Approfitto della presentazione che si terrà domani al CentroDonna di Livorno, per una breve nota su di un romanzo che ho amato fin dal titolo, quando l'autrice - con la quale mi scuso se ne parlo solo ora - me ne ha fatto dono, oramai molto mesi fa. Mi riferisco a La nave delle cicale operose di Anna Santoro, un libro che, come scrive Patrizia Melluso in una recensione pubblicata da Il paese delle donne, è una "narrazione corale". In un arco temporale che va dalla Napoli degli anni Trenta del Novecento, con l’avvento delle leggi razziali, fino al "rinascimento" napoletano dell’era Bassolino e l’11 settembre, passando per gli anni Settanta tra femminismo e lotte per la casa -,il romanzo si pone "tra Storia e visione soggettiva della storia" (facendo un po’ pensare ad altre narrazioni, Melluso cita Cent’anni di solitudine di Garcia Marquez, La Storia di Elsa Morante, e il film di Ettore Scola C’eravamo tanto amati), offrendoci personaggi indimenticabili - Rino, Mena, Giovanna, Mita ... -, tante cicale operose, ovvero persone che (come si legge nella quarta di copertina del libro), "amano la vita e l'impegno di costruirla, prive della vocazione al comando propria delle distruttive formiche"
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