Proprio nel luglio scorso avevo segnalato qui in Marginalia l'uscita del volume di Chandra Talpade Mohanty, Femminismo senza frontiere. Teoria, differenze, conflitti (ombre corte, 2012). Non so nel frattempo quante/i di voi l'abbiano poi letto, comunque sull'ultimo numero di Zapruder (dal titolo Pellicole di storia, qui l'indice) è ora stata pubblicata la mia breve recensione al libro, che vi copio-incollo qui. Buona lettura! // A cura di Raffaella Baritono è ora accessibile al pubblico non anglofono, nell'accurata traduzione di Gaia Giuliani, una raccolta dei più
importanti scritti dell'attivista e teorica Chandra Talpade Mohanty, «femminista del Terzo Mondo formatasi negli Stati Uniti, interessata alle questioni della cultura, della produzione di sapere, e
dell'attivismo in un contesto internazionale» come lei stessa si definisce in uno dei saggi (Cartografie
della lotta, pp. 63-114, p. 65). Tratti tutti – tranne l'ultimo – da Feminism without Borders: Decolonizing Theory, Practicing Solidarity (Duke University Press, 2003) e scritti in un arco temporale che va dal 1986 al 2003, i saggi presentati restituiscono alcuni dei nodi centrali della complessa riflessione di Mohanty «la necessità di rendere, esplicito, sulla scia dell'insegnamento di Audre Lorde (1984), il posizionamento come scelta teorica e politica del femminismo contemporaneo che non nega, ma allo stesso tempo non ipostatizza le differenze [...]; l'attraversamento dei confini intesi come linee mobili dello spazio geografico e politico; lo spostamento dei punti di vista e l'analisi critica del modo in cui sono state costruite categorie come quelle di Occidente e Terzo Mondo; la messa a fuoco del nesso differenze/agency al cuore della riflessione del femminismo postcoloniale» (Baritono, Introduzione, pp. 7-23, p. 7). Al tempo stesso, offrono preziose indicazioni metodologiche per un femminismo «senza frontiere», grazie anche all'insistenza sulla necessità di storicizzare e ri-pensare obiettivi e categorie d'analisi, nonché un linguaggio ancor oggi «impreciso ed inadeguato» e che dovrebbe «essere aperto al perfezionamento e all'indagine – ma non all'istituzionalizzazione» (pp. 184-185). Emblematico il saggio “Sotto gli occhi dell'Occidente” rivisto: solidarietà femminista e lotte anticapitaliste (pp. 176-215), in cui Mohanty riprende il suo celebre Under Western Eyes: Feminist
Scholarship and Colonial Discourses (1986). Se all'epoca il perno era la denuncia «degli studi del “femminismo occidentale” che si occupano delle donne del Terzo Mondo colonizzandone discorsivamente le vite e le lotte» (p. 178), ora, a diciassette anni di distanza, Mohanty attua una sorta di autopsia analitica del testo, a partire da alcuni fraintendimenti che ne hanno accompagnato la diffusione e dal proprio mutato posizionamento – «Quando lo scrissi non avevo ancora finito i miei studi di dottorato, ed ora sono una professoressa in Women's Studies. “Sotto” ora è molto più “dentro”...» (p. 176) – e dal diverso contesto storico-politico, in cui cruciale risulta lo scarto tra Mondo dell'Un-Terzo e Mondo dei Due-Terzi, «tra “coloro che hanno” e “coloro che non hanno”» (p. 183). Emerge la necessità di immaginare, alla luce dei nuovi «processi di inclusione/esclusione posti in essere dal dominio capitalista, razzista, eterosessista e nazionalista» (p. 185), nuove forme di lotta e solidarietà transnazionali femministe, partendo dal presupposto che «forse, non si tratta più semplicemente della questione dello sguardo dell'Occidente, ma piuttosto di come l'Occidente sia interno e si riconfiguri continuamente a livello globale, razziale e in termini di genere. Senza riconoscere questo aspetto, il nesso necessario tra sapere femminista/cornici analitiche, da un lato, e organizzazione/attivismo, dall'altro, è impossibile» (p. 195). (Vincenza Perilli, in Zapruder, n. 31, 2013)
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