Si chiama Salmata Bamba ed è arrivata dalla Costa D'Avorio in Italia chiedendo lo statuto di rifugiata. Al suo posto in agosto le viene notificato un mandato di espulsione. Parla poco l'italiano, non riesce o non può far valere i suo diritti. Continua a cercare lavoro. Finalmente lo trova, un posto come badante presso una famiglia di Napoli. Qualche settimana fa si reca in questura per ultimare le pratiche di regolarizzazione ma qui "succede l’impossibile, ciò che non avrebbe mai creduto potesse succedere in un paese democratico": viene arrestata e portata nel Cie di via Mattei a Bologna. Così, su due piedi. Non le viene neanche permesso di poter portare con sé qualche oggetto personale. Tramite la figlia di coloro che sarebbero dovuti diventare i suoi datori di lavoro, apprendiamo che non ha neanche il sapone per lavarsi e che porta ancora addosso gli abiti che indossava al momento dell'arresto. Un po' poco per quello che è stato definito "hotel di lusso per migranti". Nell'unico articolo che ho trovato su di lei (una storia così non fa notizia) - nel sito di Peacelink - si dice che Salmata è una donna "semplice, umile e troppo vulnerabile per affrontare la crudele realtà di questo Paese". Ma chi può affrontarla tutta sola? Ci auguriamo che Salmata abbia trovato all'interno la solidarietà e l'appoggio delle sue compagne di prigionia. E che fuori trovi presto la nostra.
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