Per chi è invece a Parigi segnaliamo che continua il seminario , Femmes, genre et mobilisations collectives en Afrique, iniziato ad ottobre. Il prossimo appuntamento è per giovedì 7 febbraio e sarà dedicato al tema delle mobilitazioni femminili nel fasi di pos-conflitto. Interverranno Andrea Kaufmann (Liberian women’s movements after civil war)e Antje Daniel (Women’s movements after post-elections violence in Kenya: recovering social and political spaces). Coordina Jules Falquet. Per il programma completo e ulteriori info rinvio al sito di Calenda
giovedì 31 gennaio 2013
Gender Studies a Bologna
Parte il prossimo lunedì, presso il Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Università di Bologna (via Azzo Gardino, 23) un corso di Gender Studies tenuto da Cristina Demaria, corso che "intende mettere gli studenti nelle condizioni di orientarsi nel settore di studi noto nel mondo anglosassone come Gender Studies, selezionando le riflessioni più interessanti per un confronto sia teorico sia applicativo con la disciplina semiotica". Il corso - che si terrà il lunedì(13-15), il mercoledi (15-17) e il giovedi (13-15) - sarà strutturato secondo "una modalità sperimentale che prevede un percorso di partecipazione attiva per gli studenti e le studentesse frequentanti. I contenuti saranno appresi in forma altamente interattiva. Dell'enorme e sconfinato campo dei Gender Studies, il corso cercherà inizialmente di chiarire, privilegiando una prospettiva sociosemiotica e di semiotica della cultura, alcune delle posizioni, delle teorie, degli atteggiamenti epistemologici e della categorie euristiche che negli ultimi trent'anni hanno attraversato e mutato il concetto stesso di genere nei suoi rapporti con altri concetti quali il sesso e la sessualità, la differenza e le differenze, il corpo, la soggettività e l'identità, la razza e l'etnia. Dopo questa prima parte introduttiva, il corso si concentrerà sulle immagini di genere e sul genere delle immagini, dunque sul rapporto tra rappresentazioni, immagini e desiderio, indagando non solo le rappresentazioni dei corpi femminili nei media (serie televisive, pubblicità, talk-show, ecc.), ma anche le immagini e i testi sincretici prodotti da registe, artiste e autrici attente a un'ottica di genere e, nello specifico, al rapporto tra immagini, memoria, post-memoria e ‘reale'. In questa seconda parte, si guarderà perciò anche ad esempi che provano a sovvertire gli stereotipi di genere, ma anche a “fare” teoria e ripensare l'identità e la memoria attraverso un tipo di pratica artistica che riflette su nuove possibili forme di identificazione, fruizione e, ovviamente, anche produzione di differenti soggettività sessuate". Testi/Bibliografia: Demaria, C. (2003), Teorie di genere. Femminismo, critica post-coloniale e semiotica, Milano, Bompiani.// Demaria, C. (2008), “Genere e soggetti sessuati. Le rappresentazioni del femminile”, in C. Demaria e S. Nergaard (a cura di), Studi culturali. Temi e prospettive a confronto, Milano, McGraw-Hill, pp. 147-186.// Giomi, E. (2012), “Da ‘Drive in' alla ‘Makeover Television'. Modelli femminili e di rapporto fra i sessi nella TV berlusconiana (e non)”, Studi culturali, 1, pp. 3-27. // Gribaldo, A. e Zapperi, G. (2012), Lo schermo del potere. Femminismo e regime della visibilità, Verona, Ombre Corte. // Marchetti, S., Mascat, J. E Perilli, V. (a cura di) (2012), Femministe a parole. Grovigli da districare, Roma, Ediesse.// Un calendario dettagliato del corso, comprensivo di letture di approfondimento, verrà fornito a tutti i frequentanti a inizio corso
mercoledì 30 gennaio 2013
Coretta Scott King
Coretta Scott King (27 aprile 1927 – 30 gennaio 2006), con Martin Luther King ed altre due attiviste nel febbraio 1966 ad Atlanta durante un picchetto di protesta per l'arresto di un militante per i diritti civili dei neri, Hector Black
martedì 29 gennaio 2013
Encyciclopedia of Afroeuropean Studies
Sabrina Marchetti, che ringrazio enormemente, mi segnala un'interessante iniziativa del gruppo di ricerca di Afroeurope@ns, ovvero la creazione di una Encyciclopedia of Afroeuropean Studies. Per completare il progetto, del resto già in corso, Afroeurope@ns lancia un call for contributions, per il completamento di quella che sarà la prima enciclopedia multimediale di questo tipo. La scadenza per l'invio è il 31 marzo 2013, quindi vi invitiamo a visitare il sito per maggiori info.
Parlare di razza. La lingua del colore tra Italia e Stati Uniti
E' stato da poco edito da Ombre Corte il volume Parlare di razza, la lingua del colore tra Italia e Stati Uniti, a cura di Tatiana Petrovich Njegosh e Anna Scacchi. Non ho ancora letto il libro, e dunque per intanto rinvio alla scheda sul sito dell'editore, e ad un'intervista - pubblicata su CorriereImmigrazione -, di Sergio Bontempelli a Giuseppe Faso, autore dell'introduzione al volume. En passant, osservo che la copertina di Parlare di razza, è una rielaborazione di Noire et Blanche di Man Ray, che solo qualche giorno fa aveva nuovamente attirato la nostra attenzione via una foto di Billie Holiday ...
domenica 27 gennaio 2013
Mixing Matters: Critical Intersectionalities / Cfp
The Centre for Ethnicity and Racism Studies (CERS) at the University of Leeds invites postgraduate research students to participate in a one-day symposium which will be held on 18 May 2013, Mixing Matters: Critical Intersectionalities, An Interdisciplinary Postgraduate Symposium on Critical Mixed Race Studies // The aim of this symposium is to explore and consider what constitutes Critical Mixed Race Studies as an emerging field of intellectual enquiry. Critical Mixed Race Studies (CMRS) is a rapidly growing body of scholarship and through the continued challenging of essentialized conceptions of 'race' and ethnicity, CMRS becomes an emerging paradigm for examining the politics of 'race', racism and representation. CMRS can be defined as "the transracial, transdisciplinary, and transnational critical analysis of the institutionalization of social, cultural, and political orders based on dominant conceptions of race. CMRS emphasizes the mutability of race and the porosity of racial boundaries in order to critique processes of racialization and social stratification based on race. CMRS addresses local and global systemic injustices rooted in systems of racialization". In this transnational, interdisciplinary symposium, we seek to explore these components through the lens of intersectionalities in individual experience, theorising and activism. This symposium is open to postgraduate researchers across a range of disciplines whose work is pertinent to and reflected within the broad field of Critical Mixed Race Studies. We invite papers that address this theme and hope to welcome national and international postgraduate research students from a wide range of disciplines // Deadline for proposals: 8th March 2013 // To submit a proposal, send a title and abstract (200-250 words) to the organizing committee, cmrs.symposium@leeds.ac.uk // Attendance at this conference is free; all other queries should be directed to the above address
venerdì 25 gennaio 2013
Roma zapruderiana
Questo fine settimana, a Roma, riunione di redazione di Zapruder. Rivista di storia della conflittualità sociale e riunione del Comitato di Coordinamento di Storie in movimento. Per odg, orari, luogo rinviamo al sito di Storie in Movimento. Ricordiamo che - se ovviamente il diritto di voto spetta solo a chi fa parte di redazione e cdc, entrambe le riunioni sono aperte a tutte/i le socie e i soci di Sim. Vi aspettiamo // L'immagine è il frame numero 371 del video girato da Abraham Zapruder con una cinepresa 8mm, il 22 novembre 1963 a Dallas, durante il corteo presidenziale in cui sarà ucciso John Fitzgerald Kennedy. Kennedy è stato appena colpito alla testa e frammenti del cervello finiscono sul cofano. Da qui, sembra, la reazione di sua moglie Jacqueline, che in preda allo shock, tenta di raccoglierli, arrampicandosi sul retro dell'auto ancora in corsa
CasaPound / Gli stupratori del terzo millennio
Dal sito del Nodo sociale antifascista, Staffetta: Ecco gli amici dei Massimiliano Mazzanti, dei Michele Facci … A Napoli, alcuni indagati nell’ambito dell’inchiesta su CasaPound progettavano di picchiare e stuprare una studentessa universitaria, in quanto ebrea e attivista di sinistra. Oltre alle aggressioni, ai pestaggi, agli attentati che hanno compiuto, i neofascisti napoletani pensavano anche di dare fuoco a un’oreficeria di proprietà di un ebreo. Ecco il fascismo del terzo millennio, uguale uguale alla cultura omicida del Ventennio: sessismo, razzismo, antisemitismo, barbarie, menzogna, volgarità
Noi, con Bartleby, preferiamo di no
Noi, con Bartleby, preferiamo di no, il comunicato di solidarietà di Storie in Movimento / Zapruder alle compagne e ai compagni di Bartleby: "Esprimiamo la nostra solidarietà alle compagne e ai compagni di Bartleby che ieri, 23 gennaio 2013, sono stati violentemente sgombrati dai locali che animavano da tempo in via San Petronio Vecchio a Bologna. In questi ultimi anni Storie in Movimento / Zapruder ha collaborato con Bartleby in tante iniziative - B.I.R.R.A. Bagarre Internazionale Riviste Alternative, presentazioni di numeri di Zapruder e, più recentemente, il seminario per la costruzione di un futuro numero della rivista sul tema della violenza politica. Esprimiamo inoltre preoccupazione per i materiali della Common Library rimasti murati all'interno della struttura. Tra questi materiali anche il Fondo Roversi, alla cui catalogazione abbiamo partecipato in questi ultimi mesi, un lavoro importante che questo sgombero pregiudica. Uno sgombero che ci appare un ulteriore segnale della politica adottata in questa città da istituzioni locali, amministrazione comunale e Università contro gli spazi autonomi di espressione, di produzione e condivisione di saperi. Noi, con Bartleby, preferiamo di no e siamo sicuri che non saranno pochi mattoni a fermarlo"
mercoledì 23 gennaio 2013
Made in Italy. identità in migrazione a Kespazio
Una serata di discussioni postocoloniali intorno a Made in Italy: identità in migrazione - il numero della rivista Zapruder curato da Andrea Brazzoduro, Enrica Capussotti e Sabrina Marchetti -, è l'iniziativa proposta per venerdì 25 gennaio 2013 da Kespazio! Per una ricerca queer e post-coloniale (a partire dalle 18 - Caffè Letterario @ Casa Internazionale Delle Donne - Via San Francesco di Sales 1a - Roma). Dall'introduzione del numero: «In che senso parlare di “made in Italy”?
Sappiamo che l’italianità è una costruzione storica. È il risultato di processi che hanno concorso a “fabbricare” gli italiani, uomini e donne. […] Guarderemo all’identità come a qualcosa di fluido, costitutivamente in movimento, superficie porosa a contatto con identità altre, le identità di un altrove in cui si arriva. In sostanza, la prospettiva non sarà quella di chi “sta”, ma di chi è in movimento e, in questo movimento, modifica le costruzioni identitarie che porta con sé e quelle che incontra. Un’identità in migrazione, quindi.» Presenteranno il proprio contributo al numero: Andrea Brazzoduro (redazione Zapruder), Michele Colucci (Cnr - Napoli), Sabrina Marchetti (EUI - Fiesole/Zapruder/kespazio), Daniele Malajoli (fotografo). Introduce Renata Pepicelli (Università di Bologna/kespazio). Proiezioni fotografiche e testimonianze audio-documentarie accompagneranno la presentazione
Hommage à Angela Davis
Anticipo di qualche giorno l'usuale omaggio di Marginalia ad Angela Davis in occasione del suo compleanno in modo che se qualcuna/o vuole aggiungersi ai festeggiamenti virtuali può farlo. Cliccando - a fondo pagina - sulla parola chiave "Angela Davis" potete accedere a tutto ciò che abbiamo pubblicato su di lei negli ultimi anni, buona lettura/ascolto/visione!
lunedì 21 gennaio 2013
Femministe a parole / Una recensione di Anna Curcio
Pubblichiamo con immenso piacere la bella recensione di Anna Curcio al volume Femministe a parole, La misura del mondo nel dizionario, pubblicata sabato scorso dal quotidiano Il Manifesto e ripresa sul sito di UniNomade con il titolo di Demolire la casa del padrone. Ringraziando l'autrice vi lasciamo alla lettura // «Gli strumenti del padrone non demoliranno mai la casa del padrone». Così scriveva Audre Lorde in un potente intervento pubblico dell'inizio degli anni Ottanta. Era in gioco lo statuto stesso del femminismo, con la sfida aperta che le militanti nere (e più complessivamente le «donne povere, nere, del terzo mondo e lesbiche» come la stessa Lorde aveva scritto) avevano lanciato contemporaneamente al patriarcato razzista imperante e all'universalismo del femminismo bianco eterosessuale di classe media che aveva fino a quel momento tirato le fila del dibattito. Si trattava, detto altrimenti, di ridefinire gli strumenti di una lotta che assumeva il linguaggio come campo di battaglia, imponendo la parola - fino a quel momento taciuta - delle donne nere.Ricalibrata nel presente, un'operazione per certi versi analoga può essere attribuita a Femministe a parole. Grovigli da districare (Ediesse 2012, p.363, 18 euro) a cura di Sabrina Marchetti, Jamila Mascat e Vincenza Perilli. Un mosaico ricco di spunti e suggestioni, immagini e narrazioni che sfida la dimensione normativa di un certo femminismo dominante in Italia e prova a ridefinire le coordinate del dibattito. Un'operazione a tratti riuscita, si potrebbe dire ad alcuni mesi dalla pubblicazione, visto che il volume osteggiato dal mainstream del femminismo italiano ha invece avuto ampia circolazione soprattutto tra giovani e giovanissime donne e uomini. Una lettura dunque attraente per tante e tanti che si accostano per la prima volta al dibattito femminista ma anche per chi è alla ricerca di uno sguardo femminista critico o più semplicemente di chiarimenti, spunti e nuove argomentazioni. Il volume porta allo scoperto diversi e molteplici femminismi. «Misurarsi con quelle parole e quegli argomenti su cui, per le femministe, pronunciarsi è diventato sempre più complicato» scrivono le curatrici nell'introduzione. Da qui un dizionario ragionato. Quarantanove i lemmi presenti: dai «classici» del dibattito femminista (Sesso/genere, Razza, Classe, Autodeterminazione, Differenza, Lesbica, Prostituzione, e poi Backlash, Bianchezza, Cittadinanza, Femminismo transnazionale, Intersezionalità, Anticolonialismo) a questioni di più cogente attualità (Biomedicina, Globalizzazione, Migranti e Generazioni migranti, Maternità surrogata, Modificazioni, Omonazionalismo, Postporno, Veline, Queer).Ma ci sono anche voci che sembrano spiazzare i canoni più tradizionali di un discorso ancora troppo ingessato intorno al tema della differenza sessuale: tra questi senz'altro il lemma Uomo. «Significante assoluto» dei dispositivi discorsivi, soprattutto occidentali, da decostruire per «smascherare» l'eteronormatività come oppressione delle minoranze sessuali e di genere.Femministe dunque che fanno i conti con le parole, con i rapporti di potere che queste implicano e producono e con lo spazio di resistenza e sovversione a cui danno forma. E proprio per questo femministe «nei fatti», non «a parole». Anzi l'ironia sottile nel titolo del volume è la misura della consapevolezza dell'uso «affatto neutro» e tutto politico del linguaggio e insieme la forma della violazione dei suoi dogmi e canoni. Più complessivamente, il volume raccoglie i contributi di un paio almeno di generazioni di femministe. Teoriche e militanti, per la gran parte precarie, spesso costrette a barcamenarsi - dentro e fuori l'accademia - tra la propria sensibilità femminista e l'ansia disciplinare delle università italiane. E se alcune voci sono forse eccessivamente compilative, altre risultano efficaci, di gradevole lettura, con uno sguardo dall'interno che assume (ed è questo un altro dei punti di forza del volume) il dibattito femminista nella sua dimensione transnazionale. Nell'insieme si tratta di un impegno chiaro, aperto e non riduttivo, a sistematizzare un dibattito tanto ricco quanto complesso e controverso. È un punto di vista di parte, situato e instabile, aperto al suo rovescio. In una parola «eccentrico»: queer. Dove il queer rimanda al suo significato originale e abietto come deviazione rispetto alla norma, oltre dunque la declinazione di generica trasgressione «alla moda» con cui ha spesso dovuto fare conti. Ma non c'è in questo ritorno all'origine nessun «mito esistenzialista dell'autenticità». Al contrario tutto il volume è attraversato dalla tensione costante alla messa in discussione dell'autentico. Per ognuno dei grovigli - termine che ritorna in molte delle voci proposte - non c'è ricerca di verità, esemplificazioni o ricette salvifiche; vengono invece individuati e discussi limiti e punti deboli, proponendo discorsi differenti e punti di vista contrastanti. Un testo senz'altro utile nel suo complesso. Unica avvertenza: la trama di lettura proposta rischia di rimanere disincarnata, sganciata dalla materialità dei rapporti di produzione che pur costituiscono i processi di soggettivazione e la creazione discorsiva con cui il volume si confronta. Il potere e lo sfruttamento; e poi il tema del lavoro, di quello cosiddetto produttivo e di quello riproduttivo, la loro sovrapposizione e articolazione nel capitalismo contemporaneo, le forme anomale e spurie che assume nella vita di tante e tanti di noi; la crisi e le lotte. Rimangono temi taciuti.
Eppure avrebbero offerto un contributo importante nel fabbricare gli strumenti per demolire la sempre più «stretta» casa del femminismo mainstream (Anna Curcio, La misura del mondo nel dizionario, Il Manifesto, 19 gennaio 2013)//
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Zapruder Bo ad Atlantide
Invitiamo tutte e tutti a partecipare alla prossima riunione del gruppo locale bolognese di Storie in Movimento, l'associazione che edita la rivista Zapruder. Insieme vorremmo discutere non solo delle future presentazioni e iniziative in cantiere ma anche di come continuare a far vivere uno spazio di espressione autonoma in sinergia con altre realtà con le quali condividiamo desideri e progettualità. Fedeli allo spirito nomadico che ci contraddistingue, dopo le ultime riunioni tenute a XM24 e Lortica, questa volta saremo ospiti di Atlandide (Porta S. Stefano, 6 - Bologna), un luogo animato da diversi collettivi e soggettività che vi invitiamo a sostenere firmando la petizione Atlantide deve vivere! Vi aspettiamo dunque mercoledì 23 gennaio 2013 alle ore 19 ad Atlantide// Odg: Programmazione prossime presentazioni Zapruder // Discussione future iniziative // Individuazione magazzino rivista // Varie ed eventuali //
Approcci post-coloniali e decoloniali negli studi di genere e femministi
Per chi è attualmente parigina/o, segnalo che oggi ha inizio, con una lezione di Eleni Varikas su Féminisme, émancipation, colonialité. Généalogies de la "mission civilisatrice", il seminario del Cedref Approches post-colonialeset décoloniales en études genre et féministes, a cura di Azadeh Kian, Dominique Fougeyrollas et Jules Falquet. Trovate il programma completo sul sito del Centre d’Enseignement, de Documentation et de Recherches pour les Etudes Féministes
domenica 20 gennaio 2013
Momenti di gloria
L'immagine è tratta da La dolce vita di Federico Fellini (1960), con i "paparazzi" all'arrivo di Sylvia-Anita Ekberg, un'immagine che mi è immediatamente balenata in mente durante un recente momento di gloria con le atlantidee e un gruppo di fotografi scatenati. Cosa non si fa per la causa ... (e per rilanciare ancora una volta, en passant, la petizione Atlantide deve vivere)
Violenza politica / Da Frantz Fanon ai movimenti afroamericani
Ricevo e volentieri pubblico la notizia di un dibattito che si terrà domani - lunedì 21 gennaio 2013 - sul tema Violenza politica da Fanon ai movimenti afroamericani, organizzata da Il Caso S, al cui sito rinvio per ulteriori info sull'incontro. Colgo l'occasione di questo breve post per rilanciare l'appello del Centro Frantz Fanon, a rischio chiusura
sabato 19 gennaio 2013
Noire et Blanche
Mi suggeriscono - per i/le prigri/e, credo - di pubblicare la foto di Man Ray alla quale facevo riferimento qualche giorno fa a proposito di una fotografia di Billie Holiday (di cui non sono ancora riuscita a sapere nulla): Man Ray, Noire et Blanche (1926).
Femministe a parole / Una recensione di Cristina Morini
Sul sito di Uninomade è stata pubblicata ieri, con il titolo di Parola di donne, una recensione di Cristina Morini - che ringraziamo per i tanti spunti di riflessione - al nostro volume Femministe a parole. Grovigli da districare. La ripubblichiamo anche qui sperando possa contribuire al dibattito in corso. Buona lettura! // Le parole per dirlo di Marie Cardinal, cioè il coraggio di ammettere finalmente la nevrosi femminile generata dalla solitudine e dall’ipocrisia di un interno borghese, sono diventate, nel 2002, Le parole per farlo in un libro curato da Adriana Nannicini, espressione del lavoro femminilizzato e relazionale che si dispiega all’esterno, sfruttando sopra ogni cosa proprio il linguaggio e dichiarando la generalizzazione della precarietà. Il rapporto delle donne con la “parola” e la “realtà”, entrambe plasmate dal potere maschile, è questione spinosa per non dire chiaramente di un’antinomia che il femminismo degli esordi denuncia ricorrendo alla pratica dell’autocoscienza come sblocco politico possibile: la parola scritta e il suo “valore mitico” oppure la scoperta di sé e il confronto con le altre, l’esperienza o la “cultura”? Il femminismo ha mantenuto sempre, anche in ambito teorico, una particolare attenzione al linguaggio – inteso come luogo che produce le cose che nomina – ma la domanda risulta particolarmente interessante in tempi di general intellect, nel meccanismo algoritmico della produzione e della diffusione della conoscenza attraverso i processi di cooperazione inseparabili dalla soggettività, nel disfarsi dei collegamenti immediati tra composizione tecnica e composizione politica connessi alla precarizzazione che fuorvia anche il concetto di classe, laddove entrano in crisi i dispositivi di divisione del lavoro e di divisione sessuale del lavoro. Un processo che potrebbe aprire prospettive inedite, ampiamente ricompositrici, pur all’interno della frammentazione non casualmente imposta dalla precarietà, riassumendo la potenza della soggettività in quell’“unica materia del mondo” evocata da Daniela Pellegrini (Una donna di troppo. Storia di una vita politica singolare, Franco Angeli, 2012). Infatti, nel saldarsi delle categorie di produzione e riproduzione, la soggettività attuale potenzialmente saprebbe, in modo inedito, autonomizzarsi dal potere, forse con ciò liberandosi, tra le altre cose, anche della storica dicotomia tra espressione di sé e “cultura” del cui amaro contrassegno patriarcale è stato consapevole il femminismo più stimolante e radicale. Così, la prima cosa che immediatamente attrae in un libro che s’intitola Femministe a parole. Grovigli da districare (Ediesse, 2012, pag. 363) è lo spingersi ad affermare adesso, rivendicando l’atto in modo il più possibile ampio e imponente, la forza della parola e del sapere delle donne nel mondo benché sempre al di fuori di ogni lusinga mainstream (tradotto: bianca, moderata, rigorosamente eterosessuale). Una parola che non sia ideologica, ovvero corrotta dalle tentazioni di un potere che finisce solo per rassicurare e confermare il potere stesso, ma che ricostruisca, voce dopo voce, la risonanza della produzione di pensiero delle donne, pensiero sovversivo rispetto ai dispositivi normanti e di comando sulla vita. Una parola che metta in crisi, definitivamente, ogni dominio annichilente perché è incompatibile con esso, e contemporaneamente non pretenda di dare risposte definitive. Una parola che non si dichiari salvifica, poiché non intende proteggere alcuno indicando la strada del futuro tra le macerie, ma che si proponga di disfare l’impianto esistente, tirando il colpo necessario con tutta la necessaria energia. Un lessico, dunque, un dizionario ragionato di parole femministe per tutte e per tutti, di cui tutte e tutti avevamo bisogno. Nell’introduzione, le curatrici, Sabrina Marchetti, Jamila M. H. Mascat e Vincenza Perilli, scrivono: “L’ironia sottesa al titolo del volume è un’ironia che rivendica e sottolinea la nostra esigenza, in quanto femministe, di fare i conti con le parole che usiamo e come le usiamo e con quelle che non usiamo e perché lo facciamo. La lezione che il femminismo insegna, infatti, è che il linguaggio non è affatto neutro ma riflette rapporti di dominazione che le parole, a loro volta, possono contribuire a riprodurre e a consolidare” (pag. 13). Il richiamo della prefazione a come i “soggetti assoggettati” abbiano costantemente sentito il bisogno di “condurre battaglie contro e dentro il linguaggio, rimuovendo alcune parole o inventandone di nuove” (pag.14), ha fatto scattare un’assonanza: “lo spazio della donna sarebbe tra questi due poli: tra il silenzio (la mancanza di simbolo) e la parola paterna, la Legge e il Valore” (Carla Lonzi, 1977). La contraddizione si risolse a quei tempi ponendosi al di fuori di ogni parlare che fosse interno a una formulazione maschile, rifiutando un riconoscimento pagato al prezzo di costruirsi sull’immagine voluta dall’uomo. Oggi, ricordando con bell hoock come la lingua sia anche “un luogo di lotta”, le 44 autrici che hanno affrontato i lemmi proposti nel testo hanno voluto mettere in risalto l’aggrovigliamento del tema trattato “con la consapevolezza che se la stanza tutta per se forse è diventata una certezza appena se ne esce fuori per le femministe cominciano i rompicapi” (pag. 12). Tuttavia gli oppressi lottano anche con la lingua per riprendere possesso di se stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. E cioè, “le nostre parole significano, sono azione, resistenza”. Scrittura antagonistica, non asservita, una forma di esercizio del conflitto di cui, tra l’altro, non tutti comprendono e riconoscono la sofferenza e la fatica.
Ma c’è di più. Osserviamo bene i dispositivi attuali di esclusione dalla polis: essi sono senz’altro spietati nei confronti delle/degli “stranieri”, migranti “illegali” che forzano i muri delle fortezze occidentali ma sono viceversa, sempre più spesso, diventati sistemi di inclusione forzata/cercata per le donne native. A quarant’anni dalla rivoluzione femminista, non possiamo più tratteggiare un conflitto lineare fra “le” donne e lo spazio pubblico: non abbiamo affatto di fronte solo un’uniforme voglia di estraneità, non oppressioni né tanto meno diseguaglianze omogenee ma ancora più ampie varietà e stratificazioni che in passato. Ci confrontiamo con un nuovo desiderio di assimilazione e con un sconosciuto bisogno delle donne di essere viste, proprio dentro i luoghi istituzionali. Non c’entra direttamente con il libro e non è scopo di queste note entrare nello specifico di una bagarre sulle delizie e le miserie della rappresentanza femminile sulla quale molte opinioni verranno spese da qui alla attesa elezione di un 40% di parlamentari donne: questa discussione è stata già fatta e non riesce ad appassionarmi veramente (si vedano su questo sito gli articoli “Femminismo prêt à porter” e “Se il femminismo è un brand”). Certo, essa fa parte di insolite complicanze e di sconosciute torsioni, di conformismi e “chiamate” ieri impensabili (l’immagine e la figura della velina, per esempio, trattate nel libro da Alessandra Gribaldo e Giovanna Zapperi). Mentre si scaricano vecchie zavorre (“Famiglie. Affettività non tradizionali”, lemma di Gaia Giuliani), si manifesta una neonata ma robusta tensione di una parte delle donne verso nuovi incarichi formalizzati e stabiliti dallo stato e dalle sue deformi strutture, nel bel mezzo della crisi più estrema della politica contemporanea tradizionale e proprio mentre parti dei movimenti europei si confrontano con la necessità di aprire processi costituenti. Un gesto, piaccia o meno, con il quale bisognerà fare i conti, qualcosa ci ha già detto, qualcosa ci dirà. Forse ennesimo accoglimento del ruolo tutelare del femminile, che tanta parte ha avuto nelle nostre culture: capaci, già nei miti antichi, di dissipare le tenebre e il male, riusciranno oggi le donne nel prodigio di vitalizzare la moribonda politica italiana? Forse, più prosaicamente, solo specchio inclemente delle nostre precarietà a cui non sappiamo trovare soluzioni: l’assenza di una radicale trasformazione sociale ci mette sempre più gravemente di fronte al problema del denaro e del tempo – e non è certo la prima volta che accade. La donna, “eterna ironia della comunità”: è stata, anche in questo caso, Carla Lonzi a rimarcare che già Hegel (sul quale consigliava di sputare) aveva capito come “l’arguzia della ragione” sarebbe stata in grado di rendere funzionale alla società patriarcale l’indistinto moto di dissidenza femminile (1970). Tuttavia, aggiungeremo noi, le donne non sono le sole custodi della cosiddetta “eccedenza”, consacrate, come le sante, a un voto di marginalità e povertà mentre tutti i “compagni” del mondo si possono misurare con le maschie contraddizioni della rappresentanza, comunque vada tra minori scandali, nausee e clamori. Questo per dire, tornando al tema, che le cose cambiano. Che cosa significano certi spostamenti? Come potremo interpretarli e con quali strumenti? Quali sono i femminismi oltre il nostro orizzonte provinciale, quante le posizioni sui vari temi? Soprattutto, quali le donne e quali le cose che vogliono? Quali i sessi, che cosa i generi? E infine, anche: chi è questo Lui, “significante assoluto del soggetto sociale pieno e libero rispetto al quale gli/le altri/i sono minoranze”, e cioè “l’Uomo” (“Uomo. Smascherare il maschile” del Laboratorio Smaschieramenti)?
Per questi motivi e altri ancora sui quali non mi dilungo, la condivisione di un lessico, la proposta di un bagaglio di parole-frasi che fungano da strumentazione dei femminismi contemporanei è fondamentale. Essa può essere non solo utile ma propedeutica a un ripensamento critico, qui e ora, delle nuove contraddizioni e problematiche che incontra sulla sua strada il soggetto sessuato, incarnato, situato, ancorato all’oggi. Certamente contro la concezione dell’universalismo astratto incardinata sull’individuo neutro (maschio) ma senz’altro dentro la necessità di una nuova modulazione e di un aggiornamento delle nostre categorie interpretative per accompagnare nuove battaglie. Le donne, dunque, completamente interne a tutti i processi, con le parole e i rischi di nuove soggezioni, fuori da ogni logica identitaria, tenendo conto di diversi luoghi e diverse condizioni, intendendo la pratica del posizionamento come modo di “interrogare e decostruire il privilegio della bianche” della classe media e ponendo molta attenzione a sogni di alleanza globale tra donne basati “sulla convinzione essenzialista che tutte le donne del mondo condividano una comune esperienza ‘in quanto donne’” (“Femminismo transazionale” di Elisabetta Pesole). Figure di un’antropologia sessuata di una nuova politica forse non più fallogocentrica e non più imprigionata nelle sue tradizionali antinomie ma che debbono rendersi consapevoli di inedite opposizioni e complessità, di inconsueti sistemi di cattura. I temi affrontati nelle voci proposte da questo testo sono importanti e rendono conto della produzione teorica delle donne che insieme animano il dibattito politico sul vivere contemporaneo, sui suoi recessi e sulle sue increspature, dentro un caleidoscopio di posizioni diverse che fa plurali i femminismi. All’interno di queste prospettive, il punto di vista femminista può rappresentare una chiave di lettura fondamentale, da rivisitare o da scoprire, a seconda che la lettrice o il lettore siano più o meno vicini o lontani dalla materia. Quindi, il testo si pone anche semplicemente come una raccolta di voci per approfondire, per conoscere, per capire meglio e di più. Effettivamente, si tratta di districare i grovigli, come dicono le curatrici, “senza eliminare le tensioni e i conflitti che ne sono all’origine e che sono parte del dna del femminismo”. La lezione biopolitica del femminismo, che ha consentito di comprendere alcuni nodi cruciali con grande anticipo rispetto alle modificazioni bioeconomiche che ci pone chiaramente di fronte il presente, ci ricorda che gli strumenti di indagine “a partire da sé”, vanno intesi come un concreto procedimento politico, come “pratica sperimentale della politica” che punta alla rivoluzione del mondo che conosciamo attraverso instancabili tentativi che possono muovere solo da ciò che conosciamo. Voglio qui ricordare quanto scritto – ed è esattamente così che io credo si debba procedere tutti, da qui in poi – da Judith Revel alla voce “Sperimentazione” per il Dictionnaire politique à l’usage des gouvernés: “La sperimentazione è precisamente la questione del campo attuale dei possibili. Ben lontana dall’utopia – che non lavora all’interno del “già-dato” delle cose presenti – essa tenta la scommessa al contempo dell’analisi di ciò che è, e della sua trasformazione radicale. Non si tratta né di ridursi alla mera registrazione delle necessità di un mondo subìto né di sognare un altro mondo, bensì di cambiare questo mondo qui. (…) Un’attitudine nei confronti del mondo che fa di ciascuno di noi colui che allo stesso tempo diagnostica la propria situazione e cartografa le proprie determinazioni, e colui che inventa una differenza possibile (Dictionnaire politique à l’usage des gouvernés, a cura di F. Brugère a G. le Blanc, Bayard, Paris, 2012. Vedi http://www.uninomade.org/sperimentazione/).
Saperi situati e voci per il nuovo mondo. I saperi a cui attingere per ri-trovare le parole per cambiare questo mondo, quelli a cui personalmente penso, in linea con il contesto del biocapitalismo cognitivo-relazionale che richiamavo frettolosamente in attacco, attengono dunque direttamente al soggetto, fattosi autonomo anche rispetto alle fabbriche del sapere, ai templi sfatti della conoscenza accademica, vuotamente arroccata su se stessa. A questi nuovi saperi non meramente libreschi e a un’autorevolezza che non ha più tutto questo bisogno – si è, appunto, almeno parzialmente, autonomizzata – dei filtri delle istituzioni storicamente deputate (università, giornali…) è necessario guardare per trovare il nuovo. La fase è faticosa, complessa, rischiosa e oggi, con la crisi economica e finanziaria, perfino disgraziata, ma il campo è anche più libero da certi fardelli: i partiti, i sindacati, i sessi, le separazioni tra il bene e il male o il privato e il pubblico sono in grande difficoltà. Addio a tutti voi, mai ci siamo amati. Dunque, evidentemente, questo contesto cambiato ci può consentire di imprimere un andamento diverso, giocando una funzione pienamente d’attacco ora che la materia stessa della produzione è la riproduzione sociale ed ora che anche la classe è più difficile da individuare. Un’occasione che, lungi dall’intendersi come una sciagura, può essere vista come una nuova possibilità di collegamento tra gruppi sociali, categorie, generi, nel fordismo comunque sclerotizzati improduttivamente da separazioni. Bisogna rompere con una soffocante identità ideologica tra donne che impedisce ogni emersione di coscienza critica distinta e che naturalizza le forme specifiche di “violenza razzista e di classe delle società europee” (si vedano le voci “Serva&Padrona” di Sabrina Marchetti e “Velate e svelate” di Chiara Bonfiglioli), ma nello stesso tempo evitare di ritenere che, per la prima volta nella storia, la precarietà ci abbia messe di fronte alla difficoltà delle frammentazioni. Perciò, interrogarsi insieme alle altre, scandagliando i labirinti di termini come colore, noir, bianchezza, razza, migranti, femminismo islamico, femminismo postcoloniale. Essi vengono assunti come parte integrante del bagaglio terminologico della cultura femminista contemporanea. “Subalterna” il lemma preso in carico da Angela D’Ottavio parte dal famoso saggio di Gayatri Chakravorty Spivak Can the subaltern speack? per inserire il tema della subalternità all’interno delle trasformazioni del capitalismo globale contemporaneo, sottolineando come sia necessario prestare attenzione a non abusare del termine per riferirsi a qualsiasi forma di subordinazione, quasi si andasse disperatamente alla ricerca del buon selvaggio a cui fare del bene. Istaurare invece una linea di comunicazione, una agency che può “far cominciare il lungo cammino verso l’egemonia”, spogliandosi da ogni eurocentrismo benevolente per creare le condizioni “perché la resistenza possa essere riconosciuta come tale”. Si tratta cioè di tenerci al riparo da ogni stucchevole relativismo, essendo tuttavia consapevoli delle possibili interrelazioni tra razza e genere, intese nei termini di una congiunta vigilanza critica sulle forme assunte dal capitalismo contemporaneo. Non a caso abbiamo ritenuto necessario mettere queste nozioni al centro del seminario di UniNomade del giugno scorso, a Napoli: “Oggi, il processo di razzializzazione deve essere considerato come parte costitutiva di un più largo esempio di governance locale postcoloniale orientata alla gestione delle principali trasformazioni politiche ed economiche degli ultimi vent’anni (la così detta transizione dal fordismo al postfordismo). Si tratta della riorganizzazione dell’intero tessuto sociale come esito dei processi di globalizzazione, delle ormai inarrestabili migrazioni e dell’irriducibile mobilità del lavoro. Ma anche come effetto delle lotte anticoloniali e delle enunciazioni del femminismo che hanno rimodellato il mercato del lavoro e le relazioni sociali dal 1970 in avanti” (Anna Curcio e Miguel Mellino, estratti da Race at Work. Rise and Challenge of Italian Racism, in Darkmatter Journal, 6, 2010, trad. it. http://www.uninomade.org/note-su-razzismo-e-antirazzismo/). Altri nodi, nel testo, si avviluppano intorno ai termini “Queer” (“Un soggetto senza identità?”, di Monica Pietrangeli) e “Postporno” (“Quel porno che non è un porno” di Rachele Borghi). Nel primo caso, ammettendo che ricostruire l’origine – da Teresa de Lauretis a Judith Butler a Preciado – di una parola pressoché intraducibile e che “trae un certo vantaggio dal mantenersi al di sotto della soglia dell’intellegibile”, è la perfetta figurazione lessicale della soggettività contemporanea, rizomatica, scomposta e composita, nell’esplosione della categoria di donna e nella proliferazione di varie categorie di genere. Nel secondo, descrivendo un fenomeno fluido, che rifiuta etichette e che rimette al centro il corpo e il suo desiderio e il suo piacere contro la (dis)erotizzazione mercificata imposta dal capitale, che mi pare l’aspetto più interessante da rimarcare. Performer di cultura postporno che fanno riferimento alla queer theory nel suo insieme che diventano veri e propri manifesti “di un femminismo dissidente tran-genere”. E così il lemma “Sesso e genere”, scritto da Liliana Ellena e Vincenza Perilli serve per dipanare i fili di una matassa particolarmente difficile da sbrogliare laddove, paradossalmente, la parola genere (da gender la cui traduzione nelle lingue romanze pone problemi e rischia slittamenti di significato), “nel linguaggio comune e nel dibattito culturale – inteso in maniera semplificatoria come ciò che attiene al sociale in contrapposizione alla sfera biologica rappresentata dal sesso – corre il rischio di reintrodurre quei presupposti naturalizzanti contro i quali aveva preso le mosse”. Beatrice Busi ci porta via con sé a visitare la “geografia degli organi senza corpo ritagliata dal dispositivo etero-normativo, il cui funzionamento richiede una rigida separazione tra maschile e femminile e i genitali rivestono il ruolo di significante socio-sessuale per eccellenza” e siamo alla voce “Modificazioni. MGF, trans e inter-sex”: “La sostituzione di un modello binario con un modello polimorfico del sesso e del genere non può di per sé assicurare la fine della violenza e delle discriminazioni” ma almeno assicurerebbe lo sforzo di una ginnastica mentale collettiva verso la legittimazione dell’“Altro”. Insomma, anche qui, un nucleo combinato di parole che ci inserisce nel solco tracciato dal “terzo femminismo” di Beatriz Preciado, “aprendo definitivamente la strada al transfemminismo, un femminismo trasversale al sesso e al genere che legittima l’esistenza di identità fluide caratteristiche delle società post identitarie in cui le nostre alleanze più prossime debbono essere transgeniche, transessuali, anticoloniali. Queste sono le nostre alleanze, questo è il luogo del femminismo oggi” (Rachele Borghi). Siamo arrivate alla fine. Dopo questa traversata sinceramente entusiasta tra le parole, non posso evitare dal fare un appunto al libro: mancano alcune voci, per esempio “precarietà”, nell’evoluzione/involuzione della figura della donna(uomo)-impresa-precaria e della precarietà di seconda o addirittura di terza generazione; avrei voluto leggere qualcosa su welfare del comune e reddito di base dal punto di vista delle donne, analisi che ha alle spalle una autorevole tradizione italiana, a partire da Lotta Femminista. Proprio per reagire alla normalizzazione complessiva del pensiero all’interno della quale anche il femminismo tende a diventare un’opzione puramente culturale, dentro un meccanismo di integrazione che ha oscurato, invisibilizzato e addomesticato l’elaborazione più radicale dei movimenti italiani delle donne, sarebbe stato soprattutto fruttuoso ricostruire-decostruire l’origine e gli effetti del termine “lavoro”, attualizzando – a partire da ciò che una parte del femminismo ha già detto – la sempre più assurda asimmetria concettuale “lavoro-non lavoro” che è forse quella che maggiormente avrebbe la necessità di essere rivisitata, setacciata e messa a critica. La scomposizione della soggettività è anche il frutto dell’inesorabile e problematica crisi dell’istituto sociale del lavoro, la retorica lavorista – che vogliamo respingere – ci ha agganciate solo di recente, guarda caso nel momento in cui il lavoro perde di significato da un punto di vista simbolico e del valore, e guarda caso mentre ne guadagna la riproduzione sociale contemporanea, ovvero un più ampio processo produttivo che ha a che vedere anche con la traduzione delle esistenze in forme di gestione e di controllo, ovvero con la produzione di ideologie e di consenso, di stili di vita, di riti, di norme comportamentali. Queste sono, a mio avviso, le parole che ci autorizzano di fare i ragionamenti con i quali ho aperto la mia lettura, ovvero quelle che consentono di sviscerare il cambio di paradigma e dunque di circoscrivere il quadro nel quale vanno inserite le lotte e i conflitti delle soggettività plurali al sistema del biocapitalismo totale, ciò che collega i grovigli e complica le complessità, rendendole possibili e visibili. Pur ammettendo che non esistono più gli scenari granitici e le spiegazioni univoche e definitive, ciò che stiamo evocando potrebbe anche essere definito biopolitica, con i suoi quadri di prescrittività sociale e di appropriazione del vivente: è la società vampirizzata e tradotta in mercato, dove si inducono le condizioni perché l’intreccio degli scambi non venga mai indirizzato a un bene collettivo. Dispositivo di biopolitica che coordina sottilmente la competizione tra interessi individuali, interiorizzati e diversi. Dispositivo di infelicità, presentismo che dà ansia. Che genera depressione perché avvilisce l’essenza della cooperazione (comunanza), esigendo di sussumerla e traducendola in valore di scambio. Ma che, d’altro lato, produce eccedenza, un meccanismo di enorme importanza per l’esistenza, rivincita della vita sulle forme di produzione finalizzate al profitto, trasformazione dei piani della produzione e della riproduzione sociale stessa. Eccedenza che intendiamo come capacità critica e di produzione di pensiero autonomo, di produzione di materiali improduttivi rispetto al criterio di “produttività” funzionale al profitto. Dunque proprio questa consapevolezza “materiale” dei processi in atto va posta al centro: oggi più che mai essa è il cuore di ogni capacità di presa di posizione responsabile e di sottrazione alle programmazioni sociali o ideologiche nelle quali siamo tutte e tutti inseriti.
Un filo rosso che già emerge, a tratti, sia chiaro, dalle matasse proposte dal testo ma che, a mio parere, sarebbe stato particolarmente interessante indicare. Nominare apertamente, appunto //
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giovedì 17 gennaio 2013
Appello del Centro Frantz Fanon
Il Centro Franz Fanon, a nome del suo responsabile, Roberto Beneduce - tra l'altro curatore del volume Decolonizzare la follia -, lancia un appello per scongiurare il rischio di chiusura del centro - che da anni accoglie immigrati/e, rifugiati/e, vittime di violenza e tortura, nomadi e
richiedenti asilo che, in ragione di motivi di disagio psicologico,
esprimono una domanda di ascolto, di counselling o di psicoterapia -, in seguito alla cessazione della convenzione per l'uso dei locali dell'Asl To 1
martedì 15 gennaio 2013
La nave delle cicale operose / Un romanzo di Anna Santoro
Approfitto della presentazione che si terrà domani al CentroDonna di Livorno, per una breve nota su di un romanzo che ho amato fin dal titolo, quando l'autrice - con la quale mi scuso se ne parlo solo ora - me ne ha fatto dono, oramai molto mesi fa. Mi riferisco a La nave delle cicale operose di Anna Santoro, un libro che, come scrive Patrizia Melluso in una recensione pubblicata da Il paese delle donne, è una "narrazione corale". In un arco temporale che va dalla Napoli degli anni Trenta del Novecento, con l’avvento delle leggi razziali, fino al "rinascimento" napoletano dell’era Bassolino e l’11 settembre, passando per gli anni Settanta tra femminismo e lotte per la casa -,il romanzo si pone "tra Storia e visione soggettiva della storia" (facendo un po’ pensare ad altre narrazioni, Melluso cita Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez, La Storia di Elsa Morante, e il film di Ettore Scola C’eravamo tanto amati), offrendoci personaggi indimenticabili - Rino, Mena, Giovanna, Mita ... -, tante cicale operose, ovvero persone che (come si legge nella quarta di copertina del libro), "amano la vita e l'impegno di costruirla, prive della vocazione al comando propria delle distruttive formiche"
Billie Holiday après Man Ray
Mi sono imbattuta casualmente - ero alla ricerca di alcune immagini per un workshop che terrò a febbraio - in questa foto di Billie Holiday, bellissima. Impossibile non pensare a Noire et Blanche di Man Ray (1926), ma è un'associazione "stridente". Vorrei buttarmici a capofitto (la mia insaziabile "curiosità" ... sapere almeno data, autore/autrice, circostanze) ma per intanto non posso. Agogno giornate interminabili ed energie inesauribili. Se qualcuno/a passando di qua resta folgorata/o da questa foto e magari ci scrive un libro prometta almeno di inviarmene una copia .
Il femminismo degli anni 70 a Genova / Un commento
Ricevo da Paola De Ferrari, che ringrazio ancora, un commento "collettivo" alla mia breve nota sul video-documentario Donne in movimento.Il femminismo a Genova negli anni 70. Un commento che a me ha offerto ulteriori spunti di riflessione su quanto sia sempre prezioso il confronto di fronte alla difficoltà - determinata anche da diversi posizionamenti e diverse collocazioni, anche geografiche e/o generazionali - di trasmettere "memoria" e "recepirla". Tornerò probabilmente, con più calma, su alcuni punti di questo lungo commento, ma intanto grazie ancora a Paola e a tutte/i coloro che hanno contribuito alla scrittura di questo commento collettivo. Buona lettura e riflessioni a tutte/i, e se ne avete il tempo ... condividete! // Cara Vi, grazie della recensione. Sempre preziosa anche nella critica, che ci da il modo di chiarire meglio il nostro intento. Ho provato a postare sul tuo blog, ma probabilmente il testo è troppo lungo e non è stato accettato, quindi te lo mando via mail, se riesci a farglielo "digerire" tu... Poiché il video è stato un lavoro di un collettivo di produzione cercherò di dare una risposta che dia conto dei pensieri di alcuni altr* coinvolti, ognuno con le sue sfumature differenti. Continuità e discontinuità, la manifestazione indetta da SNOQ del 13 febbraio. Come premessa direi, e diciamo nel video che il pensiero e la pratica femminista, dai Settanta in poi, continuano in modalità diverse, attraverso ben tre decenni e fino ad oggi Di tutti i pensieri e parole, e di tante manifestazioni importanti che hanno segnato il percorso, non è stato possibile dare conto con questo video ( sarebbe stato un altro anzi vari altri video! ). Inoltre, abbiamo messo in scena soprattutto degli elementi per una storia locale. Solo facendo approfondimenti locali si potrà poi scrivere la storia "generale" di questi anni...e vedere ciò che effettivamente è stato un evento condiviso, non necessariamente privo di ombre o ambiguità. Tu citi la manifestazione del 2007. Io non vi ho partecipato, solo seguita in parte via web, ma non la posso annoverare come un evento che a livello locale abbia significato un "prima" e un "dopo". Sicuramente altre donne genovesi vi avranno preso parte, ma non emerge dalle interviste fatte che sono tante, ma certo non "tutte". Non è un campione rappresentativo di alcunché. Sono donne che raccontano e si raccontano. Quindi, perché citare la manifestazione del 13 febbraio? Secondo me la manifestazione del 13 febbraio ha rappresentato, per Genova e dintorni, un evento, una scansione nell'immaginario di tantissime e tantissimi. Non solo donne con percorsi femministi e/o politicizzati, ma un vero evento di popolo, dove c'erano decine di migliaia di persone come non era più successo da molti anni, anche gente che per la prima volta metteva piede in una manifestazione. Nel video se ne vede un piccolo scorcio... Questo "è " un fatto, di cui tenere conto. Una grossa crepa, o forse un coperchio saltato, nell'affabulazione mediatica del regime patriarcal/capitalistico, il quale però ha riscosso vasti consensi per due decenni. Un evento che metteva a tema, con un effetto di ribaltamento, soprattutto, "il femminile", le donne in corpi e anime, uno dei pilastri del tragico incantamento fin dai primi tempi del regime berlusconiano. E perciò c'erano tante cose anche in contraddizione tra loro. L'obnubilamento durato venti anni, l'inquinamento molecolare non si scioglie in chiarezza e rigore in un momento... Sicuramente c'era un aspetto di ambivalenza anche in alcuni testi di convocazione (anche se io non mi ricordo una accentuazione così destroide di parole come religione e nazione!) ma forse valgono anche delle differenze locali. Dice Francesca Dagnino, del collettivo di redazione: "Dentro la manifestazione dell13 febbraio (a Genova bella, festosa con la modalità un po' incasinata delle nostre manifestazioni femministe dei nostri anni) c'erano molte cose, ma, mi pare, soprattutto, la voglia di esserci, ancora, di nuovo. Ho discusso animatamente con un gruppo di giovani donne che inalberavano il cartello "Non si tratta di femminismo, ma di dignità" sostenendo che era la stessa cosa. Ho sorriso complice al gruppo che urlava contro il patriarcato, ho guardato incuriosita e partecipe quello che mi circondava. Dico io: C'erano anche gruppi di ragazze più organizzati, che gridavano "le donne del passato...ce l'hanno insegnato...la nostra è una lotta contro il patriarcato" e altri slogano più tosti. Al che, rivedendoli, abbiamo riso, un riso un po' amarognolo...eccoci sistemate, noi "donne del passato"! ma anche questo è un "fatto" di cui tenere conto... c'è un segno di discontinuità, una voglia di dirsi in prima persona, per queste giovani. Non è ovvio? e poi, si discute, e si è discusso per mesi e mesi. E tutt'ora. Dice Gianfranco Pangrazio, regista: "Le sfumature presenti in quella manifestazione andavano ben aldilà del bigottismo anti-mignotte che, personalmente aborro, come la stragrande maggioranza delle protagoniste del video. Tuttavia è vero che il prosieguo di quel movimento è stato assai deludente. Ma forse questo è oggi un problema di qualsiasi movimento e non solo quello di SNOQ. E qui il discorso si fa lungo e complesso. Tornando al video non mi sembra che si sia voluto dare a quelle immagini un particolare significato simbolico rispetto al resto. Tant'è che il video non si conclude affatto con quelle immagini. Ma con i volti delle protagoniste, incluso quello della giovane autrice del testo che ha liberamente ispirato la sceneggiatura. Tutte in campo nel ricercare una strada per ridare dignità alla politica e alle loro rivendicazioni. E resistere agli anni di piombo che il pensiero unico ha imposto".C'entra quell'evento con il femminismo dei Settanta? penso di sì. Proprio ritornando a quegli anni, leggendo una marea di documenti, riguardando le foto, si sono squadernate sotto i nostri occhi le mille e mille facce e differenze che aveva il movimento - E sarebbe troppo lungo citarle. I tanti anni passati hanno offuscato le asperrime discussioni di una volta, autocoscienza, intervento esterno, legge sull'aborto, depenalizzazione, legge sulla violenza, si, no, rapporti con i partiti e/o gruppi politici e così via.Ma poi, come ritorna più volte nel ricordo delle intervistate, c'erano le "maree di donne nelle strade" e" ci sembrava di conoscerci tutte...", e la forza che esprimevano "quelle grandi manifestazioni..."questo ha segnato in modo indelebile l'immaginario sul femminismo dei Settanta. Si riusciva a parlare con e tra donne di provenienze ed esperienze assolutamente diverse, non solo tra chi era già in qualche modo consapevole di sé. Un segno di quel tempo, certamente il movimento femminista nasce e vive nei Settanta in un contesto storico mondiale che non è quello di questi anni. Era anche la forza dilagante di ciò che è nuovo, che si scopre per la prima volta... Me lo hanno ricordato, come emozione, anche le facce delle donne -e stavolta anche uomini - così diverse e così intente, scese a manifestare il 13 febbraio 2011. Questa non è la stessa lettura che hanno fatto altre, con altri video usciti negli ultimi anni. Ma sono ancora convinta che il "caso italiano " del movimento dei Settanta, la sua differenza rispetto ad altri paesi, sia stato proprio l'avere coinvolto e mobilitato in tanti modi diversi vere e proprie moltitudini di donne. Concludo ringraziandoti ancora, e aspettando di leggere il seguito di commenti... Un caro saluto Paola
domenica 13 gennaio 2013
venerdì 11 gennaio 2013
Sguardi intersezionali sul femminicidio e la violenza subita dalle donne
Da Riflessioni sull'intersezioni di sessismo e razzismo, il blog di Sonia Sabelli, un articolo di Isoke Aikpitanyi - dell'Associazione vittime ed ex-vittime della tratta -, dal titolo La percezione del femminicidio e della violenza fra le vittime della tratta. Pubblicato originariamente su Africa News, l'articolo costringe a riflettere su come cambia la percezione della violenza subita dalle donne se si è italiane o non lo si è, denunciando anche l'atteggiamento delle donne italiane che "Invece di ascoltarci [...] preferiscono fare il possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, interpretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente"
giovedì 10 gennaio 2013
Carla Lonzi a Parigi
Per chi ha la fortuna di essere a Parigi domani - 11 gennaio 2013 -, segnalo la giornata di studio Carla Lonzi, critique d’art et féministe, che si terrà alla Maison Rouge in occasione della pubblicazione dell' edizione francese del celeberrimo Autoritratto lonziano. Per maggiori dettagli rinvio a Travelling feministe, il nuovo blog del laboratorio di ricerca e sperimentazione sugli usi femministi, queer e postcoloniali degli archivi audiovisuali che lavora intorno alle risorse del Centro audiovisual Simone de Beauvoir, fondato nel 1982 da Carole Roussopoulos, Delphine Seyrig et Ioana Wieder. Come sempre sarò eternamente grata - dalle nebbie bolognesi in cui sono mio malgrado costretta - a chi vorrà raccontarmi qualcosa della giornata // La foto di Carla Lonzi che apre il post e che avevamo già utilizzato in Carla Lonzi e i suoi miracoli (sembra proprio una santa con l'aureola), è stata scattata nel 1968 in Texas.
mercoledì 9 gennaio 2013
Atlantide non si affonda!
Un veloce tweet per invitare tutte/i a sostenere Atlantide, lo spazio che con le sue iniziative e le diverse soggettività che lo animano ha fatto tante volte capolino anche qui (ad esempio 1, 2, 3 ...). Potete firmare la petizione e, se stasera siete a Bologna, partecipare all' assemblea pubblica in difesa di Atlantide.
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Stupri in India (e retoriche neocolonialiste in Italia)
Dopo anni trascorsi a denunciare le retoriche razziste e sessiste diffuse dai media italiani - insieme sintomo (e parte attiva nella produzione) di un pervasivo immaginario neocoloniale -, capita di essere assalite da un vero e proprio senso di nausea alla lettura di talune ricostruzioni ed elucubrazioni giornalistiche su gravi fatti di cronaca, come lo stupro di gruppo avvenuto qualche settimana fa a Delhi. Una boccata di ossigeno leggerne la puntuale de-costruzione e critica su I consigli di zia Jo, che autorizzo ufficialmente ad inviare a Marginalia tutti i commenti (OT o non OT) che desidera ...
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lunedì 7 gennaio 2013
Autobus per soli (uomini) neri
O meglio "per soli uomini di colore", come si legge in un articolo de La Repubblica - Palermo a proposito della proposta del presidente della sesta commissione consiliare, il socialista Andrea Vassallo, di istituire bus per soli immigrati sulla linea per Salinagrande, in seguito alle proteste di viaggiatori "indigeni" infastiditi dai "comportamenti poco civili" dei migranti diretti al "centro di accoglienza". La notizia si commenta da sé. Grazie a Lella Di Marco per la segnalazione.
giovedì 3 gennaio 2013
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