Sono sempre più frequenti le rivolte e le sommosse nei cosiddetti Cie, quelli definiti "hotel di lusso" e "piccole bomboniere" dai burocrati del regime e che invece le terribili condizioni di vita denunciate dai migranti e dalle migranti detenuti/e (e gli scioperi della fame, gli arresti, i pestaggi, i tentativi di fuga, i suicidi), fanno apparire per quello che sono veramente: carceri, territori dove tutto è permesso a chi detiene il potere e il controllo. Ai primi di agosto, nel Cie di via Corelli a Milano, una nuova rivolta. Parte dalle camerate delle donne, e non a caso. Durante il processo che si imbastisce contro "i rivoltosi" (processo ancora in corso), una giovane detenuta nigeriana, denuncia i ripetuti tentativi di stupro da parte dell'ispettore-capo del Cie: sarebbero stati proprio i suoi ostinati rifiuti a concentrare la repressione contro di lei e contro le altre donne migranti della sezione subito dopo la sommossa: manganellata ripetutamente insieme alle sue compagne quando erano già tutte ammanettate, riceve infine un pugno in faccia dall’ispettore-capo in persona. Il messaggio è chiaro: chi detiene il potere nei Cie può disporre come e quando vuole dei corpi reclusi. Soprattutto il corpo delle donne, che deve sempre essere "a disposizione" (senza fare troppe storie ...). Quel poco che possiamo fare: solidarietà fattiva a tutte le donne migranti, dentro e fuori i Cie, denuncia continua delle innumerevoli forma di violenza che subiscono quotidianamente e soprattutto appoggio incondizionato alle loro lotte.
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