Si apre con una serie di domande quanto mai urgenti (Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa?) il documento di Smaschieramenti /Antagonismogay che invita tutt* ad un incontro-dibattito sul pinkwashing sabato prossimo, 10 novembre, alle ore 17.30 ad Atlantide (Piazza di Porta Santo Stefano 6 - Bologna). Condividiamo gli spunti di riflessione e l'urgenza di aprire un dibattito su questioni restate ancora troppo ai margini, ripubblicando anche qui il documento e auspicando non solo una larga partecipazione all'incontro ma che questo sia l'inizio di un percorso condiviso. Buona lettura e riflessioni // Perché il governo di Israele finanzia i festival lesbo-gay-trans-queer come Gender Bender? Hai mai sentito parlare di pinkwashing? Cosa succede quando i nostri diritti si prendono una sciacquata di rosa? Con una precisa strategia di politica culturale, Israele si promuove come paese lgbtiq friendly per ripulire la propria immagine internazionale, macchiata da sessant’anni di occupazione militare dei territori palestinesi e da gravissime violazioni dei diritti umani contro le/i palestinesi. Come evitare che la nostra identità e le nostre lotte vengano strumentalizzate, in Israele come in Europa? Il finanziamento e il sostegno da parte dello stato di Israele ai festival lesbo-gay-trans-queer in Europa e in Nord America fa parte di una strategia di marketing globale lanciata su larga scala dai ministeri del turismo e dell’interno israeliani a partire dal 2005. (cfr. Sara Schulzmann in un editoriale apparso sul New Yok Times nel 2011). Solo nel 2010 lo stato di Israele ha investito 90 milioni di dollari per promuovere film filo israeliani nei maggiori festival queer internazionali e per realizzare campagne pubblicitarie destinate a coppie gay occidentali dai 18 ai 35 anni, con lo scopo di promuovere il 'brand Israel' e trasformare il paese in una meta del turismo gay internazionale. I movimenti queer transnazionalii hanno chiamato questa strategia pinkwashing (=lavarsi nel rosa), in analogia con il 'greenwashing', operazione di copertura attuata da aziende altamente inquinanti per ripulire la propria immagine attraverso una qualche azione ambientalista. Lo scopo dichiarato di queste politiche, infatti, non è tanto accaparrarsi una fetta del turismo LGBT, ma piuttosto 'ripulire' l’immagine dello stato israeliano. Magnificando la 'pulsante vita gay di Tel Aviv, degna delle grandi capitali occidentali', il governo cerca di dare un’immagine democratica del paese, con lo scopo di contrastare lo sdegno crescente dell’opinione pubblica internazionale per la sistematica violazione dei più elementari diritti umani de* palestines* da parte di questo stato. Da più di sessant’anni, infatti, Israele occupa illegittimamente i territori palestinesi e mette in atto una strategia di segregazione della popolazione e di distruzione sistematica dell’economia e della società palestinese attraverso il muro dell’apartheid, la vessazione quotidiana dei controlli e dei checkpoint, l’impoverimento, gli omicidi 'mirati', i bombardamenti di civili e le ripetute invasioni militari. Il pinkwashing strumentalizza le conquiste e le lotte del movimento lgbtiq israeliano e proietta sui palestinesi un’immagine di sessisti/omofobi/incivili, negando l’esistenza stessa de* queer palestines* e delle loro associazioni; in questo modo il governo di Israele cerca di indebolire il sostegno alla causa palestinese sia a livello internazionale che fra gli/le cittadin* israelian*. In realtà, il pinkwashing finisce per rappresentare tutto il mondo arabo come omofobo, antidemocratico, barbaro e incivile. Questa rappresentazione, nei paesi occidentali, è servita a costruire il consenso intono alla 'Guerra al terrore', agli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, e intorno a politiche razziste contro i/le migranti (il cosiddetto 'omonazionalismo'). Jasbir Puar, in Terrorist assemblage. Homonationalism in queer times (2007), mostra come avviene l’assemblaggio del nemico, che dopo l’11 settembre e lo scatenarsi della 'guerra al terrore' ha preso le sembianze dell’arabo / musulmano / terrorista. Puar sottolinea come le politiche di pinkwashing si siano globalizzate e come il caso israeliano sia diventato un modello per l’emergere dell’omonazionalismo in Occidente. La lotta all’omofobia e per i diritti lgbitq viene così strumentalizzata e cooptata nella guerra antislamica, nelle politiche militariste e imperialiste, e nel razzismo interno generato da questo clima. In un recente articolo, Puar ci fa vedere come il pinkwashing e l’omonazionalismo non siano sostenuti solo dagli stati o dagli apparati di stato, ma anche da gruppi indipendenti, aziende o dalle stesse associazioni lgbtqi occidentali. In Italia, un caso emblematico è stato, nel 2005, l’appello contro la repressione dell’omosessualità in Iran, che ha portato a un presidio a Roma in cui esponenti gay nazionali affermavano che Israele andava difesa come baluardo di democrazia contro la barbarie islamista. In Gran Bretagna Peter Tatchell, storico esponente del gruppo Outrage!, ha più volte promosso appelli per porre fine alla persecuzione dei queer palestinesi, senza alcun contatto con le numerose realtà lgbitq palestinesi. Nel saggio Gay Imperialism Tatchell viene duramente criticato in quanto bianco occidentale gay che parla per conto de* queer migranti o colonizzati, vittimizzandol* e impedendo loro di prendere parola se non in quanto vittime dell’omofobia delle loro comunità d’origine. In un appello contro il pinkwashing i gruppi lgbtiq palestinesi Aswat, Helem, Al Quds, Palestinian Queer for BDS denunciano che l’omofobia esiste nella società palestinese come in tutte le altre società, e che non accettano di essere usati per screditare le ragioni del popolo palestinese, sottolineando che assieme all’omofobia subiscono anche l’embargo, l’apartheid, la distruzione sistematica e quotidiana portati avanti dal governo israeliano con la complicità della comunità internazionale. L’omonazionalismo e il pinkwashing ci chiamano in causa. L’idea che la vivibilità lgbitq di un paese si misuri solo in base ai diritti di cui godono gli/le omosessuali nativi moralmente ed economicamente rispettabili, o in base al grado di sviluppo raggiunto dai circuiti commerciali in cui ci è concesso di spendere i nostri soldi apre la strada alle strumentalizzazioni di Israele così come di qualunque altro stato, soggetto o partito. Bisogna allora rifiutare una visione spoliticizzata e isolata dei diritti lgbtiq. Siamo lesbiche, gay, trans, itersex, queer, e siamo allo stesso tempo lavoratrici, precarie, disoccupate, migranti… I nostri bisogni e i nostri desideri non si riducono al poter sposare una persona dello stesso sesso o al poter ballare – portafogli permettendo – in una discoteca ma si articolano con le altre dimensioni della nostra vita, si intrecciano con le lotte contro il machismo, contro lo sfruttamento e la precarietà del reddito, contro il razzismo, l’imperialismo e ogni altra forma di oppressione"//
Alcuni articoli e link utili:
Pinkwatching Istrael //
Madonna for palestinians //
Omo/transnazionalismo, pinkwashing, glbt di destra //
Politiche di pinkwashing e pratiche di resistenza//
Sulla censura di Gay Imperialism e Out the Place //
Nessun commento:
Posta un commento