Un mese fa, dopo giorni (e notti) di rivolta in tutto il Maghreb, il dittatore tunisino Ben Ali (che - ricordiamolo - aveva conquistato il potere con un golpe 23 anni fa grazie anche al sostegno decisivo del governo italiano) fuggiva da Tunisi. E stanotte, in Egitto, donne, uomini e bambini/e hanno continuato a ballare nella capitale, in piazza Tahrir, sotto i fuochi di artificio, per festeggiare l'abbandono del potere (dopo quasi trent'anni) di un altro dittatore, Hosni Mubarak, il "moderno faraone" con il trono "appiccicoso del sangue del popolo" come scrive Nawal El Saadawi, femminista egiziana, in una sua cronaca dal cuore della rivolta. Ed è questa cronaca che vi invitiamo a leggere (per intanto nella traduzione in inglese di Robin Morgan per il Women's Media Center, nei prossimi giorni speriamo anche nella nostra traduzione in italiano), una cronaca scritta una domenica dei primi di febbraio dalla quasi ottantenne Nawal El Saadawi ( di cui forse alcune/i di voi hanno letto Woman and Islam), che da piazza Tahrir (che in arabo significa liberazione), testimonia e partecipa della/alla rivoluzione egiziana, una rivoluzione che divampa "per le strade di tutte le province, di tutti i villaggi e di tutte le città, da Assuan ad Alessandria, da Suez a Port Said". Descrive donne, uomini, bambini/e, cristiani copti e mulsumani che resistono insieme alla barbarie, ai militari, ai cavalli, ai cammelli, alle molotov, al fuoco e alla morte. Descrive i canti ("molti guidati da donne, con gli uomini che seguono") che rivendicano "libertà, dignità, giustizia" e la fine della tirannide. E noi? Quando saremo capaci di prendere tra le mani la nostra rabbia e cacciare i nostri tiranni? Oggi siamo restate qui a leggere, scrivere, tradurre, con il cuore a piazza Tahrir e lontano dalle piazze italiane: non abbiamo potuto aderire né partecipare - seppur con contenuti "critici" - ad una manifestazione nata da un appello alle "donne italiane", in nome della loro "dignità", della "decenza", della "religione" e della "nazione". Nawal El Saadawi termina la sua cronaca scrivendo: "questo è come un sogno". Qual è il nostro?
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1 commento:
La tua, Vincenza, è una domanda impegnativa. Ma tento di rispondere almeno un po'. Perché anch'io sono stato assente dalle manifestazioni del 13.
Il "mio" sogno sarebbe che le grandi manifestazioni fossero se non animate, almeno attraversate da una forte lucidità strategica.
Ho invece la desolante impressione che in tante, troppe occasioni, prevalga la tattica, per non dire il tatticismo, la tendenza a ignorare un precetto strategico basilare les ennemis de nos ennemis ne sont pas forcément nos amis.
In particolare, mi sembra incongruente (se vogliamo: falso) il diffuso ricorso alla metafora di una fondamentale struttura della lotta partigiana (il CNL) per designare una coalizione dichiaratamente bipartisan.
Sorpresa! (si fa per dire): la grande "novità" (peraltro elaborata e propagandata da decenni nei laboratori della nuova destra) sarebbe l'ormai consueto ritornello "Né destra né sinistra", ovviamente all'insegna della supposta fine delle ideologie. Ne abbiamo visti, ne vediamo (fino a quando?) i frutti.
Ma il mio sogno, apparentemente minuscolo, sarebbe stato che il piccolo presidente fosse stato travolto da proteste di massa a causa di certe sue "sagaci" barzellette: una sui
lager nazisti, un'altra su Hitler.
E, infine, una sugli ebrei...
Ma, evidentemente, non erano bastate.
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