Un caro amico mi ha fatto dono di un piccolo delizioso libricino, che è la trascrizione di uno spettacolo teatrale, Orti insorti di Elena Guerrini. Chi non conosce la mia passione per gli orti, in specie metropolitani, troverà il post insolito. Pazienza. Del resto insolito è il libro e così lo spettacolo il cui biglietto può essere pagato in natura ...
venerdì 30 aprile 2010
giovedì 29 aprile 2010
Antirazzismo e arte
Oggi si inaugura una mostra interessante dedicata a Nina Simone dal titolo Antirazzismo e arte. Ritratti di Nina Simone. Vorrei parlarne un po' ma sono di corsa (che novità), rinvio a dopo averla vista. Per non lasciarvi a bocca asciutta rinvio all'articolo pubblicato su Il Paese delle donne e al sito della mostra.
martedì 27 aprile 2010
Womanhouse
Post per le amiche appassionate d'arte femminista, in specie per quelle che attualmente sono parigine: domani al Centre Pompidou una bella serata organizzata da Le peuple qui manque, ovvero la proiezione del documentario di Johanna Demetrakas Womanhouse e dibattito in presenza della regista. Un'occasione per ricordare un pezzetto importante della storia dell'arte femminista, ovvero l'installazione Womanhouse messa in piedi da Miriam Shapiro e Judy Chicago insieme ad altre donne/femministe/artiste nel 1972 a Los Angeles. Una "casa" dove lo spazio domestico diviene spazio di esposizione, oggetti considerati triviali (prodotti di bellezza, tamponi, biancheria) diventano "arte" e la distinzione tra pubblico e privato salta ...
domenica 25 aprile 2010
Bandite in resistenza
Mi sarebbe piaciuto tanto scrivere qualcosa per questo 25 aprile, un lungo articolo sulle lotte vecchie e nuove, sulle/sui resistenti di allora e quelle/i di oggi, sulle lotte contro il razzismo, il sessismo, il fascismo, sulle lotte delle/dei migranti dentro e fuori i Cie, dentro e fuori i "confini", e sulle lotte per il diritto al lavoro e alla casa di donne, uomini e bambini/e come quelle/i che da settimane sono in tendopoli, tendopoli resistente con il bello e il cattivo tempo. Mi sarebbe piaciuto scrivere un bel post, ma non ne ho il tempo (l'energia) e allora non mi resta che rinviare a Bandite, il bellissimo film/documentario di Alessia Proietti e Giuditta Pellegrini sulle partigiane italiane durante la resistenza al nazifascismo. Ne avevamo già parlato qui in Marginalia quando, quasi due anni fa, ne avevamo presentato alcuni estratti (il film era ancora in lavorazione) durante una memorabile serata Donne e lesbiche negli anni del nazifascismo, tra resistenze, sopravvivenze e complesse complicità. Ora Bandite è finito e aspetta solo di essere visto.
Qualche articolo correlato in Marginalia:
Una partigiana di nome Edera
Una svastica per Tosca, staffetta partigiana
Resistenze di qui e di altrove
Per Gabriella Degli Esposti, partigiana
Eredità partigiane
Staffetta antifascista
La Battaglia della Bolognina sessantatrè anni dopo
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venerdì 23 aprile 2010
La subalterna può parlare?
A proposito di Can the Subaltern Speak? - uno dei saggi più famosi di Gayatri Chakravorty Spivak, scritto nel 1985 - in un articolo di qualche anno fa (Con l'occhio del ventriloquo, pubblicato su Il Manifesto), Ambra Pirri scriveva che qui Spivak "mostra come l'interessamento degli intellettuali occidentali nei confronti del soggetto coloniale finisca sempre per essere «benevolente»; il loro atteggiamento mentale e il loro punto di vista, alla fine, coincide con la narrazione imperialista perché quel che promette al nativo è la «redenzione» [...] Spivak si domanda se la donna subalterna può parlare ed essere ascoltata o se c'è sempre qualcuno che lo fa al suo posto e che la rappresenta in modo distorto: gli inglesi, nell'abolire la pratica indù del sati (1827), si assunsero il compito di parlare per la donna nativa oppressa dal patriarcato locale. In questo modo autolegittimarono se stessi come liberatori e l'imperialismo come missione civilizzatrice.". Gli inglesi attribuirono alla donna subalterna una voce libera e tale da richiedere la propria liberazione all'uomo bianco, all'imperialismo inglese. Dall'altra parte, e contro la rappresentazione britannica, c'era il patriarcato locale, il maschio nativo, che sosteneva che la vedova era ben felice di salire sul rogo col marito cadavere. Per Spivak né l'una né l'altra versione rappresenta la «vera» voce della donna subalterna; in ambedue i discorsi la sua voce è «ventriloquizzata» e lei scompare dentro questo violento fare avanti e indietro tra tradizione e modernizzazione, tra patriarcato e imperialismo. Ecco che la posizione di soggetto della donna nativa viene costruita dall'Occidente e serve solo a rinforzare il prestigio dell'intellettuale-interprete-benevolente della funzione subalterna. Oppure serve a rinforzare i valori laici e nazionalisti della nazione; è quel che è successo in Francia con il velo. All'improvviso la patria, così affine al patriarcato con i suoi valori militaristi e sessisti, diventa femminista e usa il femminismo contro le altre culture; abbiamo avuto due anni fa il paradosso dell'anti-abortista Bush che andava a bombardare l'Afghanistan per liberare le donne dal burqa, e oggi abbiamo quello della Francia che libera le musulmane dal velo [...] Ma Spivak critica anche il femminismo internazionale, che continua a mettere al centro l'Occidente - o un personaggio occidentale, in questo caso la femminista - che si autocostituisce come soggetto di conoscenza, salvezza, aiuto, proprio perché ha costruito l'Altra come oggetto della sua illuminata compassione. Rappresentare l'Altra, dall'altra parte del mondo, come una sorella svantaggiata serve a farci sentire soggetti liberati, a rimandarci un'immagine di noi stesse ingrandita. E' così che si diventa soggetti, in senso maschile, costruendosi un oggetto, un Altro inferiore. Il femminismo occidentale ha criticato il soggetto sovrano maschile ma poi rischia di fare, con le donne del cosiddetto terzo mondo, esattamente la stessa cosa che hanno fatto gli uomini per 2.500 anni. E continua a porsi domande ossessivamente autocentrate, tipo «cosa posso fare io per loro?»". Di questo saggio di Spivak, che pone ancora, a distanza di quasi vent'anni, questioni cruciali, si discuterà oggi pomeriggio a Roma, nel corso di un incontro organizzato da Sguardi sulle differenze e Laboratorio di studi femministi Annarita Simeone: La subalterna può parlare? con Caterina Romeo, Barbara De Vivo e Angela D'Ottavio
mercoledì 21 aprile 2010
La pelle che ci separa
"Ci sono due cose che testimoniano la mia nascita: una fotografia e il certificato di nascita. La foto è stata scattata quando avevo poche settimane. Sto appoggiata a un cuscino su un sofà tutto verde, la testa mi penzola un po' di lato. [...] Il mio certificato di nascita ha una riga con sopra scritto il nome di mia madre e la sua età, diciotto anni. La riga destinata al nome di mio padre è stata lasciata in bianco. Ufficialmente mio padre non esiste. Almeno sulla carta è sfuggito alle proprie responsabilità nei confronti miei e di mia madre. Quando sono nati i miei genitori, i certificati di nascita avevano ancora uno spazio per specificare la razza. Per certi versi le cose sono cambiate: questo spazio non c'è sul mio certificato, dopo il mio nome. Per adesso, almeno sulla carta, sono riuscita a sfuggire a quella classificazione".
Avevo già parlato di La pelle che ci separa, il romanzo autobiografico di Kym Ragusa, afroamericana e italoamericana di New York, che racconta, come si legge nella quarta di copertina, "una storia di differenze e di conflitti, di tensioni di classe, di genere, di razza. Una storia all'intersezione fra due comunità, entrambe marginali, che a tratti l'hanno accolta e accettata, a tratti esclusa e allontanata". Ho tirato giù il libro dallo scaffale stanotte dopo che Angela D'Ottavio mi ha segnalato la presentazione del volume che si terrà il 27 aprile a Bari (alla Libreria Laterza) con la stessa Angela D'Ottavio, Caterina Romeo (che dell'edizione italiana de La pelle che ci separa è stata la curatrice e traduttrice) e Annarita Taronna. La presentazione è una sorta di introduzione al seminario su La pelle che ci separa che si terrà il giorno dopo, sempre a Bari (alla facoltà di Scienze della formazione, via De Rossi 233) con Caterina Romeo. Un'occasione da non perdere per chi ha la fortuna di essere nei paraggi.
Avevo già parlato di La pelle che ci separa, il romanzo autobiografico di Kym Ragusa, afroamericana e italoamericana di New York, che racconta, come si legge nella quarta di copertina, "una storia di differenze e di conflitti, di tensioni di classe, di genere, di razza. Una storia all'intersezione fra due comunità, entrambe marginali, che a tratti l'hanno accolta e accettata, a tratti esclusa e allontanata". Ho tirato giù il libro dallo scaffale stanotte dopo che Angela D'Ottavio mi ha segnalato la presentazione del volume che si terrà il 27 aprile a Bari (alla Libreria Laterza) con la stessa Angela D'Ottavio, Caterina Romeo (che dell'edizione italiana de La pelle che ci separa è stata la curatrice e traduttrice) e Annarita Taronna. La presentazione è una sorta di introduzione al seminario su La pelle che ci separa che si terrà il giorno dopo, sempre a Bari (alla facoltà di Scienze della formazione, via De Rossi 233) con Caterina Romeo. Un'occasione da non perdere per chi ha la fortuna di essere nei paraggi.
martedì 20 aprile 2010
lunedì 19 aprile 2010
La lingua è anche un luogo di lotta
"Ho lavorato per cambiare il mio modo di parlare e di scrivere [...], ho affrontato il silenzio e l'incapacità di essere articolata [...]. Spesso, parlando con radicalità di dominio, parliamo proprio a chi domina. La loro presenza cambia la natura e la direzione delle nostre parole. La lingua è anche un luogo di lotta. Ero solo una ragazzina quando ho letto le parole di Adrienne Rich, 'questa è la lingua dell'oppressore, ma ho bisogno di parlarti'. Questa lingua che mi ha consentito di frequentare l'università, di scrivere una tesi di laurea, di sostenere colloqui di lavoro, ha l'odore dell'oppressore [...]. Noi siamo uniti nella lingua, viviamo nelle parole. La lingua è anche un luogo di lotta. Avrei il coraggio di parlare all'oppresso e all'oppressore con la stessa voce? Avrei il coraggio di parlare a voi con un linguaggio che scavalchi i confini del dominio - un linguaggio che non vi costringa, che non vi vincoli,che non vi tenga in pugno? Il linguaggio è anche un luogo di lotta. Gli oppressi lottano con la lingua per riprendere possesso di se stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. Le nostre parole significano, sono azione, resistenza. Il linguaggio è anche un luogo di lotta"
bell hooks, Elogio del margine, Feltrinelli, 1998. Traduzione di Maria Nadotti.
bell hooks, Elogio del margine, Feltrinelli, 1998. Traduzione di Maria Nadotti.
giovedì 15 aprile 2010
Foucault-Marx. Paralleli e paradossi
"Che Marx – e, nel suo solco, un’eterogenea e “scismatica” costellazione di teorici, filosofi e/o militanti che ad esso si richiamano – potessero trovare attualità filosofica anche attraverso certe letture di Foucault, è un fatto imprevedibile ed estraneo alla cultura corrente. Specie in Italia. Un’eventualità non contemplabile, non contemplata, in un orizzonte repentinamente divenuto familiare, pacifico, “acquisito”. Dopo circa un quarto di secolo, dall’inizio degli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, in cui aveva prevalso un forte e generale ostracismo, Foucault sembra ormai accomodarsi senza traumi nella cultura del tempo, che pare averlo “assimilato” senza troppi problemi. Eppure, se ci fosse richiesto di indicare il tratto fondamentale e distintivo dell’intera attività di Foucault, potremmo rispondere, con una certa sicurezza: la sospensione, la rottura delle nostre evidenze: il turbamento e la trasformazione simultanea del modo in cui ci rapportiamo al “nostro” passato e a questo presente. Di fatto, se sospendiamo il pregiudizio ordinario che relega Foucault in un postmarxismo di carattere meramente cronologico, dove il suo lavoro conduce un’esistenza in apparentemente confortevole e spesso rassicurante, accediamo ad un vasto campo, in gran parte inesplorato, che offre un’ampia gamma di ricerche possibili. È questa la prova che i lavori qui proposti hanno cercato di affrontare: riaprire, riesaminare e riformulare il rapporto tra Foucault e Marx, come un modo per pensare altrimenti l’uno e l’altro. Perché l’emergere di relazioni impreviste tra due termini, trasforma i termini stessi, mutando il loro statuto, la loro rilevanza, il loro 'luogo'". Dalla quarta di copertina del volume, appena pubblicato da Bulzoni, Foucault-Marx. Paralleli e paradossi (a cura di Rudy M. Leonelli, con saggi di E. Balibar, A. Burgio, S. Catucci, G. Forni Rosa, M. E. Giacomelli, M. Iofrida, R. M. Leonelli).
domenica 11 aprile 2010
Sulla violenza dei dominanti: Les chasses à l’homme. Histoire et philosophie du pouvoir cynégétique
E' da poco in libreria il nuovo volume di Grégoire Chamayou, Les chasses à l’homme. Histoire et philosophie du pouvoir cynégétique (La Fabrique, 2010). Dalla presentazione dell'editore: "Chasse aux esclaves fugitifs, aux Peaux-Rouges, aux peaux noires ; chasse aux pauvres, aux exilés, aux apatrides, aux Juifs, aux sans-papiers : l’histoire des chasses à l’homme est une grille de lecture de la longue histoire de la violence des dominants. Ces chasses ne se résument pas à des techniques de traque et de capture : elles nécessitent de tracer des lignes de démarcation parmi les êtres humains pour savoir qui est chassable et qui ne l’est pas. Aux proies, on ne refuse pas l’appartenance à l’espèce humaine : simplement, ce n’est pas la même forme d’humanité. Mais la relation de chasse n’est jamais à l’abri d’un retournement de situation, où les proies se rassemblent et se font chasseurs à leur tour. Si la chasse à l’homme remonte à la nuit des temps, c’est avec l’expansion du capitalisme qu’elle s’étend et se rationalise. En Occident, « de vastes chasses aux pauvres concourent à la formation du salariat et à la montée en puissance d’un pouvoir de police dont les opérations de traque se trouvent liées à des dispositifs d’enfermement… Le grand pouvoir chasseur, qui déploie ses filets à une échelle jusque-là inconnue dans l’histoire de l’humanité, c’est celui du capital. »"
Potete scaricare il pdf con l'introduzione qui, mentre di seguito vi copio-incollo l'indice:
I. La chasse aux bœufs bipèdes
II. Nemrod, ou la souveraineté cynégétique
III. Brebis galeuses et hommes loups
IV. La chasse aux Indiens
V. La chasse aux peaux noires
VI. La dialectique du chasseur et du chassé
VII. La chasse aux pauvres
VIII. Les chasses policières
IX. La meute de chasse et le lynchage
X. La chasse aux étrangers
XI. Les chasses aux Juifs
XII. La chasse aux hommes illégaux
Potete scaricare il pdf con l'introduzione qui, mentre di seguito vi copio-incollo l'indice:
I. La chasse aux bœufs bipèdes
II. Nemrod, ou la souveraineté cynégétique
III. Brebis galeuses et hommes loups
IV. La chasse aux Indiens
V. La chasse aux peaux noires
VI. La dialectique du chasseur et du chassé
VII. La chasse aux pauvres
VIII. Les chasses policières
IX. La meute de chasse et le lynchage
X. La chasse aux étrangers
XI. Les chasses aux Juifs
XII. La chasse aux hommes illégaux
venerdì 9 aprile 2010
Prima le donne e i bambini (con riserva)
Ecco che, fingendo di applicare in modo neutrale la legge, il comune commissariato di Bologna decide senza troppi complimenti che a pagare i costi della crisi sono, per primi, i bambini e le donne migranti. Da oggi i figli di migranti irregolari rischiano di non avere più accesso agli stessi diritti degli altri bambini, e così uno dei fiori all’occhiello del welfare emiliano, gli asili nido, diventa privilegio di alcuni, mentre altri dovranno portare sin dall’infanzia il marchio della clandestinità. Alla faccia dei diritti dell’infanzia. D’altra parte, da tempo il fiore all’occhiello è appassito: che gli asili siano un privilegio di pochi non è certo una novità. Per prime se ne sono accorte quelle donne, migranti e non, costrette a lasciare il lavoro in mancanza di servizi per l’infanzia adeguati a sostenerle, o che pagano con il loro salario il salario di una donna migrante perché posti negli asili non ce ne sono abbastanza. Non si tratta solo di Bologna: abbiamo già sentito di bambini lasciati senza cibo perché i genitori non possono pagare la retta, oppure senza sedie e banchi perché gli asili non hanno soldi. Nella crisi, a pagare sono per primi i figli di chi la crisi la subisce: cassintegrati, licenziati, madri sole, precari, italiani, migranti, regolari e irregolari. Mentre i diritti sono una merce per chi li può comprare, escludere i figli dei migranti irregolari si rivela un utile diversivo: facciamo fuori loro, intanto, mentre nel silenzio facciamo fuori tutti. Ai genitori italiani si vende l’illusione che, escludendo i migranti, i loro figli saranno tutelati, così come ai lavoratori italiani si vende l’illusione che, espellendo i migranti, il loro lavoro sarà salvaguardato.Questa vicenda, nella sua gravità, mostra di nuovo che il razzismo istituzionale sancito dalla Bossi-Fini e dal pacchetto sicurezza e reso ogni giorno operativo da una miriade di provvedimenti amministrativi è una delle risposte principali alla crisi. E la crisi non è passata, ma colpisce migliaia di uomini e donne che si misurano con licenziamenti, cassa integrazione, sfratti. Chi perde il lavoro perde il permesso di soggiorno, i permessi di chi ancora riesce a rinnovare giacciono per mesi negli uffici stranieri della questura, e chi è in attesa di rinnovo perde ogni possibilità di trovare un lavoro che è già difficile avere. A monte la legge Bossi-Fini condanna alla clandestinità; a valle, il comune di Bologna ne approfitta per risparmiare qualche soldo sulla pelle dei bambini e delle donne.Sia chiaro: che il comune di Bologna sia commissariato non può servire da alibi. Non ci interessano le condanne di facciata, e non accettiamo che si invochi la legalità quando persino la Prefettura di Torino ha dato della legge un’interpretazione estensiva, considerando gli asili alla pari della scuola dell’obbligo ed escludendoli così dall’applicazione del pacchetto sicurezza. Perciò vigileremo affinché le forze politiche che oggi condannano il commissario non permettano, nei comuni nei quali governano, alcuna distinzione nell’accesso agli asili. Perciò dopo gli scioperi del lavoro migrante e le grandi manifestazioni che li hanno sostenuti il 1° marzo, non solo a Bologna, torneremo ancora in piazza. Il 18 aprile a Castel Maggiore e il 16 maggio a Bologna i migranti prenderanno ancora parola contro ogni forma di razzismo istituzionale, per il congelamento dei permessi, il blocco immediato delle espulsioni, una regolarizzazione slegata dal lavoro e dal salario.
Coordinamento Migranti Bologna e Provincia
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La foto (del periodo segregazionista negli Stati Uniti) è presa da qui. Ringrazio Chiara Bonfiglioli per la segnalazione
mercoledì 7 aprile 2010
La straniera da Tuba
Giovedì 8 aprile, alle ore 19, presso la Libreria Tuba (via del Pigneto, 19 - Roma)presentazione de La straniera. Informazioni, sito-bibliografie e ragionamenti su razzismo e sessismo (a cura di C. Bonfiglioli, L. Cirillo, L. Corradi, B. De Vivo, S. Farris e V. Perilli, Alegre 2009). Ne discuteranno Chiara Bonfiglioli, Barbara De Vivo, Sabrina Marchetti, Jamila Mascat e Valeria Ribeiro Corossacz
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La straniera al Martedì autogestito di femministe e lesbiche
Razzismo e sessismo: La straniera
Una scheda bibliografica per La straniera
Finalmente un sito per i Quaderni Viola
La straniera
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giovedì 1 aprile 2010
Una partigiana di nome Edera
Il primo aprile del 44, in via della Certosa, sei partigiani, catturati nella zona di Monterenzio grazie a una spiata, vengono fucilati dagli uomini della CAS (Compagnia autonoma speciale) di Renato Tartarotti. Sono Ettore Zaniboni, Egon Brass, Enrico Foscardi, Ferdinando Grilli, Attilio Diolaiti, Edera De Giovanni. Scrivono che la giovanissima Edera (era nata nel 24) è la prima eroina della Resistenza nel bolognese. Destinata con gli altri ad essere fucilata alla schiena, davanti al plotone di esecuzione si volta, in un gesto estremo di ribellione. Sembra che guardando i suoi assassini abbia detto: "Tremate. Anche una ragazza vi fa paura".
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