"Sono tante le testimonianze dei soprusi e delle torture subiti dalle persone detenute nei centri di concentramento libici, ma per le donne, oltre alle torture, il trattamento prevede violenze sessuali e stupri di gruppo! L'Italia, finanziando la polizia e le carceri libiche e respingendo donne e uomini verso la Libia, è complice di queste atroci violenze. Dalla frontiera meridionale libica ogni anno entrano migliaia di migranti e rifugiati sprovvisti di documenti, alcuni dei quali poi continuano il viaggio verso l’Italia. Anche se uomini e donne africani che arrivano via mare rappresentano una minima parte dei migranti senza documenti presenti in Italia, il governo italiano ha concentrato attenzione e risorse sugli sbarchi, poiché essi rappresentano il simbolo della prospettiva emergenziale costruita da anni sul tema dell’ immigrazione: sul regime di paura alimentato dalla menzogna dell’”invasione” si gioca la propaganda razzista e criminalizzante del governo, ormai istituzionalizzata nel pacchetto sicurezza. In base agli accordi tra il governo italiano e il governo libico e alle nuove politiche migratorie inaugurate dall’Italia, le donne e gli uomini provenienti dalla Libia, anche se quasi mai di nazionalità libica, vengono “respinti” senza avere la possibilità di arrivare in Italia e di presentare richiesta di diritto d’asilo, di cui la maggior parte di loro è a tutti gli effetti titolare. Da quando sono cominciati i respingimenti in mare sono stati finora oltre 1.200 le persone che le autorità italiane hanno riconsegnato alla Libia. Durante la detenzione nelle carceri libiche, uomini e donne subiscono violenze inaudite e vere e proprie torture, “Abusi, vessazioni, maltrattamenti, arresti arbitrari, detenzioni senza processo in condizioni degradanti, torture, violenze fisiche e sessuali, rimpatri di rifugiati e deportazioni in pieno deserto. Crimini che l’Unione europea finge di non vedere…” queste le amare conclusioni di un rapporto curato da Fortress Europe nel 2007. Le donne in particolare subiscono, oltre alle violenze fisiche e psicologiche, stupri ripetuti e collettivi. In seguito alle violenze sessuali, molte di loro rimangono incinte e sono costrette a ricorrere ad aborti clandestini, che spesso le uccidono. E non è che le cose in “patria” vadano meglio: nei CPT (oggi CIE) viene applicato lo stesso progetto repressivo e violento. Ne è una prova laprotesta al CIE di via Corelli a Milano, soffocata dalla violenza delle Forze dell’Ordine. I processi si svolgeranno il 21 e il 23 settembre e vedono implicato anche l’ispettore capo di servizio al centro, accusato da una partecipante alla protesta di tentata violenza sessuale. Paradossalmente tutto questo viene fatto al fine di garantire la “sicurezza “ dei cittadini e delle cittadine italiane e anche in nome della violenza contro le donne. La ministra Carfagna ha sostenuto, nell’incontro con Gheddafi dello scorso giugno, di voler aiutare le donne africane, e ha presieduto in questi giorni un G8 contro la violenza alle donne escludendo i centri antiviolenza. Di fatto però l’Italia finanzia attivamente le violenze contro donne e uomini migranti con importanti stanziamenti finanziari e di mezzi alla Libia. Del corpo delle donne viene sempre fatto un uso strumentale, viene data risonanza mediatica solo agli stupri di stranieri su donne italiane, quando le violenze commesse da uomini migranti costituisce solo una minima parte delle violenze agite sulle donne nel nostro paese. La maggior parte della violenza avviene all’interno della famiglia cosiddetta “normale”, promossa e protetta e al centro di tutte le politiche sociali. Vogliamo che sulla violenza alle donne non venga fatta nessuna strumentalizzazione per avallare leggi razziali! Vogliamo la libertà di migrazione per tutte/i, sia per le persone che emigrano per necessità, in fuga da guerre, dittature e persecuzioni, sia per le/i migranti economici, e per tutte/i coloro che desiderano migrare. Vogliamo che vengano interrotti immediatamente i respingimenti, che vengano garantiti il diritto all’esistenza, alla libertà, all’autodeterminazione delle e dei migranti, no al reato di clandestinità, no al pacchetto sicurezza. Vogliamo che le donne che arrivano nel nostro paese non debbano subire ogni tipo di violenza senza potersi ribellare proprio perché una legge della nostra repubblica le rende ricattabili. Non possiamo più far finta di non vedere e di non sapere, non possiamo non riconoscere il legame tra violenza contro le donne, sessismo, razzismo, lesbo/trans/omofobia, che porta alla normalizzazione di vecchi e nuovi fascismi, auspichiamo che le voci di dissenso producano nuove forme di resistenza".
Questo il testo di convocazione del presidio promosso da Altra città - Lista civica di donne che si terrà mercoledì 23 settembre alle ore 18 in piazza Nettuno a Bologna. Adesioni finora pervenute: Centro interculturale delle donne "Trama di Terre", Associazione Armonie, Bologna Città Libera, Fuoricampo Lesbian Group-Officina di Studi Arte e Politica lesbica, Facciamo Breccia - Bo, MIT - Movimento Identità Transessuale, La Tavola delle donne sulla violenza e sulla sicurezza della città, Maria Grazia Negrini, Donne in Nero di Bologna, Marinella Manicardi, Catalina Pazmino, Antagonismogay, Laboratorio smaschieramenti, Associazione Comunicattive, Coordinamento "Quelle che non ci stanno", LAI - Lesbiche Antifasciste in Italia, Collettivo figliefemmine, Associazione Orlando, Fernanda Minuz, Anna Zoli, Coordinamento Donne Trieste, Gruppo 98' poesia, UDI - Unione Donne Italiane, Vincenza Perilli, Terre Libere, Associazione Femminile Maschile Plurale - Ravenna, Paola Patuelli, La vita al centro. Bambini e genitori - To, Donatella Faraoni, Casa delle donne per non subire violenza, SOS DONNA, Marcella Brizzi
Per adesioni:altracitta@women.it
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