lunedì 29 ottobre 2007

Lontano/vicino: Combahee River Collective


Barbara Smith, Beverly Smith, e Demita Frazier del Combahee River Collective [1] partecipano alla manifestazione contro il silenzio e l'indifferenza di media e polizia di fronte allo stupro e all'omicidio di alcune donne nere nell'area di Boston nel 1979.
In soli quattro mesi, tra il 28 gennaio e il 30 maggio 1979, dodici donne nere sono uccise a Boston, per la maggior parte stuprate e poi strangolate. Il quasi silenzio della stampa locale, bianca e razzista, è rotto solo dal settimanale nero locale Bay State Banner. Il primo aprile circa 500 persone manifestano per le strade di Boston, ma gli interventi - quasi unicamente di uomini neri - si limitano a denunciare il carattere razzista degli omicidi, auspicando che le donne restino a casa sotto la protezione degli uomini [2].
Barbara Smith e Lorraine Bethel del Combahee River Collective, che partecipano alla manifestazione con altre componenti del gruppo e numerose femministe lesbiche nere, redigono un testo fortemente critico contro questa lettura riduttiva dei fatti, denunciando il carattere al tempo stesso razzista e sessista di questi omicidi e sottolineando l'urgenza di affrontare la questione della violenza anche all' interno della stessa comunità nera.
Il Combahee River Collective [3] era nato a Boston qualche anno prima (inizi 1974) su iniziativa di Barbara Smith che aveva partecipato al primo incontro della National Black Feminist Organisation a New York nel 1973 [4]. Nell'aprile del 1977 il gruppo scrive una sorta di manifesto programmatico [5], che ripercorre la genesi del Black Feminism, i problemi particolari ai quali sono confrontate le femministe nere, così come anche i loro temi e progetti privilegiati, e definisce la politica del gruppo come orientata alla lotta contro l'oppressione razzista, sessista, eterosessuale e di classe. Il Combahee River Collective indica quindi la necessità di un'analisi e una pratica basate sul fatto che i principali sistemi di oppressione sono articolati insieme e che come tali devono essere combattuti.
E in questo senso che (senza desolidarizzarsi da) le militanti del Combahee River Collective criticano la "sorellanza" naturalista-razzista di una (buona) parte del movimento femminista dell'epoca, così come la politica sessuale naturalista-nazionalista-patriarcale di una parte del movimento nero, ma anche l' omofobia/lesbofobia presente nei movimenti (da cui non erano esenti anche molte femministe nere), il rischio identitario, l'antisemitismo ...
Leggendo queste pagine non si può che restare meravigliat*, come ben scrive Jules Falquet [6], del coraggio, politico e personale, di queste militanti, che in un contesto storico particolarmente difficile, hanno saputo elaborare una politica propria, autonoma, lontana da ogni essenzialismo e proporre un progetto politico "che offre una sorta di sintesi che potremmo qualificare 'universalista' nel miglior senso del termine, poiché si tratta di rifiutarsi di sacrificare certe liberazioni ad altre" [7].
Guardando alla situazione attuale dove, a una recrudescenza senza precedenti del sessismo e del razzismo nelle loro diverse e molteplici forme, [8] risponde un attivismo vario ed etorogeneo e in molti casi coraggioso (lotte dei/delle migranti, mobilitazioni delle donne contro la violenza maschile, lotte contro la lesbo/omofobia, per l'autodeterminazione, contro l'arroganza clerico-fascista e uno Stato sempre più poliziesco) ma spesso ancora incapace di cogliere - fino in fondo - l'articolazione tra i diversi sistemi di oppressione, mi chiedo: le azioni e le analisi del Combahee River Collective sapranno davvero ispirarci [9]?


NOTE:

[1] La foto è nel sito FemmeNoir.
[2] Per questa ricostruzione e per i successivi cenni storici sul Combahee River Collective faccio riferimento al documentato e bell' articolo di Jules Falquet, "The Combahee River Collective, pionnier du féminisme noir. Contextualisation d'une pensée radicale", in Jules Falquet, Emmanuelle Lada e Aude Rabaud, (Ré) articulation des rapports sociaux de sexe, classe et 'race'. Repères historiques et contemporains , Cahiers du Cedref, 2006, pp. 69-104.
[3] Il nome fa riferimento ad un fatto storico ben preciso, ovvero la liberazione di oltre 750 schiav* nel 1863 grazie ad un'audace azione di guerriglia di Harriet Tubman, militante abolizionista nera. In questo modo le militanti del Combahee River Collective ricordavano le lotte delle donne nere negli Stati Uniti e ne rivendicavano l'eredità.
[4] La NBFO.
[5] Pubblicato per la prima volta nel 1979 in una raccolta a cura di Zillah Einsenstein (Capitalist Patriarchy and the Case for Socialist Feminism, Monthly Review Press), il manifesto è ripubblicato nella celeberrima raccolta curata da Gloria Anzaldua e Cherrie Moraga, This Brigde Called My Back. Tradotto in spagnolo nel 1988 e in francese nel 2006 da Jules Falquet ("Déclaration du Combahee River Collective", in J. Falquet, E. Lada e A. Rabaud, (Ré) articulation des rapports sociaux de sexe, classe et 'race'. Repères historiques et contemporains, cit., pp. 53-67), questo manifesto è stato tradotto in italiano nell'antologia Sistren, presentata nel luglio 2005 presso Luna e le Altre a Roma. Pubblicazione militante, la raccolta Sistren è in via di revisione e sarà pubblicata come autoproduzione all'inizio dell'estate 2008. Ringrazio Barbara e Veruska per quest'ultima, preziosa, segnalazione.
[6] J. Falquet, "The Combahee River Collective, pionnier du féminisme noir. Contextualisation d'une pensée radicale", cit.
[7] Ibidem.
[8] Recrudescenza che si nutre e alligna nell'ignoranza proposta da politici e media, nell'estrema precarietà di settori sempre più ampi della popolazione, in un'ingerenza pesante del Vaticano che sprofonda l'Italia sempre più lontano da una cultura laica rispettosa delle unicità e delle differenze ... eccetera, eccetera.
[9] J. Falquet, chiudeva il suo articolo, augurandoselo.

domenica 21 ottobre 2007

Violenza sulle donne e razzismo

Sono inorridita da come certa stampa (diciamo praticamente quasi tutta) tratta la questione della violenza sulle donne (e in primis lo stupro) esclusivamente per rinforzare una certa cultura sessista e razzista. Ne parlavo già ai tempi del barbaro omicidio di Hina Saleem, uno dei pochissimi omicidi in famiglia saltati all'onore delle cronache (mentre di tante donne uccise da mariti, fidanzati, ex e amanti a stento se ne parla in qualche striminzito trafiletto). Ma nel caso di Hina tutt* avevano il proprio "guadagno" (come avviene nel caso dello stupro se lo stupratore è un "immigrato" anziché un "bravo italiano", chissà se posso parlare di una sorta di economia politica della violenza contro le donne?): dai razzisti di destra ai rappresentanti di governo fino alle finte (o interessate) garanti dei diritti delle donne come Daniela Santanché ...
.

venerdì 19 ottobre 2007

Sessismo e razzismo: informazione e deformazione

Il sessismo e il razzismo - nelle loro diverse forme: razzismo anti-migranti, lesbofobia, omofobia, transfobia, antisemitismo, razzismo anti-rom, violenza sulle donne ... - sono tra le più spietate modalità di dominio all'opera nelle società contemporanee con conseguenze drammatiche e talvolta micidiali sulla vita delle persone che ne subiscono gli effetti.
Affrontare questi fenomeni in termini di "emergenza securitaria" - anziché esplorarne le cause reali che sono attinenti ad un rapporto di potere di tipo sociale, economico e politico, nonchè culturale - si rivela utile solo a chi questo potere lo detiene come hanno dimostrato, dolorosamente, recenti fatti dall'omicidio di una donna nell'aula di tribunale che doveva sancire il suo divorzio da un marito violento agli ultimi suicidi di migranti nei Centri di permanenza temporanea.
In questo contesto, un ruolo determinante è svolto dall'informazione che spesso - volutamente o "spontaneamente" - riproduce moduli e criteri che non intaccano ma anzi rafforzano questi rapporti. E' sullo sfondo di queste (ed altre ...) riflessioni che ieri, leggendo su un quotidiano bolognese un articolo nelle pagine di cronaca, ho deciso di scrivere una lettera che ho inviato, oltre che allo stesso quotidiano, ad altri organi di informazione, amiche ed amici impegnati nella lotta contro il sessismo e il razzismo, gruppi ed associazioni femministe ed anti-razziste, operatrici/tori della comunicazione, studiose e studiosi del razzismo e/o del sessismo.
Quella che segue è una sorta di "cronaca nella cronaca" che pubblico sperando di sollecitare ed estendere una riflessione e una maggiore attenzione critica ed autocritica.
Ringrazio quant* hanno risposto al mio mail - offrendo ulteriori spunti di riflessione che invito a riproporre anche qui - e in particolare a Cristina Papa de Il Paese delle Donne che ha ripreso la notizia. Infine un grazie anche alla redazione de Il Bologna che ha pubblicato oggi la mia lettera: spesso lettere di questo tipo, ad altri quotidiani, vengono cestinate.


Lettera via mail a Il Bologna 18 ottobre 2007

Leggo sul giornale (Il Bologna) dell'ennessimo stupro avvenuto ieri in città. Una giovane migrante è stata stuprata da tre uomini che si erano introdotti per rapina in una villa dove la donna lavorava (sembra non in regola) come "colf". Rileggo più volte l'articolo, non riesco quasi a crederci. Il titolo in prima pagina è "Assalto in villa con stupro, ritorna l'incubo dei banditi". A pagina 20 l'articolo con un occhiello: "Ritorna la paura. Dopo diversi mesi di calma apparente, l'episodio di ieri mattina ha destato preoccupazione nella comunità: riecco i banditi".
Quindi questo non è l'ennesimo stupro, è l'ennesima rapina. Nonostante (come si evince dall'articolo) i rapinatori "non hanno portato via nulla", sono rapinatori non stupratori.
Quello che preoccupa ed importa è il tentativo di rapina, l'attentato alla "proprietà" e alla "sicurezza" dei proprietari (meglio se "autoctoni"). Lo stupro in questo caso è "un incidente di percorso".
Dopo "diversi mesi di calma apparente?"
Sono anni che si parla di "emergenza stupro" , ma quando "tra le pareti domestiche" viene stuprata una colf migrante l'accento è posto sull'"emergenza rapine".
Vincenza Perilli


Lettera via mail di un redattore de Il Bologna

Il riferimento ai mesi di calma apparente era alle rapine in villa, considerato che le ultime risalgono all'anno scorso e non agli stupri, numerosi in questi ultimi mesi e anche da noi documentati. La pagina 21 ripercorre infatti tutti i precedenti per rapina in zona. Il fatto che lei insinui che per noi la violenza sessuale su una straniera sia di minor conto, non può far altro che dispiacerci e indignarci
Distinti saluti
xy


Lettera via mail a xy, redattore de Il Bologna

Gentile xy,
io non "insinuo", mi limito a constatare che, in questo caso, l'episodio viene inserito nella serie "rapine" da cui l'accenno alla "calma apparente" che quest'atto avrebbe interrotto, e non nella serie "stupri".
L'occhiello al quale mi riferivo ( "Ritorna la paura") è a pagina 20, quella in cui, sotto il titolo di "Stuprata da banda di rapinatori colf sotto shock lancia l'allarme" vi è l'articolo annunciato in prima pagina con il titolo "Assalto in villa con stupro, ritorna l'incubo dei banditi".
Il fatto che nella pagina seguente all'articolo, vi sia un'altro articolo che ripercorre le precedenti rapine messe a segno in Emilia negli ultimi sette anni non fa che confermare la mia impressione.
Perché questa violenza diventa un capitolo della storia delle rapine e non della storia degli stupri?
Perché non cogliere l'occasione per un approfondimento sulla questione stupro? O lo stupro passa naturalmente in secondo piano rispetto ad altre "emergenze"?
Più precisamente: visto che spesso lo stupro viene mediatizzato e usato in chiave "anti-immigrati" perché non cogliere l'occasione per sottolineare che le donne migranti - non meno e forse più di altre - sono vittime di violenza, per strada, nelle proprie case ma anche sui luoghi di lavoro che molto spesso (come nel caso delle cosiddette "colf" e "badanti") sono le case di altri?
Più che il suo dispiacere e la sua indignazione io volevo provocare una riflessione (e tra l'altro avevo inviato questa lettera alla rubrica lettere sperando in una pubblicazione per sollecitare una discussione pubblica, non certo per ricevere una risposta in forma privata).
Ci tengo a sottolineare inoltre che il problema che pongo, non è specifico del vostro giornale (stamattina ho letto il vostro), ma riguarda in generale i criteri con i quali si fa informazione.
Auspicherei tra l'altro una maggiore riflessione sul linguaggio (termini quali ad esempio "banda di slavi" autori delle rapine nell'articolo a pagina 21) e sulle forme di stigmatizzazione etnica o razziale che rischia di riprodurre.
Distinti saluti
Vincenza Perilli


Lettera via mail di xy, redattore de Il Bologna

Non voglio innescare un botta e risposta infinito, ma:
1) la notizia di ieri era che tre persone, non certo per una visita di cortesia, si introducono in una casa e violentano una ragazza. Se poi non hanno trovato nulla da portar via, sempre un tentato furto o rapina rimane. Ergo: rapinatori e stupratori.
2) Se i rapinatori che hanno agito nel 2005, e arrestati poi dalle forze dell'ordine, sono di origine slava, come li dobbiamo chiamare?
Io come lei auspico che si inneschi un dibattito sulla sicurezza in generale in città, che si faccia luce sui casi di violenza domestica, violenza in strada e violenza al patrimonio


Lettera via mail a xy, redattore de Il Bologna

Neanch'io voglio innescare un botta e risposta.
Le scrivo solo per dirle che mi accorgo ora che ho inviato la lettera all'indirizzo della redazione (bologna@ilbologna.com e non a quello della rubrica Lettere ovvero lettori@ilbologna.com, provvederò subito), da qui forse le sue risposte private.
Comunque visto che lei mi chiede "come li dobbiamo chiamare" a proposito della "banda di slavi", le rispondo che potreste semplicemente chiamarli "banda di rapinatori".
Ancora distinti saluti
Vincenza Perilli


Lettera via mail, pubblicata oggi, alla rubrica Lettere de Il Bologna

Leggo sul giornale (Il Bologna) dell'ennessimo stupro avvenuto ieri in città. Una giovane migrante è stata stuprata da tre uomini che si erano introdotti per rapina in una villa dove la donna lavorava (sembra non in regola) come "colf". Rileggo più volte l'articolo, non riesco quasi a crederci. Il titolo in prima pagina è "Assalto in villa con stupro, ritorna l'incubo dei banditi". A pagina 20 l'articolo con un occhiello: "Ritorna la paura. Dopo diversi mesi di calma apparente, l'episodio di ieri mattina ha destato preoccupazione nella comunità: riecco i banditi".
Quindi questo non è l'ennesimo stupro, è l'ennesima rapina. Nonostante (come si evince dall'articolo) i rapinatori "non hanno portato via nulla", sono rapinatori non stupratori.
Quello che preoccupa ed importa è il tentativo di rapina, l'attentato alla "proprietà" e alla "sicurezza" dei proprietari (meglio se "autoctoni"). Lo stupro in questo caso è "un incidente di percorso".
Dopo "diversi mesi di calma apparente?"
Sono anni che si parla di "emergenza stupro" , ma quando "tra le pareti domestiche" viene stuprata una colf migrante l'accento è posto sull'"emergenza rapine".
Vincenza Perilli

[La "cronaca della cronaca" continua nei commenti ... ]

*Solo ora, alle 23.37 e a post pubblicato scopro che la mia lettera è stata ripresa nel suo sito anche da Franco Cilenti, giornalista pubblicista, che ringrazio.
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* Stamani, 20 ottobre, ho appreso dai quotidiani che la giovane donna - di fronte agli accertamenti degli inquirenti -, ha ammesso di essersi inventata tutto. Sembra che (come riporta Il Resto del Carlino) lo abbia fatto per giustificare una gravidanza che la famiglia "musulmana come lei" (stralcio ancora da Il Resto del Carlino) non avrebbe accettato e tollerato perché fuori dal matrimonio. Il ritardo nella denuncia non sarebbe stato dunque motivato solo dalla paura della ragazza - non in regola con il permesso di soggiorno - ma dal timore che le indagini potessero portare a galla la verità.
Queste ed altri elementi emersoi dalla cronaca di oggi meriterebbero delle riflessioni ulteriori, ma mi limito semplicemente a sottolineare che la smentita del fatto non toglie nulla al senso e alla necessità delle mie critiche.
Nell'edizione odierna de Il Bologna sono state pubblicate due lettere che si riferivano alla mia di ieri. Francesca (che ringrazio e che ringrazierò a nome di tutt* inviando mail alla rubrica lettere del giornale) scrive:

Ale ieri chiedevi dove sono le femministe? La lettera di oggi sullo stupro di una giovane straniera mi sembra che risponda alla tua domanda. Piuttosto tu dov'eri quando le femministe si mobilitavano in città? Lo stupro non è colpa delle femministe!

Nell'altra lettera un certo ( o una certa) Via Lame scrive:

Cara Vincenza Perilli, ti ricordo che il 90% degli stupri è compiuto da extracomunitari su donne italiane. Ma per te è più importante il "politically correct" che il terrore e il degrado che hanno portato questi gentili "ospiti".

Non credo che Via Lame frequenti questo blog, quindi scriverò anche a lui/lei. Se qualcun* vuole farlo l'indirizzo è lettori@ilbologna.com

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Sessismo e razzismo: informazione e deformazione è anche in Kilombo, Indymedia, Reset, Fainformazione e diversi aggregatori di notizie quali Wikio. Grazie anche a Hamilton's Blog.

lunedì 15 ottobre 2007

Autodifesa femminista ed altre alternative

Solutions: Female Rage and Other Alternatives è l'ultimo capitolo di un libro dei primi anni 70, The Politics of Rape [1], parzialmente tradotto e poi pubblicato dal collettivo femminista romano Limenetimena [2]. In questo capitolo - titolo in italiano: Una soluzione: violenza femminista ed altre alternative [3], è sottolineata l'importanza della resistenza e dell'uso di tecniche di autodifesa da parte delle donne per opporsi alla violenza esercitata dagli uomini [4].
Vengono elencate una serie di
tecniche di resistenza, dall'urlo all'uso di "armi improprie" [5], molte delle quali saranno riprese in libri, opuscoli e vari altri documenti prodotti e fatti circolare in quegli anni [6]. E' indubbio infatti che, sebbene alcune tecniche di autodifesa fossero già state sperimentate dalle suffraggiste inglesi (che le usavano per contrastare la violenza della polizia durante le manifestazioni) e dalle operaie tedesche (che, negli anni 30, dovevano difendersi dagli attacchi fascisti), solo con il movimento femminista degli anni 60-70 vengono messi a punto dei veri e propri manuali e corsi di autodifesa.
Attingendo a svariate tecniche (dalle arti marziali quali il Jiu Jitsu al Wendo) questi divengono (insieme ai centri anti stupro
[7], ai Rape Speak-out [8] e ai gruppi di azione anti stupro[9]), dei formidabili strumenti per denunciare la violenza e opporvi resistenza. Lungi dall'essere solo un elenco di mosse e tecniche di combattimento, questi manuali e corsi erano parte integrante di un più complessivo percorso di lotta che partiva dalla lucida e spietata analisi femminista della violenza di genere come ancorata (e nello stesso tempo generata) da uno specifico rapporto di potere: quello che intercorre cioè tra chi questo potere lo detiene (gli "uomini") e chi lo subisce (le "donne") [10].
Questo enorme patrimonio storico e politico (rivisto criticamente, adattato e ridiscusso) è alla base di molte esperienze attuali, dai manuali di autodifesa in circolazione ancora oggi
[11] alle tecniche usate nei corsi organizzati da e per donne, lesbiche e trans [12].
Nello stesso tempo, però, assistiamo al proliferare in quest'ultimo periodo di corsi di
autodifesa femminili organizzati da palestre, comuni, associazioni, circoli anziani e ricreativi, poliziotti in pensione, ex-bodyguard e palestrati precari nonchè da qualche immancabile wonderwoman (le super donne pronte ad aiutare le "sorelle" più deboli e sprovvedute non mancano mai ....).
Questi corsi sono, in alcuni casi, rivolti esplicitamente alla "sensibilizzazione sul problema delle aggressioni in genere e stupro, rapina, violenza domestica in particolare"). Insieme, negli scaffali delle librerie si accumula un numero sempre maggiore di pubblicazioni, alcune delle quali pubblicizzate con un eloquente "Gli impegni quotidiani di una donna la portano sempre più spesso a essere da sola in situazioni di potenziale pericolo"
[13].
Tutto questo mi allarma ed irrita.
Per cominciare siamo ridotte nuovamente a vittime. In secondo luogo il complesso rapporto di potere che è alla base delle violenza esercitata dal gruppo dominante sui soggetti "dominati" viene ridotta ad una questione di "incapacità" fisica e/o psicologica. Siamo "noi" (donne, lesbiche, trans ...) in quanto potenziali
vittime a doverci sensibilizzare al problema: lo stupro è un problema delle "donne", anzi esiste un "problema donne" tout court (così come c'è stato un "problema nero" che non è mai diventato un "problema bianco" nonostante Malcom X ...) [14].
Del resto se fossimo state sufficientemente
sensibilizzate non ci saremmo messe ad andare in giro da sole e a rivendicare autonomia dentro e fuori casa (cosa che rende notoriamente gli uomini piuttosto nervosi, ricordo la donna uccisa dal marito perchè si rifiutava di cucinare...).
Per lo meno avremmo dovuto porci il problema di
saperci difendere ...
Ma niente paura care signore! ... sono in arrivo torme di prodi cavalieri senza macchia pronti ad insegnarcelo, a istruirci, a sensibilizzarci ... (e
voilà, in un attimo tutto il sapere che abbiamo accumulato anche su questa questione viene cancellato con un bel colpo di spugna ...)
Del resto difendersi non è una cosa
troppo difficile (nel senso che possiamo impararlo anche noi ...): come ebbe a dire non molto tempo fa un avvocato a difesa del suo cliente, per evitare uno stupro basta un morso (un "morsetto" per l'esattezza). E' sempre la solita storia: se una donna subisce uno stupro è perché, in un modo o nell'altro "l'ha voluto" o " se l'è cercato". Se poi lo denuncia è una menzogna (era consenziente e poi per qualche strano motivo ha cambiato idea, insomma la volubilità delle donne di goldoniana memoria ...), perchè in fondo sarebbe bastato - se solo lo avesse voluto - "un morsetto" per evitarlo.
Si evita generalmente di ricordare che anche gli uomini spesso soccombono quando sono aggrediti
di sopresa o da persone di cui si fidavano o dalle quali non se l'aspettavano (basta leggere la cronaca) e sono precisamente queste le condizioni in cui si verificano più frequentemente aggresioni di tipo sessuale (in ambienti che percepiamo non pericolosi, come l'interno della nostra casa o la casa altrui, e da parte di persone che conosciamo bene e che in alcuni casi amiamo ...). Queste condizioni non possono essere paragonate ad altre situazioni (guerra, guerriglia urbana, zuffe al bar o simili) dove comunque si è in uno stato (anche psicologico) diverso, dove è chiaro chi è il nemico dal quale dobbiamo difenderci (che sono poi le situazioni dove gli uomini sono più frequentemente confrontati alla violenza ).
Non voglio con questo sottovalutare l'importanza per i soggetti "inferiorizzati" e "dominati" di corsi di autodifesa, ma sottolineare che hanno efficacia solo e quando vengono fatti in uno specifico contesto e percorso (che è quello femminista). Contesto e percorso che si è enormemente modificato dagli anni 70, così come siamo cambiate (anche) noi. Insieme mi sembra importante denunciare questo tentativo più o meno subdolo di "sfruttare" la violenza sulle donne, non solo ai fini del
business ma anche per veicolare messaggi di tipo sessista e anche razzista [15].
Abbiamo dimostrato di saperci difendere (all'occorrenza)
con ogni mezzo necessario compresi morsi e "armi improprie" , come unghie e in alcuni casi forbici [16]. Siamo state capaci di autorganizzarci. Ci siamo date forza e sostegno reciproco. Ci resta molto ancora da fare ovviamente, tanto per cominciare tentare di non farci trasformare in Wonder Woman.
Se i dinosauri sono destinati all'estinzione così come (spero) tutti i superman e le wonderwoman del mondo intero, i messaggi sessisti e razzisti che veicolano rischiano di sedimentarsi e divenire operativi
[17].

NOTE:

[1] Diana E.H Russel, The Politics of Rape, New York, Stein & Day 1975.
[2] Limenetimena, La politica dello stupro, stampato in proprio, Roma 1976.
[3] Tradurre è un lavoro difficile, mal pagato e sottovalutato (come so bene per esperienza) ed è, per questi motivi, sempre meritorio, soprattutto quando, come nel caso citato, è fatto in un'ottica "militante". Cio' detto resta per me abbastanza incomprensibile la scelta di tradurre la parola "rage" con "violenza", invece che con collera, termine che avrei sicuramente preferito, anche pensando a Colette Guillaumin e alla sua "collera delle oppresse". Mi riferisco a C. Guillaumin, "Femmes et Théories de la société: remarques sur les effets théoriques de la colère des opprimées", in Ead. Sexe, race et pratique du pouvoir. L'idée de nature, coté-femmes, Paris 1992, pp. 219-239.
[4] Questa parte è preceduta dalla trascrizione di una interessantissima intervista ad una donna che aveva affrontato fisicamente un uomo che si vantava di aver commesso uno stupro.
[5] Ad esempio: sigarette accese da spegnere negli occhi, o vicino ...; penne o matite da usare come pugnali in faccia, occhi, collo...; spray, di qualunque tipo, meglio quelli sui quali c'è scritto di non spruzzare negli occhi ...; chiavi tenute insieme da un'anello, nella quale si infila la mano chiudendo il pugno e lasciando le chiavi all'esterno per colpire facendo molto male ...; ombrelli, ma è inutile darli in testa di piatto, meglio usarli di punta mirando a faccia, pancia ...; cavatappi, raro averne uno a portata di mano, peccato perchè è un'ottima arma usata contro faccia, collo e addome soprattutto se dopo il colpo si gira ...
[6] Tra i tanti Le violentate di Maria Adele Teodori (SugarCo, Milano 1977), testo interessante anche perché a quanto mi risulta è uno dei primi testi italiani in cui si parla di femminicidio.
[7] Gli attuali centri antiviolenza. Diffusosi inizialmente negli Stati uniti (il primo nasce nel 72), i Rape Center Crisis, offrivano sostegno morale e fisico alle donne vittime di stupro, accompagnandole all'ospedale e/o dalla polizia per la denuncia, fornendo informazioni mediche e legali. Ed anche un letto a quelle donne che non vogliono (o non possono) tornare a casa.
[8] Raduno di donne che pubblicamente raccontano le loro drammatiche esperienze di stupro. Memorabile quello organizzato da un gruppo di Radical Feminist nel 71 a New York.
[9] I Gruppi di azione anti stupro, nati inizialmente negli Stati Uniti, avevano messo a punto una serie di tecniche che potremmo definire di agitazione politica che avevano lo scopo prioritario di denunciare pubblicamente gli stupri e gli stupratori (ad esempio con picchetti e volantinaggi davanti alla casa o al luogo di lavoro di stupratori) e fornire una solidarietà visibile e tangibile alle vittime (o potenziali vittime) di stupro (ad esempio presenziando ai processi). Anche questo patrimonio storico non è andato del tutto perso, come hanno dimostrato recenti mobilitazioni.
[10] "Uomini" e "donne" sono intese qui non come categorie "naturali" ma come categorie sociali. La discriminante "sesso" contribuisce a costituire queste categorie così come alte variabili, quali la "razza", la classe, l'età, l'orientamento o la scelta o l' identità sessuale. Sono vittime della violenza di genere non solo le donne, ma tutt* coloro che vengono "inferiorizzati" (o "femminilizzati") e quindi lesbiche, sexworkers, transessuali di ambo i "sessi", migranti, bambine e bambini.
[11] Per esempio i manuali di autodifesa messi a punto rispettivamente dal Gruppo Autodifesa Filo-mena e dalle Maistat@zitt@, manuali che potete scaricare qui.
[12] A Roma le già citate Filo-mena si allenano al Laurentino Okkupato. Sempre a Roma i gruppi Wendo-Roma organizzano corsi di wendo solo per donne e lesbiche da circa dieci anni (e attualmente i corsi sono accessibili anche a donne sorde con traduzione in L.I.S. Potete contattarle qui wendo.roma@libero.it , e ... grazie per le info fanciulle!!!). A Bologna sono le Amazora che organizzano da diversi anni corsi di wendo per donne e lesbiche (per info sui corsi amazora06@yahoo.it). A Milano questa settimana partirà il corso (rivolto anche alle trans) delle Maistat@zitt@.
[13]
"Sola" in questo caso significa senza la presenza rassicurante e protettiva di un uomo ...
[14] Ed oggi un problema "immigrati"...
[15] Il discorso sul razzismo in relazione a discorsi e pratiche concernenti la violenza sulle donne è lungo, complesso e in parte ancora tutto da costruire. Mi limiterò ad osservare che già Angela Davis nel suo Sex, Race and Class (1982, tradotto in italiano come Bianche e nere) denunciava alla fine degli anni 70 il mito dello “stupratore nero”, che nell’America razzista era funzionale a giustificare e fomentare l’aggressione razzista verso la comunità nera. Davis mostra anche come le donne “bianche”, e più precisamente le femministe, siano state complici di questo sistema non riuscendo ad articolare insieme la loro lotta contro il sessismo a quella contro il razzismo verso i “neri”, uomini e donne. E' significativo che ancora il 25 novembre scorso, in occasione della grande manifestazione per la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne a Bologna, l'unico documento/volantino che denunciasse "l'equazione sciagurata: violentatore=immigrato" fosse quello del Coordinamento migranti. In quest'ultimo anno molti sono stati gli implulsi per un nuovo ripensamento di queste questioni, ma nella stragrande maggiornaza dei casi tutto si è "risolto" con l'aggiunta in volantini e documenti di una frasetta rituale che recita più o meno così : "Denunciamo l'uso strumentale in chiave-anti-immigrato dello stupro. La maggioranza degli stupri avviene in casa ad opera di padri, mariti, amanti, fratelli ...". Chi parla? E a chi parla? Rinvio a bell hocks, Ain't a woman, ovviamente.
[16] Nonostante sia stata fatta passare per pazza (45 giorni di clinica psichiatrica, l'assoluzione piena per il marito violento e torturatore) e ridicolizzata in barzellette sessiste, mi assumo il rischio di riferirmi esplicitamente a Lorena Bobbit e alle sue epigone.
[17] E, del resto, sono questi i messaggi veicolati dal fumetto Wonder Woman e da altri simili. Ho usato quest'immagine essendone perfettamente consapevole, ma più che la woman in questa copertina mi interessava il dinosauro. E l'altra donna che dal margine giunge di corsa, in soccorso.

mercoledì 10 ottobre 2007

Sessismo e razzismo. Un convegno

Programma del convegno organizzato da Nouvelles Questions féministes e dall'Università di Columbia a Parigi (10 novembre 2007, Reid Hall, 4 rue de Chevreuse, 75006 Paris)

L'imbrication du sexisme e du racisme en France et aux Usa aujourd'hui
9.15 Ouverture par Danielle Haase-Dubosc. Nouvelles Questions féministes et Reid Hall, une longue histoire qui ne nous rajeunit pas.
9.30 L'imbrication du sexisme et du racisme dans l'histoire de la revue Nouvelles Questions féministes par Christine Delphy et Patricia Roux.
10.00 Danielle Haase-Dubosc. Féminismes, postcolonialisme et transnationalismes.
10.30 Patricia Roux. L'instrumentalisation du genre: une nouvelle forme de sexisme et de racisme.
11.00 Christelle Hamel. La sexualité entre racisme et sexisme.
11.30 Pause café
11.45 Discussion
12.45 Déjeuner

14.00 Café à Reid Hall
14.15 Leti Volpp. Quand on rend la culture responsable de la mauvaise conduite.
15.15 Houria Bouteldja et Saida Rahal Sidhoum. Qu'est-ce qu'un féminisme « indigène » aujourd'h ui en France?
15.45 Christine Delphy . Peut-on lutter efficacement contre le patriarcat sans prendre en compte l e racisme?
16.15 Pause café
16.30 Discussion
17.30 Clôture.

Entrée libre dans la limite des places disponibles.
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* Una piccola precisazione per quanti/e negli ultimi mesi mi hanno inviato delle mail per "sgridarmi" (ma non solo! grazie e scusate se rispondo "collettivamente") : i post di questo blog non sono frequenti, è vero (ma non è per pigrizia, piuttosto per estrema precarietà e assoluto nomadismo). Nonostante tutto cerco di aggiornare quasi quotidianamente le rubriche nella colonna di destra. Quindi se non trovate un nuovo post, date un'occhiata nella Bacheca per appuntamenti da non mancare (avevo già indicato giorni or sono questo convegno, ieri l'appello per la prossima manifestazione per la libertà e i diritti dei/delle migranti ..., oggi la presentazione di Mamadou va a morire), o in Urgenze per appelli, campagne e iniziative da sostenere. Anche le altre rubriche meritano una visita dalle Letture di Marginalia a Eppur si muove (l'ultima new entry è il sito di maistat@zitt@, attualmente sottosopra ma tornano presto...), dalla Segnaletica a Bambine&Bambini ...
Infine: un po' perché mi facilitate le cose un po' perché se ho aperto un blog è per "socializzare" pratiche e saperi, piuttosto che una mail inviate un commento :-)