In un post dal titolo La bianchezza, il mito della zingara rapitrice e i pacchetti sicurezza, Sonia Sabelli stabilisce utilissime connessioni storiche, teoriche e politiche (rinviando anche a testi utili quali il volume di Sabrina Tosi Cambini La zingara rapitrice e l'articolo di Gaia Giuliani Maria-piena-di-grazia-e-bianchezza) per continuare la riflessione (ri)avviata dalla vicenda di Maria, la bambina rom "bianca, bionda e con gli occhi azzurri" e quindi necessariamente "rapita" di cui avevo scritto qualche giorno fa riprendendo il documento dell' Osservatorio antidiscriminazioni. Una riflessione quanto mai urgente, visto anche il caso recentissimo che ha coinvolto un'altra bambina rom in Irlanda, anche lei troppo bianca e bionda per essere "figlia di rom". Prelevata con la forza dalla polizia dal campo in cui viveva alla periferia di Dublino, la bambina è stata "restituita" ai sui genitori solo dopo alcuni giorni, quando la prova del Dna ha dimostrato che era figlia "legittima e biologica" della coppia alla quale era stata sottratta. Il ministro della Giustizia irlandese ha ovviamente difeso l'operato della polizia e dei servizi sociali perché "sono situazioni molto difficili e si devono prendere decisioni altrettanto difficili quando si tratta di questioni di protezione di minori". Ma non è chiaro, parafrasando Beatriz Preciado, chi "protegge" le bambine (e i bambini) rom. Approfitto di questo breve aggiornamento per ringraziare Il paese delle donne, Cronache di ordinario razzismo e La libera università delle donne per la ripresa di La bambina bionda e i rom e la Fondazione Romanì Italia per avermi segnalato il testo di Nazzareno Guarnieri, Rom, biondo, di carnagione chiara
mercoledì 30 ottobre 2013
martedì 29 ottobre 2013
Audre Lorde e Adrienne Rich su Mfla
Per chi l'avesse persa è online una bella conversazione tra Adrienne Rich e Audre Lorde. Nella forma dell'intervista della prima alla seconda, datata 1979, è stata trasmessa (e tradotta in italiano) in più puntate da Mfla. La trovate a questo indirizzo, buon ascolto!
venerdì 25 ottobre 2013
Non si nasce donna / Una recensione di Paola Guazzo
Dopo le recensioni a Non si nasce donna (Alegre, 2013) di Silvia Nugara per Iaph Italia e Alessandra Pigliaru per Il Manifesto, ripubblichiamo ora la recensione di Paola Guazzo (che ringraziamo infinitamente) comparsa qualche giorno fa sul suo Guazzington Post. Buona lettura! // Finalmente esce un libro di sintesi su un fenomeno consistente e relativamente poco conosciuto in Italia: il femminismo materialista francese, che va alle radici del celebre assunto di De Beauvoir ( “non si nasce donna”) per dirci che “la donnità è una costruzione storica e sociale” (p.6), mettendo in questione “le evidenze, questa forma sacralizzata dell'ideologia” (p.8).
Elaboratosi a partire dalla creazione della rivista “Qf” (“Questions Féministes”) nel 1977, il femminismo materialista francese è innanzitutto un potente strumento di indagine e messa in questione di un ordine sociale che “naturalizza” le proprie gerarchie di potere; sesso, razza e sessualità vengono considerate fatti naturali, non fatti sociali, e pertanto fissate in “evidenze” immutabili. Per contro: “Lo studiare i modi con cui i rapporti sociali diventano talmente solidi da sembrare naturali permette di iscriverli nella storia, aprendo, in tal modo, uno spazio di possibilità perché le cose possano essere altrimenti” (p.9).
Il femminismo materialista francese è stato poco seguito, o comunque sottovalutato nella sua portata euristica, in Italia. Sono pochi i testi tradotti e conosciuti nel nostro paese, dove si è passate direttamente da un femminismo della “differenza”, ispirato da Luce Irigaray – ed anche, in una prima fase, da assidui scambi con il gruppo francese di “Psyc et Po”, con il quale le femministe di Qf furono in polemica implicita ed esplicita - ad una queer theory incarnata dal costruzionismo (lacaniano) di Judith Butler e dal costruzionismo (freudiano) di Teresa de Lauretis. Un trionfo psicoanalitico, sia nella versione essenzialista che in quella costruzionista. Gli scritti delle teoriche francesi presentate dal libro di Garbagnoli e Perilli, per contro, sono quasi tutti svolti nell'ambito di ricerche antropologiche, accademiche e non (penso all'eccezione-Wittig, che è scrittrice, lavora sul linguaggio, è una sorta di “battitrice libera”, come sarà poi Michèle Causse; due lesbiche dichiarate, sia detto non en passant). Un'analisi comparata dei concetti antropologici e psicoanalitici di “cultura” utilizzati nei feminist studies di varie tendenze sarebbe utile? Lascio la questione aperta.
Non si nasce donna presenta in apertura il denso saggio di Paola Di Cori, French Feminism: tra Christine Delphy e Gayatri Spivak, Appunti, che chiarisce fra l'altro alcuni aspetti della diffusione del pensiero della Holy Trinity (Irigaray, Cixous, Kristeva) negli Stati Uniti fra anni 70 e 80, demistificandone la portata alternativa e anche femminista. Vengono poi presentate opere e teoria del femminismo materialista francese, seguendone le incarnazioni soggettive e presentando per ognuna un significativo essay. Christine Delphy, Colette Guillaumin, Nicole-Claude Mathieu, Paola Tabet e Monique Wittig sono sapientemente introdotte, da studiose-militanti ad esse vicine, nella loro portata epistemologica ed anche “umana” ( e qui il termine universalistico-maschile andrebbe ovviamente sostituito, in un linguaggio che non c'è ancora e che Wittig ha cercato di inventare). Non è stato insignificante, per me, questo stile di Non si nasce donna, che dice (anche) dell'ironia di Nicole-Claude Mathieu e del post-sessantotto, fra viaggi e tentativo di vita in una comune, di Paola Tabet, per citare solo le prime due tranches de vie che mi vengono in mente. Non si nasce donna è un'esperienza forte e liberatoria, come può esserlo solo l'analisi materialistica di un'oppressione che giace, profondamente radicata e difficile da estirpare, nella stessa definizione di “donna”, nonché in linguaggi, forme di vita, poteri e strutture economiche ad essa connessi. Mi ricollego, infine, alle parole delle curatrici: “ Il volume aspira ad essere uno strumento di introduzione ad un approccio che, iscrivendo nell'immanenza della politica ciò che l'ordine sociale produce come “natura”, ha contribuito a creare i germi di una vera e propria rivoluzione cognitiva, ovvero politica” (p.11)
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La bambina bionda e i rom
Ricevo dall'Osservatorio antidiscriminazioni una riflessione, dal titolo "Giù le mani da Maria!" sulla campagna mediatica e sulla psicosi anti-rom "rapitori di bambini" che si è scatenata (non solo in Italia) a partire dal caso della bambina (insistentemente definita dai media "bionda con gli occhi azzurri", "bianca", "dai tratti nordici") trovata in un campo rom in Grecia in compagnia di un uomo e di una donna poi risultati, tramite prova del dna, non suoi genitori "biologici". Nonostante le spiegazioni della coppia (la bambina era stata loro affidata piccolissima dalla "vera" madre che non poteva mantenerla e loro l'avevano cresciuta come "una figlia"), spiegazioni confermate sin dal primo momento da altri/e abitanti del campo (e nelle ultime ore dal ritrovamento della madre "biologica"), l'episodio ha riportato a galla, in tutta la sua virulenza, il razzismo verso quell'"altro da noi" di cui abbiamo parlato tante volte (vedi ad esempio qui, qui, qui e qui). Mi auguro che il testo dell'Osservatorio antidiscriminazioni (e la sua pubblicazione in Marginalia e altrove) possa contribuire ad innescare un effetto moltiplicatore dell'attenzione e della vigilanza necessaria su questa e altre vicende // "Da giorni in Italia è in atto l’ennesima, preoccupante, campagna di odio antizigano, fomentato ad arte da trasmissioni sedicenti “di servizio pubblico”, rotocalchi di intrattenimento, telegiornali, quotidiani… Sappiamo che quando parliamo di rom, in questo paese che impedisce ai superstiti dei naufragi di Lampedusa di partecipare ai funerali, lo stato d’animo non è neutro. Questa non è una sensazione, ma una consapevolezza accertabile attraverso la frequentazione delle associazioni di solidarietà con le comunità romanés, la conoscenza e l’informazione attraverso le pubblicazioni, i testi di ricerca, le statistiche delle condizioni drammatiche nelle quali le famiglie rom sono costrette a sopravvivere a causa delle politiche istituzionali locali e nazionali, con la complicità di un razzismo popolare forse senza precedenti. Chi pretende di informare, chi si assume l’onore di fare informazione in Italia ha il doppio onere di essere informato e di trasmettere correttamente le notizie, senza allusioni o esplicite affermazioni di razzismo. E’ stato sostenuto, in una trasmissione televisiva della tv di Stato, che la bambina sarebbe stata rapita da un network di trafficking di minori con sede in Bulgaria, e che sarebbe stata successivamente comprata dalla famiglia rom per “purificare la razza” della comunità romanés. Spesso vediamo, nell’ “altro” da “noi”, lo specchio di ciò che siamo… Niente di quanto è stato sostenuto, con la presunzione e la certezza della Verità granitica, ha ancora alcun fondamento. Un’ipotesi come un’altra, ma che sembra “pesare” più di altre, scartate a priori. L’immagine di Maria e l’utilizzo del suo corpo mediatizzato e strumentalizzato secondo costruzioni comunicative che alludono, spingono a prendere parte, a parteggiare per i bravi (la polizia che l’ha “salvata” dagli “aguzzini”) contro i cattivi (la famiglia rom), denota il contrario della sensibilità dovuta in presenza della salvaguardia di un minore: le foto contrapposte della piccola con i capelli arruffati e le treccine più scure del biondo dei capelli e le manine sporche, contrapposta a quella della bambina “ripulita” dei segni del suo passato “vergognoso”, con il vestitino nuovo e i capelli completamente biondi, al sicuro nell’associazione di affidamento, quasi a voler “smacchiare” una colpa. E’ forse una colpa essere poveri? No, non lo è. E’ una condizione sociale, non una condizione dello “spirito”, né ontologica, né tanto meno “innata”, proprio come la razzista equazione che sta nuovamente passando con ciò che è conosciuto per “linea del colore”: una piccola bionda non può essere figlia di genitori rom. E’ talmente “normale” l’orrore della “razza” che in questi giorni stanno moltiplicandosi, in Europa, massicci controlli nei confronti di famiglie rom con minori “bianchi”. Qualcuno ha forse pensato, riflettuto sul fatto che questi controlli non sono affatto “normali”, né basati su alcunché di scientifico? Al contrario, a seguito dell’oggettivazione del corpo di Maria – il corpo del reato – cresce l’accanimento poliziesco e razziale verso una minoranza vittima di molti olocausti, piccoli e grandi, nella storia passata e recente di una rilevante parte del mondo.
Questo è l’orrore, questo ritorno del passato con gli abiti ipocriti di chi dice di voler tutelare i diritti dei più deboli, sbattendo i mostri in prima pagina: le foto di fronte e di profilo dei due rom del campo greco sulle televisioni pubbliche italiane. Foto terribilmente simili a quelle dei perseguitati del Casellario Politico fascista e dei reclusi nei campi di sterminio nazisti: in entrambi questi elenchi dell’abominio troverete volti di donne e uomini rom. Colpevoli di vivere secondo regole non scritte, colpevoli di essere poveri e di vivere in “discariche” a cielo aperto: non-luoghi nei quali le istituzioni nazionali li costringono a vivere, senza assistenza e lontani dal centro delle città, in periferie abbandonate e prive di mezzi di trasporto. I rom hanno molti doveri per lo Stato italiano, ma nessun diritto. Sono in maggioranza italiani, ma sono trattati peggio che se fossero stranieri. Sappiamo che la costruzione dell’immaginario passa attraverso i corpi, e attraverso le modalità con le quali alcuni corpi contano più di altri, e vengono “raccontati” con differenti “marcature”. Così la cameretta di Maria, in ordine, pulita e ben arredata, è elemento di sospetto in una famiglia poverissima. In un mondo colmo di pregiudizi, questo è ciò che il nostro “sguardo” vuol vedere. Così la giovane e coraggiosa Leonarda, pronta a percorrere la propria strada di autodeterminazione in Francia anche contro le violenze subite in famiglia, viene obbligata a scegliere tra ciò che è ritenuta essere la “sua razza” (la sua famiglia romanés, espulsa in Kosovo) e il cosiddetto diritto/dovere di studio, magari per diventare “una brava francese”. E magari per vergognarsi, in futuro, di avere genitori “rom”. Si parla tanto di aiutare le donne a denunciare chi le stupra e molesta: lo Stato francese si è reso complice della violenza contro Leonarda, spingendola a ritrattare le precedenti accuse verso il padre, a causa dell’attacco del governo francese contro la sua famiglia. Ma l’utilizzo del sessismo per politiche razziste e del razzismo per attacchi sessisti, noi, lo sappiamo riconoscere. Noi sappiamo da che parte stare. La piccola Maria non è figlia “biologica” di chi l’ha comunque accolta e nutrita, pur in povertà. I motivi per i quali la bambina è cresciuta in quella famiglia rom possono essere tantissimi. La tv di Stato e quella privata hanno già decretato il verdetto. Noi stiamo con Maria, con Leonarda e con il popolo rom (Osservatorio antidiscriminazioni, Giù le mani da Maria!, ottobre 2013).
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mercoledì 23 ottobre 2013
White Feminist Fatigue Syndrome
Negli ultimi giorni si è molto discusso in rete di un articolo di Nancy Fraser pubblicato lo scorso 14 ottobre da The Guardian, How feminism became capitalism's handmaiden - and how to reclaim it, tradotto da Cristina Morini con il titolo di Come il femminismo divenne ancella del capitalismo. In questo articolo Fraser constata come "la seconda ondata del femminismo è emersa come critica al capitalismo di prima maniera, ma infine è diventata ancella del capitalismo contemporaneo", questione che solleva, come è stato da più parte rilevato, tutta una serie di interrogativi indubbiamente urgenti da mettere a tema. Ma tra i contributi alla discussione che questo articolo ha suscitato mi sembra particolarmente utile e interessante il provocatorio intervento di Brenna Bhandar e Denise Ferreira da Silva, White Feminist Fatigue Syndrome, ora tradotto in italiano da Incroci De-generi (La sindrome del fardello della donna bianca). Bhandar e Ferreira da Silva, mettono in evidenza come l'articolo di Fraser "che ad una prima occhiata sembra una ragionevole auto-riflessione, una di quelle che si assume il carico e la responsabilità di passate alleanze e celebrazioni di mosse strategiche per il miglioramento della vita delle donne, ad una seconda occhiata rivela l’innata e ripetitiva miopia del femminismo bianco nell’accettare, conversare e riflettere con le femministe nere e del terzo mondo". Denunciano con forza l'utilizzo di un "noi" e del termine "femminismo" al singolare che finiscono ancora una volta per invisibilizzare la presenza di altri percorsi femministi (come il Black Feminism) che, fin dagli anni 70 "hanno sistematicamente costruito una critica femminista non solo al capitalismo di stato, ma anche al capitalismo globalizzato radicato nell’eredità del colonialismo". Mi sembra che questo testo possa contribuire ad aprire una discussione quanto mai necessaria, quindi copio-incollo di seguito la traduzione di Incroci De-generi (che ringrazio per il gran lavoro scusandomi se per mancanza di tempo e una conoscenza piuttosto rozza dell'inglese non ho potuto contribuire a una revisione del testo come auspicato, limitandomi a piccoli interventi). Buona lettura e riflessioni // Nel suo recente articolo pubblicato sulla rubrica Comment is Free, Come il femminismo è diventato un’ancella del capitalismo – e come riprendercelo, Nancy Fraser traccia delle linee a partire dal suo lavoro di teoria politica per argomentare come, nella migliore delle ipotesi, il femminismo sia stato cooptato dal neoliberalismo e nella peggiore sia stato un elemento di compartecipazione capitalista del progetto neo-liberale. Quella che ad una prima occhiata sembra una ragionevole auto-riflessione, una di quelle che si assume il carico e la responsabilità di passate alleanze e della celebrazione delle mosse strategiche finalizzate al miglioramento della vita delle donne, ad una seconda occhiata rivela l’innata e ripetitiva miopia del femminismo bianco nell’accettare, confrontarsi e riflettere con le femministe nere e del terzo mondo. Dai primi anni 70 in poi, queste studiose ed attiviste hanno sistematicamente portato avanti una critica femminista non solo al capitalismo di stato, ma anche al capitalismo globalizzato radicato nell’eredità del colonialismo. Queste femministe non hanno dato la priorità al “sessismo culturale” sulla questione della redistribuzione della ricchezza. La letteratura è vasta, gli esempi sono miriadi ed è dunque ancora più fastidioso che le femministe bianche parlino della seconda ondata del femminismo come se fosse l’unico “femminismo” e usano il pronome “noi” mentre lamentano le sconfitte delle loro battaglie. Lasciateci almeno dire che non esiste nulla che si possa definire “femminismo” in quanto soggetto di qualsiasi proposizione che designa la singola posizione della critica al patriarcato. Per questa posizione c’è stata una frattura sin da quando Sojourner Truth disse “Non sono forse una donna anch’io?”. Tuttavia esiste una posizione femminista soggettiva, quella che Fraser lamenta, che si è seduta molto comodamente al posto del soggetto auto-determinato ed emancipato. Quella ovviamente è la posizione che lei identifica come un contributo al neoliberalismo. Ma non c’è niente di cui meravigliarsi, dal momento che sia il suo femminismo che il suo neoliberalismo condividono la stessa anima liberale che le femministe nere e del terzo mondo hanno identificato e denunciato sin dai primi passi nella traiettoria dei femminismi. Il lavoro di Angela Y. Davis, Audre Lorde, Himani Bannerji, Avtar Brah, Selma James, Maria Mies, Chandra Talpade Mohanty, Silvia Federici, Dorothy Roberts e numerose altre hanno frantumato la natura limitata ed escludente delle strutture concettuali sviluppate dalle femministe bianche nel mondo anglofono. Queste studiose ed attiviste hanno creato strutture di analisi che simultaneamente eccedono una “sfida a” e forniscono un correttivo alla narrazione di entrambe le teorie del marxismo nero e dell’anticolonialismo che fondamentalmente non sono riuscite a teorizzare il genere e la sessualità, e del pensiero femminista marxista e socialista che continua a fallire, per molti aspetti, nel dar conto della razza, della colonizzazione e delle ineguaglianze strutturali fra gli stati nazione cosiddetti sviluppati ed in via di sviluppo. E certo, Mies, Federici e James sono bianche, ma i femminismi neri e del terzo mondo aspirano ad una solidarietà politica che attraversi la linea del colore. Le studiose di cui abbiamo parlato hanno coerentemente sviluppato delle critiche alle forme capitaliste della proprietà, dello scambio, del lavoro retribuito e non, insieme alle forme culturali strutturalmente incorporate nella violenza patriarcale. Prendiamo l’esempio dello stupro e della violenza contro le donne. In quel lavoro spartiacque che è Donne, Razza e Classe, Angela Y. Davis sostiene energicamente che molte delle più attuali e pressanti battaglie politiche affrontate dalle donne nere sono radicate nel particolare tipo di oppressione che hanno sofferto da schiave. Lo stupro e la violenza sessuale riguardano donne di tutte le classi, razze e sessualità, come Davis nota, ma c’è una valenza differente per uomini e donne nere. Il mito del violentatore nero e dell’uomo nero violentemente ipersessuale ha causato migliaia di linciaggi nell’anteguerra in America. Questo persistente mito razzista fornisce un valore esplicativo per la iper-rappresentazione di uomini neri in prigione condannati per stupro ed ha spinto una parte delle donne afro-americane ad essere riluttanti nel lasciarsi coinvolgere nel primo attivismo contro lo stupro che si focalizzava su un rafforzamento della legge e del sistema giudiziario. L’espropriazione del lavoro nero fondato sulla logica della schiavitù si ripete esso stesso nella espropriazione del lavoro del detenuto nell’era post-schiavista e oggi nel lavoro schiavistico endemico nel complesso industriale carcerario. La violenza sessuale è conseguentemente considerata come qualcosa che deriva dalla schiavitù e dalla colonizzazione, che colpisce sia gli uomini che le donne. La storia dei corpi di donne nere come oggetti di utilità da usare, violare per il piacere dell’uomo bianco rimane come traccia fisica, sociale, razziale nella società americana contemporanea. Per quanto riguarda le native americane, gli stereotipi dell’epoca coloniale della “squaw” continuano ad essere presenti nell’immaginario razzializzato della contemporaneità, rendendo le indigene vulnerabili alle forme di violenza sessuale che sono sempre già razziali, richiamando schemi di violenza emersi attraverso l’esproprio delle loro terre, linguaggi, risorse e, sì, anche pratiche culturali. Recenti proposte, secondo le quali le femministe dovrebbero rivolgere lo sguardo verso il lavoro non retribuito, di cura, sono state analizzate da Patricia Hill Collins in Il pensiero del femminismo nero: sapere, potere e coscienza. Collins enfatizza il fatto che il lavoro a casa delle donne afro-americane che contribuisce al benessere delle loro famiglie, può essere inteso da loro come una forma di resistenza alle imposizioni sociali ed economiche che colludono a danneggiare i bambini e le famiglie afro-americane. Le femministe nere hanno anche condotto la campagna per la retribuzione del lavoro domestico sfidando le norme borghesi dell’economia familiare. Seguendo A.Y. Davis notiamo che le femministe bianche hanno bisogno, quando intraprendono strategie politiche, di riconoscere che le femministe nere e del terzo mondo hanno già teorizzato e praticato a questo proposito da lungo tempo. Porre fine all’oppressione, alla violenza contro le donne, alla violenza contro gli uomini, particolarmente nella variante neoliberale, significa abbracciare il pensiero storico materialista e antirazzista delle femministe nere e del terzo mondo. Le femministe bianche che continuano ad agitare la parola “razza” e “razzismo” nel loro approccio diversamente sinistro-liberale sono ostinatamente cieche/sorde? Sono incapaci di cedere il passo al femminismo nero perché significherebbe la perdita di un certo privilegio razziale? Il persistente richiamo all’universalismo, che è il nucleo del femminismo bianco, continua ripetutamente a rendere invisibile le esperienze, il pensiero e il lavoro del femminismo nero e del terzo mondo. E’ ora!
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lunedì 21 ottobre 2013
Seminario di ricerca etno-antropologica / Paola Tabet
Domani pomeriggio, all'interno del seminario di ricerca etno-antropologica dell'Università di Modena e Reggio Emilia (qui il programma completo), Valeria Ribeiro Corossacz terrà una lezione su Paola Tabet. Già docente di antropologia all'Università di Siena e all’Università della Calabria, Tabet si è occupata di tradizioni popolari – C'era una volta (1978) – e di razzismo – La pelle giusta (1997), ma tema centrale della sua ricerca è, dal 1975, la costruzione sociale dei rapporti tra i sessi. Tra i suoi volumi ricordiamo La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps (1998) e La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico (2004). Recentemente uno dei saggi contenuti in La construction sociale de l’inégalité des sexes. Des outils et des corps è stato tradotto in Non si nasce donna, con un'introduzione di Gabriella Da Re. Una sua raccolta di saggi è in via di pubblicazione
Elsa Dorlin : Pour un féminisme révolutionnaire
Elsa Dorlin in un estratto del film Notre Monde (2013, Agat/LBP/Sister,118’) di Thomas Lacoste (per maggiori info sul film rinviamo al sito Notre Monde). Per un femminismo rivoluzionario sarà anche il titolo della lectio magistralis che Elsa terrà a Bologna il prossimo 28 ottobre nell'ambito della rassegna Soggettiva (qui il programma completo). Poiché il suo lavoro (complice la mancanza di traduzioni) è poco conosciuto in Italia mi permetto di rinviare alla mia recensione al volume La matrice de la race, pubblicata qualche anno fa in Zapruder. E qui altri articoli correlati. Buona visione e lettura
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domenica 20 ottobre 2013
Affaire Treccani: rassegna stampa
Ricorderete la lettera (che spero abbiate firmato tutte/i) che denunciava il sessismo e l'omo/transfobia di molte delle voci contenute nell'Enciclopedia Treccani scritta da un gruppo di studiose/i e attiviste/i presto definiti, insieme alle/ai tante/i firmatarie/i, come talebani del politicamente corretto da il Secolo d'Italia. Rassegna stampa in aggiornamento sul sito di Intersexioni, buona lettura
sabato 19 ottobre 2013
Introduzione agli studi di genere e queer
Scrivere e continuare a fare ricerca precariamente e ai margini (o al di fuori) dei circuiti (accademici e non) di produzione dei saperi non è facile, come ben sappiamo in molte/i. Parimenti quello che, con molta fatica, riusciamo a produrre resta spesso poco visibile, fuori dai grandi circuiti della distribuzione e quindi letto e discusso da poche/i. Anche per questo ci ha fatto un piacere enorme trovare, insieme ad altri volumi, il "nostro" Non si nasce donna (Alegre, 2013) nella bibliografia del Laboratorio di introduzione agli studi di genere e queer di Marco Pustianaz al Dipartimento di Studi Umanistici di Vercelli (qui il programma). Approfittiamo di questo post per segnalare a quante/i hanno difficoltà a reperire il libro che questo può essere acquistato direttamente dall'editore, presso il quale tra l'altro in questi giorni, e fino al 27 ottobre, è possibile usufruire dello sconto del 40%. Per info cliccare qui.
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giovedì 17 ottobre 2013
Razzismo, classismo e teorie intersezionali
Denise, che ringrazio, mi segnala un suo intervento pubblicato su Anacronismi, dal titolo Razzismo e odio di classe, con spunti e indicazioni bibliografiche sulla necessità di un'analisi intersezionale, in particolare per quanto riguarda la relazione tra classe e razzismo. Un argomento cruciale ma complesso, intorno al quale varrebbe davvero la pena avviare una discussione, anche via web. Quindi buona lettura a tutte/i e ancora grazie a Denise (anche per aver segnalato Marginalia!)
venerdì 11 ottobre 2013
Terrorist Assemblages
La copertina dell'edizione francese (Editions Amsterdam, 2012) di Terrorist Assemblages. Homonationalism in Queer Times (2007) di Jasbir K. Puar
mercoledì 9 ottobre 2013
Critique de la raison nègre
Ricevo e volentieri pubblico per chi è a Parigi: giovedì prossimo, 17 ottobre 2013, all'interno di un seminario organizzato da LabTop, presentazione del recentissimo volume di Achille Mbembe, Critique de la raison nègre. Saranno presenti con l'autore Elsa Dorlin (LabTop, Paris 8), Éric Fassin (LabTop, Paris 8) e Nacira Guénif-Souïlamas (Experice, Paris 13). Maggiori info sul sito di LabTop
lunedì 7 ottobre 2013
«Non ci sono italiani negri». Il colore legittimo nell’Italia contemporanea
Via il prezioso blog di Sonia Sabelli condivido la notizia che nel numero di settembre di «Ritagli», la rassegna bimestrale di cultura della Camera dei deputati, è stato pubblicato (ed è online), il saggio «Non ci sono italiani negri». Il colore legittimo nell’Italia contemporanea, intervento introduttivo di Gaia Giuliani alla tavola rotonda da lei curata e pubblicata in «Studi culturali», dal titolo La sottile linea bianca. Intersezioni di razza, genere e classe nell’Italia postcoloniale. Nello stesso numero di «Studi culturali» anche una bella "doppia" recensione di Cristina Demaria (al volume di Chandra Talpade Mohanty, Femminismo senza frontiere e al "nostro" Femministe a parole). Buone letture!
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