A proposito della chiusura del corso di Studi di Genere tenuto all'Università della Calabria da Laura Corradi e dell' appello per la sua riapertura, riceviamo un commento di Paola Di Cori - della quale ricordiamo, tra le più recenti pubblicazioni la raccolta di saggi Asincronie del femminismo e i contributi in Joan W. Scott. Genere, politica, storia (Viella) e Non si nasce donna (Quaderni Viola / Alegre). In questo suo intervento Paola ripercorre alcune delle tappe di quella che definisce la misteriosa condizione di visibilità-invisibilità" degli studi di genere in Italia. Buona lettura e condivisione! // " L’adesione all’appello contro l’abolizione del corso tenuto da Laura Corradi all’università della Calabria è un obbligo per tutte quelle che insegnano e hanno
insegnato per decenni questi studi nelle università italiane. Come ho avuto modo di scrivere in molte occasioni, la realtà degli studi di genere in Italia è avvolta in una misteriosa condizione di visibilità-invisibilità fin dagli anni ’70. Sono esistiti sotto denominazioni di comodo quando non era possibile inserirli in un piano di studi approvato dalle facoltà; quando sono divenuti finalmente riconoscibili, ammessi e inseriti istituzionalmente - soltanto dopo il 2000!! - si sono immediatamente dovuti confrontare con i cosiddetti processi di razionalizzazione e snellimento dei programmi in seguito alla riforma del 3+2: erano sì possibili, ma assai ridotti in numero di ore e di crediti acquisiti, e raramente ci sono state docenti ordinarie in numero tale (mettendo da parte le differenze di opinione su quali fossero gli obiettivi preferibili) da poter imporre qualche soluzione non minoritaria alle facoltà o ai
senati accademici. Si sono salvati qua e là alcuni dottorati nei settori della letteratura e della storia, attualmente massacrati dal taglio di finanziamenti che ha riguardato tutti i dottorati. Ha fatto benissimo Laura Corradi a denunciare pubblicamente l’ennesima discriminazione. Purtroppo l’abolizione di questo corso accompagna la silenziosa sparizione di decine di corsi di studi di genere diffusi e inaugurati negli ultimi anni. E’ noto che questi studi non hanno visibilità alcuna nelle università italiane; chi li ha insegnati è stata punita nella carriera e ridotta per decenni a un isolamento faticoso e improduttivo in termini di risultati sul piano
dell’aiuto concreto alle generazioni di donne e uomini nati/e dopo gli anni ‘60. E’ una fortuna che tante giovani donne abbiano potuto contare sull’esistenza di un gran numero di corsi e di dottorati in università straniere; quando purtroppo tornano in Italia, con esperienze di ricerca e dottorati di tutto rispetto, non si devono confrontare soltanto con l’assenza di possibilità di inserimento, ma con una antiquata tradizione che ancora oggi porta la quasi totalità dei docenti e dei colleghi ad ammettere obtorto collo che si tratta di studi degni di questo nome. La maggior parte di lor (uomini e molte donne) non hanno mai investito né scommesso nulla in proposito; dubito che saranno disposte/i a farlo in un periodo di così grande miseria materiale e morale. A meno che… come sta accadendo in questo caso, si levi un vasto movimento di opinione e di resistenza che denunci lo stato di arretratezza culturale dell’insieme dell’università italiana. Non è una novità, ma vale la pena di impegnarsi per riuscire a mantenere le poche posizioni ancora occupate. Coraggio Laura, e coraggio anche tutte
noi!" //( Paola Di Cori, Roma - 9 maggio 2013)
2 commenti:
Cara Paola, la tua convinta e prontissima adesione all’appello per la riapertura del corso di Laura Corradi è confortante. « L’adesione all’appello contro l’abolizione del corso tenuto da Laura Corradi all’università della Calabria è un obbligo per tutte quelle che insegnano e hanno insegnato per decenni questi studi nelle università italiane » dici. Chissà se sarà così? Le firme all'appello e la data in cui sono state apposte misureranno giorno per giorno lo scarto tra dover essere ed essere... È bello sapere che ci sei e da subito (come dubitarne?), sentirti vicina. Mi rallegra anche veder crescesce esponenzialmente il numero dei firmatari: moltissimi studenti e studentesse o ricercatori e ricercatrici (più o meno istituzionalizzat*) e/o militanti che da tanti angoli del pianeta continuano a firmare l’appello e a promuoverne la diffusione. È un modo vivo per costituire e far sentire una voce polifonica e polimorfa che unisce virtualmente chi ha lasciato l’Italia (spesso per fare studi di genere – è il mio caso), chi è rimasto nonostante le difficoltà e lotta quotidianamente per continuare le sue ricerche (spesso a spese proprie) e chi italiano non è e sceglie di sostenere questa causa perché conosce l’importanza della posta in gioco. Mi pare che, nella diversità dei posizionamenti di ciascun*, questa voce esprima non solo una fiera opposizione alla censura che i corsi di genere e sessualità (nelle diverse modalità istituzionali e disciplinari che hanno conosciuto e conoscono) non smettono di subire in ragione delle questioni che essi sollevano, dei metodi praticati, delle categorie analitiche impiegate, delle radici che essi affondano nelle esperienze teoriche e pratiche dei movimenti femministi e omosessuali, ma, indirettamente, un pieno sostegno a quella radicalità critica che in molti vogliono “troncare e sopire”. Talvolta, ahinoi, anche “dal di dentro” degli studi di genere, spuntando la portata di categorie e metodi (pensa agli usi di “genere” - abuses direbbe Joan Scott - usato come mero sinonimo di donne intese come “gruppo naturale”), addomesticando, neutralizzando (guai a parlare di femminismo in tanta accademia!), ma questa è ancora un’altra storia….
Con stima,
Sara Garbagnoli
Grazie anche a te Sara del commento, ho apprezzato molto la tua capacità di mantenere - nonostante l'urgenza contingente - uno sguardo critico all'interno degli stessi studi di genere
Un abbraccio, buona giornata
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