando politiche di deportazione e marginalizzazione in nome della lotta contro la violenza di genere. Queste stesse società, che discriminano e negano le persone islamiche, criminalizzano sempre più i/le sex worker utilizzando l'idea dell'omofobia e della violenza di genere come strumenti per deportare e detenere migranti, sex worker e “people of colour”. Ci sono molti paralleli tra i discorsi abolizionisti e quelli islamofobici: la tendenza per la maggior parte dei bianchi e delle bianche occidentali di gruppi queer e di gruppi sui diritti gay, è quella di parlare per loro stess*, di salvare se stess*, ignorando e rafforzando una multipla oppressione, invece di lavorare con organizzazioni islamiche o non bianche e non occidentali (o anche semplicemente ascoltando che cosa questi gruppi abbiano da dire). Allo stesso modo, le femministe abolizioniste occidentali non ascoltano le voci dei e delle migranti sex worker, e così facendo li relegano in uno stato di vittime che necessitano per salvarsi della politica femminista occidentale o, anche, della polizia di frontiera che li assisterà nel ritorno a casa. Le/i Sex worker migranti sono paragonate/i con le vittime di tratta, viste solo come donne passive e ingenue, prive - contrariamente alla realtà -, di un vero e proprio progetto migratorio. L'articolo Gay Imperialism porta avanti proprio questa critica e traccia un' acuta analisi, fornendo bibliografia e riferimenti ai testi criticati. Gli autori, purtroppo, hanno fatto l'errore di citare, senza nasconderli dietro nomi inventati o in codice, esempi di politiche bianche sui diritti queer/gay che riproducono un approccio islamofobico e paternalistico nei confronti di persone queer islamiche - incluso Peter Tatchell in Gran Bretagna. Come risposta, l'editore Raw Nerve ha pubblicato scuse formali a Peter Tatchell, scuse che possono essere lette sul sito http://www.rawnervebooks.co.uk/Peter_Tatchell.pdf e ha ritirato l’intero libro dalla vendita. Le scuse ritengono l'articolo una falsa accusa di razzismo e islamofobia nei confronti di Peter Tatchell ed elencano una lunga serie di presunte falsità contenute nel testo, citate fuori dal contesto e erroneamente rappresentate come accuse a titolo personale. Proprio per questo, gli autori sottolineano ironicamente la difficoltà di avere una voce critica contro Peter Tatchell. L'intransigente censura è in forte contrasto con la radicale difesa della libertà di cui si fa promotore Tatchell. Questa sua intransigente difesa della libertà lo ha portato a partecipare nel 2006 alla Marcia Free Expression, a cui hanno aderito vari gruppi fascisti e razzisti. Ancora una volta, voci marginalizzate sono state minacciate e messe a tacere, ma questa volta, tale silenzio è stato deciso da chi si professa campione e promotore della libertà. Le campagne di Peter Tatchell sono esplicative dei limiti del modo post-politico dell' attivismo da celebrità, dove i bisogni di molti sono sacrificati per dare celebrità e potere a pochi. Questa sua tendenza all'autocelebrazione si riflette nel fatto di aver denominato con il suo stesso nome la fondazione di cui è a capo (come la Peter Tatchell Human Right Fund). "Peter Tatchell", molto più che OutRage!, è uno dei nomi più citati nelle rappresentazioni dei media occidentali riguardo l'attivismo sui diritti gay. Le scuse di Raw Nerve trasformano in personalismi questioni che sono invece politiche facendo sì che la giusta e documentata critica portata avanti da Haritaworn, Tauqir e Erdem , e la successiva censura e ritiro del libro, sia vista come un problema personale fra gli autori e Peter Tatchell. Questo tuttavia elude il punto principale. Nessuno ha qualcosa di personale contro Peter Tatchell. Nessuno, inoltre, contesta che lui si consideri sinceramente antirazzista, antimperialista o anti-islamofobico. Comunque, fa parte del lavoro di alleanze assumersi la responsabilità di affermazioni o azioni che riproducono strutture oppressive. Fa parte dell'essere una persona pubblica l'apertura alla critica piuttosto che il volerla azzittire con la forza. Purtroppo, questa non è la prima volta che queer non bianch* e queer non occidentali hanno criticato Peter Tatchell e sono stati puniti per averlo fatto. Le campagne in Africa di Tatchell e Outrage! sono state fortemente criticate per non aver ascoltato gli/le attivist* LGBT africani che dichiaravano quanto le loro azioni fossero infatti dannose. In una lettera aperta citata dagli autori di Gay Imperialism, alcun* attivist* hanno descritto come Tatchell e Outrage! abbiano ripetutamente non rispettato vissuti, danneggiando le lotte e mettendone a repentaglio la sicurezza, di chi lotta per la difesa dei diritti umani africani (fonte: http://mrzine.monthlyreview.org/increse310107.html). Questo modo di agire viene definito neo-colonialismo, interpretazione che noi condividiamo. Questa dichiarazione, che si può ancora fortunatamente trovare nella rete, è stata anch'essa vittima di una risposta punitiva, risposta punitiva che è reiterata, nei confronti degli autori di Gay Imperialism dalle "scuse" di Raw Nerve. Condanniamo questo tentativo di reprimere le voci di queer of colour e di queer non occidentali ed esprimiamo il nostro supporto sia a chi difende i diritti umani dei queer africani, sia agli autori di Gay Imperialism che resistono alle dichiarazioni e alle azioni razziste e imperialiste fatte in nome delle politiche bianche e occidentali sui diritti della comunità LGBTQ. È senza dubbio all'interno della logica neo-imperialista che un uomo gay bianco e occidentale può ottenere il ruolo di colui che salva queer non-occidentali e islamici vittimizzati, e al contempo rafforzare i discorsi islamofobici che costruiscono un occidente moralmente superiore. Ed è ancora all'interno della logica neo-imperialista che si possono vedere le femministe bianche abolizioniste unire le forze con lo Stato che si fa portatore di un razzismo istituzionale in nome dei diritti delle donne. Come sappiamo dal nostro lavoro, per i/le sex worker migranti questo spesso significa il diritto di essere salvato e deportato, non il diritto di decidere sul proprio lavoro e sulle proprie vite. X:talk è nato dalla necessità di far sentire le voci marginalizzate, opponendole ai discorsi paternalisti e criminalizzanti che ci negano il diritto di parlare per noi stess*. Perciò condanniamo la censura di Out of Place come atto di forza che conferma la validità e la necessità politica di quell'articolo. La censura di Gay Imperialism e della raccolta Out of Place conduce verso una nuova preoccupante direzione. Molti di noi possono aver pensato che fosse stato raggiunto un certo grado di libertà di espressione per le voci marginalizzate. Invece è stato ribadito che vi è un prezzo da pagare quando si fa apertamente e seriamente critica antirazzista e, soprattutto, è stato ribadito chi è a pagare. Abbiamo perso un importante documento e la possibilità di formare un' opinione autonoma e non vincolata dai discorsi dominanti. Abbiamo la speranza che questa censura abbia l'effetto opposto: quello di intensificare e di far sentire ancora più forte le nostre voci; di potenziare nuove alleanze attraverso l'attivismo e i movimenti accademici, per combattere le oppressioni in tutte le sue facce – incluso il mantello con cui si veste il movimento femminista e il movimento dei diritti gay.

.


sabato 17 ottobre 2009

Gay Imperialism: a proposito della censura di Out of Place al tempo della guerra al terrore

Di Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality, aveva già parlato Barbara De Vivo nel suo Relazioni Pericolose. Movimenti femministi e Lgbtiq al tempo delle guerra al terrore, pubblicato nell'ultimo numero di ControStorie, numero che contiene anche la traduzione di un articolo di Jinan Coulter, sull'"imperialismo" (e razzismo) presente anche in una parte dei movimenti femministi e lgbtiq. L'articolo che segue, pubblicato originariamente nel sito x:talk e girato sulla lista del network femminista transnazionale NextGENDERation, fa il punto sulla pesante censura che ha investito Out of Place, libro collettivo di una "straordinaria potenza politica", come giustamente scrive Barbara De Vivo, perché riesce - nello stesso tempo - a mettere in crisi la politica dell'identità, assumere come elemento necessario la questione dell'intersezionalità delle diverse forme di oppressione, e infine condannare senza appello le politiche razziste postcoloniali, securitarie e islamofobe. In particolare uno degli articoli contenuti nel volume - Gay Imperialism: Gender and Sexuality Discourse in the 'War on Terror ' di Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir e Esra Erdem - , analizza impietosamente ma rigorosamente, l'uso del discorso sui diritti dei/delle omosessuali per giustificare politiche neoimperialiste, anti-migranti e islamofobe. Vi lascio quindi alla lettura dell'interessante documento di x: talk, per intanto nella versione originale inglese, sperando che si attivi presto un altro gruppo di infaticabili traduttrici militanti ...

______________________

We have recently witnessed the umpteenth attempt to silence voices that denounce paternalistic, neo-imperialist politics and argue against Islamophobic positions and homonationalist activism. On 7th September 2009, the book Out of Place: Interrogating Silences in Queerness/Raciality (2008) edited by Adi Kunstman & Esperanza Miyake, was declared out of print by its publisher, Raw Nerve. The collection, which was the first academic volume on queerness and raciality in Britain, contained an important article which exposed the use of gay rights discourse as an instrument to justify neo-imperialist, anti-migrant and Islamophobic policies, namely ‘Gay Imperialism: Gender and Sexuality Discourse in the “War on Terror”‘ by Jin Haritaworn, Tamsila Tauqir and Esra Erdem. In ‘Gay Imperialism’ the authors - themselves academics and activists writing from different trans/queer of colour, queer Muslim and migrant feminist positions - pointed out how the equation of ‘Muslim’ with ‘homophobic’ (as well as sexist) has contributed to the tightening of borders, there construction of the West as the champion of civilisation and modernity, and the victimisation and patronising of Muslim queers. In Germany, migrants from ‘Muslim countries’ applying for nationality are required to pass a discriminatory ‘Muslim Test’ which asks questions such as: What would you do if your son was gay? In the Netherlands, applicants are asked to react to a video showing two men kissing. Drawing on the work of Chandra Talpade Mohanty (1991) and of Jasbir Puar (2007) the article shows how it is not incidental that the attention drawn to non-Western and Muslim gender and sexual regimes comes at the same time as the ‘War on Terror’, the increase in restrictive migration policies and the general upsurge in Islamophobia. The authors point out how, ‘gay rights’ and gender equality, even though they were achieved very recently and not at all exhaustively, have become symbols of the civilisation and modernity of Western countries. While the importance of these (even if limited) rights and equality is not disputed, the authors warn against a white Western single-issue emancipatory politics that claims universality and patronises non-white non-Western Muslim women and queers, while serving neo-imperialistic, racist discourses. It seems rather obvious to draw a parallel with how Western feminist abolitionists feed into security laws that criminalise migrant sex workers and effectively lead to deportation and further marginalisation in the name of combating gender violence. The same societies that demonise and discriminate against Muslims are increasingly criminalising sex workers, using ideas about both homophobia and gender violence as their tools to deport and detain migrants, sex workers and people of colour. There are further parallels between the abolitionist and the Islamophobic discourse: Instead of working with Muslim or non-white non-Western queer organisations (or even simply listening to what they are saying), the tendency for majority white, western gay rights and queer groups is to talk for them, to “save them”- ignoring and re-enforcing the multiple oppressions at stake. Likewise, Western abolitionist feminists do not listen to migrant sex workers’ voices, and by so doing they relegate them to the duped status of victims that need rescuing by the enlightened and modern Western feminist, or, even, by the border police that will ‘assist them home’. Migrant sex workers are equated with trafficked victims and trafficked victims with passive, naive women with no agency or no migratory project of their own. The ‘Gay Imperialism’ article made just such an informed, valuable critique. It drew on acute textual analysis and provided thorough references and links to the texts critiqued. Yet the authors made the “mistake” of naming examples of white queer/gay rights politics that re-produced Islamophobia and patronised queer Muslims, one of which included the gay rights activist Peter Tatchell in the UK. In response to this, the publisher Raw Nerve has issued an apology to PeterTatchell on its web-site and declared the whole book out of print. The apology deems the article as falsely accusing Peter Tatchell of being Islamophobic and racist and enlists a long series of ‘untruths’ contained in it, which are quoted out of context and misrepresented as personal accusations. Ironically, the authors had warned about the difficulty of raising a critical voice against Peter Tatchell. The censorship stands in stark contrast to the radical defence of freedom of speech which Tatchell has made a name for himself. In 2006, this went as far as leading him to participate in the March for Free Expression, which was also attended by various racist and fascist groups. Once again, marginalised voices are being threatened and silenced, but this time, this silencing is instituted by the very champions of free speech themselves. Peter Tatchell’s political campaigns are illustrative of a post-political trend towards celebrity activism where the needs of the many are sacrificed to the empowerment of the few. This is reflected in his tendency to name his campaigns after himself (as in, the Peter Tatchell Human Right Fund). ‘Peter Tatchell’, even more than OutRage!, is one of the most quoted names in Western media representations of gay rights activism. The Raw Nerv apology repeats this personalisation of activism by making Haritaworn’s, Tauqir’s and Erdem’s critique and its subsequent suppression look like a personal problem between the authors and Peter Tatchell. This nevertheless misses the point. No-one has anything personal
against Peter Tatchell. No-one, further, disputes that he genuinely thinks of himself as anti-racist, anti-imperialist or anti-Islamophobic. However, part of doing allied work is being accountable when one’s statements or actions reproduce oppressive structures. Part of being a public person, further, is being open to public critique, rather than shutting it down with force. Sadly, this is not the first time that queers of colour and queers from the Global South have critiqued Peter Tatchell and been punished for it. Tatchell’s and Outrage!’s campaigning in Africa has been strongly criticised for not having listened to African LGBTI activists’ repeated warnings that their actions were in fact harmful. In an open letter quoted by the authors of ‘Gay Imperialism’, activists described how Tatchell and Outrage! had “repeatedly disrespected the lives, damaged the struggle, and endangered the safety of African Human Rights Defenders”. They identify this as neo-colonialism, which is an interpretation we share. While this statement is thankfully still to be found on the net, it has been met with a similarly punitive response, which the Raw Nerve ‘apology’ repeats. We condemn this attempt to quell the voices of queers of colour and queers from the Global South, and express our support to both the African Human Rights defenders and the ‘Gay Imperialism’ authors for resisting racist and imperialist statements and actions made in the name of a white Western ‘gay rights’ agenda. It is undoubtably within a neo-imperialist logic that a white Western Gay man can obtain the role of the saviour of victimised Muslim and non-Western queers, while re-enforcing Islamophobic discourses that construct the West as morally superior. And it is also within aneo-imperialistic logic that one sees white Western feminist abolitionists joining forces with anti-migrant state institutions in the name of women’s rights. As we know from our work, for migrant sex workers this often means the ‘right’ to be ’saved’ and deported, not the right to decide upon one’s work and lives. X:talk was born out the necessity for marginalised voices to be heard, against paternalising and criminalising discourses that deny us the right to speak for ourselves. We therefore condemn the censorship of ‘Out of Place’ as an act of force, that if anything confirms the article’s political validity and necessity. The censorship of ‘Gay Imperialism’ and the Out of Place collection points us in a worrying new direction. Many of us may had thought that a degree of freedom of expression for marginalised voices had been reached. Yet here we go - it has become clearer than ever what the price of anti-racist critique is, and who is paying it. An important document has been lost to us, and those who would like to form their own opinion on the matter can’t. Let us hope that the censorship will have the opposite effect, and lead us to raise our voices even louder. Let us hope that it will provide the impetus for new alliances across activist and academic movements, that join to fight oppression in all its faces, including the ones that wear the cloaks of feminism and gay rights.
.