Velocissimo reminder del convegno di Postcolonialitalia, Archivi del futuro, di cui vi avevo già segnalato a suo tempo il cfp e poi il programma. Purtroppo, per sopraggiunti problemi personali non potrò, con mio grandissimo dispiacere, prendervi più parte e presentare il paper che avevo proposto e che vi copio incollo sotto anche se potete leggerlo, insieme a quelli degli altri interventi, anche nel sito del convegno // Fin dall'epoca liberale, il “meticciato” è uno dei “problemi” maggiori, ma anche di più difficile “soluzione”, che il razzismo coloniale italiano si trova ad affrontare. Dall'iniziale assenza di espliciti divieti, ai vani e confusi tentativi di porre un argine alle “unioni interrazziali” (per lungo tempo tollerate nella sola forma del cosiddetto madamato), fino alla condanna, con la proclamazione dell'Impero, delle “unioni di indole coniugale” tra “nazionali” e “suddite” (che introduce la questione dell'asimmetria dell'interrelazione tra razza e genere, cfr. Barbara Sòrgoni, 1998), il problema del “meticciato” cortocircuita continuamente con un immaginario collettivo, che lo stesso discorso razzista aveva contribuito a consolidare, profondamente intriso di metafore e rappresentazioni di genere (che Anne McClintock ha definito porno-tropics, 1995). Nel secondo dopoguerra, mentre la neonata repubblica si accingeva ad archiviare frettolosamente le brutture del colonialismo come parentesi e frutto della sola barbarie fascista, e un pesante silenzio calava anche sui/sulle bambini/e “meticci” abbandonati dai padri italiani in Africa (questione tabù ancora per tutti gli anni Cinquanta, cfr. Tatiana Petrovich Njegosh in Petrovich Njegosh e Scacchi, 2012) la nascita di bambini/e “mulatti” da donne “italiane” e soldati alleati non-bianchi, reintroduce il “problema” nel cuore stesso della metropoli. Con questo paper mi propongo (ricorrendo a documenti d'archivio, fonti iconografiche, letterarie e cinematografiche) di analizzare le strategie messe in campo per occultare queste unioni e la nascita di coloro che rappresenterebbero con “il colore italo-nero delle loro guance il senso di abiezione della Patria” (per usare le parole di un deputato italiano durante una seduta dell'Assemblea Costituente nel 1947). Analisi che fa emergere con violenza la persistenza nel dopoguerra di violenti rapporti di dominio contemporaneamente “razzizzati” e “genderizzati”, del resto ancora operativi nel nostro presente post-coloniale (Vincenza Perilli, «Il senso di abiezione della Patria». Unioni sessuali interrazziali, genere e razzismo nel secondo dopoguerra italiano)
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