Ripubblico da il Manifesto di qualche giorno fa la recensione di Liliana Ellena - dal titolo L'invenzione del colore - , al volume di Gaia Giuliani e Cristina Lombardi-Diop, Bianco e nero. Storia dell'identità razziale degli italiani, buona lettura // Un gusto non troppo soffuso di melanconia postcoloniale pervade gli strascichi lasciati dalle celebr-azioni dei 150 anni dell’unità nazionale: l’idea secondo cui la «nostra» cultura nazionale, a differenzadi altri paesi, sarebbe stata «fino al recente arrivo di immigrati» straordinariamente omogenea perquanto riguarda il colore della pelle, la religione e pure la lingua. Un paradigma identitario chemostra come, nonostante la specifica ossessione del dibattito italiano per l’identità nazionale, restinoradicate e persistenti le resistenze a considerarne le relazioni con il razzismo. Appare quindi una sfida e una scommessa, fin dal titolo, il volume di Gaia Giuliani e CristinaLombardi-Diop Bianco e Nero. Storia dell’identità razziale degli italiani
(Le Monnier, pp. 214, euro 18). L’obiettivo esplicito è quello di rilanciare gli esiti più interessanti degli studi che hanno esplorato il nesso costitutivo tra appartenenza nazionale e immagini dell’alterità, per mettere a fuoco le forme di «autorazializzazione» che hanno modellato tanto la dimensione statuale dell’identità nazionale quanto le rappresentazioni diffuse di quella italiana, dal periodo unitario fino ai primi decenni repubblicani. In particolare, il volume individua continuità e rotture dello specifico caso italiano nelle fluttuazioni che si sono materializzate attorno alla linea del colore. Con gli occhi ben puntati sull’eclatante visibilità di cui sono investiti i corpi non-bianchi nei conflitti del presente, le due studiose si chiedono quali siano le genealogie storiche e politiche della norma, invisibile perché naturalizzata, che fa coincidere bianchezza e italianità e dei vocabolari attraverso cui si è articolata e continua ad articolarsi.Nel corposo saggio che apre il volume, Gaia Giuliani individua nel periodo che va dalla nascita dello stato liberale al 1936–37 un passaggio cruciale per comprendere come i confini della cittadinanza emergano da una definizione dell’appartenenza alla nazione per contrasto con spazi non-bianchi, identificati prima con il Sud interno e poi con le colonie. Le tensioni proprie dello stato liberale trarigenerazione nazionale e questione meridionale, da una parte, e tra migrazioni e colonialismodall’altra, diventano gli ingredienti di un processo di «sbiancamento» che culmina nell’idea fascistadi una mediterraneità bianca.Giuliani insiste qui, in particolare, sul ruolo giocato dalla riformulazione delle teorie mediterranistedi fine ottocento, nel fornire un fondamento «scientifico» all’idea totalitaria della nazione prop-ugnata dal fascismo. Nell’immediato dopoguerra è proprio la centralità di questa matrice a veicolarecontemporaneamente la veloce liquidazione della svolta arianista successiva al 1937e l’invisibilizzazione del razzismo, secondo la ferrea logica per cui l’italiano mediterraneo «non puòper sua natura essere razzista: partecipa della mediterraneità di molti altri popoli e territori, e allostesso tempo definisce gli italiani, a prescindere dalla pigmentazione della loro pelle, come più bian-chi di tutti gli altri paesi al limite dell’Europa o non europei».Nella seconda parte del volume Cristina Lombardi-Diop, sposta l’attenzione sul passaggio tra fasci-smo e primi decenni dell’Italia repubblicana, individuando nei saperi e nelle pratiche legateall’igiene e alla cura del corpo, un terreno di convergenza tra rappresentazioni delle bianchezzae processi di modernizzazione. L’accesso ai consumi e il diffondersi dell’industria culturale declinasul terreno depoliticizzato della sfera domestica, del corpo, delle pratiche quotidiane quel processodi sbiancamento degli italiani che aveva ispirato le campagne fasciste di bonifica della razza sul terr-itorio nazionale e nelle colonie.In questo senso particolarmente significativa è l’analisi dei codici simbolici delle pubblicità dei pro-dotti di bellezza e per la casa, dai Manifesti di Gino Boccassile degli anni ’50 al Carosello degli annisessanta e settanta. Calimero, il pulcino nero icona della pubblicità del detersivo Ava, è forsel’esempio più eclatante della combinazione tra la stigmatizzazione della nerezza associata a impurità,sporcizia e contagio con i motivi anticontadini, antimeridionali e paternalistici che dominavano lacultura diffusa dell’Italia industriale negli anni del boom economico e delle migrazioni interne. Attraverso l’interiorizzazione di modelli di comfort personale e domestico, la linea del colore contribuisce a modellare i processi di mobilità territoriale e quelli della mobilità sociale segnalando «uno spostamento nella rappresentazioni razziali che si allontanano dalle categorie biologiche e si avvicinano a una comprensione più intima e privata della posizione di ciascuno nel progetto morale e nazionale della modernizzazione».Nel mettere in tensione corpo della nazione e disciplinamento biopolitico dei corpi individuali, il volume evidenzia come la linea del colore si materializzi all’intersezione di paradigmi diversi di naturalizzazione delle differenze legate al corpo. Il genere diventa qui un terreno cruciale per individuare le linee mobili attraverso cui l’identità razziale degli italiani è prodotta e contemporaneamente resa invisibile da altre forme di categorizzazione sociale. I riferimenti ai modelli visivi ed estetici che definiscono gli stereotipi di femminilità e mascolinità bianca e mediterranea, così come la trama razzializzata dei meccanismi di controllo e nazionalizzazione del corpo delle donne, individuano nella differenza sessuale il principale terreno attraverso cui la razza e il razzismo si manifestano nel contesto italiano.Uno dei principali meriti del volume, e uno dei suoi punti di forza, è di offrire una chiave interpretativa di lungo periodo che riesce a far dialogare efficacemente due ambiti di indagine finora largamente separati. Il primo è rappresentato da quel patrimonio di ricerche che negli ultimi anni ha riscattato la storia delle migrazioni e del colonialismo italiano da una posizione marginale per collocarle al centro delle dinamiche del nation building italiano. Il secondo è riconducibile a quell’insieme di approcci e griglie interpretative che in ambito anglosassone ha caratterizzato l’emersione dei whiteness studies, un’area trasversale di ricerca — conosciuta in Italia principalmente grazie al lavoro di traduzione di Giuliani — che ha riformulato le teorie critiche della razza assumendo come oggetto privilegiato l’analisi della costruzione storica, culturale e politica del «privilegio» bianco. A muovere questo dialogo è l’urgenza di identificare strumenti analitici adeguati a leggere nei con-flitti del presente un problema contemporaneamente storico e politico in grado di sollecitare nuovemappe dell’archivio delle nostre identità. Proprio su questo terreno la scommessa formulata dalle autrici del volume è stata rilanciata in questi mesi dalla nascita di InteRGRace (Gruppo interdisciplinare e intersezionale su razza e e razzismi/Interdisciplinary Research Group on Race and Racism),di cui Giuliani è una delle fondatrici. InteRGRace è una rete di produzione, diffusione e scambio a livello nazionale e internazionale che,articolandosi nella duplice veste di gruppo di ricerca accademica e di associazione rivolta ad un pub-blico non specialista, si propone come laboratorio di traduzione e contaminazione tra domande politiche e sfide teoriche (L. Ellena, il Manifesto, 15 ottobre 2014)
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domenica 19 ottobre 2014
L'invenzione del colore
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domenica 10 agosto 2014
Estetizzazione della ‘razza’, razzializzazione della bellezza / Aesthetics of Race, Racialisation of Beauty
Prossimo appuntamento con InteRGRace: seminario con il prof. Livio Sansone (Centro de Estudos Afro‐Orientais Universidade Federal da Bahia), mercoledì 24 settembre 2014
(ore 14.30‐ 17.30, Università di Padova - AULA 1 ‐ Via Cesarotti, 12),Estetizzazione della 'razza’, razzializzazione della bellezza / Aesthetics of Race, Racialisation of Beauty. Locandina e programma dettagliato sul sito di InteRGRace // Discussants: Maria Teresa Milicia (Università di Padova) e Valeria Ribeiro Corossacz (Università di Modena e Reggio Emilia). Interventi di InteRGRace:
Gabriele Proglio: "Il corpo della nazione: 'razza' e bellezza tra madrepatria e
oltremare (1931‐1941)"; Tatiana Petrovich Njegosh: "Miss Italia, 1939‐2014: razza, genere e classe della bellezza nazionale"; Vincenza Perilli: "I corpi delle altre. Bellezza e "razza" nelle pagine di Noi donne (1950‐1970)"; Gaia Giuliani: "Bella e abbronzata. Genere, razza e bellezza nella televisione pubblica e privata italiana (1975‐): Drive In (1983‐1989) vs. Quelli della notte (1985) e Indietro tutta (1987‐1988)";
Annalisa Frisina: "Modelli di bellezza postcoloniale tra le figlie delle migrazioni in Italia"
sabato 1 giugno 2013
Storie in movimento / SIMposio 2013
Dal 25 al 28 luglio a Monte del Lago (Magione - Perugia), si terrà il nono SIMposio estivo di storia della conflittualità sociale, organizzato da Storie in movimento (Sim) e da Zapruder. Il SIMposio nasce all’interno dell’associazione Storie in movimento come occasione di confronto e discussione che si affianca alla rivista Zapruder. Esperienza originale in un panorama sempre più asfittico, il SIMposio è pensato come un laboratorio che mira a rimettere in comunicazione luoghi e soggetti diversi attraverso cui si articola la produzione del sapere storico. Liberare e far circolare i saperi in uno spazio di discussione critica comune e orizzontale: questa è la nostra scommessa politica. Il SIMposio è immaginato in modo pluridimensionale. Durante quattro giornate affronteremo diversi snodi storiografici in una rara occasione di confronto interdisciplinare dove però l’elaborazione collettiva del sapere non è mai disgiunta dalla sua dimensione politica ma anche ludica: ci riuniremo infatti in un ambiente ideale, circondati dalla natura e con a disposizione una struttura ricettiva solitamente destinata allo svago. In questo senso, il SIMposio è un’opportunità per incontrarsi, discutere e divertirsi. Il SIMposio di quest’anno si apre con un dialogo di respiro internazionale giocato sulla tensione fra “trasformazione” e “rivoluzione” che attraversa la pratica teorica dei movimenti femministi e lgbtqi. La sera sarà invece il momento del “sogno e combattimento” con la musica di Marco Rovelli. Nella giornata di venerdì ci concentreremo sul Novecento in due diversi dialoghi: la mattina sul tema dell’immaginario e delle immagini che ne costituiscono il tessuto, mentre il pomeriggio tematizzeremo un confronto fra nazionalismi europei. La mattina del sabato sarà dedicata alla prima edizione di un laboratorio annuale sulle fonti che inizia quest’anno con una riflessione sull’uso delle interviste nella ricerca etnografica. Il
sabato si chiude con un dialogo che esplora il concetto della “classe” a partire da un recente libro di Andrea Cavalletti. La domenica, come ogni anno, ci saluteremo con un’assemblea fra tutte le persone che hanno preso parte a questa edizione del SIMposio. Programma // Giovedì 25 luglio: 13.30-15:00 Arrivo, registrazione e sistemazione dei/delle partecipanti. 15:00-15:30 Saluti e presentazione dei lavori del SIMposio
15:30-19.00 Primo dialogo Transformations without revolution? Come femminismi e movimenti lgbtqi hanno cambiato il mondo. Introducono: Elena Petricola e Vincenza Perilli. Dialogano: Valeria Ribeiro Corossacz, Elisabetta Donini, Cesare Di Feliceantonio, Sara Garbagnoli e Giulia Garofalo Geymonat. 20:00-24:00 Cena e recital musicale “Inattitudine di sogno e di combattimento” di Marco Rovelli // Venerdì 26 luglio:
08:00-09:30 Colazione. 09:30-13:00 Secondo dialogo Immagini/Immaginario. Per un’iconologia del presente. Introduce: Vanessa Roghi. Dialogano: Damiano Garofalo, Luca Peretti, Giorgio Vasta e Marco Rovelli. 13:30-14:30 Pranzo. 15:30-19:00 Terzo dialogo Nazionalismo e rivoluzione nel XX secolo. Autodeterminazione nazionale e conflitti sociali tra passato e futuro. Coordina: Paolo Perri. Dialogano: Fabio de Leonardis, Francesca Zantedeschi, Francesco Sedda, Andrea Geniola, Adriano Cirulli e Marco Laurenzano. 20:00-23:30 Cena // Sabato 27 luglio: 08:00-09.30 Colazione. 09:30-13:00 Laboratorio sulle fonti Etnografia. Coordina: Sabrina Marchetti. Dialogano: Silvia Cristofori, Paolo De Leo e Francesco Della Puppa. 13:30-14:30 Pranzo. 15:30-19:00 A partire da un libro “Classe” di Andrea Cavalletti (Boringhieri 2009). Coordina: Andrea Brazzoduro. Dialogano: Andrea Cavalletti, Christian De Vito, Rudy Leonelli e Franco Milanesi. 20:00-24.00 Grigliata (non solo carne) e a seguire festa di chiusura con musica // Domenica 28 luglio: 08:00-10.30 Colazione. 10:30-13:00 Assemblea finale Idee e proposte per il prossimo SIMposio. Coordina: Eros Francescangeli. Dialogano: i/le partecipanti alla nona edizione del SIMposio. 13:30-14:30 Pranzo e, a seguire, partenza dei/delle partecipanti // Per ulteriori info su modalità iscrizione, costi, borse di soggiorno ed altro rinviamo al sito si Storie in movimento. Vi aspettiamo!
venerdì 3 maggio 2013
Simposio di storia della conflittualità sociale 2013
Il nono simposio estivo di storia della conflittualità sociale, organizzato da Storie in movimento e Zapruder, si terrà dal 25 al 28 luglio 20 a Monte del Lago (Hotel La nuvola, Magione - Perugia). Il SIMposio nasce all’interno dell’associazione Storie in movimento come occasione di confronto e discussione che si affianca alla rivista «Zapruder». Esperienza originale in un panorama sempre più asfittico, il SIMposio è pensato come un laboratorio che mira a rimettere in comunicazione luoghi e soggetti diversi attraverso cui si articola la produzione del sapere storico. Liberare e far circolare i saperi in uno spazio di discussione critica comune e orizzontale: questa è la nostra scommessa politica. Il SIMposio è immaginato in modo pluridimensionale. Durante quattro giornate affronteremo diversi snodi storiografici in una rara occasione di confronto interdisciplinare dove però l’elaborazione collettiva del sapere non è mai disgiunta dalla sua dimensione politica ma anche ludica: ci riuniremo infatti in un ambiente ideale, circondati dalla natura e con a disposizione una struttura ricettiva solitamente destinata allo svago. In questo senso, il SIMposio è un’opportunità per incontrarsi, discutere e divertirsi.
Il SIMposio di quest’anno si apre con un dialogo di respiro internazionale giocato sulla tensione fra “trasformazione” e “rivoluzione” che attraversa la pratica teorica dei movimenti femministi e lgbtqi. La sera sarà invece il momento del “sogno e combattimento” con la musica di Marco Rovelli. Nella giornata di venerdì ci concentreremo sul Novecento in due diversi dialoghi: la mattina sul tema dell’immaginario e delle immagini che ne costituiscono il tessuto, mentre il pomeriggio tematizzeremo un confronto fra nazionalismi europei. La mattina del sabato sarà dedicata alla prima edizione di un laboratorio annuale sulle fonti che inizia quest’anno con una riflessione sull’uso delle interviste nella ricerca etnografica. Il sabato si chiude con un dialogo che esplora il concetto della “classe” a partire da un recente libro di Andrea Cavalletti. La domenica, come ogni anno, ci saluteremo con un’assemblea fra tutte le persone che hanno preso parte a questa edizione del SIMposio. Per programma, costi e modalità d'iscrizione, borse di soggiorno e informazioni si come raggiungere Monte dal Lago rinviamo al sito di Storie in Movimento. Vi aspettiamo numerose/i!
venerdì 19 aprile 2013
Soggetti e oggetti dell'utopia
Soggetti e oggetti dell'utopia: archivi dei sentimenti e culture pubbliche è la scuola estiva che raccoglie la tradizione interculturale del Laboratorio Raccontar/si dove per anni il genere è stato articolato con le altre categorie, quali classe, 'razza', sessualità, disabilità, religione, nazione, ideologia. Organizzata dalla Rete toscana della Società Italiana delle Letterate, il Giardino dei Ciliegi in intesa con l'Università di Firenze, l'Associazione Centro Donna Evelina De Magistris di Livorno, l'Associazione Casa della donna di Pisa, l'Associazione Open di Carrara e con il patrocinio dell'Università di Sassari, quest'anno la scuola - che si terrà a Villa Alma Pace, Antignano, Livorno dal 22 al 28 giugno 2013 - si apre a un nuovo progetto che continua a interrogare la memoria e l’iscrizione del sentire attraverso oggetti tangibili e di conoscenza nel quotidiano, nella politica, nella letteratura, nell’arte (Taro, Modotti, Niki de Saint Phalle) e nelle culture pubbliche. La crisi del punto di vista, tipica dell’intercultura di genere intesa come molteplicità di approcci e visioni di resistenza, permette di ri-significare l’incontro con l’alterità. Attraverso testi di prosa, di poesia, immagini artistiche e rappresentazioni mediatiche emergeranno oggetti e soggetti legati all’utopia: utopie dei femminismi tra resistenza e visionarietà; utopia del potere e potere dell’utopia. Con, tra le altre Rachele Borghi, Alessia Acquistapace, Gabriella Kuruvilla e Liana Borghi. Per iscrizioni, richieste di borse di studio e programma dettagliato rinviamo al sito della scuola
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mercoledì 17 aprile 2013
Variabili femministe / Un seminario itinerante a partire da alcune parole chiave
Ad un anno dalla sua pubblicazione, e mentre siamo in attesa che si definiscano le prossime date di quello che abbiamo ironicamente definito tour, parte a Torino una bellissima iniziativa ovvero un ciclo seminariale itinerante ispirato proprio dal volume Femministe a parole (edito da Ediesse nella collana sessismoerazzismo) dal titolo Variabili femministe. Il ciclo - strutturato su di una serie di incontri a partire da alcune parole chiave condivise - è organizzato da FemminismItineranti, una rete di singole e realtà femministe torinesi nata a partire da incontri, scambi, desideri sollecitati dalla lettura del volume ed aperta a tutte/i coloro che condividono una prospettiva antirazzista, antisessista, antiomo&transfobica, e antifascista. Alla rete hanno aderito AlmaTerra, Archivio delle Donne in Piemonte, Centro Studi del Pensiero Femminile, Donne in Nero-Casa delle Donne, Indignate Rosse, L’Altramartedì, Me-dea e SguardiSuiGeneris. Il primo incontro, a cura di quest'ultima realtà, si terrà questo pomeriggio a Palazzo Nuovo (e mi scuso della segnalazione in extremis ma è sempre più difficile stare dietro al ritmo di mille cose e a veri e propri scompensi temporali) e avrà per titolo Nazionalismi invadenti: genere, rappresentazioni, ruoli (sul sito di SguardiSuiGeneris maggiori dettagli e bibliografia), mentre per gli altri incontri sarà a breve disponibile il programma completo. Per info e contatti: femminismitineranti@gmail.com).
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mercoledì 13 marzo 2013
Femonazionalismo / Femonationalism
Nell' articolo che vi abbiamo segnalato ieri - Comprendre l’instrumentalisation du féminisme à des fins racistes pour résister (Comprendere la strumentalizzazione del femminismo a fini razzisti per resistere) -, si citavano una serie di ricerche che negli ultimi anni hanno contribuito a decostruire / denunciare la strumentalizzazione dei movimenti femministi e lgbtq da parte dei governi occidentali a fini razzisti e xenofobi. In questo quadro, sulla scorta del termine homonationalism ( omonazionalismo), coniato da Jasbir K. Puar per definire le forme di sostegno e identificazione dei movimenti lgbtq agli interessi e alle retoriche nazionaliste, Sara R. Farris introduce il termine di femonationalism (femonazionalismo) per descrivere "l'alleanza contemporanea tra i discorsi delle femministe occidentali e i movimenti nazionalisti e xenofobi sotto la bandiera della guerra contro il velo e del patriarcato musulmano". Ed è proprio sul femonazionalismo che Sara R. Farris terrà venerdì 15 marzo un workshop all’Amsterdam Research Center for Gender and Sexuality , workshop di cui Sonia Sabelli, che ringraziamo per il gran lavoro che continua a fare (nel web e fuori dal web), traduce l'abstract. Buona lettura e riflessioni! // L'immagine di questo post la "rubiamo" al Circolo Maurice, che l'aveva adoperata lo scorso anno per lanciare una serie di incontri seminariali su omonazionalismo, pinkwashing, gay di destra e xenofobia
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giovedì 7 marzo 2013
Femministe a parole in tournée / Le prossime date del tour
Mentre Femministe a parole si appresta a festeggiare il suo primo "compleanno" - la prima presentazione del volume, fresco di stampa, risale infatti al 27 aprile dello scorso anno alla Casa internazionale delle donne di Roma -, continua la nostra aggrovigliata tournée. Ecco le prossime date del tour (per le precedenti vedi qui, quo e qua): anzitutto domani pomeriggio Femministe a parole sarà ospite della trasmissione che il laboratorio Sguardi sui Generis curerà all'interno della maratona radio in occasione dell'8 marzo durante la quale diverse realtà (dal collettivo Me-deA a Zeroviolenzadonne) si daranno il cambio ai microfoni di Radio Onda Rossa e Radio Blackout, grazie alle redattrici di Mfla e Interferenze che su entrambe le emittenti curano spazi radio autogestiti. Sempre nella giornata di domani saremo in serata al Circolo Maurice di Torino per una presentazione organizzata dalle compagne dell'AltraMartedì. Infine (per ora!) il 19 marzo alle ore 17.30, saremo a Firenze (in via dell'Agnolo, 5), ospiti de Il giardino dei ciliegi, per un'altra presentazione, di cui vi daremo prestissimo maggiori info. Ringraziamo tutte/i per il supporto alla diffusione e discussione collettiva del volume!
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giovedì 21 febbraio 2013
Colonialismo e identità nazionale / Cfp
Segnaliamo il call for papers per il primo incontro del seminario nazionale Sissco sul tema Colonialismo e identità nazionale. L'oltremare tra fascismo e repubblica, che si terrà a Cagliari nella seconda metà di settembre. Il seminario intende censire lo stato della ricerca sul tema del colonialismo italiano, inteso non come corollario della storia unitaria, ma come elemento costitutivo dell’identità e della vicenda storica nazionali. In linea con gli ultimi sviluppi storiografici è interesse degli organizzatori promuovere una riflessione sul ruolo del colonialismo come
processo politico e culturale in grado di agire all’interno dei confini
nazionali e i cui effetti oltrepassino i limiti cronologici posti
dalla mera occupazione effettiva dei territori africani. Le proposte di contributo dovranno pertanto interessare una di queste aree tematiche: La cultura coloniale del periodo fascista: i processi di formazione, i temi, la diffusione // La cultura coloniale ai tempi della Repubblica: istituzioni, partiti politici, associazioni, storiografia e letteratura di fronte al tema coloniale. Per ulteriori dettagli è possibile scaricare il pdf dal sito di Memorie coloniali
domenica 3 febbraio 2013
Storie in movimento / Zapruder: per la Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena
"Storie in movimento e la rivista Zapruder – che raccolgono ricercatori e ricercatrici, docenti, studiose e studiosi di storia in genere – sensibili e preoccupati per le vicende del patrimonio archivistico e documentario, la cui fruizione è sempre più esigua a causa dei tagli alla cultura, all'istruzione e alla ricerca, esprimono contrarietà alla chiusura della Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena di Trieste. La Sezione storica costituisce un'importante e preziosa opportunità per tutti gli studiosi che si occupano del confine orientale italiano. A più riprese, in occasione delle nostre ricerche, il materiale presente e l'aiuto del personale della biblioteca sono stati degli strumenti indispensabili al buon fine del lavoro. Inoltre è l'unica istituzione storica transnazionale sul confine orientale dell'Italia; per questo svolge un ruolo indispensabile per coloro che intendono fare ricerche senza il paraocchi del nazionalismo, ed è anche un baluardo contro il sempre strisciante, a volte emergente, tentativo di defalcare la memoria ai popoli slavo e italiano confinanti. La sua
chiusura, oltre a sottrarre risorse al panorama culturale e alla ricerca storica, rappresenterebbe un impoverimento della conoscenza comune dei due popoli. La Sezione storica si è sempre distinta per l'opposizione al nazionalismo e per l'impegno a fornire una visione rigorosa delle vicende di cui si occupa, scevra da ogni irredentismo e sciovinismo nazionale.La sua scomparsa, il licenziamento dei dipendenti, il ricorso al lavoro precario, si inseriscono in quel processo di svuotamento dell'identità culturale multinazionale della città di Trieste, le cui vicende hanno segnato la storia d'Italia e, pensiamo, di tutta l'Europa. Consegnano inoltre la memoria a un uso pubblico fattone da gruppi sciovinisti rivali, che se ne servono per seminare odi e sospetti nazionalistici, al di là della contingenza. E' anche da notare che, mentre si negano i finanziamenti a un'Istituzione così importante e prestigiosa, la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato ben 370.000 euro a beneficio di associazioni che propagandano l'odio razziale e l'irredentismo nazionalista.Chiediamo quindi che la Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena venga riconsegnata in tutte le sue funzionalità agli studi storico-scientifici e siano ripristinate tutte le sue attività, che gli addetti vengano riconfermati nei loro ruoli, che si stanzino i fondi necessari al suo pieno funzionamento, perché possa proseguire nel suo compito di assistenza ai ricercatori e a tutti gli studiosi. Storie in Movimento / Zapruder"
lunedì 10 dicembre 2012
Eastern Mediterranean Feminism / CfP
Call for Papers for an upcoming conference at Bogazici University,
Istanbul Turkey June 7-9, 2013. The conference is entitled: Changing Feminist Paradigms and Cultural Encounters: Women’s Experiencesin Eastern Mediterranean History in the Nineteenth and Twentieth Centuries. Changing feminist paradigms refers to a shift from a Turkish-oriented historiography of women’s experiences to an emphasis on diversity in both the late Ottoman Empire and the modern Middle East. Scholarship has come a long way in producing “women’s histories,” but feminist critiques of national historiography and challenges to the conventional periodization of Ottoman-Turkish historical narrative are tasks yet to be undertaken. With this conference, we encourage scholars to tackle these tasks and, in the process, to reconsider and reformulate key terms and concepts introduced by feminist scholars in North America. In addition, we hope this conference will rethink interactions between feminist activism and scholarship with the purpose of bringing new perspectives to women’s and gender history in the Middle East and around the world. We welcome papers on such topics as: efforts to canonize the field // challenges to existing chronologies of nationalist historiographies // links between and legacies of the Ottoman and post-Ottoman worlds // sources for researching women’s and gender history //the impact of emergent nation-states on diverse women’s // experiences in the region
// binaries between public and private, state and society, tradition and modern, etc., and the ways these binaries are reproduced or challenged by "emancipatory projects" // the interaction between women’s activism and scholarship on women’s history // historical patterns of women’s activism in the region // the potential of activism to bring new perspectives to women’s studies and vice versa // different forms of feminism in the history of the modern Middle East // rethinking women's “agency” in the realms of crime, health, sexuality, and urban life// . Because we are planning for discussions on the relationship between scholarship and activism, we also look forward to submissions from feminist activists in the wider region of the Middle East. If you would like to present at this conference, we ask that you submit a short summary of your proposed paper, or contribution, of around 1,000 words, along with an updated curriculum vitae by January 15, 2013. Submissions should be sent to the conference coordinator,
Professor Gulhan Balsoy, via email at gerkaya@gmail.com.We will be able to defray some travel and hotel expenses for conference participants but ask that each person chosen to participate seek other funding. Scholars with college or university appointments should, for example, request funds from their home institutions. We hope to publish select papers in a special issue of the Journal of Women’s History. Both the conference and the potential special issue represent a unique and pioneering collaboration between an American-based journal (one devoted to publishing the best work in the international field of women's history) and women's historians in the Middle East. //Gulhan Balsoy, Independent Scholar // Elisa Camiscioli, Binghamton University, New York, Book Review Editor, JWH // Arzu Ozturkmen, Boğaziçi University // Jean Quataert, Binghamton University, New York, co-editor, JWH // Benita Roth, Binghamton University, New York, Associate Editor, JWH // Basak Tug, Istanbul Bilgi University //Leigh Ann Wheeler, Binghamton University, New York, co-editor, JWH //
giovedì 15 novembre 2012
Zapruder / Made in Italy. Identità in migrazione
L'ideazione di Made in Italy. Identità in migrazione, l'ultimo numero pubblicato da Zapruder, ha coinciso con il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ricorrenza che ha offerto alle/ai curatrici/curatori- Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti e Sabrina Marchetti -, che volevano parlare di migrazioni e identità italiane "la conferma della complessità dei processi di costruzione identitaria, ma anche della loro centralità nel vissuto individuale e collettivo, della loro funzione strategica, resa evidente dall’insorgere di nazionalismi o regionalismi spesso attivati proprio dalla questione della migrazione, o meglio dalla “minaccia” che la migrazione costituirebbe". In Made in Italy la questione è tuttavia ribaltata: "Innanzitutto non si parlerà di identità come qualcosa di fisso, che precede gli individui, da erigere come un muro o una bandiera per preservare intatta la “comunità”. Tanto più che per il nostro paese è necessario distinguere fra la dimensione statuale, costruita dall’alto, dell' «identità nazionale» e quella antropologica, a maglie larghe, dell'«identità italiana». Guarderemo quindi all'identità come a qualcosa di fluido, costitutivamente in movimento, superficie porosa a contatto con identità altre, le identità di un altrove in cui si arriva. In sostanza, la prospettiva non sarà quella di chi “sta”, ma di chi è in movimento e, in questo movimento, modifica le costruzioni identitarie che porta con sé e quelle che incontra. Un´identità in migrazione, quindi". Made in Italy sarà presentato domani sera - venerdì 16 novembre - alle ore 18.30 presso la libreria Linea 451 (via Santa Giulia 40 - Torino). Ne discuteranno con Andrea Brazzoduro ed Enrica Capussotti, Cristina Rowinski, Caterina Giovannetti e Manuela Cencetti, a partire dalla proiezione delle video-inchieste realizzate da Cinemainstrada. A seguire aperitivo. Ricordiamo che, sempre a Torino,sabato e domenica saremo all'XI assemblea generale di Sim/ Zapruder. Vi aspettiamo ;-).
venerdì 9 novembre 2012
Femministe a parole in tournée
Dopo le presentazioni che ne hanno accompagnato l'uscita (1, 2, 3 ...), per i prossimi mesi sono in programma nuove occasioni di incontro e discussione a partire dal volume Femministe a parole, pubblicato nella collana sessismoerazzismo dalla casa editrice Ediesse (a cura di Jamila M.H. Mascat, Sabrina Marchetti e Vincenza Perilli). Segnaliamo qui le prime date del tour, che a partire da questo (caldo) autunno si protrarrà fino ai primi mesi del 2013 (e speriamo anche oltre). Martedì 13 novembre Femminsite a parole sarà presentato a Trento, all'interno del ciclo di incontri De-costruzioni di genere: parole che contano, silenzi che parlano, a cura del Centro Studi interdisciplinari di Genere dell'Università di Trento. Ne discuteranno con una delle curatrici del volume Maria Coppola e Giulia Selmi. Il 15 novembre invece, alle ore 18, Femministe a parole sarà alla Biblioteca italiana delle donne di Bologna, per una presentazione corale. Oltre alle tre curatrici del volume saranno infatti presenti alcune delle autrici delle singole voci: Elisa Arfini (Lesbica), Gaia Giuliani (Bianchezza), Isabella Peretti (Madre-patrie), Beatrice Busi (Modificazioni), Giulia Garofalo (Prostituzione), Alessandra Gribaldo (Riproduzione assistita), Laboratorio Smaschieramenti (Uomo). Vi aspettiamo ;-)
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mercoledì 7 novembre 2012
Pinkwashing / Un incontro-dibattito non solo per chi non ne ha mai sentito parlare
Si apre con una serie di domande quanto mai urgenti (Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa?) il documento di Smaschieramenti /Antagonismogay che invita tutt* ad un incontro-dibattito sul pinkwashing sabato prossimo, 10 novembre, alle ore 17.30 ad Atlantide (Piazza di Porta Santo Stefano 6 - Bologna). Condividiamo gli spunti di riflessione e l'urgenza di aprire un dibattito su questioni restate ancora troppo ai margini, ripubblicando anche qui il documento e auspicando non solo una larga partecipazione all'incontro ma che questo sia l'inizio di un percorso condiviso. Buona lettura e riflessioni // Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa? Con una precisa strategia di politica culturale, Israele si promuove come paese lgbtiq friendly per ripulire la propria immagine internazionale, macchiata da sessant’anni di occupazione militare dei territori palestinesi e da gravissime violazioni dei diritti umani contro le/i palestinesi. Come evitare che la nostra identità e le nostre lotte vengano strumentalizzate, in Israele come in Europa? Il finanziamento e il sostegno da parte dello stato di Israele ai festival lesbo-gay-trans-queer in Europa e in Nord America fa parte di una strategia di marketing globale lanciata su larga scala dai ministeri del turismo e dell’interno israeliani a partire dal 2005. (cfr. Sara Schulzmann in un editoriale apparso sul New Yok Times nel 2011). Solo nel 2010 lo stato di Israele ha investito 90 milioni di dollari per promuovere film filo israeliani nei maggiori festival queer internazionali e per realizzare campagne pubblicitarie destinate a coppie gay occidentali dai 18 ai 35 anni, con lo scopo di promuovere il 'brand Israel' e trasformare il paese in una meta del turismo gay internazionale. I movimenti queer transnazionalii hanno chiamato questa strategia pinkwashing (=lavarsi nel rosa), in analogia con il 'greenwashing', operazione di copertura attuata da aziende altamente inquinanti per ripulire la propria immagine attraverso una qualche azione ambientalista. Lo scopo dichiarato di queste politiche, infatti, non è tanto accaparrarsi una fetta del turismo LGBT, ma piuttosto 'ripulire' l’immagine dello stato israeliano. Magnificando la 'pulsante vita gay di Tel Aviv, degna delle grandi capitali occidentali', il governo cerca di dare un’immagine democratica del paese, con lo scopo di contrastare lo sdegno crescente dell’opinione pubblica internazionale per la sistematica violazione dei più elementari diritti umani de* palestines* da parte di questo stato. Da più di sessant’anni, infatti, Israele occupa illegittimamente i territori palestinesi e mette in atto una strategia di segregazione della popolazione e di distruzione sistematica dell’economia e della società palestinese attraverso il muro dell’apartheid, la vessazione quotidiana dei controlli e dei checkpoint, l’impoverimento, gli omicidi 'mirati', i bombardamenti di civili e le ripetute invasioni militari. Il pinkwashing strumentalizza le conquiste e le lotte del movimento lgbtiq israeliano e proietta sui palestinesi un’immagine di sessisti/omofobi/incivili, negando l’esistenza stessa de* queer palestines* e delle loro associazioni; in questo modo il governo di Israele cerca di indebolire il sostegno alla causa palestinese sia a livello internazionale che fra gli/le cittadin* israelian*. In realtà, il pinkwashing finisce per rappresentare tutto il mondo arabo come omofobo, antidemocratico, barbaro e incivile. Questa rappresentazione, nei paesi occidentali, è servita a costruire il consenso intono alla 'Guerra al terrore', agli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, e intorno a politiche razziste contro i/le migranti (il cosiddetto 'omonazionalismo'). Jasbir Puar, in Terrorist assemblage. Homonationalism in queer times (2007), mostra come avviene l’assemblaggio del nemico, che dopo l’11 settembre e lo scatenarsi della 'guerra al terrore' ha preso le sembianze dell’arabo / musulmano / terrorista. Puar sottolinea come le politiche di pinkwashing si siano globalizzate e come il caso israeliano sia diventato un modello per l’emergere dell’omonazionalismo in Occidente. La lotta all’omofobia e per i diritti lgbitq viene così strumentalizzata e cooptata nella guerra antislamica, nelle politiche militariste e imperialiste, e nel razzismo interno generato da questo clima. In un recente articolo, Puar ci fa vedere come il pinkwashing e l’omonazionalismo non siano sostenuti solo dagli stati o dagli apparati di stato, ma anche da gruppi indipendenti, aziende o dalle stesse associazioni lgbtqi occidentali. In Italia, un caso emblematico è stato, nel 2005, l’appello contro la repressione dell’omosessualità in Iran, che ha portato a un presidio a Roma in cui esponenti gay nazionali affermavano che Israele andava difesa come baluardo di democrazia contro la barbarie islamista. In Gran Bretagna Peter Tatchell, storico esponente del gruppo Outrage!, ha più volte promosso appelli per porre fine alla persecuzione dei queer palestinesi, senza alcun contatto con le numerose realtà lgbitq palestinesi. Nel saggio Gay Imperialism Tatchell viene duramente criticato in quanto bianco occidentale gay che parla per conto de* queer migranti o colonizzati, vittimizzandol* e impedendo loro di prendere parola se non in quanto vittime dell’omofobia delle loro comunità d’origine. In un appello contro il pinkwashing i gruppi lgbtiq palestinesi Aswat, Helem, Al Quds, Palestinian Queer for BDS denunciano che l’omofobia esiste nella società palestinese come in tutte le altre società, e che non accettano di essere usati per screditare le ragioni del popolo palestinese, sottolineando che assieme all’omofobia subiscono anche l’embargo, l’apartheid, la distruzione sistematica e quotidiana portati avanti dal governo israeliano con la complicità della comunità internazionale. L’omonazionalismo e il pinkwashing ci chiamano in causa. L’idea che la vivibilità lgbitq di un paese si misuri solo in base ai diritti di cui godono gli/le omosessuali nativi moralmente ed economicamente rispettabili, o in base al grado di sviluppo raggiunto dai circuiti commerciali in cui ci è concesso di spendere i nostri soldi apre la strada alle strumentalizzazioni di Israele così come di qualunque altro stato, soggetto o partito. Bisogna allora rifiutare una visione spoliticizzata e isolata dei diritti lgbtiq. Siamo lesbiche, gay, trans, itersex, queer, e siamo allo stesso tempo lavoratrici, precarie, disoccupate, migranti… I nostri bisogni e i nostri desideri non si riducono al poter sposare una persona dello stesso sesso o al poter ballare – portafogli permettendo – in una discoteca ma si articolano con le altre dimensioni della nostra vita, si intrecciano con le lotte contro il machismo, contro lo sfruttamento e la precarietà del reddito, contro il razzismo, l’imperialismo e ogni altra forma di oppressione"//
Alcuni articoli e link utili:
Pinkwatching Istrael //
Madonna for palestinians //
Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra //
Politiche di pinkwashing e pratiche di resistenza//
Sulla censura di Gay Imperialism e Out the Place //
lunedì 5 novembre 2012
I bianchi d'Europa
Invitato dal movimento di estrema destra francese Bloc Identitaire alla convention Direction Reconquête! che si è tenuta a Orange questo fine settimana, l'eurodeputato leghista Borghezio ha esaltato la platea, prima lodando gli occhi blu delle donne - bianche ed europee -, occhi "blu per un popolo che vuole restare bianco” e poi lanciando il suo messaggio: "Viva i bianchi d’Europa, viva la nostra identità, la nostra etnia, la nostra razza: quando la nostra patria viene invasa, bisogna bastonare". Fonte: Il fatto quotidiano
sabato 27 ottobre 2012
Gender Bender / Lo schermo del potere
Nel ricchissimo programma di Gender Bender 2012 - che si è inaugurato oggi con un flash mob in piazza Nettuno - anche la presentazione del volume di Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi Lo schermo del potere (Ombre corte, 2012). Per ulteriori dettagli sulla presentazione - che si terrà il 2 novembre presso la Libreria Ambasciatori - rinviamo alla pagina specifica sul sito del festival. Vi aspettiamo!
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martedì 11 settembre 2012
Judith Butler, ebraismo e violenza di stato
A fine agosto, a Francoforte, Judith Butler è stata insignita del prestigioso Premio Adorno, assegnazione preceduta e accompagnata da una violenta polemica da parte di alcune organizzazioni israeliane con articoli del tenore di "Il premio Adorno ad una fan di Hamas". Val la pena leggere la risposta di Judith Butler a questi attacchi, inviata originariamente a Mondoweiss, e poi ripresa e tradotta in italiano da varie testate (1, 2 e 3 ...). Eccola: "Il Jerusalem Post ha recentemente pubblicato un articolo in cui informa che alcune organizzazioni erano contrarie a che io ricevessi il Premio Adorno. Questo premio viene assegnato ogni tre anni a chi lavora nella tradizione intellettuale della teoria critica, intesa in senso ampio. Le accuse contro di me sono di appoggiare Hamas e Hezbollah (non vero), di appoggiare il BDS (parzialmente vero) e di essere un’anti-semita(platealmente falso). Forse non dovrei essere così sorpresa che chi si oppone al mio ricevimento del Premio Adorno ricorra ad accuse così ignobili e infondate per farsi notare. Sono una studiosa arrivata alla filosofia attraverso il pensiero ebraico e mi considero una persona che difende e prosegue una tradizione etica che include figure come Martin Buber e Hannah Arendt. Ho ricevuto un’educazione ebraica a Cleveland, sotto la guida del Rabbino Daniel Silver, in una sinagoga dell’Ohio dove ho sviluppato solide visioni etiche sulla base del pensiero filosofico ebraico. Nel mio percorso di formazione mi sono convinta che gli altri ci chiedono di – e noi stessi ci interroghiamo su come– rispondere alle loro sofferenze e cercare di alleviarle. Tuttavia, per fare questo, dobbiamo essere capaci di ascoltare e trovare i mezzi con cui rispondere, e talvolta pagare le conseguenze dei modi in cui decidiamo di opporci alle ingiustizie. In ogni singola tappa della mia educazione ebraica mi è stato insegnato che rimanere in silenzio di fronte all’ingiustizia non è accettabile. La difficoltà di un precetto di questo genere sta nel fatto che esso non ci dice chiaramente quando e come pronunciarci, o come opporci senza produrre una nuova ingiustizia, o come parlare in modo da essere ascoltati ed essere capiti in maniera corretta. La mia posizione non è ascoltata da questi detrattori, e forse non dovrei sorprendermi, visto che la loro tattica consiste nel distruggere le condizioni dell'ascolto. Ho studiato filosofia all’Università di Yale e ho continuato a concentrarmi sulle questioni di etica ebraica lungo l’intero arco della mia educazione. Sono contenta di aver ricevuto quel bagaglio etico e l’educazione che mi è stata data, e che tuttora mi anima. È falso, assurdo e doloroso per chiunque sentir dire che chi formula una critica dello Stato di Israele è un antisemita, o, se ebreo, un ebreo che odia sé stesso. Accuse di questo genere cercano di demonizzare la persona che articola un punto di vista critico e di squalificare a priori questo punto di vista. Si tratta di una tattica di messa a tacere: di questa persona non si può parlare, e qualunque cosa essa dica va respinta in anticipo o distorta in modo tale da negare la validità stessa della presa di parola. L’accusa rifiuta di prendere in considerazione il punto di vista, di discuterne la validità, di valutarne le sue prove, e di trarne una conclusione oculata sulla base dell’ascolto della propria ragione. L’accusa non è semplicemente un attacco contro le persone che hanno punti di vista discutibili, ma si traduce in un attacco contro qualsiasi scambio ragionevole di opinioni, contro la stessa possibilità di ascoltare e parlare in un contesto in cui si potrebbe prendere in considerazione cosa l’altro ha da dire. Quando degli ebrei etichettano altri ebrei come “antisemiti”, essi cercano di monopolizzare il diritto di parlare in nome degli ebrei. Dunque l’accusa di antisemitismo serve da copertura per un conflitto tra ebrei. Sono allarmata per il numero di ebrei che, costernati per le politiche israeliane, tra cui l’occupazione, l’uso delle detenzioni indefinite e il bombardamento della popolazione civile a Gaza, cerca di rinnegare la propria ebraicità. Il loro errore consiste nel considerare lo Stato di Israele come rappresentante contemporaneo dell’ebraismo, e nel pensare che se una persona si definisce ebrea, questo significhi appoggiare Israele e le sue azioni. Nonostante questo, ci sono sempre state tradizioni ebraiche che si oppongono alla violenza statale, che affermano la coabitazione multiculturale e difendono i principi dell’uguaglianza. Queste tradizioni etiche di fondamentale importanza vengono dimenticate e marginalizzate ogni qualvolta si accetta che Israele sia la base dell’identificazione e dei valori ebraici. Quindi, da un lato gli ebrei che criticano Israele forse pensano di non potere più essere ebrei perché Israele rappresenta l’ebraismo; dall’altro lato, chi cerca di mettere a tacere i critici di Israele fa ugualmente coincidere l’ebraismo con Israele, traendo la conclusione che ogni critica è antisemita o, se la critica proviene da un ebreo, mossa da odio di sé. I miei sforzi, sia nella ricerca sia nei miei discorsi pubblici, sono sempre stati volti a uscire da questo vicolo cieco. Dal mio punto di vista ci sono tradizioni ebraiche molto significative – anche le prime tradizioni sioniste – che valorizzano la coabitazione e che forniscono modalità di opposizione contro la violenza di qualunque genere, inclusa la violenza di Stato. Oggi è molto importante valorizzare e tenere in vita queste tradizioni, poiché esse rappresentano i valori diasporici, le battaglie per la giustizia sociale e un principio ebraico talmente rilevante come la “riparazione del mondo” (Tikkun). È chiaro che quelle passioni che raggiungono livelli così elevati su questioni come queste rendono molto difficile l’ascolto e la presa di parola. Si decontestualizzano alcune parole e si distorce il loro significato per poi utilizzarle per stigmatizzare ed squalificare un individuo. Questo succede con molte persone che hanno una visione critica di Israele – e che vengono etichettate come antisemite o collaboratrici naziste; queste forme di accusa mirano a creare le forme più durevoli e tossiche di stigmatizzazione e demonizzazione. Si colpisce la persona decontestualizzandone le parole, invertendone i significati e sostituendole alla persona; di fatto, queste forme di accusa annientano i punti di vista della persona a prescindere da quegli stessi punti di vista. Per coloro che tra noi sono i discendenti degli ebrei europei eliminati dal genocidio nazista (la famiglia di mia nonna è stata distrutta in un piccolo villaggio a sud di Budapest), essere chiamati complici dell’odio contro gli ebrei o ebrei che odiano sé stessi è uno degli insulti e delle ferite più dolorosi che possano esistere. Risulta ancora più difficile resistere al dolore di un’accusa di questo genere quando la persona colpita cerca di affermare ciò che di più prezioso esiste nel giudaismo per pensare all’etica contemporanea, inclusa la relazione etica con chi è privato della propria terra e dei diritti di auto-determinazione, con chi cerca di mantenere viva la memoria della propria oppressione, con chi prova a vivere un vita che possa e debba essere riconosciuta come vita degna di essere vissuta. Sostengo che questi valori derivano tutti da fonti ebraiche importanti, il che non significa dire che essi derivano esclusivamente da quelle fonti. Ma, data la storia da cui provengo, è di fondamentale importanza, in quanto ebrea, oppormi all’ingiustizia e combattere contro tutte le forme di razzismo. Questo non fa di me una ebrea che odia sé stessa, bensì mi rende una persona che vuole affermare un giudaismo non identificabile con la violenza statale e che si identifica con una battaglia globale per la giustizia sociale.I miei commenti su Hamas e Hezbollah sono stati decontestualizzati e i miei noti e assodati punti di vista brutalmente distorti. Sono sempre stata a favore dell’azione politica non violenta, e questo principio ha sempre caratterizzato le mie posizioni. Alcuni anni fa, un membro di un pubblico accademico mi ha chiesto se penso che Hamas e Hezbollah appartengano alla “sinistra globale” e ho risposto con due commenti. Il primo era meramente descrittivo: queste due organizzazioni politiche si definiscono anti-imperialiste, e una delle caratteristiche della sinistra globale è l’anti-imperialismo; quindi, in questa logica, esse potrebbero essere descritte come parte della sinistra globale. Il mio secondo commento era critico: come per qualsiasi gruppo che si colloca a sinistra, occorre decidere se uno è contro o a favore di quel gruppo e valutare criticamente le posizioni di quel gruppo. Non accetto o approvo tutti i gruppi che fanno parte della sinistra globale. Infatti questi stessi commenti hanno fatto seguito a una mia presentazione in cui ho sottolineato l’importanza del lutto collettivo e delle pratiche politiche della non violenza, un principio che ho sviluppato e difeso in tre dei miei libri più recenti: Precarious Life, Frames of War e Parting Ways. Sono stata intervista sulle mie posizioni non violente sulla rivista Guernica e su altre riviste online, ed è facile ritrovare queste mie posizioni se uno volesse capire da che parte mi colloco su tali questioni. Talvolta sono addirittura presa in giro da membri della sinistra che appoggiano le forme di resistenza violenta che pensano che io non sia in grado di capire quelle pratiche. E’ vero: non appoggio le pratiche di resistenza violenta e non appoggio, non ho mai appoggiato e non posso appoggiare nemmeno la violenza statale. Forse questa posizione mi rende più naïve che pericolosa, ma è la mia posizione. Per questo mi è sempre sembrato assurdo che i miei commenti venissero interpretati come un appoggio a Hamas o Hezbollah! Non ho mai preso una posizione su nessuna organizzazione, così come non ho mai appoggiato tutte le organizzazioni che presumibilmente fanno parte della sinistra globale – non sono una sostenitrice incondizionata di tutti i gruppi che oggi fanno parte della sinistra globale. Dire che quelle organizzazioni fanno parte della sinistra non significa dire che esse dovrebbero esserne parte, o che in qualche modo le appoggio.Due altri punti. Appoggio il movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) con una modalità specifica di appoggio. Ne rifiuto alcune versioni e ne accetto altre. BDS per me significa che mi oppongo agli investimenti in compagnie che producono equipaggiamenti militari il cui solo scopo è di demolire case. Questo vuol dire che non parlo in delle istituzioni israeliane a meno che non prendano una posizione chiara contro l’occupazione. Non accetto nessuna versione del BDS che discrimina contro i singoli individui sulla base della loro cittadinanza nazionale e continuo ad avere strette relazioni di collaborazione con molti studiosi israeliani. Una delle ragioni per cui appoggio il BDS e non appoggio Hamas e Hezbollah è che il BDS è il movimento civile e politico non-violento più ampio che cerchi di stabilire l’uguaglianza e il diritto all’auto-determinazione per i palestinesi. Il mio punto di vista è che i popoli di quella terra, ebrei e palestinesi, devono trovare un modo per vivere insieme in condizioni di uguaglianza. Come molte altre persone, desidero una comunità politica democratica su quella terra e sostengo i principi di autodeterminazione e coabitazione per entrambi i popoli e per tutti i popoli. Desidero, come lo desidera un numero sempre crescente di ebrei e non-ebrei, che venga posta fine all’occupazione, che cessi la violenza, e che i diritti politici fondamentali di tutti i popoli che vivono in quella terra vengano preservati da una nuova struttura politica.Due ultime note. Il gruppo che sponsorizza l’attacco contro di me si chiama Scholars for Peace in the Middle East – un nome quantomeno improprio – e nel suo sito web si sostiene che l’"Islam" è una "religione intrinsecamente antisemita (sic!)". Contrariamente a quanto riportato dal Jerusalem Post, non si tratta di un folto gruppo di studiosi ebrei con base in Germania, ma di una organizzazione internazionale con base in Australia e in California. Essi fanno parte di una organizzazione di destra e dunque di una guerra intra-ebraica. Un ex-membro del loro consiglio di amministrazione, Gerald Steinberg, è noto per i suoi attacchi contro le organizzazioni per i diritti umani israeliane, contro Amnesty International e Human Rights Watch. A quanto pare lo sforzo che questi gruppi compiono per denunciare le violazioni israeliane dei diritti umani le rende etichettabili come “organizzazioni antisemite”. Per finire, non sono lo strumento di nessuna organizzazione non-governativa: faccio parte del comitato consultivo di Jewish Voice for Peace; sono membro della sinagoga Khelillah a Oakland, in California; sono membro esecutivo della Faculty for Israeli-Palestinian Peace negli Stati Uniti e del Freedom Theatre di Jenin. I miei punti di vista politici toccano vari argomenti e non sono ristretti al Medio Oriente o allo Stato di Israele. Infatti ho scritto di violenza e ingiustizia in altre parti del mondo, ponendo la mia attenzione sulle guerre scatenate dagli Stati Uniti. Ho scritto anche di violenza contro le persone transessuali in Turchia, di violenza psichiatrica, di tortura a Guantanamo e di violenza della polizia contro i manifestanti pacifici negli Stati Uniti, solo per menzionare alcuni dei miei interessi. Ho scritto anche di antisemitismo in Germania e contro la discriminazione razziale negli Stati Uniti.
sabato 1 settembre 2012
Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe
Per chi attualmente è londinese - o lo sarà intorno al 19 ottobre - segnalo questa interessante giornata di studi alla London South Bank University,Queer sexualities, nationalism and racism in the new Europe. L'iniziativa E qui la fine del post.
Over the last few years, debates about nationalism and racism have received renewed critical attention within queer/sexuality studies. Just as the boundaries of ‘Europe’ are being redefined through economic and political integration, the protection of sexual citizenship rights is increasingly celebrated as a core ‘European’ value. However, this discourse has been deployed to produce new exclusions, in a context marked by the rise of defensive and inward-looking nationalisms, by the lingering ‘war on terror’, by increased mobilities within Europe and by initiatives aimed at limiting migration towards ‘Fortress Europe’. As the secular liberalism that inspired both feminism and gay liberation is increasingly becoming conflated with ‘Europeannes’ and ‘whiteness’, important questions are raised about the relationship between sexual citizenship and national belonging in different European contexts; about the ability of LGBTIQ and feminist movements to sustain meaningful solidarities across cultural and geographic boundaries; and about LGBTIQ and feminist communities’ ability to embrace difference along racial, ethnic and faith lines.
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lunedì 11 giugno 2012
Nazionalismo, colonialismo e razzismo in Italia
Nazionalismo, colonialismo e razzismo in Italia: un approccio di genere tra storia e antropologia, e il terzo seminario con le autrici del volume Femministe a parole. Grovigli da districare, a cura di Sabrina Marchetti, Jamila H. M. Mascat e Vincenza Perilli recentemente pubblicato dalla casa editrice Ediesse nella collana Sessismo&Razzismo. L'incontro si terrà il 15 giugno a Roma, a Kespazio, all'interno della Casa Internazionale delle donne. Coordinato da Isabella Peretti, all'incontro parteciperanno Catia Papa (voce Colonizzatrici), Annamaria Rivera (voce Relativismo), Anna Vanzan (voce Anticolonialismo)e Stefania Vulterini (voce Noir).
martedì 1 maggio 2012
Nous, féministes ...
Pubblichiamo l'appello lanciato da un gruppo di militanti e intellettuali femministe - tra le quali Elsa Dorlin, Eleni Varikas, Laure Bereni, Rada Ivekovic e Joan W. Scott - nell'imminenza del secondo turno delle presidenziali francesi che si terrà domenica 6 maggio: " … Nous citoyennes et indigènes, immigrées et autochtones, bourgeoises et prolétaires, travailleuses et chômeuses, nationales et naturalisées, européennes et étrangères, militantes et universitaires : filles, mères, ménopausées, avortées ou hormonées, Noires, blanches, tsiganes,arabes, musulmanes, juives ou chrétiennes, croyantes, mécréantes, voilées, dévoilées, revoilées, sexy, grosses, anorexiques, valides ou non, straight, trans, gouines, queer, morales, immorales, amorales, victimes, putes, épargnées ou enragées, … Nous, féministes, filles d’Olympe de Gouges, la demi-mondaine guillotinée pour avoir déclaré nos droits, de Solitude, mulâtresse guillotinée à Pointe à Pitre pour s’être élevée contre le rétablissement de l’esclavage, de Mary Wollstonecraft et de sa philosophie authentiquement universaliste, de Flora Tristan qui défendait "la nécessité de faire bon accueil aux femmes étrangères", de Fatma N’Soumer combattante algérienne qui prit les armes contre l’armée coloniale, de Louise Michel qui se rangeât sans hésiter du côté des Kanaks contre les colonisateurs de son pays, d’Olga Bancik la combattante invisible de la bande à Manouchian décapitée par les nazis, des 230 militantes, résistantes, du convoi du 24 janvier 1943 qui entonnèrent la Marseillaise en franchissant le portail de Birkenau, … Nous, filles, petites filles du MLF et du FHAR ; filles d’Audre Lorde, poétesse, lesbienne, caribéenne, traquant le racisme, le sexisme et l’homophobie jusque dans les rangs des mouvements féministes et des mobilisations anti-racistes... Filles de Virginia Woolf, nous dénonçons avec elle la propagande nationaliste qui prend les femmes en otage et prétend les défendre alors qu’on bafoue leurs droits fondamentaux : « En tant que femme, je n’ai pas de pays, en tant que femme, je ne désire pas de pays, mon pays c’est le monde entier… ». Notre généalogie ne connaît pas de zones d’ombre : nous représentons cette tradition féministe internationaliste et anti fasciste qui s’est historiquement battue contre l’instrumentalisation colonialiste et nationaliste des droits des femmes et qui a toujours revendiqué l’égalité de toutEs et tous, quels que soient nos conditions, nos papiers d’identité, nos sexualités, nos religions, … Nous déclarons que nous ferons tout pour débarrasser le pays du Président sortant et appelons toutes et tous à en faire autant pour barrer la route au fascisme qui se répand en France et en Europe. Il est temps que nous nous rassemblions pour combattre ces politiques qui détruisent systématiquement notre communauté politique, nos droits, nos libertés démocratiques, le lien social et la solidarité et qui osent le faire en notre nom. Il est temps qu’un autre féminisme prenne la parole : nous, féministes, refusons avec la plus vive détermination que les « droits des femmes » et des « homosexuelLEs » ou « l’égalité des sexes » servent des idéologies et des pratiques néo coloniales et liberticides. Nous refusons de nous rendre complices de tels dispositifs qui créent les conditions de la toute puissance du capitalisme néolibéral, de la promotion d’une morale paternaliste de la « tolérance », de la réduction du politique au maintien de l’ordre policier et douanier, du fichage, de la surveillance et de la criminalisation des « étrangerEs », des populations paupérisées comme des syndicalistes et du mouvement social. Nous nous révoltons contre cette société qui laisse crever ses propres citoyenNEs de froid et de faim dans la rue tout en prétendant ne pas pouvoir accueillir « toute la misère du monde » ; nous condamnons la ruine des services publics, notamment en matière de santé, d’éducation, de recherche et de proximité qui sont la condition matérielle nécessaire de l’égalité réelle. Obscur objet du désir, l’adhésion de 6 millions d’électeurs et d’électrices françaisES à une culture fascisante fait l’objet d’un racolage actif. Le score du FN est comme un blanc seing pour nous maintenir dans la minorité, pour nous abreuver de représentations populistes, débiles, de raisonnements simplistes qui ne prônent que la haine ; la société civile n’est plus qu’une société de consommation clivée et apeurée. Cette surenchère doit cesser… Pour notre part, nous ne laisserons plus ce front nationaliste récupérer le féminisme pour en faire l’étendard des frontières de l’« Occident ». Nous ne laisserons pas un parti, quel que soit le sexe de son chef, nous diviser impunément.Nous luttons contre le grand renfermement dans une Europe forteresse qui transforme le combat historique pour nos droits et nos libertés sur nos corps et nos vies en une valeur de la « civilisation occidentale » et un critère d’intégration islamophobe… Qu’en est-il justement de « Nous » ? Qu’en est-il de « nos » droits ? Qu’en est-il de ces millions de femmes vivant ici sous le seuil de pauvreté ou assignées au travail domestique ? Qu’en est-il de l’égalité réelle des sexes et des sexualités ?... Quelle place occupe la lutte contre l’hétérosexisme dans notre société : une société qui maintient les discriminations salariales comme la licité des insultes ou l’impunité des violences ? Quels moyens sont alloués à une éducation sexuelle émancipatrice et à l’accès réel aux droits sexuels reproductifs et non reproductifs pour toutEs (maintien des centres d’IVG, valorisation et diffusion de la gynécologie médicale, contraception libre et gratuite, accès à la PMA sans discrimination) ? En tant que féministes, comment ne pas exiger l’abrogation des lois qui criminalisent les femmes en raison de leur religion, la multiplication des modes de garde collectif féministe, la réforme des manuels scolaires et le développement de la place de l’histoire des femmes, des études postcoloniales et de la notion de « genre » dans toutes les disciplines, l’éradication des publicités et des jouets prônant l’hétérosexualité obligatoire, la reconnaissance pleine et entière des droits sociaux des prostituéEs ? … Quelles leçons prétendons-nous vouloir donner au monde et de quelle histoire voulons-nous être les héritierEs ? Nous appelons aujourd’hui à voter pour le candidat qui demeure en position de barrer la route au projet néoconservateur d’une Europe amnésique, pour faire rempart aux politiques avilissantes des droites extrêmes comme des dérives droitières des partis de gouvernement d’ici ou d’ailleurs. Cet appel ne donne nullement carte blanche à M. Hollande ni ne signifie une adhésion à son programme économique et social : nos votes sont une promesse qui charrie le tumulte des combats passés, une promesse vis-à-vis de cette mémoire des luttes, un engagement pour l’avenir. Si nous gagnons cette fois, nous n’oublions pas que les fascistes sont de retour en Europe ; une Europe déchirée et désolée par des décennies d’un néolibéralisme agressif. Fidèle à Virginia Woolf, et à son brulot féministe Trois guinées (expurgé de ses œuvres « complètes » récemment parues dans La Pléiade), nous affirmons que, désormais, quiconque tente de nous instrumentaliser en prétendant défendre le droit des femmes sous couvert de progrès, d’identité nationale ou de défense des frontières européennes – rencontrera sur son chemin une internationale féministe que nous appelons de nos voeux" (Per adesioni: Elsa.Dorlin at univ-paris1.fr o evarikas at yahoo.fr).
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