domenica 10 marzo 2013

Femministe a parole / Una recensione di Graziella Gaballo

Sull'ultimo numero, il cinquantaduesimo, di Quaderno di storia contemporanea, è stata pubblicata una recensione di Graziella Gaballo, che ringraziamo , al nostro Femministe a parole. Grovigli da districare. Con il consenso dell'autrice la pubblichiamo, buona lettura! " Femministe a parole è un volume sulle questioni controverse (i “grovigli”) che hanno attraversato il dibattito femminista nel corso degli ultimi anni. Anticolonialismo,   biomedicina, femminismo islamico, globalizzazione, prostituzione, relativismo culturale, veline, welfare sono solo alcuni dei temi intorno ai quali quarantaquattro autrici - tutte femministe, ma con percorsi ed esperienze diverse - cercano di costruire un “dizionario ragionato”, facendo i conti, appunto, con le parole e invitando a continuare la discussione. L’obiettivo è sostanzialmente quello di fare luce su alcuni concetti chiave intorno ai quali si sono generati approcci teorico-femministi, di matrice prevalentemente anglosassone, quali l’intersezionalità, il pensiero post-coloniale, le teorie queer e l’etica del posizionamento, con la consapevolezza da una parte che il linguaggio non è affatto neutro, ma riflette e veicola rapporti di dominazione e che le parole sono sempre state imbevute di ideologie sessiste, razziste e classiste e dall’altra che non si è qui di fronte a questioni puramente lessicali, perché ogni parola “fa problema” - “groviglio”, appunto - all’interno di un recupero del pensiero della complessità. Nella lettura del libro ognuno può ritagliarsi – volendo - un proprio percorso, privilegiando alcune piste rispetto ad altre: ad esempio, il tema del post colonialismo può essere affrontato attraverso le voci Anticolonialismo. Tradite e traditrici (Anna Vinzan); Bianchezza. Il colore del privilegio (Gaia Giuliani); Colonizzatrici. Itinerari femminili nell’età dell’imperialismo (Catia Papa); Femminismo postcoloniale (Caterina Romeo); Neo-orientalismo. Il ritorno di Shahrazad (Jamila M.H. Mascat); Razza. Come liberarsene? (Valeria Ribeiro Corossacz); Relativismo culturale. Contro etnocentrismo e universalismo particolare (Annamaria Rivera); Subalterna. Ai margini del femminismo (Angela D’Ottavio); Velate e svelate. Gli imbrogli del colonialismo (Chiara Bonfiglioli). E tutto questo attraversando, per esemplificare in modo più concreto, le questioni relative al carattere plurisemico del velo islamico, che si pone all’intersezione tra identità di genere, religiosa e culturale, con le sue diverse interpretazioni a seconda dei contesti storici: simbolo di arretratezza e di barbarie, se visto con gli occhi dei colonizzatori europei; simbolo di resistenza al colonialismo e di opposizione all’imperialismo occidentale, se visto nel contesto dei movimenti di decolonizzazione; e ancora simbolo di agency - autonoma capacità di agire – se visto con gli occhi delle giovani donne di seconda generazione che si servono del velo anche per marcare la propria duplice appartenenza, ma anche con gli occhi di femministe e attiviste orientali che rispondono all’accusa per le donne islamiche di tradimento dei valori nazionali, religiosi e culturali autoctoni rigettando, attraverso una argomentata rilettura delle fonti sacre dell’islam, l’apparente contraddizione tra fede e femminismo. Oppure esplorando il rapporto troppo a lungo poco studiato tra donne europee e cultura coloniale, attraverso le numerose figure di donne che hanno popolato tra Ottocento e Novecento lo spazio coloniale, come mogli di coloni o amministratori, ma anche come viaggiatrici, geografe, missionarie, riformatrici sociali o percorrendo la riscrittura della grande narrazione del femminismo bianco, eterosessuale, di classe media e mettendo in discussione il concetto di sorellanza globale, esaminando le disuguaglianze tra donne che provengono da contesti geopolitici differenti. Perché, se dal relativismo culturale (inteso non come posizione dottrinale, ma come disposizione epistemica e postura metodologica) ha preso le mosse le critica femminista dell’ideologia universalista (nata da un frammento della filosofia europea e fondata su una sola cultura, per cui la vera umanità è bianca, maschile, europea), un orientamento in tal senso è però riemerso in ambienti femministi - ad esempio proprio a proposito dell’affaire del velo, ma non solo - ed è riconducibile al “fardello della donna bianca”, cioè alla presunta missione civilizzatrice che imporrebbe di emancipare anche contro la loro volontà le altre donne, ritenute vittime passive di oppressione. Credo possano bastare questi pochi rimandi a dare la misura dell’interesse e della complessità di questo lavoro a più mani intorno ai nodi tematici che maggiormente caratterizzano i saperi e le pratiche del femminismo" (Graziella Gaballo in Quaderno di storia contemporanea, n. 52, 2013)

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